Il legislatore del 2012, mosso da un favor verso il concordato preventivo con continuità aziendale – considerato strumento privilegiato per tentare di salvare le imprese in crisi – ha predisposto alcune agevolazioni specifiche volte ad incentivarne l’utilizzo, tra le quali rientra senz’altro la moratoria per i crediti privilegiati disciplinata dall’art. 186 bis, comma 2, lett. c) L.fall. ai cui sensi, fermo quanto previsto dall’art. 160, comma 2, il piano di concordato può prevedere “una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto”.[6]
La ratio della norma è quella di permettere al debitore di dilazionare il pagamento dei creditori privilegiati, così da utilizzare – nel periodo di moratoria – i beni sui quali insiste la prelazione[7] ed altresì impiegare le risorse derivanti dalla continuità per la gestione dell’impresa, piuttosto che per l’immediato pagamento dei creditori, dando vita in tal modo ad una “forma […] indiretta di autofinanziamento del concordato in continuità”[8].
Qualora i beni su cui verte la garanzia non siano funzionali all’esercizio dell’attività d’impresa, così come programmata dal piano, e dunque se ne preveda la liquidazione, non si applicherà la disciplina della moratoria e i creditori dovranno essere pagati all’esito della liquidazione (che potrebbe durare anche più di un anno).[9]
Dal disposto della norma si possono trarre alcune considerazioni.
La prima si può desumere dal richiamo al secondo comma dell’art. 160 che conferma l’operatività, anche in caso di concordato preventivo con continuità, della possibilità di soddisfare in maniera non integrale i creditori privilegiati, a patto che si assicuri loro un trattamento non deteriore rispetto a quello ottenibile dal ricavato della liquidazione dei beni o diritti oggetto di prelazione e, in caso di piena capienza dei beni o dei diritti su cui verte la prelazione, gli si garantisca un pagamento integrale.[10]
Tra l’art. 160 e l’art. 186 bis sussistono, tuttavia, delle diversità: mentre la prima norma legittima il soddisfacimento dei creditori, sia privilegiati che chirografari, “in qualsiasi forma” e dunque anche con mezzi diversi dal denaro, la seconda riferendosi ai creditori privilegiati parla di “pagamento”, portando così ad escludere la possibilità, in caso di continuità, di soddisfare tali creditori con mezzi diversi dal denaro, tranne che per la parte di credito “incapiente”, dal momento che quest’ultima viene considerata come credito chirografario anche ai fini della determinazione delle modalità di soddisfacimento. Un soddisfacimento dei creditori privilegiati con mezzi diversi dal denaro sarebbe inoltre, ad avviso di alcuni, configurabile solo su espressa accettazione degli stessi, che così facendo andrebbero sostanzialmente a novare il rapporto obbligatorio.[11] Intervenendo sul punto, la pronuncia in commento ammette implicitamente la possibilità di una soddisfazione dei creditori privilegiati in forme diverse rispetto al pagamento in denaro, chiarendo che “qualora la ‘soddisfazione’ del creditore privilegiato non avvenga con un pagamento, a tale creditore dovrebbe essere riconosciuto il diritto di voto”[12].
Tale disciplina va inoltre coordinata con il divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione sancito dallo stesso secondo comma dell’art. 160 che, per l’orientamento avallato dalla Cass. del 2012[13], imporrebbe anche in caso di moratoria il rispetto dell’ordine della graduazione così da assicurare che i creditori di rango superiore vengano soddisfatti non solo in misura maggiore, ma anche cronologicamente prima rispetto a quelli di grado inferiore.
Quanto all’ambito soggettivo di applicazione della moratoria ci si chiede se la norma in questione riguardi tutti i creditori prelatizi, siano essi muniti di privilegio generale o speciale, oppure no.
La dottrina prevalente basandosi sulla lettera della norma, che fa riferimento genericamente ai “creditori muniti di privilegio”, estende l’applicazione della normativa a tutte le ipotesi di privilegio, oltre che ai casi di pegno o ipoteca. C’è, tuttavia, chi esclude la dilazionabilità dei crediti da lavoro subordinato: data la loro natura alimentare, infatti, sarebbe intollerabile una loro dilazione che vada a sommarsi ai tempi della procedura.[14]
Venendo ora alle questioni riguardanti il dato cronologico, chiarito il termine di decorrenza della moratoria – coincidente con la data del deposito del decreto di omologazione – occorre soffermarsi sulla problematica inerente la durata massima della stessa. Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sull’ammissibilità, o meno, di una dilazione di pagamento dei crediti prelatizi superiore al termine annuale previsto dalla norma. Mentre l’orientamento favorevole all’ammissibilità di una siffatta dilazione sembra ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in dottrina e tra i giudici di merito non si rileva un’univocità di visioni.
La tesi favorevole alla durata ultrannuale della moratoria di cui all’art. 186 bis, ribadita da ultimo nella pronuncia in commento, muove dalla premessa secondo cui la regola generale in materia di concordato (sia liquidatorio che in continuità) sia quella del pagamento integrale ed immediato dei creditori al momento dell’omologazione, fatti salvi i tempi tecnici di un’eventuale liquidazione dei beni, per poi giungere a sostenere l’ammissibilità di una deroga a tale regola fondata su una serie di disposizioni. Si tratta dell’art. 160 comma 2 nella parte in cui consente, nei limiti sopra chiarirti, un soddisfacimento non integrale dei creditori privilegiati e dell’art. 177 comma 3 che ai fini del voto equipara i creditori privilegiati non integralmente soddisfatti ai chirografari; norme – queste – che lette insieme all’art. 186 bis porterebbero ad ammettere una moratoria ultrannuale, “controbilanciata” dal riconoscimento a coloro i quali la subiscono del diritto di voto e degli interessi[15]. Mentre la moratoria infrannuale potrebbe essere definita quanto al voto “ininfluente”[16]per i creditori prelatizi, diversamente, in caso di superamento del limite temporale sancito dalla norma, i giudici di legittimità ritengono che “l’ammissione al voto possa essere affermata sulla base della considerazione che il sacrificio del diritto del voto risulta giustificato solo dall’indifferenza rispetto al concordato, che esiste solamente se il pagamento è integrale all’omologazione, ovvero secondo taluni, se dilazionato con il riconoscimento degli interessi”[17].
Quanto alla questione della determinazione dell’importo per il quale i creditori privilegiati che subiscono la moratoria sono ammessi al voto, in dottrina e in giurisprudenza sono state prospettate varie soluzioni. Secondo un primo orientamento a tali creditori dovrebbe essere attribuito il diritto di voto per l’intero ammontare del loro credito comprensivo di interessi, in quanto “la previsione di una soddisfazione integrale con dilazione determina […] un’alterazione qualitativa dell’intero statuto della pretesa creditoria”[18], circostanza che farebbe venir meno quel disinteresse del creditore privilegiato rispetto alla definizione concordataria che costituisce il presupposto dell’esclusione del diritto di voto.
Tale soluzione non appare, ad avviso della Suprema Corte, condivisibile poiché “attribuirebbe un peso eccessivo al voto dei privilegi dilazionati e creerebbe, dunque, un rischio di inquinamento delle maggioranze, in favore di creditori, cioè, destinati ad essere soddisfatti per intero”[19].
Sarebbe quindi preferibile l’orientamento secondo cui i creditori privilegiati dilazionati debbano essere ammessi al voto limitatamente ad un importo commisurato alla perdita patita per effetto della dilazione[20]. Quanto alle modalità di determinazione in concreto di tale perdita sono stati prospettati diversi criteri.[21] I giudici di legittimità pronunciandosi sul punto, già nel 2014 avevano stabilito che la determinazione in concreto della perdita economica conseguente al ritardo, rilevante ai fini del computo del voto, costituisce un accertamento di fatto che il giudice di merito deve compiere anche alla luce della relazione giurata ex art. 160, comma 2, L.fall., e tenendo conto degli eventuali interessi offerti ai creditori, dei tempi tecnici di liquidazione dei beni gravati dal privilegio in ipotesi di soluzione della crisi alternativa al concordato, nonché del contenuto concreto della proposta e della disciplina degli interessi di cui agli artt. 54 e 55 L.fall.[22] Nella pronuncia qui in commento la Cassazione è tornata ad affrontare la questione avvertendo la necessità di precisare che, sebbene la determinazione in concreto della suddetta perdita sia rimessa ad un accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, occorre fissare delle regole applicative di carattere generale. Tali regole devono essere individuate da un lato facendo riferimento all’art. 86 CCII – da cui si può trarre “il principio di ‘attualizzazione’ dei pagamenti previsti dal piano concordatario, calcolati sulla base del valore alla data di presentazione della domanda di accesso alla procedura concorsuale (come deve risultare dall’attestazione del professionista incaricato)”[23] – dall’altro alla disciplina di cui all’art. 2426, n.8, c.c. Ne consegue che il diritto di voto dei creditori dilazionati debba essere calcolato “sulla base del differenziale tra il valore del credito al momento della presentazione della domanda di concordato e quello al momento del termine della “moratoria” (la cui concreta determinazione deve essere rimessa, come accertamento in fatto, ai giudici del merito)”[24].
Nonostante la tesi a sostegno dell’ammissibilità di una moratoria ultrannuale possa ritenersi ormai consolidata fra i giudici di legittimità, non manca chi – sia in dottrina che in giurisprudenza – si è espresso in senso contrario sostenendo che la regola generale del pagamento immediato ed integrale dei creditori privilegiati possa essere derogata solo in presenza di disposizioni di carattere eccezionale (artt. 182 ter, 186 bis, comma 2, lett. c), 160, comma 2, L.fall., art. 86 CCII) che, stante la loro natura, non possono trovare applicazione al di fuori dei casi espressamente previsti. Ove si consentisse al debitore, al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate da tali norme, di prevedere un soddisfacimento parziale o dilazionato dei creditori privilegiati, si finirebbe per ammettere che questi ultimi possano essere soddisfatti in maniera pari o addirittura inferiore rispetto ai chirografari, con conseguente violazione dell’art. 2741 c.c.[25] Il dato temporale emergente dall’art. 186 bis sarebbe chiaro; una diversa interpretazione, oltre a contrastare con il tenore letterale della norma, solleverebbe problemi di carattere socio-economico stante il rischio – dato dalla situazione di incertezza dell’adempimento, protratta per un arco di tempo potenzialmente lungo – al quale il debitore proponente il concordato espone il creditore, che non potrebbe essere compensato dalla corresponsione del voto e degli interessi.[26] I sostenitori di tale tesi non mancano di sottolineare, inoltre, come tale orientamento sia conforme all’intento perseguito dal legislatore del Codice della Crisi.