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Crisi, contratti e ristrutturazione

Fabrizio Di Marzio, Ordinario di diritto privato nell'Università di Chieti

19 Novembre 2021

Una riflessione sistematica sul ruolo del contratto nella ristrutturazione del debito e dell’impresa, nel quadro del D.L. n. 118/2021. 
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1 . Premessa
Nella materia dell’insolvenza, da qualche tempo il diritto positivo sembra afflitto e al contempo ravvivato dalla innovazione costante della legislazione. In particolare, questo diritto è in una fase evolutiva molto accelerata, perché soprattutto dopo la crisi economica del 2008, e anche a causa della nuova crisi economica in corso, le regole che variamente lo compongono, e che non erano state sufficienti ad affrontare la crisi , sono state più volte riformate, e si apprestano ad esserlo ancora un po' in tutto il mondo. Così da indurre anche il legislatore europeo a varare una direttiva che noi diremo ‘direttiva sulla ristrutturazione’ – ma che, più precisamente, è riferita ai quadri di ristrutturazione: n. 2019/1023/UE – per spingere verso l’armonizzazione dei diritti nazionali proprio sul terreno su cui si gioca, oggi, l’identità di questo diritto: le ristrutturazioni piuttosto che le liquidazioni, che infatti sono lasciate alle regole tradizionali. 
In Italia, in particolare, a partire dal 2017, il movimento della riforma avviatosi massicciamente dal 2005 si è notevolmente accentuato. È di quell’anno la pubblicazione della legge n. 155, di delega al governo «per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza» . Al 2019 risale invece il decreto legislativo recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, già sottoposto a un primo intervento correttivo con il d.lgs. n. 147 del 2020. Nel corso di quello stesso anno, a causa dell’esplosione della crisi sanitaria dovuta al da COVID-19 e della legislazione dell’emergenza che anche nel nostro Paese è seguita (ed ha interessato anche il diritto dell’insolvenza), il panorama del diritto positivo si è fatto ancora più confuso; tutto ciò che prima era vissuto come regola è stato affiancato da un poderoso diritto d’eccezione . Con il d.l. 118 del 2021, in tema di misure urgenti sulla crisi d’impresa e sul risanamento aziendale, convertito con l. 147 del 2021, sono stati introdotti due nuovi istituti, gravidi di conseguenze sistematiche sull’intero diritto dell’insolvenza: la composizione negoziata della crisi e il concordato preventivo di liquidazione semplificato.
Le nuove regole in gran parte raccolte nel codice dedicato non hanno mai conosciuto stabilità. Abbiamo davanti a noi, da anni, un codice approvato ma non ancora in vigore. Infatti, poiché questo avvicendarsi di leggi produce un certo disorientamento, ecco la scelta del legislatore del decreto da ultimo ricordato di differire, anche per ragioni di certezza del diritto, l’entrata in vigore del codice dell’insolvenza, già rinviata al 2021, al 2022 (e per taluni istituti collegati all’allerta, al 2024). A parte questo, il codice è stato finora soggetto ad ulteriori ritocchi da parte di una commissione di esperti perché fosse maggiormente adeguato al materiale normativo della direttiva.
Questo imponente movimento di riforma vorrebbe risolvere problemi ma inevitabilmente ne suscita sempre di nuovi. Si è pertanto gradualmente diffusa la percezione di uno spazio che rischia di apparirci così accedente di un diritto positivo incontrollabile da apparirci, paradossalmente, quasi sguarnito di diritto positivo utilizzabile. In quello spazio relativamente vuoto di regole stabili ed affidabili emergono con maggiore evidenza alcune idee generali, sulle quali si fonda il diritto dell’insolvenza anche nelle sue articolazioni legali. 
Ecco che per una serie di cause concomitanti, da qualche anno fatichiamo a confrontarci con il diritto positivo dell’insolvenza. Mentre Satta si accingeva a scrivere avendo davanti una legge da poco in vigore e destinata a durare per un tempo lunghissimo, invece noi stiamo davanti a un codice non ancora varato, che già influenza il lavoro dei tribunali, che presto sarà pubblicato con modifiche, e che nei prossimi anni subirà ulteriori correttivi.
Viviamo in una situazione unica – e destinata a durare molti anni ancora, se non a diventare una condizione stabile per il diritto dell’economia – una situazione in cui la distanza dal diritto positivo, che in massima parte resta sospeso a mezz’aria, si è insolitamente accentuata, e le prassi operative hanno un largo margine di azione in supplenza ed integrazione di regole abrogate, sospese oppure annunciate ma per un cento tempo non entrate in vigore, e via via modificate nel corso dei lavori della commissione ministeriale. Peraltro, quel diritto positivo in possibilità anima dibattiti dottrinali e suggerisce soluzioni alla giurisprudenza ancora alle prese con la legge fallimentare; e in questo modo assume effettività pur non essendo ancora in vigore. 
La legge – a cui l’antichità affidò il difficile obiettivo dell’eguaglianza e in cui la modernità ripose la speranza della certezza del diritto – si presenta, in questa occasione unica, come la superficie cangiante di uno specchio d’acqua. Lo sguardo riesce a cogliere l’insieme, ma non saprebbe fissare con certezza i riflessi mutevoli che si accendono e si spengono sulla superficie. Resta soltanto un’impressione generale, e il tentativo di venire a capo di qualcosa di cui venire definitivamente a capo non si può. 
In quella legge si vanno sperimentando percorsi nuovi, nel percorrere i quali non è possibile fare affidamento sulla cultura depositata nel diritto positivo del passato. Inevitabilmente, le disposizioni determinate da esigenze prima sconosciute appaiono già a prima vista rozze, prolisse e, allo stesso tempo, approssimative rispetto al diritto storicizzato. Ce ne possiamo avvedere facilmente confrontando la parte del codice sulla liquidazione giudiziale con le altre parti. La prima, benché modificata in più punti, risente ancora in larga misura della qualità normativa della legge fallimentare, che aveva potuto giovarsi delle precedenti esperienze dei codici commerciali; la seconda, priva di questo retroterra, è afflitta dalla insuperabile incertezza che reca in sé l’immaginazione di nuovi orizzonti.
Per le ragioni elencate, davanti a noi si pone, senza filtri rassicuranti come sono le leggi, il volto stesso del diritto, che è sempre fatto di tratti incompiuti. Quel volto tende a sfuggirci perché resta solo lo specchio d’acqua, che tuttavia proprio l’inafferrabilità dei riflessi rende ineludibile: come è per il mare osservato dalla spiaggia. 
Ecco che la situazione incerta e deludente in cui versa il diritto positivo offre a tutti un’ottima occasione per dedicarci ad una riflessione seria sui fondamenti del diritto dell’insolvenza; e cioè per una riflessione su tutto ciò che diamo per scontato e di cui di solito non ci occupiamo: e che perciò è spesso destinato ad essere trascurato e a cadere nella dimenticanza.
In questo lavoro cerco di disegnare un quadro sui contratti di ristrutturazione, prendendo atto della disciplina contenuta nel codice settoriale, e già ampiamente anticipata nella legge fallimentare.
2 . Contratti, insolvenza e mercato
L’impresa è attività economica organizzata. L’essenza dell’impresa è nell’organizzazione. L’organizzazione trova il suo scopo nel minimizzare l’incertezza dell’operazione economica di mercato che è il contratto[1]. Tuttavia, all’esterno, l’organizzazione d’impresa si realizza essenzialmente nella contrattazione. Il termine contrattazione (già noto al codice civile del 1865)[2] sintetizza le complesse attività di relazione tra gli operatori del mercato (imprese, istituzioni, consumatori) volte alla giuridificazione dell’azione economica attraverso l’assunzione di impegni vincolanti[3]. 
La caratteristica fondamentale dei contratti conclusi sul mercato (usualmente detti contratti di impresa) è nella corrispettività. L’accordo si compone di impegni incrociati; le prestazioni stabilite sono interdipendenti, nel senso che ciascuna prestazione trova remunerazione nell’altra. Il presupposto necessario della contrattazione corrispettiva è la fiducia. L’agente conclude contratti corrispettivi poiché si fida del proprio partner contrattuale. Assume impegni che dovrà adempiere a fronte di altri impegni che gli dovranno essere adempiuti[4]. 
La solvenza consiste essenzialmente nel credito, ossia nella fiducia che l’imprenditore riscuote sul mercato, mentre l’insolvenza è nella perdita di quella fiducia e, dunque, nel discredito che ne consegue. Se colleghiamo la condizione di insolvenza alla contrattazione osserviamo che quella condizione esclude il necessario presupposto della fiducia. Assai difficilmente interlocutori privi di fiducia accettano di assumere impegni corrispettivi con chi appare ai loro occhi screditato e quindi inaffidabile. Il nesso tra insolvenza e contrattazione è tutto qui. L’insolvenza costituisce la causa della espulsione dell’impresa dal mercato proprio per l’effetto negativo che esercita sulla contrattazione, e dunque sull’attività economica sottostante[5]. 
Se guardiamo il fenomeno da una angolatura strettamente giuridica possiamo ribadire che la condizione di insolvenza del contraente non è annoverata tra le cause di invalidità del contratto. Non è causa di nullità e nemmeno, in se stessa considerata, è causa di annullamento (a meno che non sia celata con artifici o raggiri volti ad indurre in errore l’altro contraente: nel qual caso il contratto è annullabile per dolo). L’insolvenza non determina neppure l’inefficacia del contratto validamente concluso e non costituisce causa di risoluzione del vincolo. Possiamo perciò concludere che l’insolvenza non incide sul contratto: né sul contratto inteso come atto né sul contratto inteso come rapporto. 
Le conseguenze giuridiche dell’insolvenza emergono considerando il discredito che colpisce l’insolvente e dunque la sfiducia che può insorgere nella controparte. Come sappiamo, già nella materia delle obbligazioni si prevede che il creditore può esigere immediatamente la prestazione nella pendenza del termine di adempimento se nel frattempo il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva promesse (art. 1186 cc). Nella disciplina del contratto è previsto che ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione (art. 1461 cc).[6].
Se osserviamo questi diritti potestativi nella prospettiva della contrattazione possiamo scorgere che le norme sulla autotutela del credito attribuiscono al creditore un immediato potere di escussione del credito e al contraente non inadempiente una serie di poteri articolati, sul fulcro della sospensione dell’esecuzione a completa tutela nei confronti della controparte insolvente. L’effetto sprigionato sul rapporto obbligatorio e sul contratto è di una notevole precarietà. Poiché la parte non insolvente del rapporto può tutelare la propria posizione ottenendo la disapplicazione della regola che lo disciplina, graverà sull’insolvente il compito di ricostituire un tasso sufficiente di fiducia circa la propria capacità adempitiva in modo da scongiurare l’esercizio del potere di autotutela e, dunque, il repentino aggravamento dello stato di insolvenza (che si intensificherebbe in modo direttamente proporzionale alle azioni svolte in autotutela dai creditori)[7]. 
Ripristinare una fiamma sufficientemente viva nella fiaccola del credito è operazione tutt’altro che facile, che diventa sempre più difficile man mano che si accresce il problema dell’insolvenza e, dunque, l’allarme dei creditori. All’insuccesso del tentativo del debitore conseguirà un moltiplicarsi delle azioni in autotutela fino alla presentazione di domande di fallimento. Attraverso questo meccanismo, in una consolidata ottica economica di stampo ordoliberale si realizza la spontanea selezione delle imprese efficienti sul mercato concorrenziale. 
Le stesse regole sulla autotutela del credito stabiliscono le condizioni di recupero della fiducia nella misura in cui indicano i presupposti di esercizio del potere di autotutela. Per una regola ricorrente, poiché tale potere è attribuito in ragione della diminuzione della garanzia patrimoniale generica o della mancata costituzione di una garanzia specifica, esso rimane disinnescato qualora il debitore presti una idonea garanzia di solvenza o ripristini una generale condizione di solvenza. Il risultato si raggiunge concludendo contratti: rinegoziando le scadenze dei debiti, stipulando pacta de non petendo, costituendo nuove garanzie reali. Ecco, dunque, che operazioni genericamente definibili come di ristrutturazione del debito possono promuovere un recupero dello stato di solvibilità. 
Per una conseguenza necessaria, all’esito di queste operazioni il patrimonio del debitore risulta ampiamente modificato nella sua composizione e nella sua vocazione di garanzia. Il che avviene a causa degli atti di autonomia privata posti in essere dal debitore con taluni creditori per evitare azioni di autotutela e recuperare, auspicabilmente, una sufficiente capacità adempitiva[8].
3 . Contratti e azioni revocatorie.
Gli atti di autonomia privata di ristrutturazione del debito modificano la composizione e la natura del patrimonio del debitore incidendo in maniera importante sulla funzione di garanzia generica attribuita dall’art. 2740 cc a quel patrimonio nell’interesse non soltanto dei creditori che hanno rinegoziato il proprio credito con il comune debitore ma anche nei confronti di tutti gli altri creditori rimasti estranei a quegli accordi[9]. 
Un aspetto estremamente importante di questa complessa dinamica si realizza, per conseguenza, al di fuori del rapporto obbligatorio e nell’eventualità – che dai creditori che non si attivano in autotutela viene percepita come pericolo – del perdurare dell’insolvenza e dell’apertura di una procedura concorsuale. 
Il sistema della responsabilità patrimoniale è organizzato anche intorno ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, il più importante dei quali è costituito dall’azione revocatoria, con la quale il creditore può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti dispositivi con cui il debitore pregiudichi le sue ragioni. Il pregiudizio revocatorio è determinato dalla modificazione della composizione del patrimonio del debitore che in seguito all’atto impugnato in revocatoria è divenuto insufficiente o di più difficile liquidazione con riguardo al credito insoddisfatto. Ciascun atto di ristrutturazione del debito può rivelarsi dannoso per i creditori ad esso estranei, i quali possono chiedere per mezzo dell’azione revocatoria che ne sia dichiarata l’inefficacia rispetto alla loro posizione. Gli effetti si acuiscono nel caso dell’apertura della liquidazione giudiziale, giacché diviene proponibile anche l’azione revocatoria concorsuale che prescinde dal danno.
Ecco allora che i creditori a cui è chiesta la rinegoziazione del debito debbono recuperare fiducia nel debitore non soltanto sul piano interno alla loro relazione economica ma anche sul piano ad essa esterno. Debbono valutare in prospettiva l’efficacia dell’atto di ristrutturazione non solo rispetto alle specifiche (ed eventualmente accresciute) garanzie di adempimento del proprio credito ma anche rispetto alle possibili azioni revocatorie esperibili dagli altri creditori sull’accordo di ristrutturazione del debito e su ciascun atto esecutivo dello stesso. 
Il meccanismo delle azioni revocatorie mira ad indurre il creditore che conclude ed esegue accordi di ristrutturazione del debito a valutare non soltanto, e semplicemente, le convenienze di queste operazioni isolatamente considerate, ma a valutare anche la condizione generale di solvenza del debitore con cui si relazionano i creditori[10]. Se la contrattazione si realizza con un debitore insolvente che resta tale, se pertanto a seguito della contrattazione il debitore non supera lo stato di insolvenza, il pericolo dell’azione revocatoria diviene grave ed attuale. L’esito del rapporto giuridico così instaurato non si emancipa da una condizione di precarietà, potendo divenire inefficace rispetto al terzo creditore che agisce in revocatoria. 
Di solito la rinegoziazione di una singola relazione economica per quanto importante rispetto all’entità complessiva del debito, non è sufficiente a ricondurre il debitore che se ne giova alla condizione di solvenza. Per questo effetto è necessario il coinvolgimento di più creditori: di tutti i creditori che a varia ragione assumono un ruolo strategico nella complessiva operazione di ristrutturazione (non di singoli crediti ma) dell’intera posizione debitoria del soggetto insolvente, in modo da consentire il superamento di quella condizione.
4 . La vicenda storica dei contratti sull’insolvenza
Per una idea diffusa nella dottrina tradizionale, i contratti di ristrutturazione del debito, chiamati concordati stragiudiziali, dovrebbero coinvolgere tutti i creditori del debitore insolvente. Soltanto una intesa plenaria potrebbe consentire il recupero della solvenza e, dunque, la conclusione ed esecuzione in sicurezza di tutti i contratti necessari allo scopo[11]. Su questa idea, nel codice di commercio era disciplinato il concordato amichevole di fallimento (cosiddetto per distinguerlo dal concordato, sempre amichevole, inteso ad evitare il fallimento), concluso tra il debitore e tutti i creditori, regolato per il resto dalle norme del diritto contrattuale[12].
In realtà l’idea, già dibattuta nella dottrina classica, si basa su di un presupposto erroneo. Il recupero della solvenza non richiede necessariamente un accordo con tutti i creditori ma soltanto con coloro, tra di essi, il cui contributo è imprescindibile per il raggiungimento dell’obiettivo. 
Ad ogni modo, la difficoltà di ottenere il consenso di tutti i creditori fece apparire spesso impraticabile la soluzione contrattuale dell’insolvenza. Nella pratica la contrattazione si realizzò nella forma di accordi separati con uno o più creditori, fatalmente esposti al pericolo dell’azione revocatoria. L’effetto che si determinò fu di accomunare in un prevedibile insuccesso gli sforzi del debitore e di taluni suoi creditori volti alla ristrutturazione del debito e al recupero di una condizione di solvenza con i contratti occasionalmente conclusi dal debitore insolvente in prossimità della dichiarazione di fallimento. Si attenuò fino a scomparire la differenza fondamentale tra queste due attività contrattuali: la contrattazione per il recupero della solvenza (in cui la funzione del contratto è di ripristinare la capacità di regolare adempimento del debitore) e la contrattazione semplicemente in occasione dell’insolvenza (in cui l’insolvenza costituisce una condizione, fattuale e giuridica, in cui versa una delle due parti. Questa differenza è nel fatto che, mentre nel primo caso la causa del contratto è nel superamento dell’insolvenza, invece nel secondo caso la causa è nell’acquisire vantaggi differenziali rispetto agli altri creditori. Alla immeritevolezza della prima causa si contrappone la meritevolezza della seconda.
Questo stato di cose creò una irrazionalità economica nei contratti di ristrutturazione (ossia effettuati allo scopo condiviso dalle parti di superare il problema dell’insolvenza). In caso di operazioni concluse con successo, la recuperata condizione di solvenza realizzava effetti positivi anche a vantaggio dei creditori rimasti estranei all’attività di ristrutturazione; invece nei casi di insuccesso questi ultimi potevano sempre sottrarsi alle conseguenze pregiudizievoli dovute alla diminuzione del patrimonio debitore attivando le azioni revocatorie ai danni dei creditori che avevano partecipato alla ristrutturazione. Di modo che sottrarsi al tentativo di ristrutturazione appariva preferibile in ogni caso: sia nell’ipotesi del successo della ristrutturazione che in quella dell’insuccesso della medesima e della conseguente apertura di una procedura concorsuale. Erano così incoraggiati comportamenti opportunistici dei creditori[13].
Tutto ciò è espresso in maniera molto efficace dalla consueta immagine del cordone sanitario costituito dalla revocatoria fallimentare: un rimedio che rinchiude irrazionalmente il debitore insolvente in una quarantena sottraendolo al mercato mentre vi è ancora dentro, ossia prima che, a seguito di quell’isolamento, ne sia espulso. 
Il recupero della razionalità economica richiede regole, oggi diffuse negli ordinamenti più evoluti e previste nella direttiva sulla ristrutturazione, di riallineamento delle esternalità positive e negative derivanti da seri tentativi di ristrutturazione condotti in buona fede da debitore e creditori. Di modo che, come il successo del serio tentativo di ristrutturazione determina evidenti vantaggi anche ai creditori rimasti estranei (esternalità positive) così l’insuccesso di quel serio tentativo determina perdite non solo a carico dei protagonisti del tentativo ma anche dei creditori rimasti estranei (esternalità negative). 
Ciò si ottiene in primo luogo attraverso la previsione della opponibilità dei contratti di ristrutturazione erga omnes, e perciò attraverso l’esenzione degli stessi dall’azione revocatoria di ripristino della garanzia generica del debitore. In questa prospettiva, il sistema delle esenzioni riqualifica la funzione assegnata alle azioni revocatorie: che non è più di disincentivare l’attività contrattuale in caso di insolvenza, ma di ricondurla sui binari della buona fede oggettiva, finalizzandola al superamento di quello stato piuttosto che al raggiungimento di vantaggi indebiti da parte di alcuni creditori[14].
In secondo luogo, la protezione degli accordi di ristrutturazione richiede la salvaguardia dei contraenti in buona fede da azioni di risarcimento danni (come l’azione per abusiva concessione di credito) e da azioni di responsabilità. L’esenzione dall’azione revocatoria e l’esclusione di azioni risarcitorie realizzano il regime giuridico di quelli che potremmo chiamare contratti protetti finalizzati alla ristrutturazione del debito[15]. 
5 . Contratto, piano di ristrutturazione, attestazione
Con la riforma del 2005 l’ordinamento italiano ha adottato una normativa innovativa ed efficace configurando istituti contrattuali oggi perfezionati nel cci: gli accordi in attuazione di piani attestati di risanamento (art. 56 cci) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 cci)[16]. 
In queste figure il ruolo centrale è attribuito al piano aziendale di ristrutturazione del debito o dell’impresa. Il superamento della crisi di impresa (del malfunzionamento del centro di produzione) o dell’insolvenza del debitore (dell’incapacità di adempiere regolarmente le obbligazioni assunte) è fatta oggetto, come capita per tutte le fasi dell’attività di impresa, di una pianificazione delle attività necessarie per il ritorno al valore. Nel piano è descritta la realtà aziendale all’attualità (il patrimonio aziendale e la capacità organizzativa dell’impresa), sono individuate le cause e la tipologia della crisi di impresa e della connessa situazione di preinsolvenza o di insolvenza dell’imprenditore ed è poi programmata l’attività necessaria per il superamento della crisi e dell’insolvenza sul piano finanziario, economico e patrimoniale[17]. 
Il piano è sottoposto alla verifica di un aziendalista chiamato a rendere un giudizio indipendente sia sulla veridicità del dato aziendale che sulla fattibilità del percorso di recupero. Sotto questo aspetto, il professionista dovrà verificare l’esatta individuazione, nel piano, delle cause di crisi e di insolvenza; l’appropriatezza delle misure previste per il ritorno al valore; e la concreta realizzabilità di tali misure in considerazione anche del grado di collaborazione richiesto ai creditori che dovranno accettare la ristrutturazione del proprio credito nonché della collaborazione richiesta ad altri soggetti coinvolti nelle operazioni di ristrutturazione (come gli acquirenti di rami aziendali da dismettersi). 
Il professionista dovrà pertanto redigere una relazione attestativa sulla veridicità del dato aziendale e sulla fattibilità del progetto di recupero. Il primo aspetto implica una certificazione; il secondo un giudizio prognostico[18]. Sotto entrambi questi aspetti, scopo della attestazione è di ridurre l’asimmetria informativa che corre tra debitore e creditori nonché terzi coinvolti sui contenuti del piano di ristrutturazione in modo da favorire una adesione consapevole al progetto del debitore e anche da stimolare integrazioni e miglioramenti a quel progetto. 
Soddisfatti i requisiti legali dell’esistenza di un piano di ristrutturazione e di una attestazione legale dello stesso l’attività contrattuale che viene sviluppata per realizzare in concreto il progetto aziendale in tutti i suoi passaggi può ritenersi condotta senza intenti fraudolenti e in buona fede da parte di debitore, creditori e terzi contraenti. Pertanto, il cci dispone l’esenzione dalle azioni revocatorie degli atti e contratti conclusi in attuazione del piano (art. 166 cci). L’insolvenza fonda una ragione di inopponibilità relativa del contratto potendo chiedere i creditori la revoca dello stesso in funzione di ripristino della garanzia patrimoniale del debitore. Il superamento dell’insolvenza fa venire meno questa causa di inefficacia relativa; mentre il permanere dell’insolvenza la conserva. La regola sull’esenzione dall’azione revocatoria ha l’esclusiva funzione di sancire sul piano della responsabilità patrimoniale la meritevolezza della causa di ristrutturazione a prescindere dal concreto superamento dello stato di insolvenza del debitore. 
In realtà, a differenza di quanto previsto nella direttiva sulla ristrutturazione, non sono arginate anche le azioni risarcitorie; tuttavia, una contrattazione realizzativa di una seria pianificazione aziendale di ritorno al valore molto difficilmente potrebbe essere ipotizzata come foriera di danni antigiuridici in capo ai creditori rimasti estranei, i quali sono comunque sottoposti alle esternalità negative di una pianificazione seriamente realizzata ma non premiata dal successo. 
6 . Contrattazione in funzione di ristrutturazione
L’idea del contratto di ristrutturazione dipende dalle strutture generali del diritto dei contratti e dalle regole generali sui contratti stabilite nel codice civile. L’operazione concettuale che dà luogo alla figura del contratto di ristrutturazione utilizza l’elemento causale e valorizza la funzione economica del contratto come accordo patrimoniale finalizzato alla ristrutturazione del debito. L’espressione ‘contratti con causa di ristrutturazione del debito’ rende pienamente il senso di questa idea. Ne discende che la previsione, nel diritto positivo, di contratti di ristrutturazione, rende rilevante per quel diritto tutte le problematiche connesse al diritto dei contratti, interamente chiamato in campo nel diritto dell’insolvenza.
Nella ristrutturazione, intesa come complessiva funzione della contrattazione, confluiscono i più diversi schemi contrattuali (tipi legali, tipi sociali, contratti atipici in senso stretto). Tutti i concreti contratti stipulati ed eseguiti in attuazione del programma di ristrutturazione condividono questa funzione finale e sono pertanto rideterminati causalmente verso questo obiettivo ultimo, a prescindere sia dalla loro struttura tipologica sia dalla loro funzione causale in se stessa considerata, ossia considerata senza tenere conto del panorama della ristrutturazione e della realtà del singolo contratto come momento attuativo del programma aziendale. Tutte questi contratti, in altri termini, integrano una operazione economica[19].
Sarebbe dunque vano ricercare una classificazione dei contratti di ristrutturazione da affiancare ai tipi legali disponibili nel codice civile e alle tipizzazioni sociali che si sono affermate nella prassi. I contratti di ristrutturazione ricoprono potenzialmente lo stesso spazio occupato da tutti i contratti riferibili all’attività d’impresa. L’obiettivo della ristrutturazione costituisce però un nesso stringente, che in questo caso eleva la continuità d’impresa da semplice contesto della contrattazione a scopo complessivo della stessa. Nelle situazioni di fisiologia l’enorme mole di contratti necessari alla gestione dell’impresa, pur facendosi comprendere nell’ottica di quell’organizzazione, riunisce modelli che conservano una spiccata autonomia l’uno dall’latro. Invece, nelle situazioni di crisi la contrattazione è riorganizzata come risorsa per la soluzione di quel problema. In questo senso, la ristrutturazione costituisce la funzione generale di una attività contrattuale complessa (la contrattazione) destinata a svolgersi in un periodo definito. La funzione di ristrutturazione – riferibile all’attività olisticamente considerata ma, per questa rappresentazione, anche a ciascun atto che vi si inserisce – è rischierata dalla strategia di ritorno al valore formalizzata nel piano aziendale di ristrutturazione. 
È proprio nel programma di ristrutturazione il finalismo a cui tutti i contratti attuativi tendono. Il programma disegna in termini economici quello stesso finalismo stabilendo tappe in successione per raggiungere l’obiettivo della ristrutturazione[20]. 
I contratti di ristrutturazione non hanno, pertanto, bisogno di regole che li strutturino ontologicamente in modo diverso da quanto previsto nel codice civile. La fondamentale regola sulla esenzione dell’azione revocatoria non è infatti una regola di struttura. 
Lo statuto generale del contratto è nella sua vincolatività per le parti e nella sua indifferenza verso i terzi (art. 1372 cc). Queste due regole definiscono la figura contrattuale mentre le condizioni di opponibilità dell’accordo ai terzi dipendono dalle circostanze più varie (sulla efficacia reale o obbligatoria dell’atto; sull’oggetto dello stesso; sul regime di pubblicità rilevante ecc.)[21]. 
7 . Contratto, procedimento e processo
Mentre gli accordi su piani attestati sono negoziati e conclusi sul mercato, altre tipologie di contratti di ristrutturazione sono negoziate e concluse nell’ambito di procedimenti non giurisdizionali oppure assumono efficacia all’interno di processi di omologazione. Vi sono infatti regole procedurali e processuali riferibili ai contratti di ristrutturazione. Queste regole, di natura non sostanziale, stabiliscono l’ambiente procedurale o processuale entro cui possono o debbono realizzarsi talune fasi del confronto tra debitore e creditori nella prospettiva del contratto di ristrutturazione[22]. 
Appartengono al primo insieme i contratti conclusi all’interno di procedimenti non giurisdizionali, davanti a un collegio di professionisti. Si tratta degli accordi di composizione della crisi negoziati fra il debitore e il creditore nell’ambito di una composizione assistita della crisi (art. 19 cci). L’intervento del collegio di professionisti ha lo scopo di facilitare le trattative l’intesa tra le parti. Poiché manca la mediazione e la garanzia del giudice, questi accordi non possono produrre effetti nei confronti dei terzi; producono invece gli stessi effetti degli accordi attuativi di piano attestati. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono contratti dedotti in un processo giurisdizionale di omologazione dell’intesa. 
Il secondo insieme è costituito dagli accordi di ristrutturazione, soggetti a un processo di omologazione giudiziale prima di essere posti in esecuzione (art. 48 cci). La procedura di omologazione dell’accordo consente una concentrazione della critica sull’accordo medesimo da parte dei creditori dissenzienti, che potranno impugnare l’accordo ritenuto lesivo dei propri diritti opponendosi alla sua omologazione. In queste figure si coniugano gli istituti del contratto e del processo.
Sia i contratti conclusi in procedimenti non giurisdizionali che i contratti assoggettati al processo di omologazione possono prevedere una parentesi processuale finalizzata alla concessione, da parte del giudice, di un provvedimento di sospensione delle azioni esecutive e cautelari contro il debitore. Il provvedimento ha per oggetto, più precisamente, misure protettive della trattativa sul piano di ristrutturazione, intese a inibire i poteri di autotutela del credito per un periodo di tempo legalmente determinato entro cui il debitore può cercare di ottenere il consenso dei creditori sul programma di risanamento. 
Qualora il debitore voglia giovarsi dell’opportunità costituita dalla misura protettiva, poiché la stessa incide sui diritti dei creditori, dovrà rivolgersi al tribunale esponendo il contenuto di massima della proposta ai creditori, riferendo sullo stato delle trattative e chiedendo pertanto una ragionevole protezione del proprio patrimonio in occasione delle trattative medesime. Le misure protettive presuppongono pertanto una parentesi processuale nella fase delle trattative in cui provvedimenti giudiziari incidono sulla libertà contrattuale dei creditori (artt. 54 s. cci). 
8 . Rilevanza esterna della procedura
Ciò che conta avere ben chiaro è la rilevanza puramente esterna e contestuale del procedimento non giurisdizionale e del processo rispetto al contratto. In entrambi i casi la procedura non incide la natura negoziale dell’atto di autonomia privata, che resta ontologicamente un contratto.
Sia l’accordo sulla soluzione della crisi davanti al collegio di bonari compositori che l’accordo di ristrutturazione dei debiti sono contratti, come tale soggetti alla disciplina del diritto contrattuale. Da ciò discende una conseguenza decisiva sul regime giuridico applicabile. Ecco perché gli accordi di ristrutturazione non potrebbero essere classificati, come molti ritengono, nel genere del concordato preventivo, quasi che ne costituissero una versione semplificata[23].
A tali procedure mancherebbe, infatti, la concorsualità (ossia la regola imperativa della parità di trattamento di tutti i contraenti), costituiva della natura stessa di procedura concorsuale. Infatti nei contratti in oggetto ciascun creditore si accorda secondo i propri interessi e a specifiche condizioni[24]. Proprio sul rilevo della natura contrattuale degli accordi stragiudiziali, la giurisprudenza escluse che valesse, per essi, la regola della parità di trattamento[25].
Questi contratti, tuttavia, non si realizzano direttamente sul mercato ma sono preparati anche in un ambiente procedimentale o processuale in cui la libera dinamica della trattativa assume una conformazione e si esprime secondo gli atti e più in generale la tecnica del procedimento di conciliazione o del processo presieduto da un giudice[26]. 
Tuttavia, queste parentesi procedurali non intaccano la struttura fondamentale del contratto quale atto di autonomia privata fondato sull’accordo delle parti, che vale come legge per quelle parti, e che invece fatte salve le eccezioni di legge non intacca di regola i diritti dei terzi (artt. 1321, 1372, 1411 cc). 
Questo rapporto di contenente (procedimento o processo) e contenuto (contratto) si realizza, nel nostro caso, secondo modalità ricorrenti in altri ambiti di solito raccolte in espressioni descrittive come ‘contratti di conciliazione’ e ‘contratti giudiziali’. Il contratto realizzato nel procedimento o nel processo conserva intatta la sua natura e corrisponde pienamente alla fattispecie descritta nell’art. 1321 cc[27].
9 . Contratti di ristrutturazione del debito e dell’impresa
La tradizione ci ha consegnato una vasta esperienza di soluzioni contrattuali dei problemi ingenerati dall’insolvenza, civile e commerciale. Nel primo caso, la contrattazione è finalizzata a soddisfare i creditori attraverso la distribuzione concordata di risorse da un patrimonio divenuto incapiente. Essi realizzano una ristrutturazione del debito. Nel secondo caso la contrattazione può avere uno scopo ulteriore: di superare la sfiducia dei creditori consentendo al debitore di tornare a operare sul mercato. Qui la contrattazione realizza, oltre alla ristrutturazione del debito, la ristrutturazione dell’impresa. 
In generale, i contratti di ristrutturazione del debito presuppongono l'esistenza di rapporti obbligatori rimasti insoddisfatti. La lite che può insorgere non concerne l’esistenza del debito, ma l’adempimento dell’obbligazione. Scopo essenziale della contrattazione è di risolvere il conflitto tra debitore e creditori sulla base di un accordo con causa solutoria, ossia di un accordo relativo alla distribuzione delle residue risorse del debitore ai creditori. Le risorse sono distribuite secondo un programma condiviso tra debitore e creditori; si basa cioè sul consenso, e ha forza di legge solo tra i partecipanti all’intesa (artt. 1321, 1372 cc). 
I contratti di ristrutturazione del debito concernono il passivo patrimoniale e il recupero della solidità finanziaria. Il complessivo programma dell’operazione contrattuale può prevedere accordi sul pagamento a saldo e stralcio di alcuni crediti (in genere, dei fornitori); accordi sulla dilazione del pagamento di altri crediti (in genere, dei finanziatori); accordi sull’estinzione di altri crediti ancora attraverso prestazioni di utilità diverse dal denaro (art. 1197 cc): conversione del credito in titoli partecipativi od obbligazionari della società debitrice o di società, anche di nuova costituzione, in cui è fatto confluire l’attivo della società debitrice. 
Anche i contratti di ristrutturazione dell’impresa presuppongono profili solutori e di ristrutturazione del debito. Ma si arricchiscono, sul piano causale, per lo scopo ulteriore del superamento della crisi d’impresa, intesa come malfunzionamento dell’attività. In queste operazioni contrattuali, che sono le più complesse, oltre a contratti sull’estinzione e sulla ristrutturazione dei debiti, vi sono accordi sulla ristrutturazione dell’impresa, intesa sia come organizzazione economica che come organizzazione giuridica. 
Nella generalità dei casi, piuttosto che un singolo contratto, si concludono diversi contratti, ognuno finalizzato a realizzare un segmento della più vasta operazione giuridica ed economica in cui consiste la ristrutturazione del debito o anche dell’impresa. Tutti questi contratti sono tra di loro accomunati dalla tensione verso lo scopo finale della ristrutturazione. Questo scopo costituisce la funzione della operazione economica nell’ambito della quale tutti quei contratti sono stati progettati e sono destinati ad operare[28]. 
In particolare, i contratti di ristrutturazione dell’impresa possono essere della più varia natura, a seconda delle esigenze che si pongono nel caso concreto. Oltre agli accordi sulla ristrutturazione del debito, rilevano gli accordi sull’organizzazione economica, che riguardano l’azienda: contratti di affitto o di vendita di rami aziendali. Vi sono poi gli accordi sull’organizzazione giuridica, che riguardano la società debitrice: che può essere assoggettata a ricapitalizzazioni, operazioni di trasformazione, fusione, scissione.
10 . Cessione dei beni ai creditori
La figura tradizionale di contratto di ristrutturazione del debito, tuttavia non disciplinata nel codice civile, è quella della cessio bonorum, con la quale il debitore incapiente trasferisce la proprietà dei suoi beni ai creditori perché essi si ripartiscano il ricavato in soddisfazione dei propri crediti. Un effetto simile si realizza nel singolo rapporto obbligatorio con la prestazione in luogo dell’adempimento, in cui il debitore, con il consenso del creditore, estingue l’obbligazione effettuando una prestazione diversa da quella originariamente dovuta (art.1197 cc).
Invece, con riferimento alla cessione dei beni ai creditori il codice disciplina un contratto di maggiore complessità, con cui il debitore anziché trasferire i propri beni ai creditori incarica questi ultimi di liquidare tutte o alcune delle sue attività e di ripartirsene il ricavato in soddisfacimento dei crediti (art. 1977 cc) [29]. In questo contratto, a differenza che nella cessio bonorum, il debitore resta proprietario, ma trasferisce ad alcuni o a tutti i suoi creditori il potere di amministrare il patrimonio e di disporre dei beni che lo compongono convertendo alcuni o tutti i beni in denaro e ripartendo il ricavato tra i creditori[30]. 
La funzione del contratto è di consentire ai creditori di conservare la garanzia generica costituita dal patrimonio del debitore (art. 2740 cc) procedendo di persona alla liquidazione dei beni, senza avvalersi della intermediazione del processo esecutivo. A tal fine, l’amministrazione dei beni ceduti spetta ai creditori cessionari (art. 1979 cc) mentre il debitore ha diritto di controllare la gestione e di averne il rendiconto alla fine della liquidazione (art. 1983 cc). In assenza di patto contrario, il debitore è liberato verso i creditori non una volta effettuata la cessione, ma solo nel momento successivo del pagamento e nei limiti dello stesso (art. 1984 cc). Il debitore può recedere dal contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi a coloro con i quali ha concluso la cessione (art. 1985 cc).
La cessione dei beni non presuppone l’insolvenza del debitore, ma soltanto l’esistenza di inadempimenti. Il debitore inadempiente potrebbe liquidare il proprio patrimonio per pagare i creditori con il ricavato; oppure potrebbe avvalersi della cessione, incaricando i creditori di procedere direttamente alla liquidazione. Nella realtà, poiché la cessione implica un notevole sacrificio per il debitore, che rinuncia alla gestione del proprio patrimonio, e rappresenta una modalità irregolare di soddisfacimento dei crediti (che dovrebbero essere esattamente adempiuti, e non estinti attraverso la liquidazione dei beni del debitore), il debitore è indotto a questo contratto solo quando si trova nella condizione dell’insolvenza, ed è sottoposto alle azioni esecutive dei creditori, che tenta di fronteggiare con la cessione. Tanto più che nella pratica il risultato del contratto di cessione dei beni è abbastanza equivalente a quello di una procedura concorsuale sull’insolvenza: il concordato preventivo di cessione dei beni (art. 114 cci), che determina effetti di spossessamento a carico del debitore.
Resta il fatto che la cessione non è disciplinata in ragione dell’insolvenza del debitore: perciò appare un rimedio eccessivo in caso di semplici inadempimenti. Nella sua vicinanza al concordato liquidatorio non si presenta, inoltre, come un rimedio contrattuale efficace per superare l’insolvenza, giacché la conclusione di contratti di composizione del debito dovrebbe essere funzionale a raggiungere gli stessi risultati del concordato preventivo di liquidazione ma con costi minori per il debitore. 
Questa sostanziale equivalenza di effetti con il concordato ha determinato l’insuccesso pratico della cessione dei beni a vantaggio di altre figure contrattuali: alcune vive nella prassi (accordi stragiudiziali) altre disciplinate dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (accordi su piani attestati, accordi compositivi della crisi, accordi di ristrutturazione dei debiti, convenzione di moratoria). Si tratta di contratti appositamente pensati per far fronte al problema dell’insolvenza, e aventi la funzione preliminare di ristrutturare il debito (e quella, eventuale, di ristrutturare anche l’impresa).
11 . Accordi e concordati stragiudiziali
La figura tradizionale dei contratti di ristrutturazione del debito compatibili con la ristrutturazione anche dell’impresa è atipica; essa è denominata concordato stragiudiziale o, al plurale, e per sottolineare la natura contrattuale, accordi stragiudiziali[31]. L’operazione economica è composta da un fascio di contratti tipici e atipici, stipulati dal debitore da un lato e dai creditori dall’altro[32].
Queste operazioni economiche sono frutto della elaborazione di prassi condivise[33]; esse sono concepite come strumenti per scongiurare l’apertura di una procedura concorsuale in pregiudizio del debitore. Abbiano accennato che tradizionalmente si pensava che l’accordo dovesse coinvolgere tutti i creditori, poiché solo un accordo totalitario – nelle forme del contratto plurilaterale – potrebbe scongiurare l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale (si parla, pertanto, di concordato stragiudiziale). Ma sappiamo che la causa di far cessare o di evitare la procedura concorsuale potrebbe essere affidata anche a una pluralità di accordi, convergenti nel fine ma conservanti ognuno la propria individualità (si parla, in tal caso, di accordi stragiudiziali)[34]. 
L’idea della partecipazione di tutti i creditori, da tempo superata anche in giurisprudenza[35], dipendeva dalla suggestione esercitata, sulla figura contrattuale, da una procedura concorsuale: il concordato preventivo. L’opinione traeva origine da un’idea tradizionale e diffusa secondo cui come nel concordato preventivo si realizza l’intesa tra massa dei creditori concorsuali (che a maggioranza approvano la proposta concordataria) e debitore, così chiudendosi un contratto tra gli uni e l’altro, non dissimilmente fuori dalla procedura di concordato il contratto dovrebbe riguardare il debitore da un lato e tutti i suoi creditori dall’altro. Mentre il concordato realizzerebbe un contratto di tipo giudiziale (perché concluso nell’ambito di una procedura giudiziale) il contratto concluso fuori dalla procedura avrebbe natura ‘stragiudiziale’[36].
Prescindiamo da ogni considerazione sulla natura giuridica del concordato preventivo, per riflettere che qualsiasi contratto, in quanto tale, è normalmente concluso fuori dal processo. Pertanto, non ha molto senso qualificare un contratto come ‘stragiudiziale’. Se i vecchi commentatori non se ne avvidero fu perché il mondo del diritto fallimentare era costituito, sin dalle origini, da procedure piuttosto che da atti di autonomia privata. È importante avere ben presente questo fatto per comprendere davvero la difficoltà con cui la pratica contrattuale si è progressivamente affermata in questo settore giuridico. 
Il concordato o gli accordi sono detti stragiudiziali perché conclusi tra debitore e creditori sul mercato, non semplicemente senza prevedere il coinvolgimento del giudice, ma più precisamente senza prevedere l’apertura di una procedura di natura concorsuale[37]. 
Rispetto alla cessione dei beni ai creditori, questi contratti esprimono una causa più complessa, connessa alla ristrutturazione del debito, anche attraverso la liquidazione del patrimonio e la cessazione dell’attività economica. 
L’utilità di questi contratti si accentua, infatti, quando non si tratta, semplicemente, di cedere il patrimonio ai creditori, ma di accordarsi con essi per coniugare il pagamento dei debiti con la prosecuzione dell’attività economica. Il risultato si raggiunge non soltanto proponendo ai creditori la cessione di alcuni beni, ma anche pagamenti parziali e dilazioni di pagamento. 
Gli accordi stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti possono essere molto utili al superamento del problema dell’insolvenza, e presentano minori inconvenienti rispetto alla cessione dei beni poiché non privano il debitore dell’amministrazione del suo patrimonio. Essi sono perseguiti soprattutto dalla grande impresa[38]. Una particolare modalità è data dalle convenzioni bancarie, in cui il ceto bancario guida la ristrutturazione concordando interventi a sostegno della finanza dell’impresa[39]. 
Tuttavia, il debitore che cerchi di concludere questi contratti incontra tre ordini di rilevanti difficoltà. 
La principale difficoltà consiste nella inopponibilità degli accordi stragiudiziali ai creditori terzi. Cosicché il successo dell’accordo dipende dalla capacità del debitore di riscuotere la fiducia del maggior numero possibile di creditori, in modo da rendere solida la prospettiva del superamento della insolvenza. 
Una seconda difficoltà è data dal fatto che i creditori rimasti estranei anziché rimanere inattivi possono avviare azioni cautelari ed esecutive sul patrimonio del debitore, compromettendo la conclusione degli accordi. 
Gli accordi stragiudiziali sono infine resi difficili per il rischio, a cui si espongono le parti, di subire l’azione revocatoria promossa dai creditori rimasti estranei all’accordo tutte le volte che l’insolvenza del debitore non sia superata e sia aperta una procedura di liquidazione giudiziale.
C’è poi da considerare il disposto dell’art. 2086 cc, che stabilisce il dovere del debitore di adottare uno degli strumenti di regolazione della crisi previsti dalla legge; il che potrebbe indurre a rischi di azioni di responsabilità per gli autori di accordi stragiudiziali che non hanno successo.
12 . Accordi su piani attestati
Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza disciplina, innanzitutto, gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento stabilendo che l'imprenditore in stato di crisi o di insolvenza può predisporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Sulla base di questo programma aziendale, il debitore può realizzare atti giuridici che diano attuazione al piano: atti unilaterali o contratti. Questi atti devono essere provati per iscritto e devono essere forniti di data certa (art. 56). 
Può concludere tali contratti il debitore che eserciti una impresa. Il rimedio è previsto non soltanto per l’imprenditore commerciale, ma anche per l’imprenditore agricolo; non è riservato agli imprenditori sottoponibili a liquidazione giudiziale ma anche agli imprenditori che, conducendo imprese di dimensioni modeste, vi restano sottratti. L’imprenditore deve trovarsi in stato di crisi o di insolvenza e deve perseguire lo scopo di superare quella condizione, ottenendo il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa (attraverso rinunce dei creditori al pagamento integrale e dilazione sui tempi di pagamento del restante) e ad assicurare il riequilibrio della situazione economica e finanziaria (e dunque il ritorno al valore dell’attività)[40]. 
Questa è la causa degli accordi; la funzione del risanamento dei debiti e del riequilibrio dell’impresa è ottenuta basando gli accordi su una strategia formalizzata in piano aziendale attestato fornito di data certa[41]. 
Se ci interroghiamo sulla natura giuridica dello strumento traiamo risposta già dalla rubrica dell’ art. 56 cci: «Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento». L’istituto è composito: vi sono gli accordi o gli atti unilaterali conclusi per il superamento della insolvenza); vi è poi il piano; vi è infine la relazione attestativa.
Gli atti unilaterali e i contratti ripetono la loro disciplina nel codice civile (precisamente, nel libro delle obbligazioni e dei contratti).
Il piano è disciplinato nel codice settoriale. Esso è composto da un nucleo aziendalistico, da una componente di natura non giuridica ma aziendale, che è data dal programma di ristrutturazione inteso in senso stretto (ossia come strategia aziendale di ritorno al valore). A questa si aggiunge una componente esclusivamente giuridica, ossia non riferibile al piano quale documento aziendale ma al piano quale istituto giuridico. Infatti il piano deve possedere un contenuto minimo ed indicazioni utili non tanto alla verifica della risanabilità dell’impresa, quanto alla tutela dei creditori. Nel piano deve essere descritta la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa; devono essere chiarite le principali cause della crisi; devono essere rese informazioni sui creditori vecchi e nuovi; deve essere formulata la strategia d’intervento, devono essere indicati i tempi necessari per il risanamento dei debiti. Tutte queste indicazioni sarebbero state necessarie anche qualora non fossero stati espressamente previste nel codice. Senza di esse il piano aziendale non sarebbe per definizione adeguato, e dunque suscettibile di ricevere il controllo sulla veridicità del dato aziendale e il giudizio sulla possibilità che il programma sia eseguito con successo.
Anche la relazione attestativa, che è il terzo elemento del composito istituto, si sviluppa da un nucleo aziendalistico ma espone anche profili schiettamente giuridici. La certificazione sulla veridicità dei dati aziendali e il giudizio sulla fattibilità delle operazioni di ristrutturazione sono i due elementi di cui si compone l’istituto, finalizzato anch’esso alla verifica della realizzabilità del programma di ristrutturazione nella preoccupazione della tutela dei creditori.
Ecco come piano aziendale di risanamento, relazione attestativa e infine atti unilaterali o contrattuali di attuazione costituiscono altrettante componenti essenziali dell’istituto[42]. 
13 . Segue. Elementi del piano attestato
Dunque, in primo luogo, nel piano devono essere esposte le principali cause della crisi. Poiché crisi significa sia insolvenza prospettica (riferita al soggetto) sia malfunzionamento dell’attività (riferita all’impresa oggettivamente considerata), nel piano – che è un documento aziendale, e deve necessariamente tenere distinta la condizione del soggetto da quella dell’attività – debbono essere indicate le criticità che compromettono lo svolgimento dell’attività d’impresa sul piano economico, patrimoniale e finanziario e le cause dell’insolvenza, incipiente o definitiva. Questa distinzione consente una migliore comprensione delle cause del problema. Sappiamo che la crisi d’impresa può determinare insolvenza dell’imprenditore; ma può accadere anche il contrario: le cause del malfunzionamento dell'attività potrebbero dipendere da un tracollo finanziario dell'imprenditore, dovuto a cause diverse dal funzionamento dell’impresa. A seconda dei casi, dovrà essere adottata una diversa strategia di recupero.
Quanto alle informazioni sui creditori, debbono essere indicati: i creditori e l’ammontare dei crediti e di cui si richiede la rinegoziazione, oltre allo stato in cui si trova la trattativa; i creditori estranei nella trattativa, l’ammontare dei loro crediti e l'indicazione delle risorse destinate al regolare adempimento degli stessi; i nuovi creditori, apportatori della nuova finanza necessaria alla realizzazione del piano. Il riferimento ai crediti e ai creditori integra il profilo finanziario della pianificazione. In primo luogo devono essere indicati i creditori coinvolti nelle trattative; in secondo luogo i creditori estranei. Poiché nei loro confronti il contratto non produce nessun tipo di effetto, occorre indicare anche la disponibilità delle risorse per l’esatto adempimento dei crediti alla scadenza. Infine devono essere indicati i nuovi creditori: coloro che non sono ancora tali ma che lo diventeranno in esecuzione del contratto, versando finanziamenti per l’esecuzione del programma.
Devono inoltre essere pianificati ed esposti i tempi per le azioni da compiersi e gli strumenti da adottare nel caso in cui, durante l’esecuzione del piano, si verifichino discostamenti dagli obiettivi prestabiliti (per es., clausole sulla rinegoziazione degli impegni). All’indicazione dei tempi di realizzazione di ciascuna fase del programma deve aggiungersi la previsione degli strumenti da adottare per l’adeguamento della pianificazione alle sopravvenienze che altrimenti potrebbero compromettere l’esito positivo del programma. Potrebbe trattarsi di sopravvenienze esogene, relative alle condizioni generali di mercato (che potrebbero modificarsi rispetto alle previsioni); oppure di sopravvenienze endogene, relative alle partecipazioni al programma di ristrutturazione (compreso il mancato adempimento dell’accordo da parte di uno o più creditori).
14 . Segue. Limiti del regime protettivo
A differenza di quanto capita per gli accordi stragiudiziali, gli accordi esecutivi di piani attestati sono posti al riparo dalle azioni revocatorie in caso di insuccesso delle operazioni di ristrutturazione fondate su tali accordi e sul piano attestato. Il piano chiarisce la funzione economica dell’operazione: ossia il superamento della crisi e dell’insolvenza dell’imprenditore. 
I contratti e gli atti unilaterali tra vivi attuativi del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa. La forma scritta è per la prova in quanto finalizzata al requisito della data certa. La data certa consente di superare sorto l’aspetto temporale il problema dell’esposizione all’azione revocatoria in caso di insuccesso.
Resta il fatto che gli accordi soffrono il limite – intrinseco al contratto in generale – di valere solo per le parti e di non anche per i terzi; con la conseguenza di poter essere compromessi dalle azioni esecutive e cautelari.
Va poi osservato che, a differenza di quanto previsto per gli accordi conclusi nella composizione assistita della crisi, non sono previsti effetti sulla disciplina societaria circa i doveri di riduzione del capitale sociale e di ricapitalizzazione se esso scende sotto i limiti legali. Queste agevolazioni presuppongono infatti la dichiarazione della crisi in una procedura pubblica, anche di natura non giurisdizionale. Gli accordi sui piani attestati sono invece conclusi sul mercato e di essi hanno notizia soltanto il debitore e i creditori interessanti (in quanto la pubblicazione degli accordi, del piano e della relazione attestativa nel registro delle imprese è rimessa alla scelta del debitore).
La esclusione del tribunale determina ulteriori limitazioni: non può essere concessa finanza nel regime processuale della prededuzione né possono essere accordate misure cautelari e protettive.
15 . Accordi di ristrutturazione dei debiti
Producono effetti nei confronti dei terzi gli accordi di ristrutturazione dei debiti, per i quali è prevista una fase di omologazione davanti al tribunale (artt. 57-64 cci). Essi costituiscono la figura più rilevante di contratti di ristrutturazioni previsti dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. L’inserimento dell’accordo in una procedura giudiziale di omologazione che ne verifica l’utilità per i creditori consente di aggiungere, all’esenzione dall’azione revocatoria per gli atti esecutivi, anche effetti verso i terzi. In primo luogo, effetti protettivi e interinali nella fase delle trattative e della omologazione, in cui gli accordi sono protetti dalle azioni esecutive e cautelari. In secondo luogo, effetti finali e sostanziali nei confronti dei creditori estranei all’accordo, che subiscono dilazioni e a volte pagamenti solo parziali[43]. 
Il codice detta regole generali sugli accordi di ristrutturazione dei debiti e discipline diverse a seconda delle specifiche tipologie di accordi, nelle quali i vantaggi della esenzione dall’azione revocatoria e della estensione degli effetti ai terzi si intensificano progressivamente, in ragione dell’obiettivo della preservazione dell’impresa. In conformità con la natura contrattuale dell’istituto, non si prevedono particolari regole contenutistiche, lasciate all’autonomia negoziale delle parti[44].
Caratteristica fondamentale degli accordi di ristrutturazione è di essere regolati non soltanto da norme sostanziali, ma anche da norme processuali. Tali accordi sono infatti inseriti in una procedura giudiziale. Le regole processuali concernono l’omologazione dell’accordo.
Mentre la fase delle trattative avviene sul mercato (fatta salva l’eventualità della richiesta di misure protettive), ed ha pertanto carattere per così dire stragiudiziale, invece la fase dell’efficacia costitutiva di tali accordi ha carattere processuale, e si conclude con l’omologazione[45].
La sottoposizione dell’accordo di ristrutturazione e del piano posto alla base alla procedura di omologazione consente la preventiva verifica giudiziale, nel contraddittorio con tutti gli interessati, della condivisibilità del percorso di ristrutturazione[46]. 
Inoltre, il giudizio di omologazione e la possibilità attribuita ai creditori estranei di opporsi in quel giudizio all’accordo, consente la verifica della convenienza della proposta anche per i creditori terzi, e giustifica conseguentemente l’estensione di alcuni effetti dell’accordo anche a costoro.
Circa le regole generali, legittimato a concludere accordi di ristrutturazione dei debiti è l’imprenditore, anche non commerciale, di dimensioni non modeste, che versi in condizioni di crisi o di insolvenza. L’ambito soggettivo è più ristretto rispetto a quello previsto per gli accordi su piani attestati, fruibili anche dai piccoli imprenditori.
Un’altra regola di rigore è che gli accordi devono essere raggiunti con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti. 
I creditori estranei hanno diritto al pagamento integrale, ma non secondo i tempi previsti dalla fonte del credito, bensì nei limiti di una dilazione stabilita nel codice. Gli accordi devono infatti essere idonei ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei entro centoventi giorni dall’omologazione per i debiti scaduti; e dalla scadenza per i debiti non ancora scaduti.
La possibilità di imporre una dilazione dei termini di pagamento ai creditori rimasti estrani determina una eccezione alle regole generali del contratto, che vale come legge solo fra le parti e non produce nei confronti dei terzi alcun effetto (art. 1372 cc) eccettuati gli effetti favorevoli (art. 1411 cc).
Come per gli accordi su piano attestati, un professionista indipendente deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano. Ma l’attestazione deve specificare anche l'idoneità dell'accordo e del piano ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini dilazionati previsti dal codice.
L’imprenditore che avvii trattative su accordi di ristrutturazione può richiedere al tribunale misure protettive temporanee, inclusa la nomina di un custode del patrimonio del debitore, idonee a paralizzare l’aggressione dei creditori e ad assicurare provvisoriamente gli effetti che discenderebbero dall’omologazione (art. 54 cci). 
Se il debitore rinuncia a questa protezione e non propone il pagamento dilazionato per i creditori terzi, la percentuale del sessanta per cento dei crediti stabilita nell’art. 57 cci per aversi accordo omologabile è ridotta della metà. In tal caso si parla di accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 cci). L’agevolazione è concessa in considerazione della fiducia di cui il debitore ancora gode sul mercato, e della modesta gravità della difficoltà economica (che non gli impedisce di pagare i creditori estranei alla scadenza). 
Il codice regola all’art. 59 anche la posizione dei creditori e dei soci illimitatamente responsabili, ribadendo le regole civilistiche generali. Come prevede l’art. 1239 cc, se il creditore garantito da un fideiussore libera in tutto o in parte il debitore principale (con cui conclude l’accordo di ristrutturazione), lo stesso effetto si produce nei confronti del fideiussore, che resta obbligato nei limiti del debito non rimesso. Invece, nel caso in cui l'efficacia degli accordi sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, che potranno essere richiesti del pagamento nonostante le dilazioni di cui può giovarsi il debitore principale. 
Inoltre, salvo patto contrario, gli accordi di ristrutturazione della società hanno efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i quali, se hanno prestato garanzia, continuano a rispondere per tale diverso titolo, salvo che non sia diversamente previsto.
Infine, per gli accordi di ristrutturazione, in quanto sottoposti ad omologazione, sono previsti gli effetti sulla disciplina societaria circa i doveri di riduzione del capitale sociale e di ricapitalizzazione se esso scende sotto i limiti legali. 
16 . Segue. Sopravvenienze e rinegoziazione
Nel nostro ordinamento il problema dell’adeguamento del rapporto contrattuale alle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili è gestito, nel codice civile, con una disposizione inadeguata: che prevede la richiesta di risoluzione del contratto ad opera della parte svantaggiata dalla eccessiva onerosità verificatasi in corso di esecuzione degli impegni a cui può resistere la controparte offrendo di ricondurre il contratto ad equità (art. 1467). Il problema non è rimesso alle parti, che potrebbero provvedere subito se opportunamente persuase da un espresso obbligo legale di riequilibrare il contratto, ma è posto nelle mani del giudice. È dunque inserito nello schema del processo, con tutte le difficoltà le rigidità e i lunghi tempi che questo comporta. 
Tuttavia, avviare nuove trattative sugli impegni presi significa prendere sul serio quegli impegni e comprendere lo spirito di collaborazione che presiede all’obbligo di rispettare le promesse. Le promesse assunte in contesti economici e per scopi economici devono essere onorate secondo lo svolgersi ragionevole delle relazioni economiche. Altrimenti pretenderebbero rispetto in forza del puro valore dell’impegno assunto, disconnesso dalla realtà dei fatti e dalle ragioni che spinsero le parti ad assumerlo. In questa eventualità, la contrattazione e l’assunzione di impegni perderebbero il senso strumentale rispetto alla relazione economica, senza poter rivendicare un incomprensibile finalismo autonomo (i contratti si stipulano per regolare rapporti patrimoniali, e non per assumere impegni astratti dalla realtà economica). 
Parte della dottrina, sullo studio pionieristico di Francesco Macario, sostiene la predicabilità di un obbligo di rinegoziare, fondato sulla buona fede oggettiva. Altri dissentono[47]. Nel codice settoriale questo problema, grave nel caso degli accordi per il superamento dell’insolvenza, è assoggettato ad apposita disciplina. Essa è resa necessaria da una specifica complicazione. Negli accordi di ristrutturazione il problema delle sopravvenienze esogene ed endogene che rendono necessario apportare modifiche al piano aziendale e agli accordi attuativi non può essere risolto semplicemente con la previsione di strumenti adeguati nel piano. Questi accordi sono sottoposti ad omologazione prima di divenire efficaci. La modificazione non riguarderebbe, come capita per gli accordi attuativi di piani attestati, l’accordo e il piano, ma accordi e piani omologati dal tribunale: cioè verificati attraverso l’adozione di un provvedimento del giudice in cui sono state valutate anche le eventuali opposizione dei creditori dissenzienti.
Perciò l’art. 58 cci detta una disciplina apposita. Si prevede che, se prima dell'omologazione intervengono modifiche sostanziali del piano o degli accordi, l'attestazione deve essere rinnovata, così come deve essere rinnovato il consenso dei creditori che partecipano agli accordi. Ma lo stesso vale anche per gli accordi su piani attestati.
La differenza si pone quando le modificazioni riguardano accordi e piani omologati. Qualora dopo l'omologazione si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l'imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l'esecuzione degli accordi, e l’attestazione deve essere rinnovata. Il piano modificato e l'attestazione sono pubblicati nel registro delle imprese e della pubblicazione è dato avviso ai creditori, che possono presentare opposizione affermando che il nuovo piano non appare idoneo allo scopo di superare la crisi o l’insolvenza. In tal caso di apre un nuovo giudizio sull’omologazione.
Il codice non dice cosa capiti se devono essere modificati, insieme al piano, anche gli accordi. Vediamo che il codice prende atto della differenza che si pone tra accordo di ristrutturazione concluso ma non ancora omologato e accordo omologato. Nel primo caso, la rinegoziazione dell’accordo è disciplinata nella logica del contratto[48]; l’unico effettivo apporto concettuale contenuto nella regola è nella imposizione di una nuova pianificazione della ristrutturazione a cui dar seguito con i contratti rinegoziati. La situazione normativa cambia nel caso in cui l’omologazione sia già intervenuta e il contratto sia coperto dal provvedimento del giudice. Adesso il debitore è autorizzato a porre le modificazioni necessarie agli accordi, dotandosi sempre di una relazione attestativa. Ai creditori è riservata la tutela generalmente prevista per i creditori dissenzienti in sede di omologazione: l’opposizione.
Ma tutto ciò può valere anche nel caso di modificazione degli accordi? Se la risposta fosse affermativa, i creditori a cui sarebbe riservato esclusivamente il potere di opposizione non sarebbero i creditori dissenzienti, bensì creditori che hanno acconsentito ad un contratto omologato che richiede di essere modificato. La compressione della volontà e dei diritti di questi creditori nel contratto sarebbe davvero intensa, in quanto il debitore sembrerebbe autorizzato dalla legge all’esercizio di un non limitato potere unilaterale di variazione delle condizioni contrattuali a cui i creditori sarebbero tenuti a soggiacere, fatto salvo il rimedio processuale dell’opposizione. Se questa fosse la regola, si realizzerebbe una compressione notevolissima dei diritti dei creditori in nome della ristrutturazione. 
Il piano potrebbe prevedere sia riduzioni delle percentuali di pagamento concordate sia impegni aggiuntivi per i creditori, come la concessione di nuovi finanziamenti (in via diretta, attraverso erogazione di denaro, o invia in diretta, attraverso ulteriore dilazione dei termini di adempimento). In ogni caso, modificazioni dell’impegno dei creditori escluse persino nei concordati, che sono procedure fondate sulla deliberazione e non sul consenso.
Sembra allora di gran lunga preferibile concludere che se la modificazione non si limita al piano omologato, ma investe anche gli accordi attuativi, occorre acquisire nuovamente il consenso dei creditori, che altrimenti restano obbligati alle condizioni iniziali, a cui hanno prestato consenso. Sul piano pratico, la tesi della possibilità della modificazione unilaterale del contratto di ristrutturazione omologato esporrebbe i creditori aderenti a un rischio non preventivabile e renderebbe non conforme alla sana e prudente gestione dell’impresa che eventualmente amministrano di prendere parte agli accordi di ristrutturazione dei debiti[49]. 
17 . Convenzione di moratoria
Una tipologia di accordi di ristrutturazione è la convenzione di moratoria (art. 62 cci), che contiene sia i caratteri del concordato stragiudiziale che quelli dei pacta de non petendo. Con questo contratto concluso fra l’imprenditore e suoi creditori sono regolati in via provvisoria gli effetti della crisi d’impresa. Il contratto ha per oggetto la dilazione dei pagamenti e la rinuncia o la sospensione delle azioni esecutive e conservative da parte dei creditori, ma può anche riguardare la esecuzione di nuove prestazioni e la concessione di finanziamenti. Dunque, l’espressione ‘convenzione di moratoria’ è imprecisa, perché non raccoglie tutti i possibili contenuti dell’accordo ammessi dalla legge.
In ogni caso, il contenuto fondamentale, la dilazione dei pagamenti, rivela la causa del contratto: di ristrutturare il debito per ristrutturare anche l’impresa. Qui l’obiettivo della ristrutturazione dell’attività economica non è più semplicemente eventuale e aggiuntivo (come negli accordi attuativi di piani attestati e negli accordi di ristrutturazione dei debiti in generale), ma diventa, ancorché implicitamente, l’obiettivo centrale del contratto.
Caratteristica fondamentale di questo contratto è la deroga alla regola per cui l’accordo non produce effetto rispetto ai terzi (artt. 1372 e 1411 c.c.). La legge stabilisce infatti a quali condizioni taluni effetti, ossia la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito, possono essere prodotti anche verso i terzi[50]. 
È necessario che i creditori siano suddivisi in categorie omogenee per posizione giuridica ed interessi economici (banche, fornitori, professionisti, ecc.) e che tutti i creditori siano messi al corrente delle trattative in corso e messi in condizioni di parteciparvi in buona fede, ricevendo informazioni complete ed aggiornate sollo stato dell’impresa e una relazione attestata da un esperto indipendente sulla veridicità dei dati aziendali e sulla idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi. 
Perché si producano gli effetti estensivi della convenzione ai creditori estranei, è inoltre necessario che alla stessa aderisca il settantacinque per cento dei creditori per ogni categoria, e che vi siano concrete prospettive che i creditori estranei possano ricevere un trattamento migliore a quello ipotizzabile in caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale.
La prima condizione, estremamente severa, riguarda la percentuale minima della debitoria che deve essere coinvolta nella dilazione. L’elevazione di questa percentuale dal sessanta al settantacinque per cento mentre rende molto più difficile il raggiungimento del consenso, assicura d’altro canto una probabilità più elevata che la convenzione di moratoria raggiunga lo scopo del recupero dell’equilibrio economico e finanziario.
La seconda condizione spiega la regola della formazione delle categorie omogenee di creditori. La considerazione dei creditori in gruppi omogenei tende ad uniformare l’offerta contrattuale. Negoziare considerando categorie di creditori piuttosto che i singoli creditori implica di valorizzare gli elementi oggettivi del profilo giuridico ed economico dei crediti piuttosto che il rapporto specifico che corre fra il debitore e il singolo creditore. La categorizzazione dei creditori incoraggia la standardizzazione dell’offerta, ossia la valutazione della stessa non rispetto al singolo creditore che acconsente, ma rispetto al l’intera categoria a cui quel creditore appartiene. 
La standardizzazione dell’offerta facilita la verifica che vi siano concrete prospettive per i creditori estranei di ricevere un trattamento migliore rispetto a quello ipotizzabile in caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale. L’estensione a questi ultimi, tra i vari trattamenti previsti, di quello più favorevole, è un presupposto logico per la conclusione circa la convenienza, anche per tali creditori, della convenzione a cui non hanno ritenuto di aderire rispetto all’alternativa liquidatoria. 
Un professionista indipendente deve attestare non soltanto la veridicità dei dati aziendali e l'idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi ma anche la convenienza della moratoria per i creditori rimasti estranei.
18 . Segue. Limiti dell’effetto estensivo
L’effetto estensivo dell’operazione economica è limitato alla dilazione del pagamento e alla sospensione o rinuncia alle azioni esecutive. Nondimeno, se si considera che il contenuto del contratto si incentra proprio sulla dilazione di pagamento (a cui posso accompagnarsi altri contenuti eventuali), si comprende come ai terzi sia esteso proprio tale contenuto caratterizzante. Mentre negli accordi di ristrutturazione dei debiti in generale l’effetto della dilazione non è deciso dal debitore ma è fissato dalla legge, e al debitore è concesso solo di rinunciarvi (per avvantaggiarsi delle condizioni previste per gli accordi agevolati); invece nella convenzione di moratoria i termini della dilazione sono stabiliti dalle parti ed estese ai terzi.
Non possono invece essere imposti ai creditori estranei gli ulteriori patti conclusi con i creditori aderenti alla convenzione, aventi per oggetto l’esecuzione di nuove prestazioni o la concessione di nuovi finanziamenti. Dunque il contenuto del contratto si estende ai terzi nei limiti della dilazione e della sospensione dei poteri di autotutela. La posizione creditoria estranea alla convenzione non è intaccata circa l’ammontare del credito. A maggior ragione, ai terzi non si estendono gli ulteriori impegni contenuti nell’accordo come l'esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l'erogazione di nuovi finanziamenti. 
Possiamo affermare più in generale che l’effetto estensivo è limitato ad alcuni profili della composizione del debito, e non investe la ristrutturazione dell’impresa, che presupporrebbe anche l’estensione di accordi ulteriori, quali quelli sul trattamento dei creditori circa l’oggetto e la percentuale di soddisfacimento del credito.
Circa la tutela dei creditori estranei, è previsto che la convenzione e la relazione del professionista sia comunicata ai creditori non aderenti e che, entro trenta giorni dalla comunicazione, essi possano proporre opposizione avanti al tribunale. Il tribunale decide sulle opposizioni in camera di consiglio con sentenza, reclamabile davanti alla corte di appello.
19 . Accordi ad efficacia estesa
In questa tipologia di accordi di ristrutturazione, disciplinata dall’art. 61 cci, la prosecuzione dell’attività di impresa è presa nella massima considerazione. La funzione degli accordi con efficacia estesa è espressamente di ristrutturare, insieme al debito, l’impresa. Ecco perché si prevede che questi accordi abbiano carattere non liquidatorio e prevedano la prosecuzione dell’attività di impresa[51]. 
Soddisfatte queste condizioni, è possibile applicare il contenuto dell'accordo ai creditori rimasti estranei. Non soltanto nei limiti delle dilazioni di pagamento, come accade con la convenzione di moratoria, ma anche con riguardo all’offerta complessiva di soddisfacimento dei crediti.
L’istituto generalizza la disciplina dell’art. 182 septies lf, ispirato alla procedura di sauvegarde financière accélérée (artt. L. 628-1 à L. 628-7 ccomm.).
Perché si produca l’effetto estensivo occorre, come già visto per la convenzione di moratoria, che l’accordo sia rivolto a creditori raggruppati in categorie omogenee in considerazione della posizione giuridica e degli interessi economici e che la somma delle posizioni dei creditori aderenti appartenenti a ciascuna categoria rappresenti il settantacinque per cento di tutti i crediti di quella categoria; anche qui è richiesto inoltre che tutti creditori siano messi in condizioni di partecipare alle trattative in buona fede e nel possesso delle necessarie informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa; è richiesto, infine, che i creditori non aderenti a cui vengono estesi gli accordi ricevano un soddisfacimento del credito di misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.
I creditori estranei possono opporsi alla omologazione dell’accordo, contestando la ricorrenza, nel caso concreto, delle esposte condizioni di legge. Se l’accordo viene omologato, produce i suoi effetti estensivi. Come accade per la convenzione di moratoria, tali effetti si limitano al soddisfacimento del credito e non riguardano le ulteriori prestazioni eventualmente previste per i creditori aderenti all’accordo.
In questa tipologia si realizza l’effetto estensivo massimo degli effetti del contratto nei confronti dei terzi previsto nel nostro ordinamento.
Circa la posizione del creditore garantito da un fideiussore, che non ha partecipato all’accordo e ne subisce l’estensione degli effetti, costui conserva impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, che potranno essere richiesti del pagamento nell’ammontare e nei termini inizialmente stabiliti per il debitore principale (art. 59 cci).
20 . La figura dei contratti-concordati
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa e la convenzione di moratoria, come tutti i contratti di ristrutturazione, coinvolgono di norma oltre al debitore e ai creditori anche soggetti terzi, che partecipano a vario titolo alla ristrutturazione: come gli acquirenti o gli affittuari di rami di azienda. L’estensione degli effetti dell’accordo è limitata tuttavia ai creditori. Infatti essa ha per oggetto la conformazione del debito, che subisce delle modificazioni cerca il tempo e la percentuale di pagamento.
In queste figure si realizza, è stato detto, una collettivizzazione della crisi, i cui effetti e la cui strategia di soluzione investono soggetti che vorrebbero restarne esclusi[52]. In esse ricorrono infatti, in un complesso equilibrio, in primo luogo, la struttura della decisione propria del contratto, data dal consenso; poi, la suddivisione dei creditori in gruppi omogenei, propria delle procedure concorsuali deliberative; inoltre, la fissazione di percentuali di condivisione della proposta all’interno di ciascun gruppo, propria delle procedure concorsuali deliberative; infine, i rimedi di tipo oppositivo a tutela dei creditori rimasti estranei all’intesa, operativi negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei concordati coattivi. 
Possiamo dire che in questi istituti giunge a compimento quella che è stata detta la graduale convergenza tra disciplina degli accordi di ristrutturazione dei concordati preventivi, pur rimanendo ferma la soglia insuperabile della diversa struttura della decisione: consenso da un lato, deliberazione dall’altro[53].
L’elemento determinante è dato dal consenso. All’interno di ciascun gruppo omogeneo di creditori non si realizza una deliberazione maggioritaria, ma si concludono contratti. Non opera, pertanto, il principio della parità di trattamento dei creditori, chiamati a pronunciarsi a maggioranza su una proposta eguale per tutti. Ai creditori possono essere rivolte proposte differenziate oppure una proposta omogenea. In entrambi i casi è necessario che ciascun creditore accetti la proposta. Ai creditori estranei – in deroga alla regola della relatività degli effetti del contratto – viene dunque esteso un accordo. 
21 . Segue. Oggetto dell’effetto estensivo
Sia nella convenzione di moratoria sia negli accordi ad efficacia estesa va bene considerato che l’estensione degli effetti del trattamento agli altri creditori appartenenti alla medesima categoria ma estranei all’accordo pone il problema di quale effetto estendere. 
Se le condizioni dell’accordo sono uguali per tutti i creditori, esse sono estese agli estranei appartenenti alla medesima categoria. 
Se le condizioni sono diverse, per la tutela dei diritti individuali dei creditori rimasti estranei, agli stessi non può che essere riservato il trattamento migliore fra i diversi trattamenti proposti ai creditori appartenenti alla medesima categoria. Dunque, deve essere esteso lo stesso accordo valevole per tutti, in caso di proposta omogenea; il miglior accordo tra tutti negli altri casi. 
Quest’ultima regola non è scritta nel codice, ma discende dalla necessità che ai creditori estranei si ha offerto un trattamento non inferiore a quello reso possibile nella liquidazione giudiziale. Questa condizione presuppone che gli sia offerto un trattamento uguale agli altri oppure il miglior trattamento fra i diversi trattamenti proposti agli aderenti. Se infatti ai creditori estranei venisse offerto un trattamento diverso dal migliore, la loro posizione resterebbe pregiudicata rispetto a quella di altri creditori appartenenti alla stessa categoria. Cosa che non potrebbe accadrebbe nel caso della liquidazione giudiziale, retta dalla regola della parità di trattamento.
22 . Opposizioni all’omologazione
Sappiamo che gli accordi di ristrutturazione devono essere omologati dal tribunale, e che in quella occasione i creditori rimasti estranei possono presentare opposizioni. 
I creditori estranei subiscono direttamente gli effetti di una decisione che non hanno preso, esattamente come accade ai creditori che non sono stati ammessi a deliberare un concordato a struttura coattiva. Ecco perché, esattamente come in quei concordati, il codice prevede il rimedio dell’opposizione all’omologazione. Ai creditori estranei è dunque attribuito l’azione riservata a tutti coloro che restano fuori da decisioni che possono incidere i loro interessi.
Circa l’ambito del controllo giudiziale, si è consolidato un indirizzo giurisprudenziale secondo cui il sindacato del tribunale non è limitato ad un controllo formale della documentazione richiesta, e dunque ad un controllo sulla ritualità (cosiddetto controllo di legalità formale), ma comporta anche una verifica sostanziale sull’esistenza, di condizioni che rendono ragionevole ipotizzare che, in esecuzione degli accordi sia garantito ai creditori estranei all'accordo il pagamento integrale a cui hanno diritto nei tempi previsti dalla legge (cosiddetto controllo di legalità sostanziale)[54]. È questa una verifica sostanziale sul merito economico del piano, intesa ad assicurare il buon esito prospettico della contrattazione: il recupero di solvenza che costituisce la condizione per il rispetto degli impegni verso i creditori estranei. Dunque, oggetto dell’opposizione è, su questo piano sostanziale, l’inadeguatezza del programma al recupero della solvenza. 
Il discorso si fa molto più complesso nel caso degli accordi-concordati, giacché pur con le cautele prima esposte, in questi casi gli accordi-concordati non mirano semplicemente a modificando il patrimonio del debitore (come capita negli accordi di ristrutturazione i cui effetti non si estendono ai terzi), ma per di più mirano a modificare anche il contenuto del diritto del creditore rimasto estraneo. In questa ipotesi il parallelismo con i concordati coattivi, dove tutti i creditori restano esclusi dalla decisione che modifica i loro diritti si fa molto stringente.
Per conseguenza, l’opposizione riservata ai creditori estranei ai contratti-concordati si differenzia da quella prevista per gli estranei agli accordi di ristrutturazione, in quanto ingloba anche contestazioni relative allo specifico trattamento riservato a tali creditori (sulla eguaglianza a quello dei creditori aderenti, sulla differenza negativa rispetto al trattamento conseguibile nella liquidazione giudiziale).
23 . Coobbligati e soci illimitatamente responsabili
L’art. 20 d.l. n. 118 del 2021 ha introdotto l’art. 182-decies lf (destinato a confluire nel cci), dedicato ai coobbligati e ai soci illimitatamente responsabili. Si prevede che ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 cc, sulla liberazione dei fideiussori in caso di remissione del debito. Questa regola sarebbe comunque discesa dal sistema civilistico. Si precisa, di conseguenza, che se l'efficacia degli accordi è estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
Infine, si prevede che, salvo patto contrario, gli accordi di ristrutturazione della società hanno efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i quali tuttavia, se hanno prestato garanzia, continuano a rispondere come garanti.
24 . Transazione fiscale e previdenziale
Nelle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei crediti fiscali, dei contributi previdenziali e assistenziali (art. 63 cci)[55].
In considerazione della particolare natura di tali crediti, e degli interessi pubblici coinvolti, è previsto che il professionista indipendente attestati la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; e che il tribunale riservi una specifica valutazione sulla sussistenza di tale requisito. 
La tutela rafforzata prevista per questi crediti è nel fatto che il trattamento proposto non deve essere semplicemente non peggiore di quello ottenibile nella liquidazione giudiziale, ma deve essere migliore. Solo in tal caso è infatti possibile concludere che l’offerta sia conveniente. È inoltre prevista una procedura che tiene conto della necessità di integrare e disciplinare i poteri discrezionali delle pubbliche amministrazioni coinvolte. 
La proposta, unitamente alla documentazione da allegare agli accordi, è depositata presso gli uffici indicati all'art. 88, comma 3, cci. Alla proposta di transazione deve essere allegata la dichiarazione sostitutiva del debitore che la documentazione di cui al periodo precedente rappresenta fedelmente e integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. L'adesione alla proposta è espressa, su parere conforme della competente direzione regionale, con la sottoscrizione dell'accordo da parte del direttore dell'ufficio. L'assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione. La transazione è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro sessanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti.
25 . Accordi di ristrutturazione e gruppo di imprese
L’art. 284 cci disciplina gli accordi di ristrutturazione conclusi da un gruppo di imprese. È questa la struttura contrattuale di maggiore complessità disciplinata nel nostro ordinamento.
La rilevanza del gruppo si apprezza già sul piano della negoziazione quindi della strutturazione complessiva del piano e della rete di accordi destinati a realizzarlo nelle connessioni con le diverse società coinvolte. Questi aspetti sono affidati alla libertà contrattuale.
Invece, una disciplina apposita è dettata per l’omologazione. Si prevede che la domanda di accesso alla procedura di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti possa essere formulata, con un unico ricorso, da più imprese appartenenti al medesimo gruppo e aventi tutte il proprio centro degli interessi principali nello Stato. Si precisa la regola fondamentale della soggettività di ciascuna impresa (nel senso di imprenditore): resta infatti ferma l’autonomia delle rispettive masse attive e passive.
Come sappiamo, gli accordi di ristrutturazione si basano su un piano aziendale. Esso potrebbe essere unico per l’intero gruppo coinvolto; oppure potrebbe essere presentato un piano per ogni richiedente; nel qual caso i piani potrebbero essere tra di loro variamente collegati oppure ciascuno autonomo dall’latro. Tutto dipende dalle caratteristiche della crisi: in generale e riguardo ad ogni soggettività richiedente. La scelta dipende dalle occasioni di soddisfacimento dei creditori, che devo essere massimizzate. Nella domanda devono pertanto essere esposte le ragioni di maggiore convenienza per i creditori delle singole realtà imprenditoriali del gruppo, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti o infine un piano autonomo per ciascuna impresa. 
Al fine di consentire una verifica di queste ragioni, deve essere resa una informazione analitica sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali esistenti tra le imprese che lo compongono 
Il piano unitario o i piani reciprocamente collegati e interferenti, rivolti ai rispettivi creditori, devono essere attestati da un professionista indipendente e devono indicare (come abbiamo visto per gli accordi su piani attestati), per ciascuna realtà economica: la situazione economica, patrimoniale e finanziaria; le cause della crisi; le strategie di risanamento; l’elenco dei creditori; gli apporti di nuova finanza e i tempi previsti per le operazioni prospettate. 
Si aggiunge che il piano (o i piani) deve essere idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria di ciascuna impresa e ad assicurare il riequilibrio complessivo della situazione finanziaria di ognuna. 
Il tribunale omologa gli accordi di gruppo se dalla valutazione complessiva dell’operazione risulta che i creditori possono essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto accadrebbe nella liquidazione giudiziale.
Vediamo che nella disciplina dell’omologazione sono stabilite precise condizioni che le parti degli accordi sono tenute a rispettare nella organizzazione degli stessi sul mercato in vista dell’omologazione.
L’importanza della disciplina è nella chiara presa d’atto della realtà del gruppo come organizzazione plurisoggettiva di una complessa realtà economica. La previsione si sforza di far aderire il diritto alle esigenze dell’economia, e cerca di elasticizzare al massimo le possibilità realizzative dell’intesa in ragione della morfologia del gruppo, delle cause della crisi, e della diversa incidenza della stessa sulle diverse componenti soggettive del gruppo[56].
26 . Contratti di ristrutturazione e dovere di buona fede
Non solo nel codice civile, ma anche nel codice settoriale la relazione tra debitore e creditori è caratterizzata dal dovere di comportarsi in buona fede. Questo dovere si ribadisce per la fase delle trattative su un contratto di ristrutturazione; nell'esecuzione degli accordi e nell’esecuzione delle procedure di regolazione dell'insolvenza (art. 4 cci). Esso è richiamato nelle trattative sugli accordi ad efficacia estesa e sulla convenzione di moratoria. Nella disciplina sulla composizione negoziata della crisi, destinata a sfociare in caso di successo in un contratto di ristrutturazione, per i creditori finanziari questo generale dovere di condotta nelle trattative si specifica nel dovere di partecipare in modo attivo ed informato, astenendosi dal recedere dal rapporto in corso in considerazione dello squilibrio economico-finanziario del debitore. Dobbiamo aggiungere qualche corollario concettuale.
Dall’esame di questo complesso normativo, in primo luogo, appare chiaro che i doveri gravanti su debitore e creditori nelle trattative non sono soltanto i doveri già analizzati e richiamati nell’art. 4 cci, ma sono anche tutti gli altri doveri man mano evidenziati dalla giurisprudenza nell’interpretazione dell’arti. 1337 cc. Tra di essi, in particolare, vi è, oltre al dovere di non interrompere ingiustificatamente il rapporto, anche quello di informare esaurientemente tutti partecipanti dei vari contenuti degli accordi e di negoziare attivamente in vista della conclusione dell’accordo.
In secondo luogo, appare ugualmente chiaro che tali doveri valgono anche per i soggetti che partecipano a queste operazioni economiche senza rivestire né la posizione del debitore né la posizione del creditore, ma posizioni diverse (come è per l’acquirente dell’azienda o di rami aziendali). La conclusione è imposta dagli assetti del diritto generale, nel quale ciascun partecipante all’operazione economica è tenuto alla buona fede.
In terzo luogo, non sembra dubitabile che i doveri di buona fede non si limitino alla trattativa per la instaurazione del rapporto, ma riguardino anche la rinegoziazione dei rapporti già posti in essere. Ciò è peraltro posto in evidenza dalla disciplina sulla rinegoziazione degli accordi di ristrutturazione (ma vale per gli accordi attuativi di piani attestati, in cui manca la previsione sulla rinegoziazione). La norma generale che presiede a questi casi è nell’1375 cc, sull’esecuzione in buona fede del contratto. 
D’altro canto, queste discipline attualizzano il dovere di buona fede nella fase delle trattative, con ripercussioni sistematiche sul diritto generale dei contratti. Per limitare il discorso alle evidenze più nette, possiamo già osservare che il dovere di buona fede di partecipare alle trattative si qualifica su una caratteristica essenziale, data dalla partecipazione attiva. I creditori, stabilisce il codice, devono essere messe in grado di contribuire attivamente alla trattativa. Chi è chiamato, o si trova, nella trattativa, non può restare indifferente alla posizione in essa assunta, e alle aspettative che suscita nelle controparti. Il dovere di attivarsi nelle trattative è specifico della nostra materia, ma è comunque destinato ad influenzare il discorso sulla buona fede oggettiva in generale. 
Ciò si coglie in particolar modo riflettendo sul dovere di rinegoziare il contratto. Il dato che tale dovere sia disciplinato dal diritto privato in un settore (il diritto dell’insolvenza) di notevole rilievo per i contratti d’impresa – ossia il settore attinente alla riorganizzazione dell’impresa in caso di crisi – non può essere indifferente per il dibattito sulla buona fede nell’esecuzione dei contratti in generale. La tesi sulla sussistenza di un dovere di buona fede nella esecuzione del contratto, consistente nel dovere di rinegoziarne taluni contenuti quando emergono alterazioni significative delle condizioni economiche di base sulle quali si era formato l’accordo, acquisisce persuasività alla luce del diritto positivo dell’insolvenza.
27 . Contratti di ristrutturazione e comunità di pericolo
I contratti di ristrutturazione sono stati introdotti nel diritto positivo e poi ulteriormente configurati con interventi normativi articolati su due piani diversi. Inizialmente le regole conformative degli istituti degli accordi su piani attestati e degli accordi di ristrutturazione dei debiti si sono preoccupate di tutelare le trattative e i contratti tra debitore e taluni creditori finalizzati al superamento della condizione di insolvenza, in modo da rimediare alle carenze dei cosiddetti accordi stragiudiziali ma lasciando intatta la posizione dei creditori estranei. In un secondo momento si sono incrementate le regole volte ad incidere la posizione dei creditori rimasti estranei agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Queste regole sono culminate in quelle costitutive della moratoria e degli accordi ad efficacia estesa: veri e propri contratti-concordati. 
È anche importante sottolineare che con l'introduzione di queste regole ulteriori è stato enfatizzato il ruolo della buona fede oggettiva nelle trattative e nelle esecuzioni degli accordi. Il limite, al momento estremo, di queste disposizioni è nel dovere delle banche di partecipare attivamente alle trattative nell’ambito della composizione negoziata.
In forza di questo secondo ordine di interventi l’intera comunità dei creditori è stata intaccata dalla disciplina dei contratti. Se il debitore avvia una trattativa per la ristrutturazione, il creditore non è semplicemente libero di parteciparvi o di rimanere estraneo, perché sa che sotto diversi profili subirà le conseguenze di questa iniziativa in ogni caso. È dunque incentivato a prendere parte alla contrattazione.
La tecnica seguita per ottenere questa ‘spinta gentile’ è nella deroga alle regole sulla relatività degli effetti del contratto, che vincolano le parti ma non si estendono ai terzi. Nel caso della crisi d’impresa, l’accordo non vale soltanto fra le parti che lo hanno negoziato e concluso ma, sin dalla fase delle trattative, spiega una serie di effetti condizionanti anche nei confronti di una particolare categoria di soggetti terzi: gli altri creditori del comune debitore.
In questo modo l’iniziativa contrattuale realizza un effetto di raccolta e compattamento della comunità di pericolo. Fino a ieri questa comunità si evidenziava all’apertura di una procedura concorsuale e coincideva con l’insieme dei creditori concorsuali, che vedevano depotenziate le possibilità di esercitare i poteri di autotutela del credito poiché erano ricondotti nell’ambito di un destino comune ai fini di un governo razionale della procedura concorsuale. Oggi questa comunità diviene evidente in un momento precedente: all’avvio di un’iniziativa contrattuale del debitore. Tutti i creditori già tali in quel momento subiscono qualche effetto di quell’iniziativa, a cui sono chiamati a partecipare. È, questa, una conseguenza importante del diritto delle ristrutturazioni.

Note:

[1] 
Cfr. Coase The nature of the firm, in “Economica” 1937; Williamson, The economic institutions of capitalism: firms, markets, relational contracting, The Free Press, New York, 1985.
[2] 
Che, nell’art. 1103, comma 2, discorre di ‘contrattazioni commerciali’, inaugurando un uso che in seguito si è diffuso in dottrina.
[3] 
Cfr. Di Marzio, Contratto e impresa in Enciclopedia del diritto. Contratto, diretto da G. D’Amico, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2021, 325 ss.
[4] 
Cfr., già nella filosofia politica, Hobbes Leviatano, Rizzoli, Milano, 2018, I, XIV, 138; nella letteratura giuridica, Roppo, Il contratto, Giuffrè, Milano 2011, 349.
[5] 
Cfr. Di Marzio, Abuso nella concessione del credito, ESI, Napoli, 2004, 51 ss.
[6] 
Queste regole costituiscono gli esempi di maggior rilievo, ma ve ne sono molte altre (cfr. inoltre nel codice civile gli artt. 1943 secondo comma; 1953 n. 2; 1956; 1959; 1626; 1715; 1868). Cfr. Addis, Autotutela contrattuale, in Enciclopedia del diritto. Contratto, cit., 47 ss.
[7] 
Cfr. Di Marzio, Abuso nella concessione del credito, cit., 67 ss.
[9] 
Cfr. Libertini, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 359 ss.
[10] 
Cfr. Stanghellini, La nuova revocatoria fallimentare nel sistema di protezione dei diritti dei creditori, in “Rivista di diritto commerciale”, 2009, 93 s.
[11] 
Cfr. Nati, Del concordato con speciale riguardo al concordato stragiudiziale, Il Foro italiano, Roma, 1936, 220 ss. In giurisprudenza, cfr. Cass. 23 giugno 1943; l’idea ha avuto lungo corso nella giurisprudenza di merito: cfr. Trib. Parma, 4 marzo 1981; Trib. Roma, 22 ottobre 1982.
[12] 
Cfr. Bonelli Del Fallimento. Commento al codice di commercio, III, Vallardi, Milano, 1923, 36 ss.
[13] 
Cfr. Di Marzio Crisi d’impresa, in Enciclopedia del diritto, Annali, V, Giuffrè, Milano, 2012, 517 ss.
[14] 
Cfr. Terranova Il diritto e il suo linguaggio, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020, 515.
[15] 
Cfr. Costa, Procedure di salvataggio delle imprese, azione revocatoria e prededuzione nelle recenti evoluzioni normative, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Fortunato, Giannelli, Guerrera, Perrino, Giuffrè, Milano 2011, 21 ss. Più ampiamente, secondo Cass. 14 Settembre 2021, n. 24725 «Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi».
[16] 
Cfr. Vettori Il contratto sulla crisi d’impresa, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 233 ss.
[17] 
Cfr. Galletti Piani di risanamento e di ristrutturazione, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, 2006, 1195 ss.; Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Giuffrè, Milano, 2011, 121 ss.
[18] 
Cfr. Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Giappichelli, Torino, 2012, 403 ss.
[19] 
Cfr. E. Gabrielli Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 259 ss.; Giannelli Gli accordi di ristrutturazione del debito: spunti per una ricostruzione della fattispecie, in Crisi e insolvenza. In ricordo di Michele Sandulli, Giappichelli, Torino, 2019, 391 ss.
[20] 
I contratti di ristrutturazione possono esibire un nesso di collegamento, con le conseguenze sul chiarimento del contenuto causale di ciascuno (condizionato dalla presenza dell’altro) e sugli effetti che vizi o inefficacia che affliggono un contratto possono determinare sull’altro (cfr. in generale Roppo, Il contratto, Giuffrè, 2011, 368 ss.). Il nesso di collegamento è tuttavia eventuale, giacché ciascun contratto ripete la sua ragione dal nesso attuativo con il programma di ristrutturazione. D’altro canto, proprio questo nesso può diventare significativo quando l’irrealizzabilità del programma porta ragione al disimpegno del contraente (che none segue la prestazione poiché ritiene venuta meno la funzione complessiva della ristrutturazione).
[21] 
Cfr., in generale, Grisi Principio di relatività degli effetti contrattuali, in Enciclopedia del diritto. Contratto, cit., 907 ss.
[22] 
Cfr. Costantino, La gestione della crisi di impresa tra contratto e processo, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 207 ss.
[23] 
Per l’idea che tali contratti costituiscano procedure concorsuali, cfr. Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit.,133 ss.; Delle Monache, Profili dei “nuovi” accordi di ristrutturazione dei debiti, in “Rivista di diritto civile”, 2013, 548 ss.; Cass. 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass. 24 maggio 2018, n. 12965. Per queste tesi la procedura può dirsi concorsuale quando «la cifra della moderna concorsualità, regolata dal diritto della crisi e dell'insolvenza, sembra essersi ridotta a tre profili minimali – i) una qualsivoglia forma di interlocuzione con l'autorità giudiziaria, con finalità quantomeno "protettive" (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori, quantomeno a livello informativo e fosse anche solo per attribuire ad alcuni di essi un ruolo di "estranei", da cui scaturiscono conseguenze giuridicamente predeterminate; iii) una qualche forma di pubblicità – non vi è dubbio che questo "minimo comun denominatore" delle procedure concorsuali si rinvenga a pieno titolo anche negli accordi di ristrutturazione dei debiti» (Cass. 12 aprile 2018, n. 9087). Dalla elencazione, come vediamo, manca ogni riferimento alla regola della parità di trattamento: ossia del concorso, che costituisce tuttavia l’unica cifra distintiva della procedura effettivamente concorsuale.
[24] 
Cfr., per es., Presti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in “Banca, borsa e titoli di credito”, 2006, 31; Fabiani, Il concordato preventivo, in Commentario del Codice Civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, Zanichelli, Bologna, 2014, 103.
[25] 
Cfr. Cass. 22 gennaio 1934.
[26] 
Cfr., in generale, Caponi Autonomia privata e processo civile: gli accordi processuali, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, 2008, 99 s.
[27] 
Su questo rapporto cfr. Consolo (con la collaborazione di F. Godio), Contratto e processo in Enciclopedia del diritto. Contratto, cit., 384 ss.
[28] 
Cfr. Di Marzio, Autonomia negoziale, cit., 21 ss.
[29] 
Cfr. Miccio, Cessione dei beni ai creditori, in Enciclopedia del diritto, VI, Giuffrè, Milano, 1960, 834 ss.; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Giuffrè, Milano, 1974, 1317 ss.
[30] 
Cfr. Follieri, Esecuzione forzata ed autonomia privata, Giappichelli, Torino, 2016, 133 ss. 
[31] 
Cfr. Provinciali, Concordato stragiudiziale, in Novissimo Digesto Italiano, III, Utet, Torino 1959, 987.
[32] 
Cfr. Villa Aspetti negoziali del concordato stragiudiziale, in “Rivista di diritto privato”, 2001, 791 ss.
[33] 
Sulle prassi contrattuali cfr. Caccavale, Prassi contrattuale, in Enciclopedia del diritto. Contratto, cit., 2021, 798 ss.
[34] 
Il fenomeno è ampiamente censito in giurisprudenza. Cfr. Cass. 16 febbraio 1990, n. 1439; Cass. 9 maggio 1992, n. 5525; Cass. 26 giugno 1992, n. 8012. 
[35] 
Cfr. Cass. 16 marzo 1979, n. 1562; Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439; Cass. 19 novembre 1992, n. 12383.
[36] 
Ma cfr. Provinciali, Trattato, cit., 2210: «Nessun lato comune ha il concordato preventivo (fuor dello scopo di evitare, meglio di prevenire, il fallimento) con il concordato stragiudiziale: infatti, anche il concordato preventivo (come il fallimentare) è un concordato giudiziale, cioè processuale […]. È (anch’esso, come il fallimentare) un concordato c.d. di maggioranza».
[37] 
Infatti, la presenza di una procedura retta dal tribunale non è in se stessa incompatibile con la natura contrattuale dell’istituto.
[38] 
Cfr. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Giappichelli, Torino, 2007, 315 ss.
[39] 
Cfr. Schlesinger, Convenzioni bancarie di salvataggio, in “Fallimento”, 1997, 893 ss.
[40] 
Se il debitore versa in condizione di insolvenza, sarà più difficile ottenere il consenso dei creditori; come sarà più difficile progettare una ristrutturazione che preveda la continuazione dell’impresa sotto il controllo del debitore. Infatti, in caso di insolvenza i costi della ristrutturazione sono molto elevati. I creditori si trovano chiusi nell’alternativa tra consentire al debitore di conservare l’attività, rinunciando a riscuotere una parte significativa del loro credito e accettando il pagamento della parte restante in tempi dilazionati; oppure premere per una percentuale maggiore di soddisfacimento e in tempi più rapidi: la qual cosa può essere ottenuta soltanto attraverso la cessione dell’azienda sul mercato. La soluzione più probabile sarà pertanto la cessione dell’attività a terzi.
[41] 
In tal senso, il piano aziendale è stato letto, in termini giuridici, alla stregua di un negozio configurativo: cfr. E. Gabrielli Operazione economica, in Enciclopedia del diritto. Contratto, cit., 652 s.
[42] 
Che invece la Cassazione si limita a classificare nell’antiquata categoria degli accordi stragiudiziali (cfr. Cass. 12 aprile 2018, n. 9087).
[43] 
Cfr. Gentili Accordi di ristrutturazione tutela dei terzi, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 289 ss. Giannelli, Gli accordi di ristrutturazione del debito, cit., 388 ss.
[44] 
Cfr. Balestra, Sul contenuto degli accordi di ristrutturazione, in “Giurisprudenza commerciale”, 2014, 283 ss.
[45] 
Cfr. E. Gabrielli Contratto, mercato e procedure concorsuali, Giappichelli, Torino, 2006, 299; Cass., 19 giugno 2018, n. 16161.
[46] 
Cfr. Cass. 8 maggio 2019, n. 12064. Ne discende, sotto il profilo degli effetti protettivi, una più sicura ed intensa tutela dall’azione revocatoria in caso di liquidazione giudiziale del debitore rispetto alla figura degli accordi attuativi di piani attestati. Infatti, la procedura di omologazione consente di anticipare la verifica giudiziale sulla meritevolezza della causa di ristrutturazione. In questa ipotesi il controllo del tribunale sulla meritevolezza causale del contratto non si realizza in via eventuale ed in un momento successivo all’esecuzione dello stesso (ossia nell’ambito del giudizio revocatorio e nell’esame dell’eccezione sui presupposti di sussistenza dell’esenzione dalla revocatoria) ma si realizza in via certa e preliminare sul contratto concluso ma non ancora eseguito: di modo che l’esecuzione del contratto omologato possa realizzarsi nel conforto del positivo esame reso dal tribunale sulla meritevolezza dello stesso.
[47] 
Cfr., in generale, Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Jovene, Napoli 1996; Roppo, Il contratto, cit., 2011, 972 ss. condivide la tesi per ragioni di giustizia, ma ne riconosce l’audacia. Nel diritto dell’insolvenza, cfr. Macario, L’esecuzione dei concordati e degli accordi di ristrutturazione, Il diritto delle imprese in crisi fra contratto società e procedure concorsuali, a cura di Barachini, Giappichelli, Torino 2014, 993 ss.
[48] 
Cfr. Macario, L’esecuzione dei concordati, cit., 993 ss.
[49] 
Per quanto esposto, nonostante il silenzio del codice, se le sopravvenienze impongono modificazioni degli contenuto del piano o degli accordi, anche gli accordi su piani attestati dovrebbero essere rinegoziati in buona fede dalle parti; se presuppongono modifiche sostanziali del piano, su di esso dovrebbe essere resa una nuova attestazione poiché l’attestazione iniziale riguarda un piano nei fatti diverso da quello attuale. In ogni caso, clausole sulla rinegoziazione prevedute negli accordi integrano quegli strumenti da prevedere nel piano affinché siano adottati nel caso in cui, durante l’esecuzione del piano, si verifichino discostamenti dagli obiettivi prestabiliti.
[50] 
Proprio nel richiamo a queste norme Vattermoli, Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria, in “Diritto Bancario”, 2015, 73 ravvisa una conferma della natura contrattuale della moratoria.
[51] 
Cfr. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria: deroga al principio di relatività del contratto ed effetti sui creditori estranei, in “Giustizia civile”, 2015, 807 ss.; Balestra, Accordi di ristrutturazione dei debiti con le banche e normativa civilistica: peculiarità, deroghe e ambiguità, in “Corriere giuridico”, 2016, 449 ss.
[52] 
Cfr. Fabiani, Gli accordi di ristrutturazione nella cornice della tutela dei diritti e la rilevanza della fattispecie speciale di cui all’art. 182 septies l. fall. in chiave di collettivizzazione della crisi, in “Fallimento”, 2016, 924 ss.
[53] 
Cfr. Guerrera, La ristrutturazione ‘negoziata’ dell’impresa in crisi: novità legislative e spunti comparatistici, in Il diritto delle imprese in crisi fra contratto società e procedure concorsuali, cit., 128 ss.
[54] 
Cfr. Cass. 8 maggio 2019, n. 12064.
[55] 
Cfr. Fantozzi, Considerazioni generali sui profili fiscali delle procedure concorsuali e sul rapporto tra par condicio creditorum, interesse fiscale ed altri interessi diffusi, in , I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia, Piccinini, Severini, Utet, Torino, 2012, 417 ss.; Paparella L’attualità del pensiero di Augusto Fantozzi alla luce del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, Pacini, Pisa, 2021, 397 ss.
[56] 
Poiché gli accordi di ristrutturazione di gruppo sono disciplinati in vista dell’omologazione, non vi sono regole per gli accordi attuativi di piani attestati di gruppo, per i quali non è prevista la fase dell’omologazione. Abbiamo tuttavia notato come le condizioni di omologazione stabiliscano precise condizioni che spetta alle parti di rispettare nella organizzazione degli accordi sul mercato. È possibile, dunque, concludere che queste indicazioni debbano essere prese in seria considerazione anche nel caso in cui il gruppo di imprese, anziché ricorrere all’ accordo di ristrutturazione, preferisca praticare la via degli accordi attuativi di piani attestati. Il rispetto di quelle regole favorisce la solidità degli accordi e la loro resistenza in caso di successiva contestazione in giudizio attraverso l’esperimento delle azioni revocatorie (e di danni).

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