Con sentenza n. 4696 del 14/2/2022, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto:
«Nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dai d.lgs. n. 5 del 2006 e n. 169 del 2007, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato, che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari, può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del pubblico ministero o sua propria, anche prima ed indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art. 186 l.fall.».
Con l’ordinanza interlocutoria n. 8919 del 2021, depositata il 31 marzo 2021, la Prima Sezione Civile della Corte aveva rimesso gli atti al Primo presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite “della questione dell'ammissibilità dell'istanza di fallimento ex articoli 6 e 7 legge fallimentare nei confronti di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, a prescindere dell'intervenuta risoluzione del concordato”.
A fronte di un autorevole orientamento dottrinale teso a valorizzare la specialità della disciplina concordataria e a scorgere nella risoluzione preventiva della procedura minore un presupposto di fallibilità dell’impresa, la nomofilachia si era già sedimentata nel senso della dichiarabilità del fallimento omisso medio, ossia senza la previa risoluzione del concordato. In tal senso, si era pronunciata, in particolare, Cass. n. 17703 del 2017, ma il medesimo orizzonte di vedute si ritrova, tra le altre, in Cass. 12085 del 2020 e in Cass. n. 26002 del 2018.
Il quadro interpretativo privilegiato dai giudici di piazza Cavour era, dunque, già nitido. Anteriormente alla novella operata dal d.lgs. 169 del 2007, l’art.186 l.fall. fissava una connessione indefettibile tra il venir meno degli effetti del concordato preventivo ed il susseguente fallimento, che veniva dichiarato d’ufficio dal Tribunale proprio “con la sentenza che risolve o annulla il concordato”. Con la riforma, tuttavia, all’abolizione della fallibilità d’ufficio ha fatto seguito la scissione fra risoluzione tra concordato preventivo e fallimento, che costituiscono istituti del tutto distinti e operativamente slegati, anche perché oramai incentrati su nozioni – quelle di crisi e di insolvenza – concettualmente non sovrapponibili.
Le Sezioni Unite si pongono su questo crinale e ne rafforzano la trama argomentativa.
L’insolvenza è suscettibile di persistere ex art.5 l.fall., pur dopo l’omologa del concordato, anche con riguardo alla parte falcidiata e inadempiuta dei crediti. La risoluzione, dal canto suo, non opera quale condizione di fallibilità, ma esclusivamente come rimedio negoziale orientato al diverso fine della rimozione dell’obbligatorietà del concordato e, dunque, allo scopo di restituire al creditore anteriore la libertà di agire senza limiti concordatari, dunque per l’intero.
Nell’ottica del massimo consesso nomofilattico, la sentenza della Corte Costituzionale n. 106 del 2004, ancorché intervenuta prima della modifica dell’art. 186 l. fall. ad opera del d. lgs. 169/2007, detta il principio tutt’oggi valido secondo il quale il superamento dell’obbligatorietà del concordato e dei vincoli che da esso derivano ex artt. 184 l. fall. e 1372 c.c. integra un aspetto del tutto diverso da quello della configurabilità di un’insolvenza con riguardo al fabbisogno concordatario, indipendentemente dalla risoluzione.
L’avvenuta omologazione del concordato esclude, del resto, l’applicazione delle regole di coordinamento tra procedure concorsuali, facendo venire in apice, piuttosto, i principi generali di responsabilità, ivi compreso l’obbligo di valutare se dall’inesecuzione dell’accordo già omologato debbano trarsi profili di insolvenza giustificativi dell’eventuale dichiarazione di fallimento.
In questa cornice, l’art. 119, comma 7, codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a tenore del quale il “Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo”, non è norma destinata a costituire un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare, in quanto è inidonea a delineare un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro.