Anche nel macrocosmo del sovraindebitamento il codice della crisi, come aveva già fatto la legge n. 2/2012, prevede la possibilità che possano essere adottate misure protettive e cautelari[30].
Alle misure cautelari e protettive nella ristrutturazione dei debiti del consumatore il codice dedica l’art. 70, comma 4. La norma prevede che, su istanza del debitore, con il decreto di apertura della procedura il giudice può: a) sospendere i procedimenti di esecuzione forzata che potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano; b) disporre il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del consumatore; c) adottare “le altre misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio fino alla conclusione del procedimento” d) subordinare il compimento di atti di straordinaria amministrazione alla previa autorizzazione del giudice.
Nell’analizzare questa norma occorre a mio avviso premettere una considerazione di sistema che tenga conto delle manovre distorsive cui l’armamentario apprestato dal legislatore si presta, evidente essendo che il sospetto che un procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore sia imbastito al solo fine di arginare la procedura esecutiva cresce in modo più che proporzionale al divenire della procedura medesima nel tempo, sicché forse avrebbero potuto individuarsi argini che già sono presenti nel tessuto codicistico, e che hanno la precipua funzione di evitare strumentalizzazioni e proteggere il mercato dei potenziali acquirenti, a tutto vantaggio della "serietà" delle vendite giudiziarie[31].
Si pensi, a mo' di esempio, al consumatore che, solo dopo aver ricevuto la notifica del titolo esecutivo, dell'atto di precetto e del pignoramento, solo dopo aver assistito al fluire della procedura esecutiva con la nomina di un custode e di un esperto stimatore, con la fissazione dell'udienza di cui all’art. 569 c.p.c. (e cioè dell'udienza in cui il giudice dispone la vendita del compendio pignorato delegando le relative operazioni a norma dell'art. 591 bis c.p.c.) e con la pronuncia dell'ordinanza di vendita, solo dopo aver ricevuto dal custode il preavviso con il quale gli si comunica che sarà attuato l’ordine di liberazione pronunciato dal giudice a norma dell’art. 560 c.p.c., solo allora si attivi depositando una domanda di ristrutturazione chiedendo la sospensione della procedura esecutiva, in cui per avventura potrebbe essere già stato pubblicato l'avviso di vendita e depositate offerte di acquisto.
Il ruolo del giudice, quindi, appare più che mai decisivo.
Il ventaglio di opzioni indicato dall’art. 70, comma 4, CCII, presenta plurimi coni d’ombra.
Intanto, va chiarito che qui ci troviamo al cospetto di un regime di improseguibilità parzialmente diverso da quello previsto dall’art. 12 bis, comma 2, L. n. 3/2012, il quale prevedeva che il giudice potesse discrezionalmente sospendere le sole procedure esecutive idonee a pregiudicare la fattibilità del piano, individuandole analiticamente nel decreto di apertura. Ciò sulla base di una valutazione prognostica avete un duplice oggetto: da un lato quello della fattibilità del piano (che, ove mancante impedisce, a ben vedere, la possibilità che sia financo pronunciato un decreto di apertura); dall’altro, quello del periculum, inteso come pericolo di pregiudizio per realizzabilità della proposta, tale per cui potevano sospendersi tutte (e solo) quelle procedure che, se non interrotte, avrebbero potuto impedire la concreta eseguibilità della soluzione prospettata dal consumatore[32]. Inoltre, nella legge sul sovraindebitamento l’effetto sospensivo era inidoneo ad interferire sia con i procedimenti esecutivi non ancora intrapresi, sia con quelli per sequestro conservativo.
Nel CCII, pur essendosi mantenuta ferma la previsione per cui è il giudice che individua le procedure che potrebbero ostacolare la composizione della crisi: a) è venuta meno la limitazione alle sole procedure pendenti, poiché la più ampia formula dell’art. 70 comma 4 consente che il giudice possa disporre che sia inibito anche l’inizio di nuove esecuzioni o azioni cautelari; b) a differenza di quanto previsto dalla legge n. 3/2012, dove la sospensione delle procedure poteva essere disposta dal giudice motu proprio (anche se, nella prassi, il debitore ne faceva sistematica richiesta) il codice della crisi richiede una apposita istanza del debitore. La norma circoscrive il divieto alle azioni esecutive che abbiano ad oggetto il “patrimonio del debitore”, senza ricomprendervi anche, come accade nell’art. 54 CCII (a proposito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione soggetti ad omologazione) e nell’art. 18 CCII (con riferimento alla composizione negoziata) i beni con i quali l’imprenditore esercita l’attività d’impresa[33].
Questo ha delle potenziali ricadute operative poiché, ad esempio, se il debitore che ha subito la revocatoria del suo acquisto ad opera del creditore dell’alienante accede alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, potrà chiedere ed ottenere dal giudice della ristrutturazione la sospensione della procedura esecutiva promossa ex art. 602 c.p.c. dal creditore che ha agito in revocatoria, poiché la revocatoria non determina la retrocessione del bene all’alienante, con l’ulteriore conseguenza che quel creditore andrà considerato alla stregua di un creditore concorsuale. Di contro, se ad accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti è l’alienante, l’azione esecutiva promossa (ai danni dell’acquirente) dal suo creditore che abbia ottenuto la revocatoria dell’atto di alienazione non potrà essere sospesa dal giudice della procedura di sovraindebitamento attivata dall’alienante, poiché quel bene non è più nel suo patrimonio.
La norma prevede, inoltre, che il giudice possa adottare “le altre misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio fino alla conclusione del procedimento”[34]. Esse, tuttavia, non potranno interferire con procedure esecutive che, appunto, non abbiano ad oggetto beni appartenenti al patrimonio del debitore. Così, ad esempio questa norma non potrebbe consentire al giudice di disporre la sospensione dell’attuazione dell’ordine di liberazione pronunciato ex art. 560 c.p.c. in una procedura esecutiva non azionata contro il debitore sovraindebitato il quale in ipotesi occupi l’immobile pignorato in danno del debitore senza titolo opponibile, proprio in ragione del fatto che quel cespite non fa parte del suo “patrimonio”[35].
Va notato, inoltre, che qui a differenza di quanto prevedeva l’art. 51 L. fall. e di quanto prevede oggi l’art. 150 CCII, il divieto non fa salve le diverse disposizioni di legge, di talché la misura protettiva opera anche rispetto all’esecuzione intrapresa dal creditore fondiario.
Detto questo, si pone il problema di stabilire se possano fare ingresso nella ristrutturazione dei debiti del consumatore, le altre misure protettive previste in seno al procedimento unitario.
All’interrogativo va data risposta negativa. Invero, l’art. 65 nel prevedere che “Si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della presente sezione, le disposizioni del titolo III, in quanto compatibili”, rende inapplicabili le misure protettive indicate dalle norme sul procedimento unitario alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, atteso che qui le misure protettive sono destinatarie di una specifica disciplina, e quindi manca quel vuoto cui il citato art. 65 subordina la supplenza delle regole del procedimento unitario.
Così, ad esempio, va escluso che il consumatore sovraindebitato possa ottenere misure protettive in un momento antecedente all’apertura della procedura, in vista della presentazione della domanda, così come previsto dall’art. 46, comma 5, o dall’art. 54, comma quarto, CCII.
Allo stesso modo, sul versante processuale, l’adozione delle misure protettive non richiede il radicamento del contraddittorio con le parti interessate, poiché la speciale disciplina dell’articolo 70, comma 4, esclude, impedendolo l’art. 65, l’osservanza dei passaggi procedimentale scanditi dagli artt. 54 e 55, anche con riferimento alla durata della misura, coincidente con la durata del procedimento medesimo[36].
Chiarito quale sia il perimetro delle misure protettive adottabili, occorre scrutinare quali sono i risvolti processuali della improseguibilità dell’esecuzione individuale dichiarata dal giudice del sovraindebitamento.
Si tratta di un tema che normalmente affanna il giudice dell’esecuzione ma che a bene vedere deve interessare in primo luogo (direi soprattutto) il giudice della procedura concorsuale.
È opinione condivisa (e non v’è ragione per ripudiarla nell’era del CCII) quella per cui se il giudice del sovraindebitamento ha aperto la procedura e disposto l’improseguibilità delle esecuzioni (specificando, in caso di ristrutturazione dei debiti del consumatore, quali sono le procedure interessate dalla misura protettiva) il giudice dell’esecuzione provvede ai sensi dell’art. 623 c.p.c.[37]. Dunque, adottato il decreto dichiarativo della (temporanea) improseguibilità, la parte che vi avrà interesse depositerà nel fascicolo dell’esecuzione una istanza con la quale chiederà la sospensione della procedura esecutiva, a norma della disposizione del codice di rito appena citata, sulla base del decreto pronunciato dal giudice del sovraindebitamento.
L’ordinanza di sospensione adottata dal giudice dell’esecuzione a norma art. 623 c.p.c. ha natura meramente ricognitiva. A proposito degli effetti della domanda di concordato preventivo la giurisprudenza ha infatti precisato che “La proposizione di una domanda di concordato preventivo determina, ai sensi dell’art. 168, comma 1, L. fall., non già l’estinzione ma l’improseguibilità del processo esecutivo, che entra in una situazione di quiescenza perché i beni che ne costituiscono l’oggetto materiale perdono ‘de iure’ provvisoriamente la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento, con la conseguenza che il giudice dell’esecuzione correttamente provvede, ex artt. 486 e 487 c.p.c., a sospendere la vendita eventualmente fissata”[38], sicché sembra potersi attribuire al provvedimento del giudice dell’esecuzione la funzione di una mera presa d’atto di un effetto sospensivo aliunde determinatosi.
Chiaramente, non ogni valutazione gli è preclusa. Così, ad esempio, occorrerà che il giudice dell’esecuzione verifichi che la procedura esecutiva di cui si chiede la sospensione rientri oi meno tra quelle indicate dal giudice del sovraindebitamento, il che di contro impone a quest’ultimo di essere quanto più dettagliato possibile nel circoscrivere il perimetro del divieto, soprattutto rispetto alle procedure di cui è inibito l’inizio, le quali non possono essere identificate specificatamente attraverso il numero di iscrizione a ruolo. Rispetto ad esse, quanto maggiore è la precisione con cui il giudice del sovraindebitamento individuerà i confini del divieto (facendo in ipotesi riferimento al creditore cui è preclusa l’azione esecutiva piuttosto che ai beni insuscettibili di essere aggrediti), tanto minori saranno le contestazioni possibili in sede esecutiva.
Se è poi vero che il regime processuale della sospensione coincide con quello di cui all’art. 626 c.p.c. (a mente del quale “quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione”), occorre necessariamente riconoscere che se il giudice dell’esecuzione non potrà adottare l’ordinanza di vendita di cui all’art. 569 c.p.c., il fatto per cui restano validi gli atti esecutivi già compiuti, e soprattutto permane il vincolo di indisponibilità impresso dal pignoramento a norma dell’art. 492 c.p.c., implica che non verrà meno la custodia del compendio pignorato, ancillare alla necessità di conservare il cespite a norma dell’art. 65 c.p.c., con l’ulteriore legittimazione del custode a percepire gli eventuali frutti, cui il pignoramento si estende a mente dell’art. 2912 c.c.. Conseguentemente, è da escludersi che la misura protettiva possa incidere sulla custodia del cespite (ad esempio disponendo che siano versati direttamente al debitore i frutti della cosa pignorata) poiché ciò assegnerebbe alla misura protettiva (che può declinarsi nella sola sospensione della procedura) effetti ulteriori rispetto a quelli indicati dal precetto normativo. Detto in altri termini, le misure protettive e cautelari non possono sostanziarsi nell’adozione di misure che vanificano il vincolo di indisponibilità impresso dal pignoramento e mortificano le esigenze di conservazione (e quindi di custodia) del cespite staggito.
Per le stesse ragioni, va escluso che il giudice della procedura di ristrutturazione possa imporre l’arresto delle operazioni di attuazione dell’ordine di liberazione, a norma dell’art. 560 c.p.c., atteso che la liberazione dell’immobile è intimamente connessa alla custodia del compendio pignorato che, come detto, non viene meno. In casi simili, piuttosto, potrà chiedersi al giudice dell’esecuzione una valutazione del singolo caso di specie, a valle della quale egli potrà ritenere di sospendere la liberazione (tenuto conto del fatto che è sospeso il subprocedimento di vendita) quante volte detta sospensione non è impeditiva del buon esito del procedimento liquidatorio (anche in vista della sua eventuale ripresa), a meno che l’aggiudicatario non abbia già versato il saldo prezzo, nel qual caso occorrerà salvaguardare lo ius ad rem che questi consegue in vista del trasferimento della proprietà che si determina con la pronuncia del decreto di trasferimento[39].