Perché ricorra il prescritto obbligo di comunicazione è necessario il verificarsi – anche contestuale e concorrente – di uno o più degli eventi (c.d. trigger) presupposto menzionati, ovvero che sia intervenuta una “variazione”, una “revisione” o “revoca” degli affidamenti in essere. In via preliminare occorre sottolineare, ancora una volta, la genericità della formulazione utilizzata dal Legislatore nell’utilizzo del termine “affidamenti” per identificare, secondo una interpretazione estensiva, qualsivoglia tipologia di forma tecnica di credito intercorrente tra banche e/o intermediari finanziari ed imprese affidate. Invero, per “affidamenti”, si dovrebbe unicamente intendere quelle specifiche tipologie di linee di credito a valere su conti correnti (es aperture di credito in cc) e, quindi, si potrebbe essere portati a ritenere che siano da escludere dal perimetro applicativo della disposizione tutte quelle diverse forme tecniche di tipo “rateale” (ad es mutui chirografari o ipotecari, assumibili nel “genus” finanziamenti)[6]. Una simile opzione interpretativa rischia, tuttavia, di non essere del tutto convincente posto che non capirebbe perché mai l’obbligo di informare l’organo di controllo circa l’intervenuta revoca o variazione di fido possa essere di interesse per il medesimo solo limitatamente a determinate forme tecniche. Tale dettaglio, infatti, risulta essere del tutto irrilevante per l’organo di controllo destinatario dell’informativa giacchè quello che effettivamente sarà di interesse per quest’ultimo è l’indagare/verificare presso gli amministratori della società se, alla luce delle determinazioni assunte dalle banche creditrici, ricorrano o meno della situazioni di difficoltà finanziaria/economica dell’impresa tali da prefigurare come ricorrenti i presupposti di un “crisi” o “insolvenza” e, quindi, suggerire ai medesimi di ricorrere agli strumenti posti a disposizione dal CCII per il superamento della situazione di difficoltà.
Venendo agli “eventi presupposto” che faranno scattare la comunicazione da parte di banche e intermediari finanziari, anche questi – purtroppo - paiono connotati da un eccesso di genericità che potrebbe essere foriera di errate interpretazioni e che, pertanto, meritano di essere indagati in maniera attenta. In primo luogo, forse il più semplice, la “revoca”; questa dovrebbe essere rappresentata da qualsiasi intervento comportante la cessazione degli effetti della linea di credito interessata, conseguita attraverso la adozione degli istituti contrattuali funzionali a produrre tale risultato in relazione alla natura giuridica del negozio produttivo della linea di credito (ad es.: risoluzione – ovvero decadenza del beneficio del termine per gli “affidamenti” a scadenza fissa; recesso per gli “affidamenti” a tempo indeterminato). Ovviamente la comunicazione avente per oggetto l’intervenuta revoca dell’affidamento indirizzata all’organo di controllo scatterà anche nell’ipotesi in cui, a fronte di una pluralità di affidamenti concessi dalla banca/intermediario all’impresa, venisse revocata una sola delle linee di credito in essere, paradossalmente anche residuale – in termini percentuali – rispetto al totale accordato. E’ allora sufficiente riflettere su simile circostanza per comprendere la potenziale inutilità di una simile previsione, visto che il rischio concreto è quello di realizzare un meccanismo segnaletico ipersensibile che genererà numerosi “falsi positivi” presso l’organo di controllo.
Detto altrimenti, sarebbe stato ben più ragionevole prevedere il decorrere di un simile obbligo informativo a favore dell’organo di controllo se, in ipotesi di pluralità di affidamenti concessi ad un’impresa (circostanza niente affatto infrequente), l’affidamento “revocato” avesse rappresentato l’esposizione più rilevante o, ad esempio, prevedere determinate soglie di importo, al cui superamento la revoca deve essere comunicato all’organo di controllo. Non solo; potrebbe anche verificarsi il caso per cui la revoca dell’affidamento venga disposta dalla banca/intermediario, perché si tratta di una linea di credito inutilizzata o, addirittura, rinunciata dall'impresa; evento quest’ultimo che comunque comporterebbe negli applicativi informatici la qualificazione di revoca dell'affidamento. Ebbene, ricorrendo simile ipotesi si fatica a comprendere quale sarebbe l’effettivo valore “informativo” di una comunicazione indirizzata all’organo di controllo. Ulteriore evento presupposto previsto dalla disposizione in commento è la “variazione” dell’affidamento, intendendo ricomprendervi qualsivoglia mutamento concernente una delle caratteristiche di cui è composta una linea di credito (a titolo esemplificativo, durata, accordato, condizioni economiche applicate, garanzie eventualmente presenti sulla linea, etc…). Resta tuttavia da comprendere se la comunicazione verso l’organo di controllo sia dovuta solo in caso di variazioni apportate unilateralmente dalla banca/intermediario (ex art. 118 Tub) oppure anche in caso di variazioni “richieste” dall’impresa affidata o comunque “concordate” con quest’ultima. Non è infrequente, ad esempio, che un’originaria linea di credito possa essere modificata nei suoi elementi caratterizzanti e/o migrata verso in altre e diverse forme tecniche per ragioni puramente commerciali/esigenze operative senza che, anche in questo caso, possa anche solo immaginarsi che alla base vi siano situazioni di difficoltà economico/finanziaria dell’impresa (e la banca sarebbe la prima ad avere interesse a cogliere detti segnali).
Parimenti, la genericità della formulazione, dovrebbe ricomprendere nel suo perimetro applicativo anche quelle variazioni “in aumento” degli affidamenti tenuto conto che simili ipotesi dovrebbero essere di potenziale interesse dell’organo di controllo, in quanto potrebbero sottendere un ricorso a maggior indebitamento da parte dell’impresa e, dunque, una possibile aggravamento della situazione di finanziaria della stessa. Risulta chiaro, allora, che l’invio di comunicazioni all’organo di controllo se per un verso costituisce l’interpretazione (ed esecuzione) più prudenziale della disposizione in esame, dall’altro lato rischia di portare all’attenzione dell’organo di controllo una moltitudine di comunicazioni (spesso inutili), con ciò arrivando a svilire gli obbiettivi propri che la disposizione mira a conseguire. L’obbligo di comunicazione verso l’organo di controllo si attiva infine anche laddove banche e intermediari finanziari effettuino una “revisione” della complessiva posizione di rischio di imprese affidate; anzi è da ritenersi che la “revisione” ricorra quasi sempre in concomitanza con una “variazione” o una “revoca” degli affidamenti, giacchè la stessa è lo strumento “proprio” con cui si decide di variare o revocare delle linee di credito. La previsione, a contenuto del tutto innovativo, risulta essere particolarmente problematica sia dal punto di vista interpretativo che strettamente operativo. Sotto il profilo interpretativo, infatti, ci troviamo dinanzi ad obbligo comunicativo del tutto nuovo che non trova alcuna corrispondenza né in analoghe comunicazioni dettate da Disposizioni di vigilanza (si pensi ad esempio alle previsioni di cui alle Disposizioni di Trasparenza di Banca d’Italia) né tantomeno in altri ambiti normativi, anch’essi disciplinanti l’attività creditizia (si pensi alle disposizioni di vigilanza in tema di Centrale dei Rischi, alle segnalazioni di vigilanza e, più in generale, all'intera cornice di vigilanza prudenziale[7]). Di fatto, con questa previsione banche ed intermediari saranno tenuti a comunicare alle imprese affidate ed ai relativi organi di controllo, qualsivoglia attività di “revisione” (tipicamente a contenuto valutativo) che viene condotta presso le rispettive strutture creditizie e che, molto spesso, non hanno un riflesso né diretto né immediato sulle linee di credito concesse all’impresa. Si pensi, ad esempio, alla tipica revisione periodica (tipicamente ogni 12 mesi) a cui ordinariamente ogni posizione di rischio, secondo le logiche di segmentazione dei portafogli che ogni intermediario adotta, viene effettuata presso ciascuna banca/intermediario al solo fine di verificare ad esempio l’andamento della relazione commerciale, il corretto decalage dell’ammortamento, la revisione del rating assegnato a quella specifica controparte o, ancora, per allegare la revisione della perizia sugli immobili e/o altri beni/valori assunti a garanzia dell’affidamento concesso. Ricorrendo simili ipotesi operative, d’ora innanzi gli intermediari, che finora hanno condotto queste attività di revisione senza che nulla venisse riferito all’impresa affidata, trattandosi in tutto e per tutto di documenti e valutazioni ad uso strettamente interno, avranno invece l’onere di informare, mediate specifica comunicazione, sia le imprese affidate quanto i relativi organi di controllo, ponendosi a questo punto il problema – niente affatto banale – di quale livello di disclosure adottare nella comunicazione relativamente all’attività di revisione condotta, anche nella prospettiva di evitare possibili reclami e/o richieste di chiarimenti da parte dell’impresa e del suo organo di controllo. Tale aspetto assume un particolare rilievo soprattutto nell’ipotesi di revisioni condotte su posizioni di rischio relative ad imprese affidate che, a termini di disciplina prudenziale, espongono profili di criticità dal punto di vista andamentale e, quindi, subiscono un downgrade di rating o, peggio, passano da una classificazione in bonis ad una classificazione a default secondo uno dei seguenti stati: scaduto deteriorato, inadempienze probabili e sofferenze. Ricorrendo tali ultime ipotesi, al netto del passaggio a sofferenza, nessuna comunicazione informativa viene oggi trasmessa all'impresa affidata in quanto si tratta di un ambito di disciplina, quello della classificazione a default, che ha per obiettivo principale la corretta classificazione dei crediti e, di riflesso, la loro contabilizzazione nel bilancio d’esercizio dell'intermediario. A ciò si aggiunga che ogni banca/intermediario finanziario adotta all’interno delle proprie policy di credito regole operative/valutative più o meno stringenti, potendosi pertanto verificare anche ipotesi in cui una posizione di rischio di un’impresa affidata subisca un downgrade del rating interno presso un intermediario, scadendo in segmenti di portafogli di crediti ritenuti meno sicuri (in termini di capacità di rimborso) mentre presso altri intermediari quella medesima impresa sia qualificata come una posizione di migliore standing creditizio. In simili fattispecie, non si può escludere che l’impresa possa, anche solo strumentalmente, contestare – financo per vie legali -, il merito delle valutazioni effettuate da banche e intermediari nella loro “revisione” della posizione, adducendo presunti danni derivanti da indebite segnalazioni negative presso la Centrale dei rischi e gli altri sistemi informativi creditizi privati, nonché danni di tipo reputazionale o ancora, difficoltà di accesso al credito o nel mantenimento delle relazioni creditizie con altri intermediari, in ragione di simili valutazioni. Da ultimo, contrariamente a quanto ci si poteva attendere, anche alla luce delle finalità cui sottende la previsione in commento, ovvero portare all’attenzione dell’organo di controllo societario l’emersione di segnali di early warning esterni e, quindi sollecitare una sua attivazione presso gli amministratori della società, non è stato incluso tra gli eventi presupposto della comunicazione l’ulteriore casistica del “rifiuto” di una domanda di credito. A ben riflettere, si tratta infatti di una circostanza che ben dovrebbe essere portata all’attenzione dell’organo di controllo al fine di consentire a quest’ultimo di indagare in maniera approfondita i motivi sottostanti la decisione di una banca o intermediario di non concedere credito all’impresa, tenuto conto della profondità d’indagine e del livello di dettaglio a cui oggi sono chiamati dalla disciplina prudenziale banche ed intermediari nella conduzione delle istruttorie creditizie finalizzate a selezionare i prenditori di credito[8].