di Enrico Gragnoli, Ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Parma
1. Il caso
La sentenza esprime un principio fondato e riguarda un caso molto più frequente di quanto si potrebbe immaginare. A fronte della dichiarazione di fallimento del datore di lavoro, avvenuta il 25 settembre 2013, il dipendente, vittorioso in un precedente giudizio inerente a un licenziamento illegittimo e all’applicazione dell’art. 18 St. lav., ha chiesto e ottenuto l’ammissione allo stato passivo del credito concernente le retribuzioni non godute dopo il recesso, in particolare fino al 21 gennaio 2013, quando aveva esercitato l’opzione prevista dallo stesso art. 18 St. lav. e, in luogo dell’esecuzione dell’ordine di reintegrazione, aveva preferito l’indennità sostitutiva di quindici mensilità. Si discute del diritto alle prestazioni del Fondo di garanzia per le mensilità dovute prima dell’opzione e, comunque, collocate nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento.
Per l’Inps, il credito avrebbe avuto natura risarcitoria, con riferimento a un precedente[1] a dire il vero inerente all’indennità sostitutiva del preavviso e, quindi, a una fattispecie differente, estranea all’applicazione dell’art. 18 St. lav.. Il problema risolto dalla sentenza ha notevole importanza, poiché, a fronte di un recesso intimato prima della legge n. 92 del 2012, l’art. 18, secondo comma, St. lav. qualificava il credito come “risarcimento del danno”. Quindi, a seguito dell’ammissione allo stato passivo, pacifica, il prestatore di opere può chiedere l’intervento del Fondo di garanzia, che, se mai, deve salvaguardare le retribuzioni dovute negli ultimi tre mesi del rapporto? La questione non è superata, poiché, nel testo vigente, l’art. 18, secondo comma, St. lav.[2] richiama il “risarcimento del danno”. Con diversa scelta lessicale, l’art. 18, quarto comma, St. lav. menziona la condanna al pagamento di una “indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione”. A prescindere da queste diverse formule, ci si deve chiedere se, a seguito del fallimento dell’impresa, le ultime tre mensilità siano coperte dalla tutela del Fondo di garanzia.
Come la sentenza in esame ha precisato, fermo il dubbio richiamato, sussistevano tutti gli altri presupposti richiesti, poiché “la protezione previdenziale approntata dall’ordinamento è legata non al mero inadempimento della prestazione retributiva ma (…) alla condizione di insolvenza del datore di lavoro”[3], nel caso di specie pacifica, vista la dichiarazione di fallimento. Anzi, vi era stata l’ammissione allo stato passivo e, cioè, una “iniziativa del lavoratore (…) intrapresa nell’ambito della verifica dei crediti” e, in particolare, “entro il segmento temporale annuale dall’apertura della procedura concorsuale”[4]. Come era pacifico, nell’ipotesi in esame, ricorreva quanto previsto, poiché “il Fondo di garanzia eroga la prestazione (…) allorquando le ultime tre mensilità (…) non adempiute” ineriscano ai “dodici mesi antecedenti la data della presentazione della domanda”[5] di dichiarazione di fallimento e, va da sé, oggi di liquidazione giudiziale.
In sostanza, il dubbio era uno solo, ma importante; a proposito di un licenziamento intimato prima del 2012, a prescindere dalla formula lessicale del vecchio art. 18 St. lav., la protezione accordata dal Fondo di garanzia opera per tre mensilità non di effettivo lavoro, ma per cui sia stato riconosciuto in sede giudiziale il “risarcimento” comminato dallo stesso art. 18 St. lav., come conseguenza della sentenza dichiarativa della nullità o di annullamento del licenziamento? Nonostante il tema non sia stato affrontato dalla decisione, ci si deve chiedere in aggiunta se il problema si sia modificato in conseguenza delle novità apportate dalla legge n. 92 del 2012.
2. L’art. 18 St. lav. nel testo anteriore alle modificazioni apportate dalla legge n. 92 del 2012 e l’operare della tutela del Fondo di garanzia per le ultime tre mensilità a cui il datore di lavoro sia obbligato a seguito di una sentenza di accoglimento dell’impugnazione del licenziamento.
A fronte del vecchio testo dell’art. 18 St. lav., qualora il lavoratore fosse stato licenziato prima della dichiarazione di fallimento e avesse optato per l’indennità sostitutiva, vi sarebbero potute essere, come nel caso di specie, tre mensilità ricomprese nell’anno anteriore all’accertamento dell’insolvenza, con l’inadempimento dell’impresa rispetto alla decisione giudiziale. Opera la tutela del Fondo di garanzia e, quindi, il credito del prestatore di opere ha natura retributiva o prevale il testo del vecchio art. 18 St. lav., che richiama il risarcimento del danno?
La sentenza ha risolto il dubbio con il rinvio a un precedente su una questione diversa[6]; come vi si legge, “l’indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo deve essere commisurata (…) alla retribuzione” che il prestatore di opere “avrebbe percepito se avesse (…) lavorato”, poiché “per retribuzione globale di fatto” si deve intendere quella descritta, con la considerazione di “ogni compenso avente carattere continuativo che si ricolleghi a particolari modalità di prestazione in atto al momento del licenziamento, in quanto, ove si provvedesse in senso contrario, si addosserebbero al lavoratore conseguenze negative derivanti da un comportamento illegittimo”[7]. Quindi, non si mette in discussione il rinvio del vecchio art. 18 St. lav. al risarcimento e quello dell’attuale art. 18, quarto comma, St. lav. a una “indennità risarcitoria”, ma questa è fatta coincidere con la remunerazione non percepita.
A supporto di tale soluzione, si richiama la giurisprudenza sull’indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti[8], poiché “il periodo compreso fra la data del licenziamento illegittimo e quella della reintegrazione deve essere assimilato a un lavoro effettivo ai fini della determinazione del diritto alle ferie annuali”[9]. Come a ragione si mette in luce rispetto a tali precedenti, con l’annullamento del licenziamento “per illegittimo esercizio del recesso (…) e l’ordine giudiziale di reintegrazione del lavoratore si è ripristinato lo status quo ante all’illegittima estromissione (…) e il lavoratore vanta il credito al quale avrebbe avuto diritto, e la retribuzione che avrebbe (…) percepito, ove non fosse stato (…) estromesso dall’azienda”[10].
La soluzione è corretta, sebbene si aggiri il problema teorico, meritevole al contrario di essere affrontato. Il licenziamento illegittimo non è un inadempimento contrattuale, ma un atto invalido, con il conseguente diritto del prestatore di opere non al risarcimento del danno, ma alla retribuzione, come reso evidente dalle inevitabili conseguenze contributive[11]. La declaratoria della nullità o l’annullamento del recesso incidono sul provvedimento invalido e non accertano affatto un inadempimento, ma la mancata estinzione del rapporto, con il conseguente diritto del dipendente alla prestazione rifiutata dall’impresa e la cui esecuzione è non solo possibile, ma dovuta, cioè la corresponsione della retribuzione[12]. Quindi, poiché questa è l’effettiva natura del credito, nonostante le opposte (ma irrilevanti) indicazioni normative[13], opera la tutela del Fondo di garanzia.
3. L’art. 18 St. lav. nel testo successivo alle modificazioni apportate dalla legge n. 92 del 2012 e l’operare della tutela del Fondo di garanzia per le ultime tre mensilità a cui il datore di lavoro sia obbligato a seguito di una sentenza di accoglimento dell’impugnazione del licenziamento.
La sentenza non ha solo il merito di risolvere un significativo problema applicativo[14], ma di dare un notevole contributo alla persuasiva interpretazione dell’art. 18 St. lav., nel testo anteriore e in quello successivo alle modificazioni apportate dalla legge n. 92 del 2012. Poiché a nulla rilevano le episodiche indicazioni prescrittive, incapaci di condurre a una ricostruzione sistematica, il lavoratore ha diritto alla retribuzione, non al risarcimento del danno[15], a fronte della declaratoria di nullità o dell’annullamento del recesso[16]. Se così non fosse, si giungerebbe a conclusioni assurde, come dimostra la decisione in esame. Se il dipendente avesse diritto al risarcimento del danno e non alla remunerazione non goduta, non potrebbe intervenire il Fondo di garanzia, con una evidente ingiustizia sostanziale e con una chiara distonia dai principi costituzionali. Davanti all’insolvenza dell’impresa, il suo inadempimento alla pronuncia di condanna deve comportare a maggiore ragione la tutela previdenziale, qualora sia adottato l’ordine di reintegrazione.
Sebbene non vi sia una espressa indicazione in questo senso[17], la sentenza ridimensiona o, meglio, esclude il valore ricostruttivo delle definizioni prescrittive[18], della cui perspicuità è doveroso dubitare. Quindi, il riconoscimento della garanzia previdenziale a fronte del mancato pagamento di quanto dovuto per gli ultimi tre mesi anteriori all’opzione suona come una conferma indiretta, ma non meno importante del necessario riconoscimento del carattere retributivo del credito del dipendente; l’invalidità del licenziamento comporta il diritto a una remunerazione che, se non corrisposta e in presenza dei relativi presupposti, invoca l’intervento del Fondo di garanzia, poiché, a tale fine, bastano, per un verso, l’inadempimento e, per altro verso, l’insolvenza. Davanti alla seconda, poco importa il fatto che il primo abbia avuto luogo a seguito di una decisione giudiziale che abbia riconosciuto l’invalidità del recesso[19], qualora vi sia stato l’ordine di reintegrazione.
Né il quadro muta a seconda delle diverse formule dall’art. 18 St. lav., nelle successive stesure, e del decreto legislativo n. 23 del 2015. Anzi, i testi differenti devono essere interpretati con la valorizzazione della necessaria razionalità dell’ordinamento. Una importante tutela previdenziale non può essere messa in discussione da espressioni prescrittive equivoche, volte a individuare un risarcimento dove non è ravvisabile, né lo può essere. In questo senso, la pronuncia dà un contributo alla soluzione di un quesito assai risalente nel tempo[20], ma con perduranti e significative conseguenze, in particolare in caso di fallimento. Né le conclusioni mutano con riguardo alla liquidazione giudiziale.
[1] V. Cass. 12 giugno 2017, n. 14559, in Giur. it. rep., 2017.
[2] A proposito del licenziamento nullo, fattispecie regolata dall’art. 18, primo comma, St. lav..
[3] Così si è espressa la sentenza in esame.
[4] Così si è espressa la sentenza in esame.
[5] Così si è espressa la sentenza in esame.
[6] V. Cass. 11 novembre 2022, n. 33344, ord., in Giur. it. rep., 2022.
[7] V. Cass. 11 novembre 2022, n. 33344, ord., cit..
[8] V. Cass. 8 marzo 2021, n. 6319, in Variaz. temi dir. lav., sito, 2021.
[9] V. Corte di giustizia, sezione prima, 25 giugno 2020, C. – n. 37 del 2019 e C. – n. 762 del 2018, Signora QM c. Varhoven kasationen sa dna Republika Bulgaria e altri e Signora CV c. Spa Iccrea Banca, in Variaz. temi dir. lav., sito, 2020.
[10] Così si è espressa la sentenza in esame.
[11] V.: Proto Pisani, Giudizio di legittimità dell’impugnativa dei licenziamenti, in Aa. Vv., La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, in Foro it., 1990, V, 374 ss.; Ferraro, Reintegrazione, in Aa. Vv., I licenziamenti individuali. Commento alla legge 11 maggio 1990, n. 108, a cura di Ferraro, Napoli, 1990, 54 ss..
[12] In senso diverso, ma non convincente, v. Cester, Le tutele, in Aa. Vv., L’estinzione del rapporto di lavoro subordinato, a cura di Gragnoli, in Tratt. dir. lav., diretto da F. Carinci – Persiani, Padova, 2017, 839 ss..
[13] In senso diverso, ma non convincente, v. D’Antona, La reintegrazione nel posto di lavoro, Padova, 1979, 135 ss..
[14] Sulla sua portata, v. Ballestrero, La stabilità nel diritto vivente. Saggi sui licenziamenti e dintorni, Torino, 2009, 133 ss..
[15] In senso diverso, ma non convincente, v. Vidiri, Il risarcimento del danno nel risarcimento illegittimo, in Mass. giur. lav., 2002, 210 ss..
[16] La vecchia questione della detraibilità del cosiddetto aliunde percipiendum è superata dal nuovo testo dell’art. 18 St. lav. e non merita affrontare il problema.
[17] La pronuncia in esame non dice mai che il credito del lavoratore ha natura retributiva e non risarcitoria.
[18] V.: Liso, Osservazioni sulla mora del creditore nel rapporto di lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, 1091 ss..
[19] V.: Mazzotta, Il risarcimento dei danni per licenziamento illegittimo fra “sanzione” e “adempimento”, in Foro it., 1978, I, 2175 ss..
[20] In senso diverso, ma non convincente, v. R. Foglia, Il licenziamento alla luce dello Statuto dei lavoratori, in Dir. lav., 1971, I, 42 ss..