Le numerose riflessioni in materia di assetti organizzativi fatte (soprattutto, sinora) in dottrina si sono accompagnate alla comprensibile esigenza di capire come il dovere di loro istituzione, in termini di adeguatezza, possa tradursi, in caso di inadempimento, in responsabilità degli organi sociali. Adattata la governance delle società, con l’attribuzione di tale dovere, in via esclusiva e trans-tipica, all’organo di amministrazione (con esclusione, dunque, soprattutto di soci ed assemblea: cfr. artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies, 2475 c.c.), e con l’eliminazione – in tal modo – di ogni ambiguità circa l’individuazione dei responsabili (dall’organo di amministrazione all’organo di controllo), il dubbio che maggiormente ha diviso gli interpreti ha riguardato le condizioni di sindacabilità della (in)adeguatezza degli assetti e, pertanto, di imputazione della relativa responsabilità.
Infatti, dall’un lato, alcuni hanno valorizzato l’introduzione di uno specifico dovere, nell’art. 2086, comma 2, c.c., tale per cui la sua violazione, a seguito dell’accertamento dell’inadeguatezza degli assetti relativamente “alla natura e alle dimensioni dell’impresa”, determinerebbe sempre la responsabilità degli organi tenuti alla loro istituzione (e l’ordinamento sul punto è implacabile, perché l’art. 2381 c.c. coinvolge organi delegati e consiglio di amministrazione nella cura degli assetti – comma 5° - e nella valutazione della loro adeguatezza – comma 3° -, mentre l’art. 2403 c.c. onera esplicitamente di detta valutazione anche l’organo di controllo). Non ci sarebbe Business judgment rule (“BJR”) che tenga, con l’attribuzione all’autorità giudiziaria di valutare il merito delle scelte gestionali in punto di organizzazione interna dell’impresa, proprio perché riferito ad uno specifico dovere dell’imprenditore e, quindi, degli organi sociali.
Dall’altro lato, altri hanno osservato che l’istituzione degli assetti organizzativi è parte integrante della gestione dell’impresa, anche considerata la difficoltà di distinguere tra una gestione “interna” (gli atti di organizzazione) ed una gestione “esterna” (gli atti dell’organizzazione), con la conseguente attrazione della sindacabilità dell’adeguatezza degli assetti entro i confini tracciati, anche nel nostro ordinamento, dalla c.d. BJR. In tal modo, a grandi linee, l’inadeguata configurazione degli assetti potrebbe essere giustiziata solo se: (i) adottata senza l’adozione delle cautele informative propedeutiche al compimento di qualunque atto di gestione; (ii) del tutto irrazionale, specie relativamente alle informazioni di cui il decisore disponeva o avrebbe dovuto disporre al momento del compimento della scelta gestionale; (iii) non contraria a norme di legge o di statuto.
In questo secondo senso si è orientata una prima giurisprudenza di merito, per la quale “la funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e … deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. In altre parole, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere … In definitiva, la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta afferente al merito gestorio” [8].
Confesso la preferenza per questa seconda opzione interpretativa: ogni decisione attinente agli assetti comporta una scelta di allocazione di risorse limitate da esercitarsi nell’ambito di un’amplissima discrezionalità. Non esiste (quanto meno per l’impresa in generale; discorso parzialmente diverso potrebbe farsi per quei settori speciali, quale quello dell’impresa bancaria, nei quali fiorisce una normazione secondaria, spesso riconosciuta dal legislatore primario) un “manuale delle istruzioni” nel quale gli assetti organizzativi (personale, sistemi informatici, assetto contabile, segregazione e flussi informativi, programmazione e chi più ne ha più ne metta) siano specificamente individuati in relazione alla attività e alle dimensioni di ogni impresa, e dove c’è discrezionalità amministrativa – o merito della gestione che dir si voglia – lì dubito che il giudice (o un ausiliario, per quanto esperto sia nella materia) possa sostituire la propria sensibilità a quella del gestore. Anche l’istituzione degli assetti, poi, ha un costo-opportunità che non può essere trascurato: un euro investito in un sistema informatico o in una persona addetta allo stesso non potrà essere investito altrove, ad esempio nell’implementazione della rete commerciale o nel dipartimento ricerca e sviluppo: la migliore organizzazione interna dell’impresa, dunque, potrebbe incidere negativamente sulla sua redditività, e il rischio di overdeterrence (con l’erezione di perfetti e costosi assetti organizzativi, a scapito delle altre numerose fasi dell’attività economica), in caso di sindacabilità nel merito dell’adeguatezza degli assetti, sarebbe ovviamente dietro l’angolo.
Vero che questo è soltanto un argomento ab inconvenienti, che potrebbe valere più de jure condendo che de jure condito, ma è in sé in grado di contribuire a spiegare perché, se si vuole guardare all’efficienza economica delle opzioni interpretative, le esternalità positive conseguenti ad assetti sempre adeguati potrebbero essere (più che?) compensate dalle esternalità negative conseguenti alla minore redditività delle imprese [9].
In linea più generale, sarebbe poco comprensibile perché il giudice potrebbe entrare nel merito degli assetti organizzativi ma non in quello di altre scelte organizzative o dell’adeguatezza della struttura finanziaria dell’impresa, ad esempio, con una marcata distonia sistematica.
Non convince, invece, la “terza via”, pur suggerita dal Tribunale di Roma, ovvero quella per cui, pur consentendosi la sindacabilità dell’adeguatezza degli assetti solo alle condizioni della c.d. BJR, sarebbe invece sempre imputabile agli organi sociali “la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa” (Trib. Roma, 15 settembre 2020). Come visto, infatti, il rispetto in sé delle regole poste a presidio del funzionamento delle società di capitali impedisce che queste possano essere prive di “qualsivoglia misura organizzativa”, condizione che implicherebbe di per sé la violazione di altre inderogabili regole, quali quelle riguardanti la tipica organizzazione societaria ovvero la tenuta delle minime scritture contabili (sì che la responsabilità degli organi sociali deriverebbe in tal caso dalla violazione di queste inderogabili regole, non dall’inesistenza/inadeguatezza degli assetti organizzativi).
Lo sforzo degli interpreti circa il problema dei limiti di sindacabilità dell’(in)adeguatezza degli assetti organizzativi, tuttavia, rischia di perdere d’importanza se si riconosce che nella normalità dei casi assetti non adeguati costituiscono un antecedente causale remoto, e così spesso non efficiente, dell’eventus damni. Assumendosi, infatti, che il danno sia conseguenza di un atto di gestione, la responsabilità degli organi sociali “da assetti” potrebbe configurarsi solo se l’atto sia stato deciso e compiuto: (i) previa adozione delle necessarie cautele; (ii) in maniera razionalmente coerente con le informazioni ricevute; (iii) aderenza alla legge e allo statuto. Mancando infatti una di queste tre condizioni, la responsabilità deriverebbe dalla sindacabilità in sé dell’atto di gestione, non più “coperto” dalla c.d. BJR. Il problema, però, sta nel fatto che gli assetti organizzativi servono (ben oltre gli scopi loro assegnati dall’art. 3 CCII) soprattutto e proprio a dotare l’organo di amministrazione delle informazioni necessarie ad assumere razionali decisioni gestorie, sì che si danno le seguenti alternative:
a) se gli amministratori hanno compiuto l’atto di gestione, nonostante la presenza di adeguati assetti, senza osservare le propedeutiche e necessarie cautele (o a prescindere da queste), gli stessi saranno responsabili delle conseguenze negative dell’atto dannoso per violazione del dovere di agire in modo informato ex art. 2381, comma 6, c.c. o, se si preferisce, per l’assenza di una condizione di operatività della c.d. BJR;
b) se l’atto di gestione è stato compiuto senza l’osservanza delle propedeutiche e necessarie cautele (o a prescindere da queste), anche a causa dell’inadeguatezza degli assetti organizzativi, gli amministratori saranno responsabili delle conseguenze negative dell’atto dannoso sempre per violazione del dovere di agire in modo informato ex art. 2381, comma 6, c.c. (o, se si preferisce, per l’assenza di una condizione di operatività della c.d. BJR), e l’inadeguatezza degli assetti sarà antecedente causale irrilevante;
c) se l’atto di gestione è stato compiuto con l’osservanza delle propedeutiche e necessarie cautele, a prescindere dall’inadeguatezza degli assetti organizzativi, dubito che gli amministratori potranno essere ritenuti comunque responsabili, perché assetti organizzativi più adeguati avrebbero loro fornito le stesse basi informative già altrove raccolte, ancora una volta venendo meno un nesso causale tra inadeguatezza degli assetti ed evento dannoso.
In realtà, un’indagine sull’adeguatezza degli assetti, finalizzata all’accertamento di responsabilità degli organi sociali, può avere un senso solo nell’ipotesi sub “b” e al fine di estendere la responsabilità dagli amministratori esecutivi (ai quali è imputabile la decisione sul compimento dell’atto) a quelli non esecutivi e ai componenti dell’organo di controllo, ai quali si potrà imputare che l’inosservanza delle necessarie cautele è stata causata (in termini di “più probabile che non”) dall’inadeguatezza degli assetti organizzativi.
Dunque, a prescindere dalle condizioni di sindacabilità degli assetti che si vorranno adottare e fermo che l’inadeguatezza degli assetti in sé non genera un danno e quindi responsabilità, si riscontra un margine (pur se non amplissimo) di utilità nell’allegazione dell’eventuale inadeguatezza degli assetti, finalizzata all’imputazione estesa della responsabilità conseguente al compimento di un atto di gestione in sé a sua volta sindacabile.