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Saggio

Criticità dell’allerta e modelli aziendalistici di emersione precoce della crisi*

Maria Lucetta Russotto, Professoressa di diritto della gestione e risoluzione della crisi economica presso l'Università di Firenze

15 Giugno 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il tema dell’emersione anticipata della crisi esaminato da una prospettiva aziendalistica. Le criticità del nuovo sistema di allerta e gli strumenti aziendalistici di analisi idonei a superarle sono al centro di una riflessione ad ampio spettro che coglie nell’esigenza di intercettare precocemente gli squilibri il viatico utile a fronteggiarli.
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1 . Introduzione
L’introduzione nel CCI di previsioni legislative relative all’obbligo per l’impresa di adottare tecniche aziendalistiche è stata sicuramente una delle più grandi novità dell’intero impianto normativo, stante che il resto delle previsioni erano già in qualche maniera presenti nella L. 3/12 e nel Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267; mentre invece cominciare a parlare all’interno di un corpus legislativo di tecnica aziendale fa sicuramente parte di quella ratio di modifica della mentalità imprenditoriale così come indicato dai vari provvedimenti europei [1] .
Di fatto, quindi, l’elemento su cui poggia la struttura del CCI è sicuramente la volontà del legislatore di far attuare dalle imprese quella quarta rivoluzione industriale che implica una maggiore consapevolezza dell’imprenditore, l’assunzione di strumenti che consentano e agevolino un continuo monitoraggio dello stato di salute dell’impresa e una conseguente emersione tempestiva della crisi.
Ma non con il fine (o non solamente con il fine) di ottemperare a quell’obbligo di diligenza, oggettivato dal novellato art. 2392, comma 1, c.c. insito nella natura dell’incarico e nelle specifiche competenze del management: da assumere non solo alla stregua di criterio di valutazione di un comportamento, ma di categoria di contenuto del dovere di buona gestione d’impresa e da coniugare con la perizia come canone per scelte informate e meditate [2] ; ma soprattutto con la finalità della salvaguardia della continuità d’impresa, presupposto per la salvaguardia del tessuto economico del sistema Italia e per la conseguente ulteriore salvaguardia dei posti di lavoro.
2 . L’emersione della crisi e l’allerta
Nella Riforma il sistema predittivo introdotto dal legislatore è costituito dagli strumenti di allerta unitamente agli adeguati assetti organizzativi, che dovrebbero rafforzare e accrescere la responsabilizzazione dell’imprenditore, degli organi di controllo e dei creditori pubblici qualificati.
Gli strumenti previsti dovrebbero essere in definitiva i migliori in grado di consentire e agevolare un’emersione precoce della crisi, nel presupposto che le possibilità di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà siano direttamente proporzionali alla tempestività dell’intervento risanatore [3]. Il legislatore, quindi, ha tracciato un obiettivo coerente sia con le raccomandazioni comunitarie [4] che con le più importanti indicazioni degli studi aziendalistici [5].
È chiaro infatti come un intervento tempestivo, a seguito di espresse difficoltà nell’impresa, aumenti in misura considerevole la probabilità di successo del risanamento aziendale laddove, invece, il ritardo nel percepire i segnali della crisi conduce, in larga parte dei casi, a un’insolvenza difficilmente reversibile [6].
Stabilito quindi che il pronto rilevamento delle situazioni di difficoltà dovrebbe rappresentare un obiettivo primario del management, ma osservato che nella realtà (specialmente italiana) le prime contromisure dell’organo di governo intervengono, in larga parte dei casi, in uno stadio già avanzato di crisi economica e finanziaria, la previsione degli adeguati assetti organizzativi introdotti prima con la riforma del diritto societario e poi nel CCI dovrebbero rappresentare una nuova prassi dei turn around aziendali [7]; a cui affiancare il sistema di allerta [8].
Questi ultimi si configurano come obblighi di segnalazione degli indizi della crisi posti a carico di alcuni soggetti qualificati, mentre gli obblighi della nuova formulazione dell’art. 2086 c.c. sono posti a carico del management e rappresentano il presupposto organizzativo che dovrebbe consentire all’organo di governo una precoce rilevazione della crisi dell’impresa, in vista della tempestiva adozione delle misure idonee a risolverla o a regolarla [9].
I presidi organizzativi e gli strumenti di allerta dovrebbero essere quindi finalizzati alla creazione di un efficace sistema di early warning. Ma, se per quello che riguarda la prima variabile, gli adeguati assetti, la scrivente ritiene di condividere in pieno la visione di un mezzo propedeutico a qualsiasi forma di analisi della salute dell’impresa, per quanto riguarda gli indicatori di cui all’articolo 13 del CCI, invece, più di una perplessità sorge spontanea.
2.1 . La criticità dell’allerta
L’istituto dell’allerta è applicabile alle imprese di ogni dimensione; quindi anche alle imprese agricole e alle imprese minori, nonché a talune imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa. La finalità è ovviamente quella di tempestivamente avvisare l’organo amministrativo, a opera dell’organo di controllo o, in seconda battuta, dei creditori pubblici qualificati, dell’esistenza di rilevati sintomi della crisi per poter adottare ogni opportuna contromisura, ovvero ricorrere alla composizione assistita della crisi con l’assistenza dell’OCRI.
Il primo rappresenta il sistema di monitoraggio “interno”, anche se non appartenente al management, i secondi rappresentano il presidio di allerta esterna [10]. img1
 
img2  
Una delle prime carenze che la scrivente ritiene di ravvedere nel sistema dell’allerta parte dall’analisi dell’attività dei due diversi soggetti, attori del monitoraggio interno o del presidio esterno.
Per quello che riguarda l’attività del collegio sindacale, trattasi di un controllo di secondo livello, sull’attività del management e sulla gestione d’impresa. Qualora quindi gli assetti organizzativi fossero realmente adeguati alla tempestiva rilevazione della crisi d’impresa, è chiaro che il management. sempre presente nell’impresa e soprattutto attore e verificatore delle scelte aziendali, avrebbe la possibilità di avvedersene ben prima della evidenza dell’organo di controllo [11] nel corso delle sue verifiche periodiche [12]; in quanto all’attività dei creditori pubblici qualificati, tenendo conto che le segnalazioni trovano origine nei ritardi dei pagamenti di tributi e contributi (peraltro di una certa consistenza), è chiaro che in realtà l’organo amministrativo non può essere all’oscuro della situazione che si sta presentando all’interno dell’impresa né tantomeno del fatto che sta omettendo pagamenti significativi. Derivandone quindi, in ambedue i casi, che o gli assetti organizzativi non si sono rivelati adeguati o i segnali della crisi sono stati volutamente ignorati dagli amministratori.
Da ciò se ne deduce che se la ratio dell’istituto è la tempestiva segnalazione al management [13], poiché le notizie da segnalare non possono non essere già a conoscenza dell’organo di governo, si capisce come la segnalazione per l’allerta inizi a mostrare la prima criticità non dimostrandosi strumento in grado di fornire al management informazioni, per lo stesso, inedite: non di aiuto al management per la prevenzione della crisi si tratta, bensì di una vera e propria opera di delazione di cui il management diventa solo un primo ma quasi insignificante interlocutore in un percorso che vede come fase finale l’attivazione della procedura assistita.
2.2 . Gli indicatori della crisi
Gli indicatori della crisi previsti all’art. 13 del D.Lgs 14/19, sono stati formulati per essere in grado di intercettare gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale e finanziario, evidenziando la sostenibilità dei debiti per almeno sei mesi e le prospettive della continuità aziendale per l’esercizio in corso o, comunque, per il successivo semestre; ponderando con le specifiche caratteristiche dell’impresa e l’attività effettivamente svolta, tenendo conto della data di costituzione e di inizio dell’attività per poter valutare il grado di maturità dell’impresa, il consolidamento della sua presenza sul mercato e nel settore di appartenenza [14].
L’approccio forward-looking è sicuramente un elemento innovativo e di grande importanza, ponendo che gli indicatori della crisi richiedono una valutazione prospettica, fondata su elementi che troveranno realizzazione nel futuro; e su questo la scrivente non rileva nulla. Non vi è dubbio che questo cambio di prospettiva dalla rilevanza storica (backward-looking) alla valutazione prospettica (forward-looking) dei dati abbia un impatto rilevantissimo sugli assetti organizzativi che, non a caso, il legislatore prevede debbano essere adeguati per consentire all’imprenditore e agli organi di controllo di disporre di un cruscotto di indicatori che consentano di prevedere, con un congruo anticipo, l’andamento della tesoreria aziendale e dei flussi economici al fine di permettere l’adozione degli idonei interventi correttivi.
Ma è nella natura stessa degli indici e nella rilevanza data alla prospettiva finanziaria [15] che si evidenziano grossolane criticità.
Gli indici significativi sono individuati infatti in quelli in grado di misurare:
(a)    la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare;
(b) l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi; stabilendo, con un approccio precettivo e descrittivo che l’idoneità a fare emergere gli indizi della crisi non è limitata a indicatori tipici e individuati dalla legge, ma deve essere riportata a un insieme organico di indici d’allerta che siano in grado di valutare sia la capacità dei flussi di cassa aziendali a sostenere gli oneri dell’indebitamento, sia l’equilibrio tra i mezzi propri e quelli di terzi L’elaborazione demandata al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha individuato i seguenti ratios [16].
I primi due indicatori sono validi per tutte le tipologie di attività, mentre gli ulteriori cinque indici sono specifici per ciascun settore:
- Patrimonio netto negativo.
- DSCR previsionale a 6 mesi.
- Oneri finanziari su ricavi.
- Patrimonio netto su mezzi di terzi.
- Attivo a breve su passivo a breve.
- Cash flow su attivo.
- Debiti previdenziali e tributari su attivo.
Gli indici elaborati vengono così calcolati:
- Patrimonio netto negativo: rilevabile direttamente dal dato del “patrimonio netto” (totale voce A, sezione “passivo” dello stato patrimoniale, art. 2424 codice civile), cui sottrarre i “crediti verso soci per versamenti ancora dovuti” (voce A, stato patrimoniale attivo), eventuali dividendi deliberati non ancora contabilizzati. Nel “patrimonio netto” non si tiene conto dell’eventuale “Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi”, indipendentemente dal suo saldo, in linea con quanto disposto dall’art. 2426 c.c., comma 1, n. 11-bis.
- Debt service coverage ratio (DSCR): per il calcolo del DSCR possono essere alternativamente seguiti due approcci basati sul budget di tesoreria.
1° approccio. Il DSCR deriva da un budget di tesoreria, redatto dall’impresa, che rappresenti le entrate e le uscite di disponibilità liquide attese nei successivi sei mesi. Da tale budget si ricavano il numeratore e il denominatore dell’indice: al denominatore si sommano le uscite previste contrattualmente per il rimborso di debiti finanziari (verso banche o altri finanziatori). Il rimborso è inteso come pagamento della quota capitale contrattualmente previsto per i successivi sei mesi; al numeratore si sommano tutte le risorse disponibili per il suddetto servizio al debito, dati dal totale delle entrate di liquidità previste nei sei mesi successivi, incluse le giacenze iniziali di cassa, dal quale sottrarre tutte le uscite di liquidità previste riferite allo stesso periodo, a eccezione dei rimborsi dei debiti posti al denominatore.
2° approccio. Il calcolo è effettuato mediante il rapporto tra i flussi di cassa complessivi liberi, al servizio del debito, attesi nei sei mesi successivi e i flussi necessari per rimborsare il debito non operativo che scade negli stessi sei mesi. Alnumeratorevanno inseriti i flussi operativi al servizio del debito. Essi corrispondono al free cash flow from operations (FCFO) dei sei mesi successivi, determinato sulla base dei flussi finanziari derivanti dall’attività operativa applicando il principio OIC 10 (§§ da 26 a 31), deducendo da essi i flussi derivanti dal ciclo degli investimenti (§§ da 32 a 37 dell’OIC 10). A tal fine non concorrono al calcolo dei flussi operativi gli arretrati di cui alle lett. e) e f); le disponibilità liquide iniziali; le linee di credito disponibili che possono essere usate nell’orizzonte temporale di riferimento. Con riferimento alle linee autoliquidanti esse dovrebbero essere considerate fruibili per la sola parte relativa ai crediti commerciali che, sulla base delle disposizioni convenute, sono ‘anticipabili’. Il denominatore corrisponde al debito non operativo che deve essere rimborsato nei sei mesi successivi. E’ costituito da: pagamenti previsti, per capitale e interessi, del debito finanziario; debito fiscale o contributivo, comprensivo di sanzioni e interessi, non corrente e cioè debito il cui versamento non è stato effettuato alle scadenze di legge (e pertanto è o scaduto ovvero oggetto di rateazioni), il cui pagamento, anche in virtù di rateazioni e dilazioni accordate, scade nei successivi sei mesi; debito nei confronti dei fornitori e degli altri creditori il cui ritardo di pagamento supera i limiti della fisiologia. Nel caso di debito derivante da piani di rientro accordati dai fornitori/creditori, rileva la parte di essi, comprensiva dei relativi interessi, che scade nei sei mesi. Anche le linee di credito in scadenza nei sei mesi successivi, sono collocate al denominatore salvo che se ne ritenga ragionevole il rinnovo o il mantenimento.
La scelta tra i due approcci è rimessa agli organi di controllo e dipende dalla qualità e affidabilità dei relativi flussi informativi. Ai fini del calcolo, l’orizzonte temporale di sei mesi può essere ampliato alla durata residua dell’esercizio se superiore a sei mesi, se ciò lo rende più agevole e affidabile. In ogni caso, numeratore e denominatore devono essere tra di loro confrontabili. Vi è da considerare che, ai fini del calcolo del numeratore del DSCR, l’incasso dei crediti liquidi ed esigibili nei confronti della pubblica amministrazione, diversa dagli enti locali che hanno dichiarato lo stato di dissesto, andrebbe portato in conto al momento alla scadenza prevista e, se scaduta, come pagamento a pronti. Le procedure di costruzione e utilizzo del modello quantitativo di previsione dei flussi dell’impresa devono essere controllabili e adeguate alla complessità ed alle dimensioni dell’impresa.
Sono normali gli scostamenti tra i dati stimati e quelli consuntivi; tale scostamento non è, di per sé, sintomatico di scarsa affidabilità della costruzione dei dati prognostici.
L’utilizzo del DSCR come indice è ammesso a condizione che gli organi di controllo non ritengano inaffidabili i dati assunti per il calcolo, secondo il proprio giudizio professionale, a partire dal budget di tesoreria usato ai fini della costruzione dei flussi di cassa rilevanti.
DSCR<1 = Vi è una ragionevole presunzione dello stato di crisi
DSCR>1 = La situazione è positiva
DSCR=1 = Teoricamente la società non avrebbe altro cash per investimenti o per dividendi.
Per quello che riguarda gli indici di settore:
- Indice di sostenibilità degli oneri  finanziari (oneri finanziari sui ricavi). Misura la “sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare”, ritenuto specificamente significativo dalla norma. Il primo dei due indicatori della crisi è costituito dal rapporto tra oneri finanziari e fatturato e include al numeratore, gli interessi e altri oneri finanziari di cui alla voce C.17 art. 2425 c.c. e al denominatore, i ricavi netti, ovvero la voce A.1) Ricavi delle vendite e prestazioni dell'art. 2425 c.c.;
Numeratore > 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta ACCESO
Numeratore = 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta SPENTO
- Indice di ritorno liquido dell’attivo misura l’indice di ritorno liquido dell’attivo (cash flow su attivo) è costituito dal rapporto tra il cash flow e il totale attivo e include alnumeratore, il cash flow ottenuto come somma del risultato dell’esercizio e dei costi non monetari (ad esempio gli ammortamenti, svalutazioni crediti, accantonamenti per rischi), dal quale dedurre i ricavi non monetari (a esempio rivalutazioni partecipazioni, imposte anticipate) e al denominatore il totale dell'attivo dello stato patrimoniale art. 2424 c.c.
Numeratore > 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta SPENTO
Numeratore = 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta ACCESO
- Indice di adeguatezza patrimoniale (patrimonio netto su mezzi di terzi) che è dato dal rapporto tra patrimonio netto e totale debiti e corrisponde a quanto indicato dal legislatore all’art. 13, co. 1 Codice della Crisi d'Impresa, è quindi costituito dal rapporto tra il patrimonio netto e i debiti totali e include al numeratore, il patrimonio netto costituito dalla voce A stato patrimoniale passivo dell’art. 2424 c.c., detratti i crediti verso soci per versamenti ancora dovuti (voce A stato patrimoniale attivo) e i dividendi deliberati e al denominatore, i debiti totali costituiti da tutti i debiti (voce D passivo dell’art. 2424 c.c.), indipendentemente dalla loro natura e dai ratei e risconti passivi (voce E passivo dell’art. 2424 c.c.).
Numeratore > 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta SPENTO
Numeratore = 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta ACCESO
- Indice di liquidità (attivo a breve su passivo a breve). Confronta il passivo esigibile a breve con le attività parimenti realizzabili monetariamente a breve, è pertanto costituito dal rapporto tra il totale delle attività e il totale delle passività a breve termine e include al numeratore, l'attivo a breve termine quale risultante dalla somma delle voci dell'attivo circolante (voce C attivo dell’art. 2424 c.c.) esigibili entro l’esercizio successivo e i ratei e risconti attivi (voce D attivo dell’art. 2424 c.c.) e al denominatore il passivo a breve termine costituito da tutti i debiti (voce D passivo) esigibili entro l’esercizio successivo e dai ratei e risconti passivi (voce E).
Numeratore > 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta SPENTO
Numeratore = 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta ACCESO
- Indice di indebitamento previdenziale o tributario (debiti previdenziali e tributari su attivo) che incorpora nel modello gli indicatori della crisi richiamati dall’art. 15 CCI ed è costituito dal rapporto tra il totale dell’indebitamento previdenziale e tributario e il totale dell’attivo. Include al numeratore, l'indebitamento tributario rappresentato dai debiti tributari (voce D.12 passivo dell’art. 2424 c.c.) esigibili entro e oltre l'esercizio successivo, l'indebitamento previdenziale costituito dai debiti verso istituti di previdenza e assistenza sociale (voce D.13 passivo dell’art. 2424 c.c.) esigibili entro e oltre l'esercizio successivo e al denominatore, l'attivo netto corrispondente al totale dell'attivo dello stato patrimoniale art. 2424 c.c.
Numeratore > 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta ACCESO
Numeratore = 0, Denominatore = 0: Segnale di Allerta SPENTO
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3 . L’allerta come prefallimentare
Ad avviso della scrivente non è necessaria un’analisi aziendalistica troppo impegnativa per affermare che gli indicatori di cui all’articolo 13 del D.Lgs 14719 non rappresentano indici per l’emersione anticipata dei primi segnali di crisi, ma ratios che portano a dimostrare la decozione dell’impresa.
Infatti, l’impresa [17] è sostanzialmente un sistema formato da diverse componenti le quali devono convivere in stato di armonia per garantirne la sopravvivenza [18]. Il venir meno di questo rapporto armonioso, derivante da un bilanciamento di costi e ricavi in cui i secondi coprono e remunerano i primi in tutte le loro tipologie, può creare delle difficoltà: momentanee, se adeguatamente interpretate; definitive, se ignorate o non sufficientemente affrontate [19].
La patologia si evidenzia quindi quando la crisi, partendo da semplici disfunzioni che ne alimentano altre, arriva a un danno cronico per l’impresa in cui alcun intervento può essere utile; potendosi quindi dire che tutto il fenomeno della crisi d’impresa è il risultato di un processo evolutivo di un danno fisiologico che arriva a distruggerne le risorse e che conduce nei casi peggiori alla disgregazione del sistema, attraverso diverse fasi che partono con iniziali inefficienze e squilibri, per passare poi a consistenti perdite economiche e generale peggioramento degli equilibri aziendali, per terminare con l’insolvenza e il dissesto.
La maggior parte delle teorie aziendalistiche si basa sulla “Teoria di creazione del valore” o E.V.A. - ECONOMIC VALUE ADDED, collegando da sempre il concetto di crisi a una riduzione del valore del capitale economico dell’impresa a causa della mancanza di equilibrio economico; il che implica che quando il suddetto valore diventa zero o addirittura negativo, il significato è che l’impresa, con la sua attività, non è più in grado di realizzare l’autogenerazione [20] nel tempo, che è la sua finalità [21] principale.
La teoria del valore si basa sul principio che, in condizioni di economia di mercato, l’impresa è considerata sana e sicura la sua continuità quando, tramite la gestione ordinaria, riesce a far rendere il capitale di più di quanto esso non costi [22].
L’obiettivo finale dell’impresa, la massimizzazione del valore del suo capitale, coincide con quello della massimizzazione della retribuzione del capitale investito, concetto più evoluto di quello della massimizzazione dei redditi in quanto tiene conto della distribuzione temporale dei diversi risultati economici e del rischio associato agli stessi [23].
Questo porta a obiettivizzare ogni attività d’impresa, compreso le scelte strategiche, in base al ritorno sulla valorizzazione del capitale; diventando una parte fondamentale del processo di pianificazione aziendale.
Decadenza e squilibri affrontabili [24] - e quindi reversibili - e non affrontabili - e perciò irreversibili - si manifestano di conseguenza quando l’impresa comincia a veder ridurre la marginalità della produzione. Non sempre tale riduzione si manifesta immediatamente con delle perdite; piuttosto i flussi economici cominciano a decrementare sensibilmente e si assiste alla riduzione del valore del capitale al punto che l’impresa si trova gravata da rischi che prima quasi non considerava. È a questo punto che con l’emersione della situazione di difficoltà l’impresa potrebbe recuperare i giusti valori in quanto il declino è composto da stadi progressivi di incubazione e maturazione nelle fasi dei quali vi è la possibilità di intervenire per evitare il deterioramento delle prestazioni economiche aziendali [25].
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Ora, se consideriamo che il primo dei ratios elaborati ai fini dell’istituto dell’allerta è il patrimonio netto negativo, peraltro indice elaborato senza distinzione di settore economico e quindi valido per ogni tipologia di impresa, ci rendiamo conto che la fase in cui l’impresa si trova con patrimonio netto negativo, è la fase in cui ha distrutto completamente il suo valore e quindi non potrà più rendere reversibile il processo negativo [26].
Qualsiasi aziendalista [27] potrà tranquillamente affermare che il patrimonio netto negativo è la fase di decozione totale [28]. E quindi, se l’impresa già si trova nella fase di decozione totale [29], cosa è la procedura d’allerta se non una procedura con la quale si prende atto della distruzione del valore dell’impresa e quindi della sua insolvenza, e si preparano le carte per l’invio all’ufficio fallimentare?
Come si possa parlare di semplice crisi (o, addirittura di segnale emerso di inizio di crisi) in un’impresa dove l’attività ha generato tali e tante perdite da consumare, annullare e addirittura negativizzare il patrimonio investito, non è dato saperlo. Con il patrimonio netto negativo vi è l’assoluta dissoluzione dell’impresa, tant’è vero che il codice civile per il semplice fatto che il capitale di una società di capitali venga a diminuire sotto il minimo legale (quindi, prima della sua negativizzazione), impone l’obbligo di ricapitalizzazione o di ridimensionamento della società affinchè la stessa sia congrua e coerente rispetto al valore del suo patrimonio [30].
Così come si possa addirittura utilizzare tale variabile come primo stadio dell’analisi della presenza di segnali di crisi, sul quale innestare poi gli altri ratios per parlare di “ragionevole presunzione dello stato di crisi” (o addirittura indicarlo come elemento che, se solitario, non indica una crisi nell’impresa, come nel grafico sotto riportato), non può che far riflettere su come sia opportuno che il cambiamento di mentalità interessi anche il professionista dell’impresa e non solo l’imprenditore.
In un’ottica squisitamente aziendalistica, il sistema impresa dialoga con il sistema economico in termini di continuità solo se viene studiato dalla prospettiva della sua capacità o meno di remunerare il capitale investito e in definitiva di creare ricchezza [31]. Nel momento in cui viene meno questa sua caratteristica, e senza nessuna necessità di ulteriori indagini, l’impresa diventa un elemento pericoloso per il sistema [32], generando l’effetto a cascata dell’instabilità degli altri soggetti economici con cui viene a contatto. E per questo motivi, cessa ogni sua ragione di essere.
Impresa e ambiente risultano tra essi fortemente interconnessi e vicendevolmente autoalimentanti, tanto che le dinamiche che intervengono in una sono destinate a ripercuotersi inevitabilmente sull’altro. Passando quindi da ambienti stabili o quantomeno ragionevolmente tranquilli ad ambienti dinamici e turbolenti caratterizzati da incertezza e mutevolezza e mancata remunerazione del capitale investito il sistema impresa, che spesso è contraddistinto da elementi di rigidità che ne impediscono adattamenti continui e rapidi [33], perde velocemente la previsione di una sua continuità proiettata nel futuro; la fase di distruzione del valore dell’impresa genera inevitabilmente un alto indice di rischio per le imprese che con quella lavorano.
Per questo le imprese degne di analisi e riposizionamento sono quelle che non hanno distrutto il loro valore ma che anche in una condizione di turbolenza e complessità [34], sono in grado di ricercare e ritrovare un equilibrio (in ogni caso, mai definitivo ma sempre mutevole) proprio grazie alla loro capacità di remunerazione del capitale investito [35].
4 . Gli strumenti per l’analisi della crisi e per il suo superamento
Le critiche portate non negano l’importanza di un istituto che intervenga per la responsabilizzazione dell’organo di governo, affinchè lo stesso senta come parte irrinunciabile delle politiche aziendali l’esistenza non solo di un adeguato assetto organizzativo dal quale trarre dati utili per lo studio costante della propria impresa [36], non solo l’impianto di una serie di analisi che seriamente verifichino lo stato di salute dell’impresa al fine di tempestivamente intervenire con i correttivi ai primi segnali di crisi [37]; ma anche l’acquisizione di una mentalità che riconosca in queste tecniche un momento irrinunciabile, una fase importante e un elemento di crescita necessario all’impresa.
Quindi, non l’allerta in sé per sé l’istituto da riformare, ma gli strumenti per attuarla [38].
In questo senso, un punto di riferimento fondamentale per l’analisi e l’eventuale risanamento d’impresa si trova sicuramente nelle tecniche aziendalistiche elaborate nei paesi anglosassoni la cui ratio [39] trova la moderna origine nel Chapter 11 del US Bankruptcy Code norma della legge fallimentare statunitense [40] che consente alle imprese che la utilizzano la possibilità di ristrutturare l’impresa quando se ne verifichi il dissesto [41].
Chapter 11, infatti, è una procedura di riorganizzazione e non di liquidazione. Il suo scopo è quello di risanare l'impresa tramite l’elaborazione di un piano che nel giro di alcuni mesi o anche anni, a seconda della dimensione e della complessità della procedura, dovrebbe risanare la situazione e far uscire l'impresa dal Chapter 11.
Il piano di risanamento [42] deve essere proposto dall'impresa stessa e approvato dal giudice. Nel caso in cui un piano non venga accettato o non si riesca a portarlo avanti il giudice può convertire la procedura nel Chapter 7 e iniziare la liquidazione.
La procedura prevista dal Chapter 11 del US Bankruptcy Code rappresenta la procedura di  ristrutturazione  di  maggior successo nel panorama occidentale [43] . Gli ordinamenti europei, in ultimo anche quello italiano, si sono ispirati a questo strumento per realizzare le riforme ai propri sistemi di risoluzione delle crisi d’impresa.
Anche l’Unione Europea, nell’emanare la direttiva 1023/2019 [44] sui quadri di ristrutturazione preventiva ha adottato numerosi istituti del diritto americano, seppur non facendone mai riferimento espressamente.
Le politiche usualmente utilizzate per l’elaborazione del piano di risanamento [45] pongono le loro fondamenta sulle tecniche di controllo di gestione, elemento primario e fondamentale dell’attività di direzione d’impresa.
L’attività di direzione è un continuo susseguirsi e intrecciarsi di decisioni e conseguenti azioni dalle quali dipendono in misura più o meno immediata i risultati aziendali; riguardano i fattori produttivi, materiali e personali, da impiegare, le loro modalità d’uso e i risultati che si desidera conseguire. Tutto al fine della continuità d’impresa e della sua crescita. Il processo decisionale si completa poi con la verifica di quanto
effettivamente eseguito attraverso la fase di controllo.
 
 
Vi sono così due modi per impostare l’attività di direzione:
1. Attendere il verificarsi degli eventi o il sorgere di un problema, prima di avviare una qualche forma di processo decisionale;
2. Prevedere gli eventi ed anticipare, rispetto al loro verificarsi, alcune decisioni.
Pianificare e programmare [46] non sono attività naturali, e perciò richiedono uno sforzo; e tale sforzo deve essere stimolato, indirizzato, coordinato e reso più agevole dal punto di vista realizzativo. Vanno, appunto, in questa direzione le proposte di utilizzare dei sistemi formali di pianificazione e controllo direzionale [47].
Questi sistemi, caratterizzati dal fatto di essere un insieme di procedure, metodologie e strumenti informativi, hanno uno scopo: influire sul comportamento delle persone che operano ai vari livelli in impresa affinché queste assumano comportamenti in grado di facilitare e consentire il conseguimento dei risultati desiderati [48]: in primis, la continuità d’impresa.
Ecco quindi che gli obiettivi di redditività non sono vittima di “miopia” e non sono esasperati [49], ma sono compatibili in una visione di medio/lungo periodo; dove la pianificazione consiste nell’anticipazione di una serie di decisioni tra loro coordinate.
L’output della pianificazione è il piano [50], cioè il documento strategico nel quale sono ordinati in un sistema quantitativo preventivo i dati riguardanti la gestione futura nell’ambito delle previsioni attuate, degli obiettivi prefissi e delle combinazioni scelte per il loro raggiungimento.
Con la programmazione si definiscono gli obiettivi della gestione operativa, assunte come vincolanti le scelte imposte in sede di pianificazione.
In pratica la pianificazione, sulla base della definizione della strategia aziendale, va a mostrare come le scelte si sviluppano nell’arco temporale del medio e lungo periodo. La programmazione, invece, si concentra sulla traduzione delle strategie evidenziate nel piano in programmi operativi. Così, i due concetti sono direttamente collegati rispettivamente alla visione strategica e a quella operativa.
Ne discende una diversa durata e rilevanza degli effetti dovuti alle scelte operate in sede di pianificazione rispetto a quello composte in sede di programmazione. Le prime possono essere definite scelte strategiche, il cui insieme ordinato stabilisce la strategia d’impresa globale con effetti strutturali rilevanti e vincolanti sulla generale combinazione produttiva d’impresa e sono spesso irreversibili nel tempo.
Tuttavia, benché sia diverso l’oggetto delle scelte e diversi siano, di conseguenza, sia le informazioni specifiche su cui esse si basano, sia i modelli quantitativi utilizzabili, sia gli organi coinvolti nei relativi processi decisori, simile è il tipo di attività mentale esercitato nei due processi.
Emergono pertanto le relazioni rilevanti tra programmazione e pianificazione; tali relazioni mettono in dubbio l’utilità di scindere completamente i due processi in esame, visto che, come appare ovvio si instaurano delle connessioni tra gli aspetti comuni inevitabilmente trattati.
L’attività di direzione non si identifica né si esaurisce con la pianificazione e la programmazione. Essa si completa dove si crei anche una funzione di controllo; è infatti attraverso il confronto tra risultati desiderati (implicitamente od esplicitamente citati nei piani aziendali, programmi, budget) e risultati effettivamente conseguiti che maturano occasioni di apprendimento e nascono stimoli al cambiamento [51].
È la fase che rappresenta la chiusura logica di un ciclo direzionale e contemporaneamente il momento di avvio di un nuovo ciclo. Non vi sono perciò vincoli nello stabilire quante volte durante un anno percorrere il ciclo, ma è certo che è prezioso non farlo solo una volta.
Proprio nella fase di controllo [52] si attivano processi di accumulo di esperienza, tanto maggiori, quanto più si individuano, attraverso un’analisi approfondita, le cause di determinati risultati, più o meno in linea con gli obiettivi prefissati.
 
 
Il ruolo centrale nel Sistema di Pianificazione, Programmazione e Controllo è svolto dalla struttura informativa, che costituisce il supporto dei processi decisionali e di apprendimento necessari per una gestione aziendale improntata sulla professionalità e sul coordinamento in vista del raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Il sistema di cui ci stiamo occupando è per definizione un processo logico di eventi, condizioni, analisi, feed-back. In questo senso le varie  componenti dello stesso, e quindi pianificazione, programmazione e controllo, sono fasi interdipendenti tra di loro e fanno parte di un processo unitario più ampio. E la base di supporto di tutta l’attività è la raccolta di informazioni, che rappresentano l’elemento su cui basare tutta l’attività di direzione. Infatti è proprio la raccolta delle informazioni, esterne e interne all’impresa, che consente l’autoanalisi e di conseguenza le più corrette scelte per la salvaguardia della continuità d’impresa.
Fra le analisi che consentono la raccolta delle informazioni interne, la scrivente identifica la BEA, Break Even Analysis, e l’analisi per Margine di Contribuzione come gli strumenti più semplici, i meno costosi, i più vicini alla mentalità dell’imprenditore italiano [53]. Anche perché i dati per elaborare l’esame sono tutti facilmente estrapolabili dalle scritture contabili regolarmente e tempestivamente tenute [54].
La Break-Even Analysis (BEA) o Analisi del “Punto di Pareggio”, definita anche analisi di redditività costi-volumi/risultati, è una tecnica utilizzata per valutare gli effetti delle scelte aziendali sul reddito focalizzandosi sulle variazioni delle seguenti variabili: ricavi, costi fissi, costi variabili, prezzi, volumi di vendita [55].
La Break-even Analysis identifica quindi il punto in cui il costo totale e le entrate totali sono uguali. Non vi è alcuna perdita o utile netto e pertanto ci si trova in pareggio con l’importo delle vendite, in termini di unità (quantità) necessario per coprire i costi totali, costituiti sia da costi fissi che variabili per l’azienda. Di conseguenza il profitto totale al punto di pareggio è pari a zero.
L’area reddito si trova quindi nel superamento di quel punto; ed è allora che l’impresa realizza profitto.
Lo scopo principale dell’analisi del pareggio, in definitiva, è determinare l’output minimo che deve essere superato affinché un’azienda possa trarre profitto; momento nel quale assicura a sé stessa la sua continuità nel breve medio periodo; ed è anche un indicatore approssimativo dell’impatto sugli utili di un’attività di marketing.
È palese che un’impresa incapace di raggiungere questo livello, non può assolutamente ritenere di essere in grado di assicurare la sua stessa continuità.
La relazione di base è quindi:

Ricavi totali – Costi totali = Risultato Economico

sapendo che i ricavi totali in questa analisi sono dati dal prezzo per le quantità vendute e i costi totali sono dati dai costi variabili unitari per le quantità prodotte più i costi fissi.
La relazione può essere quindi riscritta come segue:

P*Q – (Cvu*Q + CF) = R.E

Con qualche semplice passaggio matematico si arriva alla formula per la determinazione della quantità richiesta ossia:

Q=(CF+RE)/(P-Cvu)

Con utile pari a 0, naturalmente al numeratore resterebbero solo i costi fissi.
Per trovare un utile obiettivo bisogna effettuare un ulteriore passaggio ossia:

Risultato Economico Netto = Risultato Economico Lordo

(1-T)
Dove T è l’imposta fiscale.
La BEA Si basa sulla ripartizione dei costi in fissi e variabili e permette di determinare anche i risultati economici in corrispondenza dei diversi volumi di produzione realizzabili con una data capacità produttiva. Il Break-Even Point (BEP), graficamente, rappresenta il punto a destra del quale i ricavi totali superano i costi totali permettendo di realizzare profitto quanto più la quantità prodotta e venduta si allontana dal volume di equilibrio. A sinistra l’impresa subisce, al contrario, delle perdite che aumentano quanto più la quantità prodotta e venduta si sposta verso l’origine degli assi [56].
 

 
Può poi essere interessante analizzare anche la Break Even Analysis sotto la veste del concetto di profittogramma [57].
Dal punto di vista matematico il procedimento è esattamente lo stesso del calcolo del BEP ma quello che cambia è la rappresentazione grafica, sicuramente più semplice e intuitiva. È molto interessante notare come, nella pratica, l’utilizzo di questo strumento sia veramente apprezzato soprattutto per fare ragionamenti sia di natura produttiva che commerciale [58].
 
 
I principali limiti della Break-even Analysis sono che:
•   L’analisi del pareggio è solo un’analisi dal lato dell’offerta in quanto non dice nulla sulle vendite che potrebbero effettivamente realizzarsi per il prodotto con quei livelli di prezzo.
•   Presuppone che i costi fissi (CF) siano costanti, E sebbene ciò sia vero nel breve periodo, è probabile che un aumento delle dimensioni della produzione causi un aumento dei costi fissi (effetto scalino).
•   Presuppone che i costi variabili medi siano costanti per unità di produzione, almeno nell’intervallo delle probabili quantità di vendite.
•   Presuppone che la quantità di beni prodotti sia uguale alla quantità di beni venduti (ovvero, non vi è alcun prodotto invenduto o scartato).
•   Nelle aziende multi-prodotto, si presume che le proporzioni relative di ciascun prodotto venduto e prodotto siano costanti (ovvero, il mix di vendita è costante).
Nell’equazione del punto di pareggio al denominatore è presente la differenza tra il prezzo unitario di vendita e il costo unitario.
Questa differenza è chiamata Margine di Contribuzione di primo livello e misura quanto, dalla vendita di ogni prodotto o servizio, residua per coprire i costi fissi speciali dopo aver coperto i costi variabili.
Aggiungendo i costi fissi speciali, ossia quei costi che sono specifici del prodotto o del servizio, otteniamo il margine di contribuzione di secondo livello.
Il margine di contribuzione, o MdC, è un valore che viene calcolato direttamente per ogni singola tipologia di prodotto che un’impresa produca [59] in quanto è la differenza fra i ricavi di vendita e il costo variabile delle quantità vendute di tale prodotto. Questa grandezza misura quindi il contributo che tale prodotto fornisce all'impresa per realizzare la copertura dei costi fissi [60] .
Per calcolare il margine di contribuzione di un singolo prodotto si utilizza la formula P – V, dove P è il costo del prodotto e V è il suo costo variabile (quello associato con le risorse usate per realizzare l'oggetto). In alcuni casi, questo valore può essere definito anche come margine operativo lordo di un prodotto.
La prima variabile da conoscere per calcolare il margine di contribuzione è quindi il prezzo di vendita.
La seconda è determinare o estrapolare il costo variabile associato al prodotto. Si tratta dell'unica altra variabile necessaria per calcolare il margine di contribuzione. I costi variabili associati con un prodotto sono quelli che cambiano a seconda del numero di unità realizzate, come gli stipendi, i costi per i materiali, le bollette dell'energia e dell'acqua, ecc. Maggiore è il numero di unità prodotte, più elevati sono questi costi che prendono il nome di costi variabili proprio per la loro natura mutevole.
Il terzo passaggio è dato dalla sottrazione del costo variabile unitario dal prezzo unitario. Il valore ottenuto rappresenta, come già detto, la somma di denaro, ricavata dalla vendita di un singolo prodotto, che la società può utilizzare per pagare i costi fissi e generare profitto.
A questo punto è importante verificare se il margine di contribuzione è sufficiente per coprire i costi fissi. Un margine di contribuzione positivo è sempre un risultato desiderato: il prodotto recupera il proprio costo variabile e contribuisce per una certa quota al pagamento dei costi fissi. Dato che i costi fissi non aumentano con la quantità di produzione, una volta che essi sono stati coperti, il margine di contribuzione dei prodotti venduti restanti si trasforma in puro profitto [61].
È poi molto importante analizzare il rapporto tra margine di contribuzione e prezzo. Infatti, dopo aver trovato il margine di contribuzione di un prodotto, questo valore può essere utilizzato per svolgere alcune semplici attività di analisi finanziaria. Ad esempio, dividendo semplicemente il risultato ottenuto in precedenza per il prezzo del prodotto si può trovare il margine di contribuzione percentuale che rappresenta la porzione di ogni vendita che va a comporre il margine di contribuzione; in altre parole, la parte usata per pagare i costi fissi e generare profitto [62].
Il margine di contribuzione è utile anche per una veloce analisi di pareggio di bilancio [63]. Negli scenari finanziari semplificati, conoscendo il margine di contribuzione di un prodotto di un’impresa e i costi fissi che deve sostenere, si può calcolare rapidamente se la stessa genera profitto; infatti, presumendo che l’impresa non venda i propri prodotti in perdita, per generare profitto deve solo vendere una quantità sufficiente di unità per coprire i costi fissi.
Il MdC è utile per analizzare un business plan. Questo valore, infatti, può essere usato per prendere decisioni sulla gestione di un’impresa, in particolare se essa non genera profitto; e il MdC può essere usato per creare nuovi obiettivi di vendita o per trovare metodi per ridurre i costi fissi o quelli variabili.
Consente infine di capire come dare la priorità ai prodotti più redditizi, in quanto il margine di contribuzione di ogni singolo prodotto può aiutare a decidere le quantità da creare di ognuno di essi. Questo è particolarmente importante se i prodotti utilizzano le stesse materie prime o gli stessi processi manifatturieri. In quei casi, la priorità sarà data al prodotto con il margine di contribuzione più alto.
L’obiettivo dell’impresa sarà quindi quello di massimizzare il margine di contribuzione in relazione al prezzo praticabile nel mercato in cui opera [64].
Il MdC rappresenta quindi uno strumento di decisione aziendale che è insito nella natura dell’impresa e nella mentalità dell’imprenditore, e la cui applicazione diventa di conseguenza intuitiva, semplice, veloce e tempestiva.
 
 
Infatti, in definitiva, se il ricavo di vendita è in grado di coprire i costi variabili del prodotto e la sua marginalità moltiplicata per il numero di unità prodotte copre i costi fissi dell’impresa, è intuitivo che l’impresa non presenta segnali di crisi [65]; mentre, al contrario, una marginalità non in grado di coprire i costi fissi, nella misura in cui risulta in parte scoperta la suddetta copertura, si può leggere un inizio di crisi, una crisi importante o una crisi conclamata [66].
5 . Conclusioni
Le tecniche aziendalistiche in grado di supportare la procedura dell’allerta e che rappresentano la base sulla quale modulare il comportamento dell’organo di governo per le procedure di risanamento ci sono, e sono usate e analizzate da anni.
Hanno il limite di essere sempre state studiate e applicate più nel mondo anglosassone che nel sistema economico italiano, generando quindi nell’imprenditore italiano una sorta di diffidenza verso uno strumento altrimenti semplice e facile da utilizzare.
Le due tecniche proposte non sono certo le uniche che possono essere utilizzate, ma come già scritto hanno la caratteristica delle semplicità nell’applicazione: il calcolo del MdC è intuitivo anche quando l’imprenditore non ha una specifica cultura d’impresa e dà un immediato riscontro sull’andamento dell’attività. Infatti, è palese che se dal MdC o dalla BEA la governance verifica la non remuneratività del prodotto o del processo produttivo è facile immediatamente analizzarne i motivi e prevedere i cambiamenti necessari a riportare l’impresa in area reddito.
Inoltre ambedue le tecniche hanno la caratteristica di poter essere misurabili sia a posteriori (ma nell’immediato posteriori) utilizzando il conto economico, nelle scadenze di rilevazione delle scritture contabili come previsto dal codice civile; documenti a disposizione sia dell’imprenditore in contabilità ordinaria che dell’imprenditore in contabilità semplificata. Come a priori, utilizzando quali valori di raffronto i valori prospettici del budget di vendita e del budget degli acquisti [67], anche questi facilmente elaborabili dalle imprese indipendentemente dalla loro grandezza.
La successiva analisi per scostamenti [68], poi, pone le basi per le tecniche di risanamento, tenendo conto che l’organo di gestione, analizzando le cause che hanno portato i valori previsti nel budget a scostarsi dai valori derivanti dalla contabilità, verificandone quindi l’origine (esterna/di mercato o interna per errori di valutazione) ha la possibilità di intervenire in tempo reale per la correzione degli errori [69]. Non solo, ma pone le basi per inserire nella prassi imprenditoriale e nella mentalità della governance il controllo dei costi [70] che è parte del controllo di gestione, ricollegabile all’azione della direzione d’impresa, volta ad assicurare che i processi produttivi si realizzino conformemente alle attese, definite coerentemente agli obiettivi da raggiungere.
È chiaro che contestualizzando la situazione attuale del sistema impresa italiano, la necessità di superare ideologie e abitudini consolidate diventa una necessità per la salvaguardia del tessuto imprenditoriale nazionale e dei posti di lavoro correlati.
È auspicabile quindi che nuovi indicatori di crisi vengano inseriti nella previsione dell’articolo 13 del D.Lgs. 14/19, affinchè la procedura di allerta diventi un’opportunità e non una prefallimentare la cui entrata in vigore debba essere continuamente procrastinata.

Note:

[1] 
Direttiva (UE) 2017/1132 poi modificata dalla Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio.
[2] 
Così, anche: R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, 669.
[3] 
P. Bastia, Crisi aziendali e piani di risanamento, 2019, Giappichelli Editore.
[4] 
Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza) (Testo rilevante ai fini del SEE).
[5] 
A. Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1987.
[6] 
G. Savioli, a cura di, Crisi e risanamento d'impresa. Gli strumenti giuridici ed economico aziendali, 2019, Giuffrè Editore.
[7] 
R. Perotta e L. Bertoli, Assetti organizzativi, piani strategici, sistema di controllo interno e gestione dei rischi. La corporate governance a dieci anni dalla riforma del diritto societario, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2013.
[8] 
ODCEC Milano, Quaderno n. 71, I sistemi di allerta interno, 2017.
[9] 
Aa.Vv., Crisi e strategie – Aa.Vv., Crisi d’impresa e strategie di superamento, Milano, Giuffrè, 1987.
[10] 
C. ROSSI, Crisi, insolvenza e indicatori per le procedure di allerta, 2019 Giuffrè.
[11] 
La relazione illustrativa al codice osserva peraltro che: “la necessità dell'ingresso anticipato in procedura dell'imprenditore in crisi è principio riconosciuto da tutti gli ordinamenti e fa parte dei principi elaborati dall'UNCITRAL e dalla Banca Mondiale per la corretta gestione della crisi d'impresa”, Parte prima. Titolo II. Capi I, II, III e IV.
[12] 
G. Paolone e G. Aita, a cura di, Governance, adeguatezza e funzionamento organizzativo delle imprese. Vol. 6: I doveri degli organi delegati e del Collegio sindacale, 2008, Franco Angeli ed.
[13] 
L. DE BERNARDIN, Relazione di sintesi dell’intervento svolto al corso “Doveri e responsabilità dell’imprenditore nella gestione dell’impresa in forma collettiva, alla lice dell’art. 2086 c.c. riformato”, organizzato, da remoto, dal 11 al 13 novembre 2020, dalla Scuola Superiore della Magistratura, in collaborazione con la formazione decentrata di Perugia.
[14] 
Si tratta della medesima scelta ideologica che si pone alla base della normativa comunitaria, segnatamente della Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 (2014/135/UE) e della Proposta di direttiva del parlamento europeo e del consiglio, Strasburgo, 22.11.2016, COM (2016) 723 Final in cui viene dato grande risalto anche agli effetti positivi che la continuità aziendale garantisce al sistema bancario (cui viene consentito il recupero di, almeno parte, dei crediti - altrimenti - deteriorati) e alla libera circolazione delle imprese (che non saranno impedite dall’avvio di rapporti economici con imprese di altri paesi né si asterranno dall’avviare attività economiche negli altri paesi in ragione del timore di non poter ottenere utili certi).
[15] 
M.L. Russotto, in Crisi d'impresa ed emergenza sanitaria, a cura di Stefano Ambrosini, Stefania Pacchi, 2020, Zanichelli editore.
[16] 
20 ottobre 2019, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Crisi d’impresa, Gli indici dell’allerta.
[17] 
G. F. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, a cura di Mario Campobasso, settima edizione, UTET Giuridica, settembre 2017.
[18] 
L. Guatri, Il modello 'reddituale': una moderna versione nell'ottica internazionale, Mauro Bini Editore, 2003.
[19] 
A. Alberici, Analisi dei bilanci e previsione delle insolvenze. Affidabilità bancaria e informatica del mercato mobiliare, Isedi, Torino, 1975.
[20] 
D. Zanoni a cura di, Il corporate giving: indagine sul comportamento delle grandi imprese italiane, Avanzi, marzo 2002.
[21] 
I. H. Ansoff, Corporate Strategy, McGraw-Hill, New York, 1965.
[22] 
L. Guatri, M. Bini, La valutazione delle aziende, Egea, Milano,2007.
[23] 
A. Renoldi, Valore dell’impresa, creazione di valore e struttura del capitale, EGEA, Milano, 1997, pagg. 17 – 18.
[24] 
P. Bastia, Crisi e risanamento d’impresa, strumenti di pianificazione e controllo, Clueb, Bologna, 1987.
[25] 
G. Abatecola, Crisi d’impresa. Elementi di teoria e evidenze empiriche, Aracne, Roma, 2007.
[26] 
A. Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’origine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1963, pag. 20 e segg.
[27] 
S. Sciarelli, Economia e gestione dell’impresa, Cedam, Padova, 1999.
[28] 
R. Giannetti e M. Vasta, Storia dell'impresa italiana, 2012, Il Mulino.
[29] 
U. Bertini, Il sistema d’azienda. Schemi di analisi, Giappichelli, Torino, 1990.
[30] 
M. Gromis di Trana, F. Bava. Riduzione del capitale sociale per perdite. Redazione dell'informativa e ruolo degli organi di controllo, Giuffrè 2016.
[31] 
A. Quagli, Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1993; G. FERRERO, Istituzioni di economia d’azienda, Giuffrè, Milano, 1968; V. CODA, L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino, 1988.
[32] 
N. LATTANZI, Elementi di management e dinamica aziendale, Giappichelli, Torino, 2002.
[33] 
Esso riguarda l’astratta possibilità che l’impresa, nel suo divenire, non abbia una stabile attitudine a remunerare congruamente, attraverso i ricavi conseguiti, i costi sostenuti per l’acquisto dei fattori produttivi. U. BERTINI, Introduzione allo studio dei rischi nell’economia aziendale, Milano, Giuffrè, 1987.
[34] 
S. Jevons, The theory of Political Economy, 5 ed., New York, 1957.
[35] 
G. Bertoli, Crisi d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, Egea, Milano, 2000. 
[36] 
M. Veneziani a cura di, Previsione, interpretazione e soluzione della crisi d'impresa. Analisi dell'economia lombarda, Giappichelli, 2015.
[37] 
N. Misani, Gestioni delle crisi, Egea, Milano, 1996.
[38] 
G. Gironda, L’impresa impara a gestire l’emergenza, L’ Impresa, n.3, 1993.
[39] 
Si veda Levi & Moore, Bankruptcy and Reorganization : A Survey of Changes, 111, 5 U, Chi. L. Rev. 398, 405; Dodd, Fair and Equitable Recapitalization, 55 Harv. L. Rev. 780, 781; Cravath, Reorganization of Corporations, in 1 Some Legal Phases of Corporate Financing, Reorganization and Regulation, 154; 2 Dewing, Financial Plicy of Corporations, 1282 (4th ed. 1941). Nelcaso Brockett v. Winkle Terra Cotta Co., 81 F.2d 949, 953 la cortestatuìche “Reorganization of distressed corporation is primarily and principally a business (economic) problem. It is a means whereby those variously interested financially in a distressed business seek, through continuance of that business as a going concern, to  work out for themselves more than they could gain by sale of the assets or of the business to others. Reorganization is occasioned by the situation that the business cannot go on as it is. If it is to continue in control of all or of some of those financially interested in it, a readjustment is necessary. Such readjustment involves suspension or alteration of some or all existing legal interests in the business and property and may involve extinguishment of some interest. It is only because of such changes in legal rights that the matter of reorganization comes into courts.
[40] 
Chapter 11, Title 11, United States Code.
[41] 
Per una completa disamina del purpose della Chapter 11 si veda Diuglas, Improvement in Federal Procedure for Corporate Reorganization, 24 A.B.A.J. 875 – 878; Brockett v. Winkle Terra Cotta Co. 81 F 2d 949, 953; Lincoln Printinmg Co. v. Middle West Util. Co., 6 F. Supp. 663, aff’d, 74 F.2d 779, cert. denied, 295 U.S. 746, 55 S. Ct. 659, 79 L. Ed. 1691.
[42] 
In re Sullivan County Regional Refuse Disposal Dist., 165 B.R. 60, 76 (Bankr. D.N.H. 1994).
[43] 
E.Warren, J.L.Westbrook, “The success of Chapter 11: a challenge to the critics” in Michigan Law Review, n. 107, 2009, p. 603.
[44] 
Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
[45] 
Si veda Ashton v. Cameron County Water Improvement District. N. 1, 298 U.S. 513, 56 S.Ct. 892, 80 L. Ed. 1309 (1936); e United States v. Bekins, 304 U.S. 27, 58 S. Ct. 811, 82 L. Ed. 1137 (1938).
[46] 
M.S. Chiucchi, G. Iacoviello, A. Paolini. Controllo di gestione. Strutture, processi, misurazioni. Giappichelli Editore, 2021. 
[47] 
C.M. Ferro. Pianificazione e controllo. Luiss University Press. Hoepli. 2021.
[48] 
E.G. Flamholtz, Organizational Control System as a Managerial Tool, 1979.
[49] 
E. COMUZZI, Valore e performance, Giappichelli Editore, 2021.
[50] 
P. PAOLONI, Elementi di governo d’azienda, Giappichelli Editore, 2021.
[51] 
S. Modina, Controllo di gestione, Giuffrè Editore, 2021.
[52] 
N.A. Robert, F. D. Hawkins, M. D. Macri’, A. K. Merchant, Sistemi di controllo, THE Mcgraw-Hill Companies Editore, 2021.
[53] 
A. Marrone, Principio di economicità e reporting integrato, Giuffrè Editore 2020.
[54] 
A. Cosentino, Rilevazione delle operazioni di gestione e il bilancio d’impresa, Giappichelli Editore 2020.
[55] 
T. Giannini e A. Pasini, Controllo di gestione: aspetti concettuali e tendenza evolutive, 1993, Il Sole 24 Ore Professione Impresa, Milano.
[56] 
T. Horngren Charles et al., Contabilità per la direzione: strumenti e processi per l’impresa competitiva, (edizione italiana a cura di Erasmo Santesso e Lino Cinquini), 1998, Prentice Hall International, ISEDI, Torino.
[57] 
S. R. Kaplan e R. S. Anderson Steven, Time-driven activity-based costing. A simpler and more powerful path to higher profit, 2007, Harvard Business School Press, Boston.
[58] 
S. R. KAPLAN e R. COOPER, Cost & effect: using integrated cost systems to drive profitability and performance, 1998, Harvard Business School Press, Boston.
[59] 
G. Lo Martire, Il margine di contribuzione. L'unico sistema di calcolo dei costi in grado di determinare: la vera redditività dei prodotti, il prezzo minimo cui si può vendere un prodotto, il fatturato che consente di raggiungere il pareggio, Buffetti Editore, Roma 1989, p. 47.
[60] 
M. S. Avi, Controllo di gestione: aspetti contabili, tecnico-operativi e gestionali, a cura di Bruno Frizzera, 2007, Il Sole 24 Ore, Milano; S. Sciarelli, La gestione dell’impresa, Cedam, 2020.
[61] 
R. Candiotto, S. Gandini. Analisi e ottimizzazione dei processi aziendali. Maggioli Editore 2020.
[62] 
R. Provasi, Dinamiche evolutiva del sistema di controllo interno, Giappichelli Editore, 2020.
[63] 
C. D’Arconte, Strumenti per il controllo di gestione e le decisioni aziendali, Cacucci Editore 2020.
[64] 
G. Azzone, Sistemi di controllo di gestione: metodi, strumenti e applicazioni (nuova ed. aggiornata di Innovare il sistema di controllo di gestione), 2006, ETAS, Milano. 
[65] 
La logica è che si pone l’utile in funzione delle quantità vendute e non del volume produttivo in quanto si genera utile nel momento in cui avviene la vendita, non la produzione. Tuttavia tale rappresentazione grafica rientra nell’analisi costi-volumi- risultati, la quale si basa sull’ipotesi che il volume di vendita sia uguale al volume produttivo, pertanto, dal momento in cui tali grandezze coincidono, è indifferente riferirsi all’una o all’altra.
[66] 
G. Gentile, “Mappare i processi aziendali per valutarne la redditività”, Amministrazione e Finanza, IPSOA, Milano, 14/2006.
[67] 
M. Agliati, Il budget e l’attività di direzione in Misurazione d’azienda programmazione e controllo, a cura di F. Amigoni, II Ed. 1995, Giuffrè Ed.
[68] 
L. Selleri, “Contabilità generale industriale e per la direzione”, 1976, ETAS Libri.
[69] 
A. Marelli, Il sistema di reporting interno, Giuffrè, 2002.
[70] 
G. Gandini, Il sistema dei costi standard, in Introduzione all’analisi dei costi, a cura di, M. Salvioni, Giappichelli, Torino, 2002.

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Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
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  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
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  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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