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Saggio

Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa*

Niccolò Abriani, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Firenze

13 Maggio 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Il saggio è destinato al volume Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria. Dalla legge fallimentare al Codice della crisi, a cura di Giuseppe Ferri jr. e Daniele Vattermoli in corso di pubblicazione.
Riproduzione riservata
1 . La “ristrutturazione” degli accordi di ristrutturazione
Se gli accordi di ristrutturazione possono essere considerati, in termini generali, come uno dei rari (o molti, a seconda dei punti di vista) “fiori all’occhiello” del Codice della crisi, non v’è dubbio che gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa costituiscano la “porzione normativa” più qualificante e la punta di diamante dell’istituto.
Tale constatazione vale in particolare per gli accordi ad efficacia estesa con continuità aziendale, sui quali si incentrano queste riflessioni, ed assume rilievo tanto a livello operativo, quanto sul piano sistematico. 
Sul primo versante, numerosi sono gli elementi che convergono a delineare uno scenario nel quale l’accordo di ristrutturazione sottrarrà spazio applicativo agli altri “strumenti di regolazione della crisi”, ai quali è intitolato il Titolo IV del Codice della crisi. 
Tale fenomeno è prevedibile che si verifichi sia “verso il basso”, nei confronti dei piani attestati, sia “verso l’alto”, nei riguardi del concordato preventivo. 
Quanto ai piani di risanamento attestati, essi vengono presentati ora, sin dal loro nomen, come una versione minore dell’istituto in esame, anche in punto di minore tutela da future azioni revocatorie, proprio in quanto “accordi non omologati” [e v. la diversa formulazione della lett. d), rispetto alla lett. e), del co. 3 dell’art. 166 CCI]: con una (dubbia) ablazione della versione unilaterale dell’istituto e un (sicuro e sensibile) appesantimento documentale e procedimentale. Sotto altro versante, i piani attestati, non dando luogo a una “domanda di accesso” a una “procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, risultano inidonei tanto a sterilizzare gli obblighi di segnalazione dei creditori pubblici qualificati di cui all’art. 15 CCI, quanto ad ottenere il riconoscimento delle misure premiali previsti dall’art. 25 CCI: effetti che potrebbero invece conseguire da una tempestiva presentazione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione.
Ancora più marcata sembra destinata a risultare l’erosione dell’area sino a ieri di appannaggio del concordato preventivo, nella duplice versione del concordato a carattere liquidatorio e con continuità aziendale. Rispetto al (recte, a quel che resta del) concordato preventivo liquidatorio, l’accordo di ristrutturazione, anche ad efficacia estesa, non è evidentemente soggetto al limite quantitativo del venti per cento del soddisfacimento dei creditori chirografari, né richiede apporti di terzi che tale soddisfacimento incrementino di almeno il dieci per cento (v. invece l’art. 84, co. 4 CCI). 
A differenza del concordato con continuità aziendale, l’accordo di ristrutturazione può prevedere la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta, ma non richiede che a tal fine i creditori vengano “soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale”. Da quest’ultima condizione sembra ormai affrancato anche l’accordo ad efficacia estesa, alla luce della soppressione di tale requisito operata dal decreto correttivo dell’originario inciso finale dell’art. 61, co. 2, lett. b), che pertanto rimarrebbe relegato all’ambito dei concordati preventivi come tratto distintivo rispetto ai concordati liquidatori[1]. Ai fini dell’estensione degli effetti dell’accordo, sembrerebbe dunque sufficiente l’accertamento che i non aderenti risultino soddisfatti “in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”; una condizione il cui difetto, va soggiunto, sarebbe comunque ostativo semplicemente all’estensione degli effetti e non già all’omologazione dell’accordo[2]. 
La forza competitiva dell’accordo di ristrutturazione è ulteriormente accentuata da ulteriori elementi, tra i quali si segnalano i) la peculiare semplificazione anticipatoria dell’accordo agevolato, sulla quale si avrà modo di ritornare, ii) la piena equiparazione al concordato preventivo in punto tanto di irrevocabilità degli atti compiuti in esecuzione dell’accordo, quanto di riconoscimento della prededuzione alla nuova finanza, ove risulti funzionale alla continuità aziendale e iii) la mancata previsione dell’obbligo di indicare nel piano posto alla base dell’accordo un elenco delle azioni risarcitorie (oltre che recuperatorie) esperibili nella procedura (o nell’alternativa della liquidazione giudiziale), che l’art. 87, co. 2, CCI contempla invece tra gli elementi del piano concordatario: un elenco che include in primo luogo quelle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, che il Codice della crisi legittima espressamente il liquidatore del concordato con cessione dei beni a promuovere (o, se pendenti, a proseguire), restando inopponibili nei confronti del liquidatore e dei creditori sociali “ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano” (art. 115 CCI). 
Un ulteriore profilo differenziale è infine rappresentato dalla soppressione, operata in sede di decreto correttivo, dell’obbligo di depositare contestualmente all’accordo quella “insidiosa” relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore, di cui al secondo comma dell’art. 39 CCI, che deve indefettibilmente integrare la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Alla luce della centralità che l’istituto in esame verrà a rivestire nel nuovo contesto normativo potrebbe risultare riduttiva la riconduzione dell’accordo ad efficacia estesa a una mera “sottospecie” degli accordi di ristrutturazione. Se è infatti indiscutibile che l’estensione dell’efficacia richieda requisiti aggiuntivi rispetto a quelli presupposti in generale ai fini dell’omologazione degli accordi in esame[3], le considerazioni introduttive sin qui prospettate suggeriscono un cambio di prospettiva, potendosi considerare l’intera disciplina degli accordi di ristrutturazione come un “piedistallo normativo” – o, se si preferisce, una “rampa di lancio” – verso questa variante più evoluta ed incisiva dell’istituto. 
È del resto proprio attraverso il prisma dell’accordo ad efficacia estesa – e delle relative regole integrative dettate al riguardo – che si può ricostruire compiutamente la disciplina generale e ridefinire la stessa tassonomia degli accordi di ristrutturazione, così come “ristrutturati” (e in parte “destrutturati”) dal Codice della crisi. 
2 . La “estensione” degli accordi ad efficacia estesa
Per mettere meglio a fuoco la portata di queste premesse pare opportuno ripercorrere il dettato normativo dell’art. 61 CCI, che, a seguito dell’entrata in vigore del Codice della crisi, sostituirà la disciplina oggi contenuta nei primi quattro commi, integrati dal comma finale, dell’art. 182-septies L. fall. 
Una esegesi ricostruttiva deve peraltro prendere le mosse dall’ultimo comma della disposizione che, in più diretta continuità con la disciplina (pre)vigente, stabilisce che “quando un’impresa ha debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo, l’accordo di ristrutturazione dei debiti può individuare una o più categorie tra tali tipologie di creditori che abbiano fra loro posizione giuridica ed interessi economici omogenei”; in tal caso, si soggiunge, “il debitore può chiedere (…) che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria”, anche quando l’accordo abbia carattere liquidatorio, non prevedendo la prosecuzione dell’attività d’impresa né in via diretta, né in via indiretta.
Dal confronto tra questo precetto e le regole enunciate nei commi che lo precedono si evince una prima bipartizione di vertice, di natura funzionale, che colloca i) da un lato, l’accordo di ristrutturazione con continuità aziendale e, ii) dall’altro, l’accordo di ristrutturazione a carattere liquidatorio
Questa bipartizione vale innanzi tutto a confermare, in termini generali, che la “ristrutturazione dei debiti” posta alla base degli accordi di cui agli artt. 57 e ss. può risultare funzionale tanto alla “prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta” (il c.d. “accordo di salvataggio”), quanto alla liquidazione del patrimonio del soggetto che ne è titolare[4]. 
La distinzione assume tuttavia un ulteriore rilievo sistematico sotto un duplice versante. Il primo è reso esplicito dalla norma in esame e attiene al più ampio spettro soggettivo di potenziale irradiazione degli effetti (o, meglio, come si dirà, di alcuni degli effetti) dell’accordo con continuità aziendale, che può riguardare tutti i creditori rientranti in categorie omogenee, indipendentemente dalla natura del loro credito (art. 61, co. 1-4), laddove l’efficacia dell’accordo a carattere liquidatorio è suscettibile di estendersi, sussistendone i presupposti e in forza del provvedimento di omologazione, soltanto nei confronti di titolari di crediti bancari e finanziari tra loro omogenei (art. 61, co. 5)[5]. 
Vi è però un secondo profilo, questa volta implicito, che riguarda la concreta possibilità di ottenere l’omologazione in presenza di adesioni rappresentanti una percentuale del solo trenta per cento della massa debitoria. La “agevolazione” contemplata dall’art. 60 CCI, infatti, pur risultando astrattamente riferibile anche all’accordo liquidatorio, sembra destinata a trovare applicazione in via elettiva – se non, di fatto, esclusiva – nell’ambito di ristrutturazioni aziendali connotate da un minor grado di gravità della crisi e affrontate tempestivamente in funzione della preservazione del going concern in una prospettiva che, nella maggior parte dei casi, sarà riconducibile alla continuità aziendale diretta (e v. infra, al par. 4). 
Una terza differenza è rappresentata dal riconoscimento al solo accordo con continuità aziendale della prededuzione in relazione ai crediti e derivanti da “finanziamenti in qualsiasi forma effettuati, ivi compresa l’emissione di garanzie, in esecuzione dell’accordo”, sul presupposto peraltro non soltanto della intervenuta omologazione dell’accordo, ma altresì della espressa previsione di tali finanziamenti nel piano ad esso sottostante[6].
L’accordo di ristrutturazione con continuità aziendale risulta dunque, quanto ai suoi presupposti (e di fatto), il più “agevolmente agevolabile” e, quanto ai suoi effetti (e di diritto), il più “estensivamente estendibile” a creditori omogenei, oltre che il più “appetibile” per i creditori aderenti chiamati ad erogare nuova finanza[7]. 
Ulteriori elementi di rilevanza sistematica offerti dalla norma in esame riguardano gli effetti degli accordi di ristrutturazione che, più che in passato, valgono a giustificare la perdurante denominazione dell’istituto: una denominazione che allude al contenuto tipico dell’accordo, rappresentato appunto dalla ristrutturazione del passivo del debitore e dalla conseguente ridefinizione dei corrispondenti crediti, che si estrinseca in una serie di variabili già sperimentate nei primi lustri di applicazione dell’istituto, tipicamente rappresentate dalla moratoria nei pagamenti, alla riduzione dell’importo, alla concessione di nuove garanzie[8].
Questo nucleo essenziale rappresenta, al contempo, da un lato, il “contenuto minimo necessario”[9] degli accordi e, dall’altro, il “contenuto massimo” delle previsioni negoziali che il decreto di omologazione può estendere ai creditori non aderenti[10]. 
Ed è proprio alla luce di quest’ultimo limite sistematico, già contenuto nella vigente disciplina dell’art. 182-septies L. fall. e ribadito ora dal quarto comma dell’art. 61 CCI, che è possibile operare una tripartizione degli effetti che l’accordo di ristrutturazione può determinare sui creditori dell’impresa in crisi, secondo un climax ascendente ai cui estremi si collocano, alla base, gli effetti che si producono anche verso i creditori “estranei” e, al vertice, gli effetti selettivamente riservati ai creditori propriamente “aderenti”. 
Partendo dai primi, va ricordato che, come già nel contesto della legge fallimentare, l’accordo è suscettibile di determinare comunque effetti non secondari sulla generalità dei creditori, ancorché c.d. “estranei”: dalla transitoria inesigibilità del credito, conseguente al differimento dei termini di pagamento fino a centoventi giorni dall’omologazione (o dalla scadenza originaria, se successiva), alla preclusione dell’esperimento di azioni revocatorie nei confronti di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione omologato (e purché nello stesso espressamente indicati), sino alla impossibilità di porre a fondamento dell’azione di responsabilità la violazione degli artt. 2447 (e 2482-ter), 2484, n. 4 e 2486 c.c. per le operazioni compiute dopo il verificarsi dell’effetto sospensivo dei relativi obblighi, che l’art. 64 CCI ricollega (al pari dell’art. 182-sexies L. fall.) “alla data del deposito della domanda per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione disciplinati dagli articoli 57, 60 e 61”. A questi effetti si affiancano, nel Codice della crisi, oltre alla ricordata estensione dell’irrevocabilità alla revocatoria ordinaria, il venir meno degli obblighi di attivazione delle segnalazioni all’OCRI da parte dei creditori pubblici qualificati e gli effetti indiretti derivanti dal riconoscimento delle misure premiali, ove la domanda di omologazione dell’accordo sia stata presentata tempestivamente (artt. 24 e 25 CCI). 
Al vertice opposto si colloca la posizione dei creditori che partecipano alla conclusione dell’accordo di ristrutturazione che, proprio in quanto aderenti, possono naturalmente assumere anche obblighi in ordine alla esecuzione di nuove prestazioni e, in particolare, alla erogazione di nuovi finanziamenti, alla concessione di nuovi affidamenti o al mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti già esistenti, così come alla conversione, totale o parziale, dei crediti in capitale o strumenti finanziari partecipativi.
Tra questi due estremi si iscrivono gli effetti suscettibili di estensione ai creditori omogenei che, pur “non aderenti”, non possono all’esito dell’omologazione dell’accordo considerarsi in senso proprio “estranei” in quanto vedono anch’essi ridefinita la propria posizione creditoria, in conseguenza della speculare ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore consacrata dal decreto di omologazione; sicché i diversi crediti da ciascuno degli stessi vantati troveranno il proprio titolo, al pari dei creditori aderenti, nell’accordo omologato al quale si dovrà fare riferimento per individuarne in particolare l’importo, la data di esigibilità e, in caso di concessione di garanzie, la natura[11]. 
Ed è anche alla luce di tale estensione degli effetti della ristrutturazione che i creditori in esame vengono a godere di una tutela diretta, rappresentata dalla conservazione dei diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso[12], e di una indiretta, condivisa con tutti i creditori, derivante dalla estensione dei più rilevanti reati “fallimentari” (se ancora tali potranno dirsi), che lo stesso Codice della crisi prevede, oltre che per il concordato preventivo, anche per gli accordi di ristrutturazione nella sola versione degli accordi ad efficacia estesa e con transazione fiscale[13].
3 . Ragioni ispiratrici e presupposti della estensione dell’efficacia degli accordi
Delineato così lo sfondo sistematico sul quale si colloca l’istituto, si può procedere a collocare sul proscenio della trattazione la prima e più evidente novità introdotta dal Codice della crisi, costituita dalla “estensione” (soggettiva) della platea dei creditori suscettibili di subire la “estensione” (oggettiva) degli effetti dell’accordo; ed esaminare le ragioni che hanno indotto il legislatore a generalizzare l’istituto e i presupposti in presenza dei quali l’accordo, ove funzionale alla continuità aziendale, potrà coinvolgere non soltanto banche ed intermediari finanziari, ma tutti i creditori interessati che risultino riconducibili, per posizioni giuridiche ed interessi economici, ad una categoria omogenea. 
Non senza ricordare, preliminarmente, che i medesimi presupposti sostanziali e procedurali richiesti in generale dalla prima parte dell’art. 61 CCI, affinché si possa pervenire alla estensione dell’efficacia dell’accordo, trovano applicazione anche all’accordo a carattere liquidatorio con banche e intermediari finanziari, di cui all’ultimo comma della norma, che può dunque considerarsi – questo sì – una mera “sottospecie” dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa[14]. Del resto, è evidente che banche e intermediari finanziari saranno comunque presenti, e con un ruolo determinante, nella grande maggioranza degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, sicché, se la nuova disciplina potrà coinvolgere, in quanto con continuità aziendale, anche altre categorie di creditori omogenei, l’ipotesi di un accordo esclusivamente con questi ultimi rimane confinata ad una dimensione quasi scolastica[15]. 
Sotto quest’ultimo versante la nuova disciplina viene piuttosto incontro alla esigenza, avvertita e manifestata dal ceto bancario, di coinvolgere nella sistemazione negoziale della crisi anche un’adeguata percentuale di creditori “commerciali”, condividendo con questi ultimi ristrutturazioni del debito che rappresentano comunque un sacrificio minore rispetto alla deriva liquidatoria e prevenendo condotte opportunistiche che si annidano nella struttura stessa degli accordi in esame che, come noto, presuppongono l’attestazione della loro idoneità ad assicurare il pagamento puntuale e integrale dei creditori estranei. In questa logica ben si comprende che la generalizzazione del meccanismo “coattivo” sia riservata agli accordi diretti a conservare quella continuità aziendale alla quale i creditori “commerciali” risultano maggiormente interessati e alla quale possono sovente concorrere in misura non secondaria. 
Il superamento dei limiti soggettivi operato dalla riforma risulta dunque innanzi tutto funzionale, sia pur indirettamente, ad agevolare il raggiungimento delle percentuali richieste per l’omologazione dell’accordo, inducendo i creditori “commerciali” a uscire dalla tradizionale “apatia opportunistica” e ad aderire a un accordo i cui effetti potrebbero essere comunque loro estesi obtorto collo; e, al contempo, superando le remore degli stessi creditori bancari e finanziari rispetto a soluzioni negoziali che vedrebbero altrimenti gravare su questi ultimi in misura esclusiva (o largamente preponderante) gli oneri della ristrutturazione.
L’istituto in esame, prima ancora che come un meccanismo per estendere coattivamente gli effetti dell’accordo, va dunque riguardato come un efficace strumento per dilatare la platea degli aderenti allo stesso, prima all’interno e poi all’esterno delle relative categorie di appartenenza, così da conseguire l’obiettivo, rispettivamente, della maggioranza dei tre quarti dei crediti omogenei e del sessanta (o, nell’accordo agevolato, del trenta) per cento dell’intera esposizione debitoria. E ciò è tanto più vero nel nuovo contesto sistematico prefigurato dal Codice della crisi che consacra a livello normativo il dovere di debitore e creditori di comportarsi secondo buona fede e correttezza sin dalla fase delle trattative che precede gli accordi e le procedure di regolazione della crisi, imponendo al primo, tra l’altro, di illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza prescelto e ai secondi di collaborare lealmente con il debitore e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria nelle procedure di regolazione della crisi (art. 4 CCI).
Alla luce di queste premesse generali si può meglio cogliere la portata della duplice e coessenziale condizione preliminare richiesta dalla legge ai fini della estensione degli effetti rappresentata, sul fronte sostanziale, dalla omogeneità di posizione dei creditori, che consente di sussumerli in categorie omogenee, e, sul versante processuale, dall’esigenza che “tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti”. 
Le due condizioni sono tra loro evidentemente interrelate: il dovere di informazione “transitiva” del debitore deve avere infatti per oggetto innanzi tutto l’illustrazione della prospettiva della creazione di categorie omogenee, nonché delle ragioni che, giustificando la riconduzione del creditore ad una di esse, legittimerebbero, ove non intendesse aderire all’accordo, la richiesta di una estensione coattiva degli effetti della ristrutturazione che vengano condivisi dalla maggioranza rafforzata del settantacinque per cento dei crediti omogenei. Si tratta di un onere che connota in termini peculiari questa variante di accordi di ristrutturazione e che ha come prima finalità quella di consentire ai creditori un’adeguata e tempestiva valutazione “riflessiva” in ordine alla opportunità di aderire all’accordo, contribuendo a negoziarne se possibile le condizioni[16].
In questa prospettiva, il legislatore non si accontenta di un coinvolgimento iniziale dei creditori, giacché le “informazioni sull’accordo e sui suoi effetti” possono considerarsi “complete e aggiornate” solo in quanto i creditori siano tenuti costantemente informati dell’evolversi delle trattative finalizzate alla definizione dell’accordo e del perimetro della categoria. Del resto, le categorie non devono necessariamente essere formate sin dall’apertura delle trattative, ben potendo essere impostate in una fase successiva, quando emerga l’esigenza di prospettare la possibile estensione degli effetti proprio al fine di “forzare” l’adesione di determinati creditori[17].
Al riguardo va peraltro sottolineato che sia la costruzione delle categorie, sia il coinvolgimento nei termini ora indicati dei creditori alle stesse appartenenti, vengono a rivestire una maggiore delicatezza rispetto al sottoinsieme dei creditori bancari e finanziari, per la spiccata eterogeneità che rende meno agevolmente comparabili le posizioni e potrebbe determinare maggiori rischi di disallineamenti e dunque di arbitrarietà dei criteri costitutivi delle categorie[18]. 
Al fine di prevenire tali rischi, i requisiti ora richiamati dovranno essere compiutamente documentati dal debitore e vagliati con particolare attenzione in sede di omologazione da parte dell’autorità giudiziaria[19]. All’esito di tale scrutinio, rimarrà pertanto preclusa l’irradiazione degli effetti estensivi nei riguardi di quei creditori la cui posizione non consenta di sussumerli nella categoria o che non risultino essere stati adeguatamente coinvolti ed informati, salvo poi verificare se la mancata estensione a tali creditori degli effetti negoziali sia suscettibile di riverberarsi sulla complessiva fattibilità del piano al punto da risultare ostativa all’omologazione dell’intero accordo[20].
Ulteriori requisiti ai fini dell’estensione dell’efficacia dell’accordo ai creditori in posizione omogenea sono rappresentati, come già ricordato, dal carattere non liquidatorio dell’accordo, dall’adesione allo stesso di una percentuale di crediti rappresentante il settantacinque per cento di tutti i creditori appartenenti alla categoria e dall’accertamento che i creditori della medesima categoria non aderenti ai quali vengono estesi gli effetti dell’accordo possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso “in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”.
Rispetto a quest’ultimo requisito, si è già avuto modo di sottolineare come la formulazione normativa non postuli la dimostrazione della effettiva convenienza, per i non aderenti, dell’estensione degli effetti dell’accordo da altri sottoscritto. Non si richiede, in altre parole, che l’accordo si configuri alla stregua di un contratto in favore di terzo, ma semplicemente come un contratto “non a sfavore” dei terzi destinati a subire, in conseguenza del provvedimento di omologazione, l’estensione dei suoi effetti. E si deve sottolineare come la nuova formulazione richieda che la comparazione sia operata rispetto alle possibilità di soddisfazione che i creditori non aderenti ricaverebbero, non più in tutte le “alternative concretamente praticabili” (come invece ora richiesto dall’art. 182-septies L. fall.), ma unicamente in ipotesi di deriva liquidatoria. Non va dunque considerato l’eventuale approdo alternativo del concordato con continuità (e, tanto meno, del negletto concordato a carattere liquidatorio), dovendosi soltanto escludere il carattere svantaggioso rispetto alla liquidazione giudiziale: una condizione al contempo necessaria e sufficiente che, com’è stato osservato, potrebbe risolversi “nel solo vantaggio di evitare i maggiori costi transattivi (in termini di spese e durata della procedura) che normalmente si accompagnano a una regolazione giudiziale dell’insolvenza”[21].
Più singolare, si deve osservare in via incidentale, risulta la trasposizione del medesimo requisito nell’ambito degli accordi di ristrutturazione di gruppo, operata dall’art. 285, co. 4 CCI, ai sensi del quale il tribunale può procedere alla loro omologazione “qualora ritenga, sulla base di una valutazione complessiva del piano o dei piani collegati, che i creditori possano essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola società". Al riguardo si è già puntualmente – e autorevolmente – sottolineato che questa previsione, se si giustifica in relazione alla domanda di accesso ad un concordato di gruppo, per il quale è pure prevista, non ha “alcun senso invece, altrettanto certamente, con riguardo alla domanda di accesso al procedimento di omologazione di accordi di ristrutturazione (…) perché negli accordi di ristrutturazione non possono mai, in assoluto, trovare posto né il criterio del ‘migliore soddisfacimento dei creditori’, né quello della ‘maggiore convenienza’ rispetto all’alternativa liquidatoria”, essendo il grado di soddisfacimento dei creditori “già fissato ex ante (per i creditori aderenti all’accordo, dall’accordo medesimo; per i creditori non aderenti, dalla legge, che impone un soddisfacimento integrale e alla scadenza dei medesimi)”[22]. Tale giudizio, che non può che essere condiviso, induce a interrogarsi se non sia prospettabile una interpretazione restrittiva del dato normativo che, in una logica adeguatrice volta a preservarlo da censure di incostituzionalità per assoluta irragionevolezza, riferisca il requisito in esame alle sole ipotesi in cui il piano sotteso agli accordi in questione contempli quelle “operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo”, che il secondo comma dello stesso art. 285 CCI ora legittima, integrando e precisando in questi termini la condizione ivi prevista della appurata coerenza di dette operazioni con l’obiettivo del “miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo”, ivi inclusa dunque quella chiamata ad operare tale trasferimento di risorse a favore delle altre entità sottoposte alla attività di direzione e coordinamento o della stessa capogruppo.
Resta fermo che, tanto nella dimensione atomistica della singola impresa, quanto negli accordi di gruppo, la doverosa valutazione comparativa del trattamento derivante in capo ai non aderenti, a seguito dell’estensione, rispetto a quello che riceverebbero (nell’attuale regime, in tutte le alternative astrattamente praticabili, e nel Codice della crisi) in caso di liquidazione giudiziale, per quanto operata in termini prognostici, viene ad introdurre un vincolo all’autonomia negoziale nel raggruppamento dei creditori tanto opportuno, quanto inedito per l’istituto in esame. Ciò vale in particolare per le regole di graduazione dei crediti in ragione dell’eventuale causa di prelazione, che normalmente non trovano cittadinanza negli accordi di ristrutturazione[23]: così, mentre il titolare di un credito privilegiato potrebbe naturalmente aderire a un accordo che determini una minore (o più ritardata) soddisfazione rispetto a creditori non privilegiati, deve ritenersi senz’altro preclusa l’estensione di un analogo effetto ad altri creditori privilegiati, ancorché in posizione omogenea rispetto al primo, se non nelle ipotesi (ancora una volta dal sapore scolastico) in cui tale trattamento risulti non peggiorativo rispetto alla soddisfazione prefigurabile all’esito di una liquidazione giudiziale.
Sulla sussistenza dell’insieme delle condizioni richieste ai fini dell’estensione dell’efficacia dell’accordo, e sin qui esaminate, i creditori potranno interloquire dialetticamente sia durante le trattative, sia dopo la sottoscrizione dell’accordo: la legge impone infatti al debitore di notificare l’accordo – unitamente alla domanda di omologazione e ai documenti allegati – ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo, legittimando questi ultimi a proporre opposizione ai sensi dell’articolo 48, co. 4 CCI entro il termine di trenta giorni dalla data di tale “comunicazione” (id est, della notifica)[24].
4 . La “agevolazione” degli accordi ad efficacia estesa e la transazione fiscale e previdenziale (cenni)
Come si è già anticipato, tra le disposizioni che l’incipit dell’art. 61 CCI rende applicabili agli accordi ad efficacia estesa vi è anche la possibilità di conseguire l’omologazione di accordi conclusi da creditori titolari di una percentuale dimezzata, pari al trenta per cento dell’esposizione debitoria, a condizione che il debitore non richieda e rinunci a richiedere “misure protettive temporanee” e la “moratoria dei creditori estranei agli accordi”.
In questa peculiare ipotesi di convergenza dei due istituti viene dunque ad accentuarsi la differenza tra creditori propriamente “estranei” all’accordo, che conservano il diritto di esigere l’adempimento alla scadenza originaria, e creditori collocati in categorie, che, sempre sul presupposto dell’adesione dei titolari di tre quarti dei crediti omogenei, potranno subire non soltanto moratorie ma anche riduzioni degli importi dei propri crediti.
Si è già rilevato che l’art. 60 CCI sembra destinato a trovare il proprio campo di applicazione elettivo in presenza di situazioni di crisi meno gravi, giacché è soltanto in tali contesti che l’accordo di ristrutturazione potrebbe risultare idoneo a garantire adempimento integrale e senza dilazioni di crediti che in linea di principio rappresentano oltre i due terzi dell’esposizione debitoria complessiva. A ben vedere tuttavia, questa percentuale potrebbe essere significativamente ridotta in forza dell’effetto combinato dell’estensione ai creditori appartenenti a categorie omogenee, di cui all’art. 61 CCI, e della adesione d’ufficio ora imposta per i crediti erariali e previdenziali dalla nuova disciplina della transazione fiscale e contributiva, che potrebbe avvicinare sensibilmente i quozienti di “adesione effettiva” all’accordo alla maggioranza richiesta per l’approvazione del concordato. 
Al riguardo va ricordato che: i) alla luce delle modifiche introdotte con il decreto correttivo, il Codice della crisi permette di conseguire l’omologazione di accordi e concordati preventivi nonostante la mancata adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali entro il termine di legge (che il D.Lgs. n. 147 del 2020 ha elevato da sessanta a novanta giorni) quando risulti che l’accordo di ristrutturazione (o la proposta concordataria) risulti più conveniente per l’ente creditore; ii) in sede di conversione del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, l’entrata in vigore di queste novità prefigurate dal Codice della crisi, così come riscritto sul punto dal decreto correttivo, è stata anticipata, permettendo già ora l’omologazione dell’accordo concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento della percentuale richiesta dalla legge e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore, “la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria” [25]. 
L’importanza della nuova disciplina si apprezza anche in considerazione della tempistica con la quale sino ad oggi gli enti in questione si pronunciavano sulle proposte di transazione, ancora più dilatata per gli enti previdenziali rispetto alla stessa agenzia delle entrate e chiaramente incompatibile con i tempi imposti dalla ristrutturazione. La nuova disciplina permetterà così di condurre in porto un maggior numero di accordi di ristrutturazione, superando lo spettro di responsabilità erariali cui erano riconducibili gli ostacoli posti all’adesione da parte dei responsabili di tali enti ed offrendo alle imprese uno strumento la cui rilevanza operativa risulterà direttamente proporzionale alla elasticità con la quale l’autorità giudiziaria saprà valorizzare la valutazione di convenienza dell’accordo o della proposta concordataria rispetto all'alternativa liquidatoria, che l’esperto indipendente è chiamato ad operare. Così intesi i nuovi istituti potrebbero agevolare l’omologazione di accordi di ristrutturazione obiettivamente più convenienti per l’erario e gli enti previdenziali, riponendo finalmente nell’arrière boutique del diritto fallimentare quella camicia di Nesso, fatta di ostruzionismi e ritardi delle amministrazioni pubbliche, che si erano sino a ieri rivelati troppe volte fatali a risanamenti aziendali di acclarata fattibilità, con pregiudizio dei creditori, del sistema imprenditoriale e, in ultima istanza, degli stessi contribuenti.
Tale importante novità potrebbe determinare interessanti corollari nello scenario prefigurato dal Codice della crisi, che riferisce espressamente il meccanismo in esame alle ipotesi in cui l’adesione risulti decisiva “ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 57 comma 1 e 60 comma 1”, consentendo così di pervenire all’omologazione di un accordo di ristrutturazione agevolato concluso dall’imprenditore con una banca titolare del sedici per cento dei crediti e con il principale fornitore titolare del dodici per cento, che potrebbe (largamente) raggiungere la percentuale richiesta dall’art. 60 CCI in virtù dell’“adesione d’ufficio” di erario ed enti previdenziali titolari di un ulteriore dodici per cento di crediti, vedendo così estesi i propri effetti, in forza dell’omologazione, a titolari di crediti omogenei agli aderenti per un ulteriore sette per cento. Nel caso ora esemplificato, l’accordo agevolato coinvolgerebbe nel sacrificio della ristrutturazione il quarantasette per cento dei crediti e dovrebbe risultare idoneo a soddisfare puntualmente poco più della metà dell’esposizione debitoria.
Ben più rilevante, sul piano operativo, è l’effetto “moltiplicatore” che potrebbe derivare dalla adesione d’ufficio di erario ed enti previdenziali all’accordo ad efficacia estesa non agevolato. Si pensi a un accordo di ristrutturazione sottoscritto dal debitore con i titolari del quarantotto per cento dei crediti e che, a seguito dell’omologazione conseguita considerando “aderenti d’ufficio” erario ed enti previdenziali titolari del venti per cento, estenda i propri effetti anche creditori in posizione omogenea per un ulteriore dodici per cento dell’esposizione debitoria.
L’esempio ora prospettato vale anche a illuminare la netta differenza esistente tra la posizione di erario ed enti previdenziali, da un lato, e creditori appartenenti a categorie omogenee, di cui all’art. 61 CCI, dall’altro: mentre i primi vengono considerati aderenti ai fini del conseguimento delle percentuali richieste, e dunque dell’avveramento di una condizione indefettibile per l’omologazione dell’accordo, per i secondi l’omologazione costituisce il presupposto per l’estensione degli effetti della ristrutturazione.
5 . Considerazioni conclusive
La nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione pone le premesse per avvicinare sensibilmente sia i quozienti di “adesione effettiva” all’accordo alla maggioranza richiesta per l’approvazione del concordato preventivo, sia la forza espansiva della volontà maggioritaria (per quanto qui rafforzata) a categorie di creditori omogenei assimilabili alle classi concordatarie. Si viene così a prefigurare uno scenario inedito che, mentre sul piano teorico, induce a riconsiderare con particolare attenzione l’impostazione dottrinale che qualifica l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa come un “procedimento ibrido”, retto sia dalle regole della concorsualità, sia dalle regole dei contratti[26], sul versante applicativo pone le premesse per una espansione delle prospettive applicative degli accordi di ristrutturazione direttamente proporzionale alla espansione della disciplina dell’istituto in esame operata dal Codice della crisi.
Agli elementi richiamati nei paragrafi precedenti si affianca, per le imprese agricole, l’inedita rilevanza che l’istituto viene rivestire non soltanto in relazione alla ricordata previsione di cui all’art. art. 166, co. 3, lett. e) CCI, che protegge gli atti di esecuzione dell’accordo anche dalla revocatoria ordinaria, ma altresì come strumento di prevenzione di quel “fallimento minore” che, al di là dei nomina, può considerarsi la procedura di liquidazione controllata, in quanto attivabile, nel sistema del Codice della crisi, anche su domanda di un creditore e del pubblico ministero (art. 268, co. 2 CCI); e, prima ancora, delle stesse procedure di allerta che anche per le imprese agricole (come per le imprese minori) potranno essere attivate ai sensi degli artt. 14 e 15 CCI, dunque, tanto su segnalazione dell’organo di controllo o del revisore, quanto dei creditori pubblici qualificati[27]. D’altro canto, nel Codice della crisi lo stesso concordato minore, qualora non sia funzionale a consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale (e dunque abbia carattere liquidatorio), potrà essere proposto dall’imprenditore agricolo soltanto ove sia contemplato “l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori” (art. 74 CCI).
Vi sono infine due ulteriori elementi meritevoli di considerazione, ed operativamente ancora più rilevanti rispetto a quelli sinora segnalati, rappresentati dal contenimento di costi e soprattutto di tempi che l’accordo di ristrutturazione assicura rispetto alla procedura concordataria. Quest’ultimo profilo potrebbe rivelarsi invero decisivo alla luce del limite alla durata complessiva massima delle misure protettive, che l’art. 8 CCI, nel solco delle indicazioni della Direttiva su quadri di ristrutturazione (e v. l’art. 6, par. 8 e il Considerando n. 35 della Direttiva n. 2019/1023), determina in dodici mesi, anche non continuativi e con inclusione di eventuali rinnovi o proroghe. È infatti evidente che tale circoscritto arco temporale mal si concilia con i tempi normalmente richiesti dalla procedura concordataria, mentre potrebbe risultare non incompatibile con gli accordi di ristrutturazione, sospingendo in un comune sforzo organizzativo imprese, professionisti e autorità giudiziaria ad approdare all’omologazione nel contesto di una perdurante protezione da azioni individuali e, dunque, con un più efficace presidio, al contempo, della fattibilità del piano di risanamento e della parità di trattamento dei creditori. 
Ed è appena il caso di aggiungere come la sfida della ripartenza del sistema imprenditoriale dopo la crisi innescata dalla emergenza pandemica accentui la necessità di interventi di ristrutturazione snelli, così da riavviare il ciclo produttivo nel più breve tempo possibile in un ambiente più destrutturato e meno irregimentato sul piano procedurale, come appunto auspicato dalla stessa Direttiva europea.
È pertanto ragionevole prevedere che il progressivo avvicinamento registrato in tempi recenti tra il numero dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione lascerà il campo, negli anni a venire, a un netto sorpasso dei primi da parte dei secondi. Una evoluzione alla quale contribuirà in misura prevalente l’accordo di ristrutturazione con continuità aziendale, che, come si è visto, risulta l’accordo a più ampio spettro di estensione e di agevolazione, oltre ad essere l’unico in grado di assicurare la prededuzione a fronte dell’erogazione di nuova finanza; e, come tale, sembra destinato ad assurgere a strumento principe al quale gli operatori faranno ricorso nelle più importanti operazioni di risanamento delle imprese di cui si intenda preservare i valori connessi alla continuità aziendale. 
Tale scenario potrebbe consolidarsi qualora venisse attenuata l’originaria impostazione dirigista del Codice della crisi, che ancora il decreto correttivo ha ribadito e in qualche misura accentuato con un ulteriore rafforzamento dei poteri del pubblico ministero, legittimato a intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza e la previsione della quasi sistematica nomina del commissario giudiziale anche in caso di richiesta di concessione dei termini per depositare l’istanza di omologazione di accordi di ristrutturazione, pur in assenza di istanze di liquidazione giudiziale. Si tratta di una opzione che meriterebbe un supplemento di riflessione anche alla luce della prospettiva di recepimento della Direttiva europea 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva, che riflette una diversa filosofia ispiratrice, obiettivamente più consona alle esigenze che la perdurante crisi sanitaria impone in termini tanto impellenti quanto drammatici[28]. 
Al contempo, proprio l’emergenza economica connessa agli effetti della pandemia potrebbe suggerire un’anticipazione dell’entrata in vigore delle novità in tema di accordo di ristrutturazione, in particolare ad efficacia estesa. Con l’occasione si potrebbe colmare una lacuna della nostra disciplina concorsuale, estendendo anche agli accordi di ristrutturazione la previsione della inefficacia di clausole risolutive espresse che ricolleghino lo scioglimento del contratto pendente a qualsiasi procedura o accordo con i creditori ad esso assimilabile. Si tratta delle c.d. “ipso facto clauses”, particolarmente diffuse nei contratti internazionali e rivelatesi talora esiziali rispetto alle prospettive di continuità aziendale, per le quali si tratterebbe semplicemente di replicare negli artt. 182-bis e ss. L. fall. (e, un domani, 56 e ss. CCI) la regola dettata in tema di liquidazione giudiziale (art. 172 CCI e già oggi di fallimento: art. 72) e di concordato con continuità aziendale, ma fulminate da nullità con riferimento all’avvio delle procedure di composizione assistita della crisi dallo stesso Codice della crisi[29].

Note:

[1] 
La circostanza che lo stesso D.Lgs. n. 147 del 2020 abbia soppresso, oltre all’inciso “e che i creditori vengano soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale”, anche il riferimento al co. 2 dell’art. 84 CCI, non sembra legittimare una interpretazione riduttiva dell’intervento correttivo per la quale quest’ultima disposizione dovrebbe intendersi richiamata per intero, incluso il requisito in esame enunciato nel suo terzo comma. Una simile lettura risulterebbe non coerente con la ratio sottesa all’intervento “chirurgico” del decreto correttivo che ha dichiaratamente inteso “elimina[re] la previsione secondo la quale i creditori devono essere soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale, trattandosi di limitazione non imposta dalla legge delega ed apparendo sufficiente ad individuare gli elementi che connotano l’istituto l’art. 84” (così la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 147/2020). L’irrilevanza della fonte dei proventi destinati alla soddisfazione dei creditori sembra dunque costituire un dato che caratterizza l’accordo di ristrutturazione con continuità aziendale – sia esso “normale”, agevolato o ad efficacia estesa – e lo distingue dalla corrispondente fattispecie concordataria. 
[2] 
Salva l’ipotesi in cui, in base al piano e all’attestazione, la mancata estensione degli effetti ai creditori omogenei risulti tale da precludere la fattibilità del piano.
[3] 
A cominciare dalla adesione all’accordo di creditori titolari della percentuale minima richiesta (e, dunque, in generale, il sessanta per cento, ovvero, in caso di accordo agevolato, il trenta): come è ora reso esplicito dall’incipit dell’art. 61, per il quale agli accordi ad efficacia estesa si applicano “[l]e disposizioni di cui alla presente sezione”. E v. già, con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 182-septies L. fall., Nigro, Gli accordi di ristrutturazione con “intermediari finanziari” e le convenzioni di moratoria, in Rivista ODC, 2015/2, p. 3; Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria: deroga al principio di relatività del contratto ed effetti sui creditori estranei, in Contr. e impr., 2015, p. 1183; Perrino, Gli accordi di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria, in Dir. fall., 2016, I, 1449; Appio, Prime riflessioni in tema di accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182-septies fra ragioni creditorie e principio consensualistico, in Crisi d’impresa e fallimento, 29 dicembre 2015, p. 5; Fauceglia, L'accordo di ristrutturazione dell'indebitamento bancario tra specialità negoziale e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2016, p. 723 ss.; Lamanna, Le classi/categorie nell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e nella convenzione di moratoria, in www.ilfallimentarista.it, 7 gennaio 2016; De Pra, Le condizioni dell’accordo di ristrutturazione dei debiti con intermediari finanziari, in Giur. comm., 2016, II, p. 1281; Zorzi, L’accordo di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari (art. 182-septies legge fallim.): le categorie di creditori e l’efficacia nei confronti dei non aderenti, in Dir. fall., 2017, I, p. 405; Conca, L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la convenzione di moratoria: disciplina e prime considerazioni applicative, in Il Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e nuova disciplina in materia bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, p. 714; Arato, Il nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti vs concordato preventivo, ivi, p. 732; Benazzo, L’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari. Le trattative: l'informazione sul loro avvio e la possibilità di parteciparvi in “buona fede”, ivi, p. 779.
Sugli accordi di ristrutturazione in generale v., per tutti, Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012; Presti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca borsa tit. cred., 2006, I, p. 31; Sciuto, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Aa. Vv., Fallimento e altre procedure concorsuali, in Fallimento e altre procedure concorsuali a cura di Fauceglia e Panzani, III, Torino, 2009, p. 1808; Vettori, Il contratto nella crisi dell’impresa, in Obbl. contr., 2009, p. 489; Racugno, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Aa. Vv., Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, Padova, 2010, I, p. 549; Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, in Banca, borsa. tit. cred., 2010, I, p. 304; Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Aa. Vv., in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, IV, Torino, 2014, p. 484; Inzitari, Accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis, L. fall.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Contr. impr., 2011, p. 1314; Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio” (o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Dir. fall., 2008, I, p. 375; Rovelli, I nuovi assetti privatistici nel diritto societario e concorsuale e la tutela creditoria, in Il fallimento, 2009, p. 1036; Ambrosini, Commento all’art. 182-bis, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Torino, 2007, p. 2533; Bonfatti, Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa: piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione, in www.dirittobancario.it, 26 settembre 2018; Di Marzio, Un decreto legge in riforma del “diritto fallimentare', in www.giustiziacivile.com, 2015, n. 6; Fauceglia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge 80/2005, in Il fallimento, 2005, p. 1448; Id., Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, p. 48; Guerrera, La ristrutturazione ‘negoziata’ dell’impresa in crisi: novità legislative e spunti comparatistici, in www.ilfallimentarista.it, 10 dicembre 2012; Fabiani, Dal codice della crisi d’impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in www.ilcaso.it, 14 ottobre 2018; Id., La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione, in Il fallimento, 2018, p. 296; Panzani, Le alternative al fallimento. Il concordato e gli accordi di ristrutturazione dopo il D.L. 83/2015, in Nuovo dir. soc., 2015, p. 219; Caiafa-Panzani, Commmento all’art.182-bis, in Commentario alla legge fallimentare, a cura di Caiafa, Roma, 2017, p. 822; Di Maio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti con gli intermediari finanziari, Torino, 2019.
[4] 
Tale piana constatazione trova conferma indiretta anche negli artt. 284 e 285 CCI in relazione al possibile contenuto dei piani o del piano unitario che più imprese appartenenti al medesimo gruppo e aventi tutte il proprio centro degli interessi principali nello Stato italiano pongano alla base della domanda di accesso alla procedura di omologazione di accordi di ristrutturazione “di gruppo” (e v. anche quanto si osserva più avanti in ordine alla diversa disciplina della prededuzione dei crediti sorti in esecuzione dell’accordo con continuità rispetto all’accordo liquidatorio, ex art. 101 CCI).
[5] 
Sulle ragioni che giustificano tale selezione, v. ora le originali e convincenti considerazioni di Maugeri, Accordi di ristrutturazione a efficacia estesa e creditori finanziari, in questo volume.
[6] 
Così l’art. 101 CCI.
[7] 
Sulla finalità dell’accordo ad efficacia estesa con creditori anche non finanziari a tutelare il valore dell’impresa in continuità, superando veti ostruzionistici ed opportunistici, v. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, p. 51. 
[8] 
In questo senso v. Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2021, p. 471 ss.
[9] 
Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi, cit., p. 472; e v. altresì Sciuto, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2009, I, da p. 337, 343; Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, p. 462 s.; e v. ora le riflessioni svolte, in questo volume, da Ferri jr, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti: struttura, funzione ed effetti.
[10] 
Così il quarto comma dell’art. 61. Sul punto, incisivamente, Ferri jr, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., che ravvisa nella ristrutturazione dei debiti “il limite sistematico entro il quale deve ritenersi circoscritta l’operatività di qualsiasi forma di collettivizzazione dei creditori”. E v. già i rilievi di Terranova, Concordati senza consenso, p. 527 e dello stesso Ferri jr, Ristrutturazione dei debiti e partecipazione sociale, in Riv. dir. comm., 2006, I, p. 747 ss.
[11] 
La norma precisa che può essere oggetto di estensione, in quanto non qualificabile come “nuova prestazione”, “la prosecuzione della concessione in godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati”. La dottrina ha peraltro subordinato la “imposizione” della continuazione del contratto di leasing nei riguardi di creditori non aderenti in posizione omogenea, al pagamento integrale dei canoni non ancora scaduti, poiché altrimenti verrebbe ad aumentare il credito di questi ultimi nei confronti del debitore: così Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi, cit., p. 484. 
[12] 
Così l’art. 59, co. 2 CCI, in sintonia con la regola dettata per i creditori del concordato preventivo dal primo comma dell’art. 117 CCI.
[13] 
Così l’art. 341, co. 3 CCI, ai sensi del quale “[n]el caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria, nonché nel caso di omologa di accordi di ristrutturazione ai sensi dell’art. 48, comma 5, si applicano le disposizioni previste al comma 2, lettere a), b) e d)”. 
[14] 
Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi, cit., p. 483. In tal senso v. del resto l’art. 5, co. 1, lett. a), della legge-delega n. 155/2017 e, nel solco di quella indicazione, la Relazione illustrativa al Codice della crisi, sub art.). 
[15] 
D’altro canto il prerequisito, tuttora richiesto dall’incipit dell’ultimo comma dell’art. 61 CCI, ai fini dell’estensione degli effetti nei confronti di banche e intermediari finanziari, rappresentato da un’esposizione debitoria verso questi ultimi per almeno metà dell’indebitamento complessivo, è normalmente ricorrente in ogni ipotesi di ristrutturazione; e tanto più lo sarà alla luce delle facilitazioni creditizie accordate per far fronte all’emergenza economica determinata dalla pandemia: e v. i rilievi di De Simone, Gli accordi ad efficacia estesa alla prova del Covid-19, in Dirittodellacrisi.it, nonché Abriani, Il diritto delle imprese tra emergenza e rilancio nella sostenibilità, in Abriani, Caselli, Celotto, Di Marzio, Masini, Tremonti, Il diritto e l’eccezione, Roma, 2020, p. 87 ss. ).
[16] 
E v. Trib. Milano, 11 febbraio 2016, in www.ilcaso.it, ove si chiarisce che tutti i creditori bancari o intermediari finanziari che la proposta inserisce nell’ambito di un accordo ad efficacia estesa ex art. 182-septies L. fall., devono essere informati della ricaduta dell’accordo sui creditori non aderenti in maniera tale che ciascuno sia posto nella condizione di operare una consapevole scelta in ordine alla proposta e alle eventuali scelte difensive (opposizione) da adottare. In dottrina, Benazzo, L’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari. Le trattative: l'informazione sul loro avvio e la possibilità di parteciparvi in "buona fede", cit., p. 781.
[17] 
Così, con riguardo agli accordi ad efficacia estesa con banche e intermediari finanziari, De Simone, Gli accordi ad efficacia estesa, cit., per la quale la decisione di costituire le categorie potrebbe essere assunta “anche nella fase finale delle trattative, allorquando si generi una situazione di impasse non risolvibile, che diversamente costringerebbe l’imprenditore ad affrontare la strada del concordato preventivo, per poi magari, in quella sede classare i creditori ricercando una omogeneità di interessi economici e di posizione giuridica”. 
[18] 
Come insegna del resto l’esperienza delle “classi” nel concordato preventivo, dove non sono mancati, proprio per i creditori non finanziari, i tentativi di collocare “pesci d’acqua salata in vasche d’acqua dolce”. 
[19] 
In particolare, l’esigenza che il tribunale operi un controllo “in maniera rigorosa e puntuale” sulla effettiva omogeneità dei creditori all’interno della categoria individuata dal debitore, è sottolineata da Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi, cit., p. 484. Tra i rari precedenti in tema di accordo ad efficacia estesa ex art. 182-septies L. fall., per il quale valgono peraltro i distinguo segnalati nel testo, v. Trib. Milano, 11 febbraio 2016, cit., che ha ritenuto congrua la distinzione delle categorie in relazione alla natura del credito (ipotecario o chirografario), alla tipologia dell’operazione fonte del credito verso la società debitrice (mutuo o affidamenti su conti correnti, fideiussione) e al relativo interesse economico, giustificando in particolare la distinzione tra crediti bancari per affidamenti concessi e crediti per fideiussioni prestate dalle banche in relazioni a operazioni creditizie di cui sono titolari società del gruppo della proponente l’accordo. In argomento v. Lamanna, Le classi/categorie nell’accordo di ristrutturazione, cit., p. 3; De Pra, Le condizioni dell’accordo di ristrutturazione dei debiti con intermediari finanziari, cit., p. 1284.
[20] 
Con l’opposizione il creditore non aderente all’accordo può pertanto chiedere solo l’accertamento della inoperatività dello stesso nei suoi confronti, eccependo di non rientrare nella categoria individuata dal debitore o di non essere stato adeguatamente informato o posto nella condizione di partecipare alle trattative, ma non anche “opporsi alla omologazione” dell’accordo. Nel senso che il tribunale, ove ritenga l’opposizione fondata, potrà “omologare comunque l'accordo escludendo l'opponente e considerandolo come non aderente, sempre che sia prevista e attuabile la possibilità di soddisfo integrale del medesimo come creditore estraneo”, v. De Simone, Gli accordi, cit., p. 13. In una logica più dirigista v. però Trib. Forlì, 5 maggio 2016, cit., ove si riconosce la possibilità per il tribunale di operare “una riclassificazione delle categorie malamente formate”.
[21] 
Così Maugeri, Accordi di ristrutturazione a efficacia estesa e creditori finanziari, cit. Va peraltro segnalato che già con riferimento alla (pur non corrispondente) formulazione dell’art. 182-septies L. fall., la giurisprudenza ha ritenuto che la verifica della “convenienza” dell’accordo per i creditori non aderenti vada operata con riguardo all’alternativa della liquidazione fallimentare: così Trib. Milano, 11 febbraio 2016, cit.; Trib. Forlì, 5 maggio 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Padova, 31 dicembre 2016, in www.ilcaso.it.
[22] 
In questi termini, incisivamente, Nigro, I gruppi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: notazioni generali, in I gruppi nel Codice della crisi, a cura di Vattermoli, Pisa, 2020, p. 29. In generale, sulla nuova disciplina delle crisi dei gruppi v. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in Rivista ODC n. 3/2019, p. 669.
[23] 
Sulla differenza che si registra sul punto tra concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, nei quali il raggruppamento dei creditori ha luogo di regola unicamente sulla base dell’interesse economico, v. per tutti Fabiani, Fallimento e concordato preventivo, II, Concordato preventivo, in Commentario del Codice civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di De Nova, Bologna, 2014, p. 210.
[24] 
Anziché dalla meno “percepibile” iscrizione dell’accordo nel registro delle imprese: art. 61, co. 2, lett. e). 
[25] 
Così il quarto comma dell’art. 182-bis L. fall., a seguito dell’inserimento ad opera della legge di conversione n. 159 del 27 novembre 2020 di un co. 1-bis nell’art. 3 del D.L. n. 125/2020. Analoga disposizione è stata inserita nel quarto comma dell’art. 180 L. fall. con riferimento al concordato preventivo. 
[26] 
Fabiani, Gli accordi di ristrutturazione nella cornice della tutela dei diritti e la rilevanza della fattispecie speciale di cui all’art. 182-septies L. fall. in chiave di collettivizzazione della crisi, in Il fallimento, 2016, p. 917 ss., che, sulla base di tale premessa, considera il principio maggioritario immanente alla disciplina dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa del creditore di minoranza in conflitto di interessi nel caso di un accordo di ristrutturazione a efficacia estesa. E per uno spunto in tale direzione v. ora l’art. l’art. 341, co. 3 CCI, che estende agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (e alla convenzione di moratoria), tra gli altri, il reato di “mercato di voto”, configurabile quando il creditore “stipula con l’imprenditore” in crisi “nell’interesse del predetto vantaggio a proprio favore per dare il suo voto”: espressione che parrebbe dunque riferibile, nella specie, alla adesione all’accordo di ristrutturazione (o alla convenzione di moratoria).
[27] 
E v. l’art. 12, co. 7 CCI, che si limita sul punto a mantenere “ferma la competenza dell’OCC per la gestione della fase successiva alla segnalazione”. 
[28] 
Sulla Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva, si veda Stanghellini, La proposta di Direttiva UE in materia d’insolvenza, in Il fallimento, 2017, p. 873 ss.; Nigro, La proposta di Direttiva Comunitaria in materia di disciplina della crisi delle imprese, in Riv. dir. comm., 2017, I, p. 20 ss.; Panzani, Il preventive restructuring framework nella direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in www.ilcaso.it, 14 ottobre 2019, p. 10; Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Crisi e insolvenza, Scritti in ricordo di Michele Sandulli, cit., p. 330 ss. Pacchi, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2019/1023, in Dir. fall., 2019, I, p. 1259 ss.
[29] 
Art. 12, co. 3, ai sensi del quale: «L’attivazione della procedura di allerta da parte dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, nonché la presentazione da parte del debitore dell’istanza di composizione assistita della crisi di cui all’articolo 16, comma 1, non costituiscono causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, né di revoca degli affidamenti bancari concessi. Sono nulli i patti contrari».

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