Come abbiamo visto, l’art. 23, comma 2 bis, CCII prevede che l'imprenditore possa formulare una proposta transattiva nei confronti – oltreché degli enti erariali (Agenzia delle Entrate ed Agenzia delle dogane e dei monopoli) – anche di Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Si ritiene che il suddetto richiamo all’agente della riscossione non possa riguardare i crediti di titolarità di quest’ultimo ente: gli stessi, infatti, non hanno natura di “tributi”.
Si tratta dei compensi previsti dall’art. 1, commi 15-19, L. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento ai ruoli affidati all’agente ai fini esattivi, a partire dal 1° gennaio 2022 (in precedenza, vigeva il sistema dell’aggio di riscossione, sotto l’egida dell’art. 17, D.Lgs. n. 112/1999).
Detti compensi rappresentato, per l’agente, crediti di natura retributiva – e, dunque, non tributaria -, costituendo la remunerazione o, meglio, la copertura, degli oneri di funzionamento del servizio nazionale di riscossione.
Il richiamo che l’art. 23, comma 2 bis, CCII fa all’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha dunque una funzione di informazione e coordinamento, nella prospettiva del rapporto fra gli enti titolari del diritto ai tributi oggetto della proposta e l’ente incaricato alla loro riscossione, con riferimento ai tributi oggetto di transazione che siano già stati iscritti a ruolo dall’ufficio erariale ed affidati all’agente ai fini esattivi.
L’accordo transattivo, come visto, può prevedere il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti erariali.
Si tratta di tutti i tributi “statali”, amministrati – con formula mutuata dagli art. 63-88 CCII (in ambito di transazione fiscale negli ADR e nel concordato preventivo) – dalle agenzie fiscali, ovvero dall’Agenzia delle entrate e dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
L’art. 23, comma 2 bis, CCII prevede che non possano essere oggetto di accordo transattivo i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea.
La formulazione in oggetto, inserita dal legislatore del Correttivo-ter in ambito di CNC – e non presente all’interno dei citati artt. 63-88 CCII –, rappresenta un retaggio delle prime versioni dell’art 182-ter L. Fall, allorquando vivo era il dibattito se, all’interno delle risorse dell’UE, rientrasse o meno il tributo IVA e, dunque, se lo stesso potesse essere oggetto di “falcidia”.
Il citato art. 182 ter L. fall., nella versione originaria, disponeva che il debitore, con il piano di concordato, potesse proporre, a determinate condizioni (non “deteriorità” del trattamento), il pagamento, anche parziale, dei tributi erariali, ad eccezione di quelli costituenti risorse proprie dell'UE.
L’originario art. 182 ter L. fall. non faceva alcun espresso riferimento al tributo IVA.
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, ebbe a rilevare come il tributo IVA fosse da annoverare fra le risorse proprie dell’UE, escludendone, così, la possibilità di pagamento parziale.
La querelle sulla falcidiabilità del tributo IVA, anche alla luce della direttiva 2006/112/CEE, dopo anni di acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinario, giunse, in sintesi, ad un punto di svolta con la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 7 aprile 2016 (C-546/14).
Con tale provvedimento, la Corte unionale, da un lato, confermò che l’art. 4, par. 3, del Trattato UE, nonché gli artt. 2, 250, par. 1, e 273, della citata direttiva 2006/112/CEE impongono agli Stati membri di adottare misure idonee a garantire l’integrale prelievo del tributo IVA (il quale, per una frazione prelevata sulla base imponibile armonizzata, concorre alla formazione del bilancio comunitario).
Dall’altro, tuttavia, riconobbe la legittimità delle norme interne che avessero consentito all’imprenditore insolvente di soddisfare non integralmente il credito IVA nell’ambito di una procedura concordataria – ciò non determinando, a priori, una rinunzia generale ed indiscriminata alla riscossione del tributo.
Quanto sopra, a condizione che:
- il patrimonio del debitore non fosse idoneo ad assicurare il soddisfacimento integrale del credito IVA
- un esperto indipendente attestasse che la posizione creditoria erariale non avrebbe ricevuto un trattamento migliore in sede di successivo fallimento
- all’Erario fosse assicurato l’esercizio del diritto di voto ai fini dell’approvazione della proposta di concordato e, ai relativi esiti, ogni azione di rimedio in termini di gravame.
In questo contesto, intervenne il legislatore interno.
L’art. 1, comma 81, L. n. 232/2016. recependo i sopra ricordati principi comunitari, andò a modificare l’art. 182–ter L. fall., con decorrenza dal 1° gennaio 2017, facendo, così, definitivamente, venir meno il divieto di falcidia del credito IVA.
È pacifico, pertanto, che oggetto di transazione fiscale in ambito di composizione negoziata della crisi possa essere anche il tributo IVA.
Restano, invece, esclusi dalla transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi – come peraltro, allo stato, accade anche con riferimento agli ADR ex art. 63 CCII, il PRO ex art. 64 bisCCII ed al concordato preventivo ex art. 88 CCII - i tributi di titolarità degli enti locali.
Sul punto si segnala che in ambito di revisione del sistema tributario, il principio direttivo previsto dall’art. 9, comma 1, lett. a), L. n. 111/2023 prevede la possibilità di introdurre all’interno della disciplina della composizione negoziata (ma non nelle procedure concorsuali), il trattamento, tramite falcidia e/o dilazione di pagamento, dei tributi di titolarità dei Comuni, Province e Regioni.
Oltre ai tributi locali sono esclusi dalla transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi – in modo invero “dissonante” rispetto alla disciplina della transazione erariale-contributiva in ambito di procedure concorsuali - i crediti di titolarità degli enti previdenziali e assicurativi.
Detti crediti contributivi possono, infatti, essere oggetto di trattamento/transazione sia con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, ex art. 63 CCII, sia con riferimento al PRO ex art. 64 bis CCII, sia, infine, con riferimento al concordato preventivo, ex art. 88 CCII.
E tale difformità appare, invero, poco omogenea.
Come ricordato, ai sensi dell’art. 23, comma 2 bis, CCII, l’imprenditore deve allegare alla proposta di accordo transattivo, in primo luogo, una relazione redatta da un professionista indipendente, il quale “attesti” la convenienza della proposta rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, per il creditore pubblico.
Il requisito di “indipendenza” è disciplinato dall’art. 2, lett. o), CCII.
Tale norma prevede che detto requisito sia integrato laddove il professionista abbia, congiuntamente, le seguenti caratteristiche:
- sia iscritto all'elenco dei gestori della crisi e dell’insolvenza delle imprese
- sia iscritto nel registro dei revisori legali
- sia in possesso dei requisiti ex art. 2399 c.c. (assenza di cause di ineleggibilità e/o di decadenza)
- non sia legato all'impresa o alle altre parti interessate al risanamento da rapporti personali o professionali tali da poter comprometterne l'indipendenza di giudizio
- non abbia prestato a favore del debitore, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro subordinato o autonomo, e ciò anche con riferimento ai soggetti con i quali il professionista sia unito in associazione professionale
- non sia stato membro degli organi di amministrazione o controllo dell’impresa debitrice, né abbia posseduto partecipazioni nella stessa, negli ultimi cinque anni, e ciò anche con riferimento ai soggetti con i quali il professionista sia unito in associazione professionale.
L’art. 23, comma 2 bis, CCII, prevede che il professionista indipendente “attesti” la convenienza della proposta transattiva rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, per il creditore pubblico cui la proposta sia rivolta.
La chiara lettera della norma induce a ritenere che il giudizio del professionista indipendente debba essere circoscritto alla valutazione di convenienza della proposta transattiva nella specifica – e sola – prospettiva erariale.
Ciò passerà attraverso una comparazione prognostica fra il grado di soddisfacimento del credito tributario così come previsto nella proposta transattiva ed il grado di soddisfacimento dello stesso sulla base di una prevedibile ripartizione dell’attivo disponibile in caso di alternativa apertura della procedura di liquidazione giudiziale, in conformità al criterio di absolute priority rule, dunque nel rispetto della gradazione dei crediti tenuto conto delle legittime cause di prelazione.
Abbiamo visto che l’art. 23, comma 2 bis, CCII parla di “attestazione”.
Si ritiene, sul punto, che non sia applicabile, con riferimento al professionista indipendente, la responsabilità penale prevista, in ambito di Codice della crisi, per la figura dell’”attestatore”.
Ci si riferisce, in particolare, all’art. 342, comma 1, CCII.
Tale norma, rubricata “Falso in attestazioni e relazioni”, dispone che il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui alle seguenti disposizioni:
- art. 56 comma 4
- art. 57, comma 4
- art. 58, commi 1-2
- art. 62, comma 2, lett. d)
- art. 87, comma 3
- art. 88, commi 1-2
- art. 90, comma 5
- art. 100, commi 1-2,
esponga informazioni false ovvero ometta di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 50.000 ad euro 100.000.
Il citato art. 342, comma 1, CCII fa espresso riferimento alle attestazioni rese con riferimento ai seguenti strumenti di regolazione della crisi e/o alle singole fasi degli stessi:
- piano di risanamento attestato (art. 56, comma 4)
- accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57, comma 4)
- convenzione di moratoria (art. 62, comma 2, lett. d)
- concordato preventivo (artt. 87, comma 3, e 88, commi 1-2)
- proposte concorrenti (art. 90, comma 5)
- autorizzazione pagamento crediti pregressi (art. 100, commi 1-2).
La disposizione in oggetto (la quale, peraltro, nel richiamare i vari strumenti di regolazione della crisi che prevedano attestazioni da parte del professionista indipendente, non fa cenno alla relazione resa in ambito di PRO, ex art. 64 bis) non menziona la composizione negoziata, la quale, come ricordato, non rappresenta uno strumento di regolazione della crisi, né, tantomeno, una procedura concorsuale.
Ne consegue - attesa la specialità (ambito penale) dell’art. 342, comma 1, CCII – che detta norma non possa essere applicata, in via analogica e/o estensiva, con riferimento alla relazione di “attestazione” prevista, nel contesto del percorso di composizione negoziata della crisi, dall’art. 23, comma 2 bis, CCII.
Proseguendo nell’esposizione, il richiamato art. 23, comma 2 bis, CCII prevede che l’imprenditore alleghi alla proposta transattiva, una seconda relazione, questa avente ad oggetto la verifica dei requisiti di completezza e veridicità dei dati aziendali.
Tale relazione deve essere redatta dal soggetto che svolge la funzione di revisione legale dei conti dell’impresa debitrice.
Qualora l’impresa non sia tenuta alla nomina del revisore legale o, comunque, ove lo stesso non sia stato nominato dall’imprenditore, la relazione in oggetto può essere redatta da un qualsiasi professionista iscritto al registro dei revisori legali.
In questo caso, l’art. 23, comma 2 bis, CCII non parla di “attestazione” (come con riguardo al profilo di convenienza), bensì di “relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali”.
Valgano, in ogni caso, sul punto, le considerazioni sopra svolte con riferimento ai profili penali delle attestazioni, ex art. 342 CCII.
Le due relazioni menzionate dall’art. 23, comma 2 bis (convenienza della proposta e veridicità dei dati aziendali) possono essere redatte da uno stesso professionista, purché munito dei relativi requisiti.
Quanto sopra, a condizione che lo stesso non sia il soggetto incaricato della revisione legale dei conti della società debitrice: mancherebbe, in questo caso, il requisito di indipendenza.
Si ricorda, al riguardo, che fra i requisiti di indipendenza previsti dall’art. 2, lett. o), CCII, vi è che il professionista non abbia prestato a favore del debitore, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro autonomo e/o che non sia stato membro degli organi di controllo dell’impresa (potendovi rientrare, in senso ampio, ai fini in oggetto, in entrambe le fattispecie, la funzione di revisione legale dei conti).
Proseguendo nell’esposizione, una volta che l’accordo transattivo sia stato positivamente “negoziato”, lo stesso deve essere:
- sottoscritto dalle parti
- comunicato all’esperto
- depositato presso il tribunale competente.
Come ricordato, per i tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate, l'accordo è sottoscritto dal Direttore dell'ufficio, su parere conforme della competente Direzione regionale.
Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, l'accordo è sottoscritto dal Direttore delle Direzioni territoriali, dal Direttore della Direzione territoriale interprovinciale e, per gli atti impositivi emessi dagli uffici delle Direzioni centrali, dal Direttore delle medesime direzioni centrali.
Per tributi amministrati da Agenzia Dogane e Monopoli: accordo sottoscritto da direttore direzioni territoriali, direttore direzione territoriale interprovinciale e, per gli atti impositivi emessi, da uffici direzioni centrali.
In questo contesto, qual è il ruolo dell’esperto?
Se, ad avviso dell’esperto, l’accordo transattivo arrechi - o possa, nel concreto, arrecare - pregiudizio ai creditori dell’imprenditore ovvero alle prospettive di risanamento aziendale, l’esperto medesimo lo segnala all’imprenditore e all’organo di controllo, ove esistente, ex art. 21 CCII.
Se l’imprenditore, nonostante la segnalazione dell’esperto, decida di compiere comunque l’atto, ne informa immediatamente l'esperto il quale, nei successivi dieci giorni, può iscrivere il proprio dissenso presso il Registro delle imprese; quando l'atto compiuto pregiudichi gli interessi dei creditori, l'iscrizione in oggetto è obbligatoria (art. 21, comma 4, CCII).
L’art. 23, comma 2 bis, CCII prevede che una volta che l’accordo sottoscritto sia stato depositato in tribunale, il giudice designato verifica la regolarità dell’accordo medesimo e dei suoi allegati e, in caso di rilevata regolarità, ne autorizza l’esecuzione, con decreto.
Viceversa, se il giudice non ravvisa la regolarità dell’accordo, lo dichiara inefficace.
Si ritiene che il controllo sulla regolarità dell’accordo non si estenda a valutazioni, nel merito, circa i propri effetti rispetto all’interesse degli altri creditori e/o all’obiettivo del risanamento aziendale, vertendo, tale controllo, sulla verifica, formale e sostanziale, della conformità dell’accordo e dei relativi documenti allo schema previsto della legge.
Il giudice designato ha visibilità dell’accordo e delle correlate relazioni, le quali – come ricordato - attengono ai (soli) profili di convenienza della transazione rispetto all’Erario e di veridicità dei dati aziendali, e non anche agli aspetti inerenti il profilo di strumentalità dell’accordo ai fini del più ampio obiettivo del risanamento aziendale.
Sotto questo profilo, in caso di accordo che dovesse essere di soddisfacimento nella prospettiva erariale, ma potenzialmente non funzionale ai “supremi” interessi del riequilibrio della situazione di crisi aziendale, spetterebbe all’esperto procedere, come ricordato, con le segnalazioni all’imprenditore ed all’organo di controllo, eventualmente manifestando il proprio dissenso, ex art. 21 CCII.
Proseguendo nell’esposizione, a differenza di ciò che accade in ambito di ADR ex art. 63 CCII, PRO ex art. 64 bis CCII e concordato preventivo ex art. 88 CCII, la disciplina della transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi non contempla la possibilità che, in caso di mancata accettazione della proposta da parte erariale, l’autorità giudiziaria possa applicare, sussistendone i presupposti, la cd. ristrutturazione forzosa, “convertendo”, cioè, il diniego dell’ufficio, espresso o tacito che sia, in adesione alla proposta.
L’esclusione del cram-down fiscale in ambito di CNC appare invero coerente, allo stato della normativa, rispetto alle peculiarità dell’istituto, ovvero: i) natura “pienamente” pattizia della composizione negoziata; ii) mancanza di un giudizio di omologazione degli accordi conclusi in ambito di CNC.
In ogni caso, qualora a seguito delle trattative, una volta avviata la composizione negoziata, l’imprenditore non sia giunto a perfezionare alcun accordo transattivo con l’Amministrazione finanziaria, ex art. 23, comma 2 bis, CCII, lo stesso potrà comunque presentare altra proposta di transazione fiscale, in un contesto di procedure concorsuali che prevedano l’operatività dell’istituto in oggetto.
Sotto altro profilo, l’imprenditore che abbia fatto ricorso alla CNC, può, in detta sede, anziché proporre all’Amministrazione finanziaria un accordo ex art. 23, comma 2 bis, CCII, determinarsi a formulare una proposta transattiva erariale adottando uno dei ricordati strumenti che contemplino tale possibilità (ADR, PRO, concordato preventivo), con ciò potendosi avvalere della possibilità di beneficiare, sussistendone i presupposti, del cram-down fiscale.
Fra l’altro, ai sensi dell’art. 23, comma 2 ter,CCII (pure introdotto con il Correttivo-ter), l’adozione di uno degli strumenti di regolazione della crisi che preveda la transazione fiscale può intervenire anche dopo la conclusione della composizione negoziata: in questo caso, la sottoscrizione dell'esperto, se prevista, può essere apposta successivamente al deposito della relazione finale ex art. 17, comma 8, CCII.
Da ultimo, quanto agli effetti transitori della novella ex art. 23, comma 2 bis, CCII, la proposta di accordo transattivo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria può essere presentata con riferimento ai percorsi di composizione negoziata avviati con istanza di nomina dell’esperto ex art. 17, comma 1, CCII, depositata dopo il 28 settembre 2024.