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Saggio

Classi “interessate” e classi “maltrattate” nella ristrutturazione trasversale*

Giacomo D’Attorre, Ordinario di diritto commerciale nell'Università del Molise

24 Maggio 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Lo scritto si propone di identificare e definire correttamente la nozione di classe di creditori “interessati”, il cui voto favorevole è richiesto per la cd. “approvazione” con minoranza delle classi.
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1 . Premessa
La ristrutturazione trasversale costituisce un cambio di paradigma nel nostro ordinamento del diritto della crisi, tale da travolgere non solo le norme di dettaglio, ma anche i principi e le stesse categorie che sorreggevano il precedente sistema. Per effetto di ciò, i problemi interpretativi che le nuove norme pongono sono accresciuti dalla mancanza di collaudate categorie cui fare riferimento. Emblematica di questa difficoltà è l’incertezza che accompagna l’interpretazione delle disposizioni sulla cd. “approvazione” del concordato in continuità aziendale.
Ai sensi dell’art. 109, comma 5, CCII, il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore. In questa tipologia di concordato (dove la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria: art. 85, comma 3) è, quindi, richiesta l’unanimità delle classi favorevoli. Tuttavia, anche se manca l’unanimità delle classi, il tribunale, su richiesta del debitore o con il suo consenso in caso di proposte concorrenti, può comunque omologare se, tra le altre condizioni, “la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione” (art. 112, comma 2, lett. d, CCII).
La norma sulla ristrutturazione trasversale nel caso di mancanza di unanimità delle classi pone due principali ordini di problemi. 
Il primo attiene all’interrogativo se, per addivenire all’omologazione, sia sempre necessario che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, oppure se sia sufficiente il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi.
Il secondo attiene alla corretta identificazione della classe di creditori “che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”. Questo secondo profilo assume ancora maggiore centralità nel caso in cui si aderisca alla tesi per cui è sufficiente il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi di creditori. In tal caso, infatti, questa classe sarebbe titolare di una sorta di “golden share”, perché il suo voto favorevole sarebbe da solo sufficiente per passare alla fase dell’omologazione. 
2 . Maggioranza o minoranza di classi? La soluzione proposta
In relazione al primo problema (maggioranza o minoranza di classi) esistono due orientamenti. 
Secondo un orientamento, per addivenire all’omologazione sarebbe sempre necessario che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure da creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause di legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione[1].
Secondo un diverso orientamento, per giungere all’omologazione sarebbe sufficiente anche il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi, purché si tratti di classe formata da creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause di legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione[2].
Ho già esposto in altro scritto gli argomenti che univocamente e concordemente depongono nel senso di ritenere sufficiente il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi[3].
La locuzione “in mancanza”, che nell’art. 112, comma 2, lett. d, CCII precede il riferimento all’approvazione da almeno una classe di creditori, va riferita non già alla presenza di una classe favorevole formata da creditori titolari di diritti di prelazione, bensì alla “maggioranza delle classi”. In questo modo, poiché l’approvazione da parte di almeno una classe di creditori è alternativa rispetto all’approvazione da parte della “maggioranza delle classi” (in mancanza, appunto), ne consegue che sarà sufficiente anche una minoranza di classi, e finanche una sola classe, per passare alla fase dell’omologazione. 
Questa opzione ermeneutica, già dotata di maggiore persuasività sulla base della sola lettura della norma, si impone con ancora maggiore evidenza se si tiene conto che l’art. 112, comma 2, lett. d), CCII costituisce attuazione della Direttiva UE 1023/2019, e precisamente dell’art. 11, comma 1, lett. b), Direttiva UE 1023/2019. Quest’ultima norma dispone che, ai fini della ristrutturazione trasversale sia necessario che il piano sia stato approvato “i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, ..; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate ..”. Qui, l’uso del punto e virgola prima della locuzione “in mancanza” rende certo ed inconfutabile che la previsione di cui al romanino (ii) (ossia, approvazione di almeno una classe) sia alternativa rispetto alla previsione di cui all’intero romanino (i) (ossia, approvazione da parte della maggioranza delle classi), come peraltro esplicitato anche dal considerando n. 54. Anche senza voler richiamare il canone ermeneutico dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto UE, che già di per sé sarebbe dirimente, la chiara similitudine tra la struttura ed il testo dell’art. 112, comma 2, lett. d), CCII (“la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi …, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe …”) e quella dell’art. 11, comma 1, lett. b), Direttiva UE 1023/2019 (“è stato approvato i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, ..; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate ..”) impone un analogo approdo interpretativo, che non può che essere quello della possibilità di approvare la proposta anche con il voto favorevole di una sola classe, o comunque di una minoranza di classi. 
D’altra parte, quando i legislatori nazionali hanno utilizzato la facoltà concessa dalla medesima Direttiva UE 1023/2019 di prevedere una regola più rigida attraverso l’introduzione dell’obbligo dell’approvazione da parte della maggioranza delle classi[4], lo hanno fatto in modo chiaro, come dimostra l’esempio dello StaRUG in Germania, dove, senza incertezze o subordinate, si pone la necessità del voto favorevole della maggioranza (“Mehrheit”) delle classi (art. 26 Abs. 1 Nr. 3. StaRUG). Se davvero il legislatore italiano avesse voluto discostarsi dalla regola base prevista dalla Direttiva UE 1023/2019, lo avrebbe dovuto fare in modo inequivocabile, così che anche laddove si ritengano plausibili opposte interpretazioni del dato letterale, la prevalenza deve andare verso l’opzione conforme alla soluzione base prevista dal diritto UE[5].
A definitiva conferma della conclusione raggiunta si pone un ulteriore e non superabile argomento. La Direttiva UE 1023/2019 consente agli Stati membri di “poter aumentare il numero delle classi necessarie per l'approvazione del piano”, ma pone un limite a questo incremento. Infatti, nel Considerando n. 54 si precisa che “gli Stati membri non dovrebbero esigere il consenso di tutte le classi. Conseguentemente, qualora vi siano solo due classi di creditori, il consenso di almeno una classe dovrebbe essere ritenuto sufficiente, se sono soddisfatte le altre condizioni per l'applicazione del meccanismo di ristrutturazione trasversale dei debiti”. Proprio in applicazione di questo limite, lo StaRUG tedesco, pur ribadendo la regola della maggioranza delle classi, stabilisce espressamente che, laddove vi siano solo due classi, è sufficiente l’approvazione di una sola classe, a condizione che non sia formata da soci o da creditori postergati (§ 26 Abs. 1 Nr. 3 StaRUG). Ora, laddove si aderisca per ipotesi alla tesi secondo cui la formulazione letterale dell’art. 112, comma 2, lett. d), CCII impone sempre l’approvazione della maggioranza delle classi, si dovrebbe coerentemente affermare la vigenza di questa regola anche nell’ipotesi in cui vi siano due sole classi di votanti, con la conseguenza per cui sarebbe in tale ipotesi richiesta l’unanimità delle classi votanti; il che non è in alcun modo consentito dalla Direttiva UE 1023/2019, che non permette agli Stati membri di esigere il consenso di tutte le classi.
Tutti i canoni ermeneutici convergono, quindi, nel confermare l’interpretazione secondo cui nel concordato in continuità aziendale per giungere all’omologazione non è necessario il voto favorevole della maggioranza delle classi, ma è sufficiente il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi, purché si tratti di classe formata da creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause di legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
La soluzione esposta deve, però superare la possibile obiezione che si potrebbe appuntare sulla difficoltà di trovare un fondamento a questo inedito “principio di minoranza”. Se è già difficile giustificare il principio di maggioranza, ancora più arduo è rinvenire la giustificazione della lesione che il principio di minoranza infligge al principio dell’autonomia privata in negativo dei creditori dissenzienti, che subiscono una modifica della percentuale o delle modalità di soddisfazione del proprio credito anche contro e indipendentemente la propria volontà. 
Accantonata la suggestiva, ma fallace equiparazione di ogni voto contrario in un voto abusivo per violazione di un presunto obbligo di voto positivo, con conseguente trasformazione dei voti contrari “abusivi” in voti favorevoli, la giustificazione del principio di minoranza può rinvenirsi nella diversa e rinnovata funzione che la votazione dei creditori assume nel concordato in continuità aziendale. 
Proprio la possibilità che sia omologato un concordato che abbia ricevuto l’approvazione solo di una classe, o comunque di una minoranza di classi, dimostra che il voto dei creditori non è più volto all’approvazione del concordato, ma svolge la diversa funzione, da un lato, di verifica dell’eventuale presenza di un veto insuperabile dei creditori rispetto alla soluzione concordataria, dall’altro lato, di disposizione del diritto individuale (del singolo creditore) o del diritto collettivo (della classe) rispetto alla distribuzione del valore del patrimonio del debitore[6]. 
Sotto il primo profilo, solo se la proposta abbia ricevuto il voto contrario unanime di tutte le classi è impedito al debitore di chiedere l’omologazione. Unicamente se i creditori esprimono il veto all’unanimità (delle classi), la proposta non può essere sottoposta al vaglio di omologazione del tribunale. A ben vedere, quindi, è richiesta una maggioranza, anzi l’unanimità, per “bloccare” il passaggio all’omologazione, non per consentire il passaggio all’omologazione. Il principio di maggioranza delle classi può in questo modo essere recuperato, se si guarda alla votazione in termini di possibile espressione del veto dei creditori, piuttosto che di approvazione della proposta. Il diritto di voto dei creditori è diventato - a ben vedere - un diritto di veto, che però richiede maggioranze qualificate per il suo esercizio.
Sotto il secondo profilo, il voto consente di qualificare il singolo creditore e la singola classe come consenziente o dissenziente, legittimando il creditore dissenziente all’opposizione all’omologazione per contestare il difetto di convenienza e la classe dissenziente al rispetto delle regole di distribuzione orizzontale e verticale del patrimonio, rappresentate dal principio di non discriminazione e dalle regole di priorità.
In questa nuova prospettiva, il voto dei singoli creditori ed il voto delle classi non sono più funzionali all’approvazione o meno della proposta, ma svolgono la diversa funzione di consentire l’esercizio o meno del diritto di veto dei creditori rispetto all’omologazione e, allo stesso tempo, di consentire ai creditori ed alle classi, attraverso il loro dissenso, di beneficiare delle maggiori tutele individuali e collettive riservate ai dissenzienti.
3 . La golden share è attribuita alla classe “interessata” o alla classa “maltrattata”? La soluzione proposta
Superato il primo problema (è sufficiente il voto favorevole della minoranza delle classi o anche di una sola classe), si può passare al secondo ed identificare questa classe titolare di quella che abbiamo definito la golden share, il cui voto favorevole è sufficiente per passare alla fase dell’omologazione. 
Anche in relazione a questo profilo è corretto partire dalla regola del cross-class cram down previsto dalla Direttiva Ue 1023/2019, di cui la norma di cui all’art. 112, comma 2, lett. d), CCII costituisce l’attuazione domestica.
Il già richiamato art. 11, comma 1, Dir. UE 1023/2019 dispone che per il cross-class cram down il piano debba essere approvato da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”. 
Ai fini che qui interessano, l’art. 11, comma 1, Dir. UE 1023/2019 attribuisce, quindi, la cd. golden share alle “classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio”. Nel Considerando n. 54, si precisa che “qualora una maggioranza delle classi non sostenga il piano di ristrutturazione, dovrebbe essere possibile che il piano possa comunque essere omologato da almeno una classe di creditori interessati o che subiscono un pregiudizio che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, riceveranno pagamenti o manterranno interessi o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che ricevano pagamenti o mantengano interessi se fosse applicato l'ordine delle cause legittime di prelazione previsto dal diritto nazionale in caso di liquidazione. … Per pregiudizio del creditore si intende la riduzione del valore dei suoi crediti”.
Il testo della Direttiva è chiaro: la cd. “golden share” può essere attribuita o alle classi di voto di “parti interessate”[7] o – se previsto dal diritto nazionale - alle classi di voto di “parti che subiscono un pregiudizio”. 
La scelta tra le due opzioni è rimessa ai legislatori nazionali. Nel nostro ordinamento, il più volte richiamato art. 112, comma 2, lett. d), CCII prevede che sia sufficiente il voto favorevole di almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.
Il legislatore italiano ha, quindi esercitato la scelta concessa dalla Direttiva attribuendo il potere decisivo alla classe “interessata”[8], ossia alla classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione. Non vi è, invece, alcun riferimento alla classe di creditori “che subiscono un pregiudizio”, ossia alla classe di creditori che subiscono con la proposta un trattamento deteriore rispetto a quello che subirebbero laddove fosse applicata la regola della priorità assoluta su tutto il valore, sia quello di liquidazione, sia quello eccedente.
L’obbligo di interpretazione conforme al diritto UE non può, in questo caso, spingersi fino al punto di modificare la scelta legittimamente compiuta dal legislatore nazionale in sede di attuazione nell’ambito di una delle due opzioni concesse e, pertanto, non può sorreggere un’interpretazione che voglia riconoscere la cd. golden share alla classe “di parti che subiscono pregiudizio” invece che alla classe di “parti interessate”.
La distinzione tra classe “di parti interessate” e classe “di parti che subiscono pregiudizio” (a volte definite come classi degli “svantaggiati” o dei “maltrattati”) non è meramente nominalistica. I creditori “interessati”, nel senso di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando l’ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione, possono coincidere con i creditori “svantaggiati”, quando la proposta di concordato preventivo prevede in concreto per essi un soddisfacimento inferiore rispetto a quello che avrebbero potuto ottenere rispettando la regola della priorità assoluta su tutto il valore. Ma può accadere che i creditori “interessati” non siano anche “svantaggiati”, quando la proposta, per effetto di un “sacrificio” imposto alle classi superiori, offra loro comunque un soddisfacimento pari o superiore rispetto a quello che avrebbero potuto ottenere rispettando la regola della priorità assoluta su tutto il valore[9]; in questa seconda ipotesi, ritenere necessario il voto favorevole della classe di creditori “svantaggiati” significa privare illegittimamente della golden share la classe di creditori “interessati”, ma non “svantaggiati”.
Per la chiarezza delle idee sulla ristrutturazione trasversale[10] vanno, quindi, distinte e non sovrapposte le nozioni di classe di creditori “interessati” e di classe di creditori “che “subiscono un pregiudizio”. Ai fini della ristrutturazione trasversale il sufficiente il voto favorevole anche solo di una classe di creditori “interessati”.
4 . Alla ricerca della classe “interessata”
L’ultimo passaggio è quello di individuare concretamente questa classe di creditori “interessati”, intesi come creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
Al riguardo va compiuta una precisazione preliminare. Il termine di riferimento per valutare se i creditori della classe siano interessati o meno non è quello dell’alternativa della liquidazione giudiziale, ma quello del concordato preventivo in continuità aziendale con applicazione della regola della priorità assoluta su tutto il valore. 
Tre sono gli argomenti a sostegno di questa conclusione. 
In primo luogo, la norma di cui all’art. 112, comma 2, lett. d), CCII non menziona la liquidazione giudiziale o l’alternativa liquidatoria e questo silenzio non può essere considerato neutro dal punto di vista ermeneutico se si tiene conto che in molte altre occasioni il CCII ha espressamente indicato la liquidazione giudiziale o l’alternativa liquidatoria come termine di comparazione ai fini del trattamento del creditore (es: artt. 87, comma 3; 88, comma 2 bis; 112, comma 3, CCII).
In secondo luogo, il riferimento espresso al “valore eccedente quello di liquidazione” impone, necessariamente, di prendere in considerazione quel plusvalore della continuità che il concordato preventivo consente di acquisire a differenza della liquidazione giudiziale. 
In terzo luogo, l’art. 11, comma 1, Dir. UE 1023/2019 prevede che il voto favorevole debba essere espresso da una classe “diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”. L’alternativa è tra la comparazione basata sul debitore “in regime di continuità aziendale” e “il normale grado di priorità di liquidazione”, con facoltà rimessa ai legislatori nazionali. Facoltà che il legislatore italiano ha esercitato optando per la prima ipotesi.
Anche qui la distinzione tra l’ancorare il termine di comparazione all’alternativa della liquidazione giudiziale (tesi qui confutata) o all’alternativa della distribuzione dell’intero valore concordatario secondo la regola della priorità assoluta (tesi qui sostenuta) assume un concreto rilievo applicativo perché l’adesione all’una o all’altra tesi conduce a qualificare una classe di creditori come interessati o come non interessati. Può accadere che, considerando il solo valore di liquidazione, una classe di creditori non riceverebbe alcun pagamento anche applicando la regola della priorità assoluta, mentre, considerando il surplus derivante dalla continuità, vi sarebbe spazio per un pagamento parziale applicando la regola della priorità assoluta sia sul valore di liquidazione, sia sul valore eccedente quello di liquidazione. Nel primo caso la classe non potrebbe essere qualificata come “interessata” (e, quindi, il suo voto favorevole non sarebbe sufficiente), mentre nel secondo caso la classe sarebbe “interessata” (ed il suo voto favorevole sarebbe sufficiente).
L’individuazione della classe di creditori “interessati” richiede, pertanto, una simulazione di distribuzione del valore del piano concordatario alternativa rispetto a quello effettivamente offerta nella proposta, ma basata sull’applicazione della regola della priorità assoluta sia sul valore di liquidazione, sia sul valore eccedente quello di liquidazione[11]. Utilizzando come base il valore per come identificato nel piano (comprensivo, si ripete, anche del plusvalore di concordato), si applica su tutto il valore la regola della priorità assoluta e si verifica quali classi di creditori sarebbero soddisfatte anche solo parzialmente. Queste sono le classi di creditori “interessate” il cui voto favorevole è sufficiente ai fini della ristrutturazione trasversale.

Note:

[1] 
M. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, 8° ed., Torino, 2023, 657-658; Id., La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, in Banca, borsa tit. cred., 2023, 184 (nota 23) (qui l’Autore si esprime in forma dubitative); G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 1° novembre 2022, 11; M. Binelli, L’omologazione del concordato in continuità non approvato, in Dirittodellacrisi.it, 27 dicembre 2022, 15.
[2] 
G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, in Fallimento, 2023, 306 ss.; Id., Manuale di Diritto della crisi e dell’insolvenza, 2° ed., Torino, 2022, 148-149; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fallimento, 2022, 1489; S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 16 febbraio 2023, 24; G. Bozza, Le maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria, cit., 32; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Società, 2022, 957. In questo senso anche il primo precedente edito: Trib. Bergamo, 11 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[3] 
G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, cit., 306 ss.
[4] 
Vedi il considerando n. 54 della Dir. UE 1023/2019, che dopo aver ribadito che “qualora una maggioranza delle classi non sostenga il piano di ristrutturazione, dovrebbe essere possibile che il piano possa comunque essere omologato da almeno una classe di creditori interessati o che subiscono un pregiudizio …”, prevede che “gli Stati membri dovrebbero poter aumentare il numero delle classi necessarie per l'approvazione del piano, senza necessariamente imporre che tutte queste classi, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, debbano ricevere un pagamento o mantenere un interesse a norma del diritto nazionale. Tuttavia, gli Stati membri non dovrebbero esigere il consenso di tutte le classi”. 
[5] 
Soluzione “base” della minoranza delle classi che è stata attuata, ad esempio, in Spagna (art. 639 Ley Concursal) e nei Paesi Bassi (art. 384, comma 1, WHOA). Si rinvia a G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, cit., 304 ss. per un più accurato quadro comparatistico del cross-class cram-down.
[6] 
G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, cit., 308.
[7] 
La definizione di parti interessate è fornita dall’art. 2, par. 1, n. 2 della Direttiva UE 1023/2019: “«parti interessate»: i creditori, compresi, se applicabile ai sensi del diritto nazionale, i lavoratori, o le classi di creditori, e, se applicabile ai sensi del diritto nazionale, i detentori di strumenti di capitale, sui cui rispettivi crediti o interessi incide direttamente il piano di ristrutturazione”.
[8] 
In senso contrario vedi, invece, M. Fabiani, Il diritto diseguale, cit., 1489, il quale parla di “classe degli svantaggiati”, formata dai creditori che “riceverebbero nella liquidazione giudiziale un trattamento migliore perché in base alla loro posizione nell’ordine della graduazione sarebbero soddisfatti in misura superiore con applicazione della absolute priority rule in luogo della relative priority rule applicata al concordato preventivo” e S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 25: “Il concordato, in altri termini, passa il filtro dell’omologa se è favorevolmente accolto da una classe di creditori in esso “maltrattati”, in quanto titolari di una aspettativa virtuale di miglior soddisfazione alla stregua del proprio rango creditorio”.
Anche Trib. Bergamo 11 aprile 2023, cit. è orientato in senso contrario: “In buona sostanza la Direttiva consente all’autorità giudiziaria di omologare la proposta concordataria solo se essa sia stata approvata da almeno una classe di creditori (privilegiati), che nel concordato venga trattata in maniera deteriore (“che subisce un pregiudizio”) rispetto all’ipotesi della liquidazione giudiziale”.
[9] 
Un esempio è offerto nella chiara ed utile tabella presentata da S. Natoli, G. Palazzotto, La ristrutturazione trasversale: un caso pratico, in Dirittodellacrisi.it, 16 maggio 2023, i quali, tuttavia, propendono per la tesi, opposta rispetto a quella qui sostenuta, della necessità del voto favorevole delle classi “maltrattate”, intese come le classi “che nel caso di omologa del concordato percepirebbero meno di quanto otterrebbero nell’ipotesi della distribuzione del valore nel rigoroso rispetto della graduazione (anche sul surplus di liquidazione)”.
[10] 
Riprendendo una fortunata formula di M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 172 ss.
[11] 
Cfr. M. Binelli, L’omologazione del concordato in continuità non approvato, cit., 15; S. Natoli, G. Palazzotto, La ristrutturazione trasversale: un caso pratico, cit.