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Commento

Il controllo sulla fattibilità del concordato con continuità aziendale nel CCII: una prima applicazione dello standard europeo*

Niccolò Usai, Assegnista di ricerca in Diritto commerciale nell’Università di Firenze

9 Aprile 2024

*Il commento è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Trieste, 15 settembre 2023, Pres. Picciotto, Est. Venier

L’A., muovendo da una recente pronuncia triestina, si sofferma sulla tematica della fattibilità in ambito di concordato preventivo, nel quadro del riformato sistema.
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1 . Il caso
Con la sentenza citata, il Tribunale di Trieste ha omologato un concordato con continuità aziendale di una società specializzata nella realizzazione di infrastrutture. Vari sono i punti di interesse, ma fra questi spicca il tema dell’estensione del controllo di fattibilità del tribunale in sede di omologazione, alla luce dell’entrata in vigore del CCII. 
Su sollecitazione di una banca intervenuta nel giudizio di omologazione, il Tribunale di Trieste, nella sua pronuncia, ha affrontato il tema dell’estensione del potere del tribunale in ordine al sindacato di fattibilità del piano, della quale la creditrice chiedeva un accertamento positivo, chiedendo “di riscontrare la presenza (e non già l’attuale difetto) del requisito della ragionevole prospettiva” del piano di superare l’insolvenza del debitore. Nel caso in esame, la banca ha sollevato dei dubbi in ordine alla capacità del debitore di ottenere nuovi finanziamenti sotto forma di garanzie, essenziali per la prosecuzione dell’attività, laddove subordinati a un radicale mutamento del precedente assetto di governance della società e alla relativa istruttoria da avviarsi da parte delle banche. 
Il Tribunale di Trieste, richiamando la nuova formulazione legislativa introdotta dal Codice della crisi e che sarà analizzata nei successivi paragrafi, ha, da un lato, definito il perimetro della valutazione rimessa al tribunale mentre, dall’altro lato, ha valorizzato l’analisi e le conclusioni sul punto di quanto attestato dal professionista indipendente e riferito dal commissario giudiziale. 
Prima di affrontare tale questione, il tribunale triestino è stato chiamato a decidere su una questione preliminare, sollevata dalla società debitrice, avente ad oggetto la legittimazione della banca, espressasi in senso favorevole in sede di voto, a richiedere al tribunale un vaglio ulteriore in ordine alle questioni sopra richiamate. Il Tribunale di Trieste, dopo aver richiamato la formulazione del nuovo art. 48, comma 2, CCII, ha affermato la legittimazione del creditore aderente a intervenire in sede di omologazione, pur disattendendo nel merito, come diremo infra, la richiesta sollevata dal creditore di procedere a un supplemento di istruttoria.
2 . La pronuncia del Tribunale di Trieste e il mutato contesto normativo
Come appena anticipato, il Tribunale di Trieste si è espresso sul delicato e centrale tema dell’ampiezza dei poteri del tribunale, in relazione al vaglio di fattibilità, in sede di omologazione, del piano proposto dal debitore[1]. Il piano in questione prevedeva la continuità aziendale e, per la sua esecuzione, faceva affidamento sull’ottenimento di finanziamenti - non ancora concessi - da parte delle banche ed espressamente subordinati da parte di queste ultime, anche solo al fine di avviare la relativa istruttoria, a un mutamento radicale della governance della società debitrice. 
Il piano prevedeva molteplici e, tra loro connesse, condizioni da soddisfare (mutamento della governance, esito positivo dell’istruttoria delle banche, successo delle misure “operative” previste dal piano, una volta ottenuti i finanziamenti) e, dunque, altrettanti fattori di incertezza, riguardanti le varie fasi in cui si articolava quest’ultimo. Il Tribunale di Trieste, nonostante i profili di incertezza che il piano presentava, ha omologato il concordato ritenendo, sulla base di quanto attestato e rilevato dai professionisti incaricati all’interno della procedura, che il piano non fosse privo di una prospettiva ragionevole di superare la crisi della società debitrice. 
Come si colloca la pronuncia in commento nel contesto del Codice della crisi, attuativo – per il concordato con continuità – della Direttiva (UE) 2019/1023? Per rispondere a tale quesito, occorre accennare sinteticamente al precedente assetto, nel vigore della previgente legge fallimentare, per poi evidenziarne le differenze rispetto ad oggi.
3 . La pronuncia delle Sezioni Unite del 2013 e la manifesta inattitudine del piano
Come è noto, sull’oggetto del controllo di fattibilità è intervenuta la Cassazione con una pronunzia a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521), in un tentativo di razionalizzare il potere del tribunale di sindacare la fattibilità del piano proposto dal debitore e, in ultima analisi, limitare quest’ultimo alla verifica della fattibilità giuridica, con esclusione della fattibilità economica. A tal riguardo, la Corte ha affermato che non spetta al tribunale “un sindacato sull'aspetto pratico - economico della proposta”, dovendo il potere di controllo del tribunale esplicarsi nella verifica della c.d. “fattibilità giuridica” del piano, nonché nella verifica della “correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano” e, in generale, della correttezza della procedura (ivi compresa la corretta informazione dei creditori)[2]. Il controllo in questione è richiesto, nella lettura fornita dalla Cassazione, al fine di verificare il rispetto della “causa concreta” della procedura, quest’ultima identificata (i) nel superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e nel (ii) soddisfacimento, “sia pur ipoteticamente modesto e parziale”, dei creditori[3]. 
Una serie di pronunzie, di merito e della stessa Cassazione a sezioni semplici, ha tuttavia interpretato in modo ampio il potere di verifica avente ad oggetto la causa concreta del concordato[4]. Tale lettura, in estrema sintesi, ha giustificato la reintroduzione di un giudizio di fattibilità economica nei limiti della “non manifesta inattitudine” (talvolta “inettitudine”) del piano a superare la crisi. Si è infatti affermato che la verifica di fattibilità in questione “proprio in quanto correlata al controllo della causa concreta del concordato, comprende necessariamente anche un giudizio di idoneità, che va svolto rispetto all’assetto di interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici che il concordato persegue”. Il giudizio “di idoneità” in questione - che ignora esplicitamente la divisione tra il controllo di fattibilità giuridica e il controllo di fattibilità economica richiesta dalla Cassazione a Sezioni Unite - ha determinato, dunque, con riferimento al concordato con continuità aziendale, l’affermarsi di (i) una positiva e “rigorosa verifica della fattibilità ‘in concreto’” del piano sulla base di (ii) “un’analisi inscindibile dei profili giuridici ed economici” direttamente da parte del tribunale[5]. 
Il potere di controllo che emerge da tali pronunce non verte, invero, sulla coerenza e completezza delle relazioni dei professionisti chiamati a esprimersi sul piano del debitore[6], bensì giunge a richiedere che il giudice verifichi che il piano con continuità aziendale sia “idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa”[7]. 
Sulla base di tale parametro, probabilmente, la pronuncia in commento del Tribunale di Trieste sarebbe risultata diversa (e dunque di non omologazione del concordato), giacché la “dimostrazione” della fattibilità del piano sopra richiamato, a ben vedere impossibile, avrebbe richiesto l’assenza di una serie di fattori di incertezza pressoché ineliminabili nell’ambito di un tentativo di ristrutturazione. 
4 . Il controllo di fattibilità nella Direttiva (UE) 2019/1023 e nel Codice della crisi
Si è anticipato che la Direttiva (UE) 2019/1023 è intervenuta in relazione ai poteri riconosciuti al tribunale in sede di omologazione, riconoscendo: 
(i) da un lato, la necessità di mettere a disposizione dell’impresa in crisi uno strumento che consenta la sua ristrutturazione sulla base di un piano che abbia ricevuto il consenso dei creditori. Ciò al fine di consentire a imprese “sane”, e tuttavia in uno stato di disequilibrio finanziario-patrimoniale, di superare lo stato di crisi o insolvenza in cui si trovano, intervenendo precocemente sulle difficoltà riscontrate e massimizzando l’interesse di tutti i soggetti coinvolti[8]; 
(ii) dall’altro lato, la necessità di ricalibrare il potere dell’autorità giudiziaria in sede di omologazione limitando, all’art. 10, par. 3, il potere del tribunale di rifiutare l’omologazione al piano di ristrutturazione “che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa”, introducendo così una verifica di carattere “negativo”, consistente nell’assenza di quantomeno una ragionevole prospettiva di risanamento da parte del piano proposto[9]. 
Il Codice della crisi ha recepito il contenuto dalla Direttiva, regolando i poteri del tribunale in relazione al sindacato di fattibilità del piano proposto dal debitore ed esplicitando, all’interno dell’art. 112 CCII, i limiti che tale sindacato deve rispettare. In particolare, con riferimento all’omologazione del concordato con continuità aziendale all’esito della votazione dei creditori, l’art. 112, comma 1, lett. f, CCII richiede che il tribunale verifichi che il “piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza”, utilizzando la stessa formulazione adottata in sede europea[10].
5 . Il mutamento del controllo di fattibilità: tra il precedente regime e il CCII
La nuova formulazione legislativa di matrice europea in cosa differisce dal precedente controllo sulla manifesta inattitudine del piano con continuità aziendale?
A parte l’utilizzo di un’espressione linguistica differente[11], è possibile cogliere l’essenza della differenza tra la verifica attuata attraverso la lente della “manifesta inattitudine” nel previgente assetto e la verifica oggi richiesta proprio grazie alla pronuncia in commento[12].
Il Tribunale di Trieste osserva, in relazione alle sue prerogative in sede di omologazione in ordine al vaglio di fattibilità del piano approvato dai creditori, che “oggetto d’esame non è l’accertamento dell’idoneità del piano a regolare la crisi, ma la non implausibilità dello stesso a consentire il risanamento dell’impresa”, facendo pieno affidamento, al fine accertare che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di risanamento, sulle relazioni sia del professionista indipendente, sia del commissario giudiziale, la cui attività di verifica aveva dato esito positivo[13].
In quest’ottica, ed è questa la cifra caratterizzante rispetto al precedente assetto - il tribunale, da una parte, si è astenuto dal richiedere la dimostrazione della realizzabilità del piano e, dall’altra parte, ha compiuto una verifica “negativa” avente ad oggetto la (non) assenza di ragionevoli prospettive di risanamento, per il tramite di un vaglio della completezza e coerenza di quanto attestato dai professionisti sopra richiamati: l’esito positivo di tale verifica ha consentito di ritenere che il piano proposto dal debitore non era “prima facie inadeguato, non evidentemente inadatto a raggiungere gli obiettivi prefissati”[14].
Il Tribunale di Trieste ha altresì verificato - inter alia e come richiesto nella parte finale dell’art. 112, comma 1, lett. f), CCII - che i nuovi finanziamenti fossero (i) “necessari per l’attuazione del piano” e che (ii) non pregiudicassero “ingiustamente gli interessi dei creditori”, richiamando le condizioni e la finalità di tali finanziamenti evidenziate nel piano. La tipologia di attività svolta dalla società debitrice, che per sua natura richiede la concessione di ingenti finanziamenti sotto forma di garanzie, nonché la constatazione che i finanziamenti in questione erano funzionali al mantenimento della continuità aziendale e, comunque, in linea con gli obiettivi di risanamento della debitrice, ha indotto il tribunale a ritenere superata con esito positivo anche tale ulteriore verifica[15]. 
Di minor pregio appare, invece, il successivo e ulteriore richiamo da parte della pronuncia in commento all’art. 112, comma 1, lett. g), CCII. Tale disposizione richiede infatti che il tribunale - “in ogni altro caso” rispetto a quanto previsto alla precedente lett. f) dello stesso articolo con riferimento al concordato con continuità aziendale - verifichi la “non manifesta inattitudine” del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati. Il Tribunale di Trieste sembrerebbe infatti aggiungere alla verifica prevista per il concordato con continuità aziendale dall’art. 112, comma 1, lettera f, CCII (della quale ora si è detto) anche un’ulteriore verifica di fattibilità, che la legge espressamente prevede per tutti gli altri casi, cioè per i casi diversi dal concordato con continuità aziendale. 
L’ambito di tale ulteriore verifica, del tutto ultronea ed espressamente inapplicabile al caso di specie, è tuttavia circoscritto dallo stesso tribunale, laddove afferma che la verifica in questione deve essere condotta “similmente a quanto previsto con riferimento al requisito di cui alla lettera f) dello stesso articolo 112”.
6 . La legittimazione a intervenire nel procedimento di omologazione
L’ultimo punto di interesse della pronuncia in esame riguarda la legittimazione del creditore, che abbia espresso voto favorevole sul piano proposto dal debitore, a intervenire, pur senza opporsi, nel giudizio di omologazione. Nel caso in commento, il debitore ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento della banca creditrice nel giudizio di omologazione richiamando l’art. 48, comma 2, CCII, il quale dispone che “le opposizioni dei creditori dissenzienti e di qualsiasi interessato devono essere proposte con memoria depositata nel termine perentorio di almeno dieci giorni prima dell’udienza”, identificando coloro che sono legittimati a opporsi all’omologazione da parte del tribunale[16]. 
Il Tribunale di Trieste ha rigettato tale eccezione rilevando, in modo condivisibile, che il secondo comma dell’art. 48 CCII si limita a disciplinare il diritto di opposizione nel giudizio di omologazione, e non il diritto di intervento tout court in tale sede, ritenuto invece ammissibile dal tribunale in ragione di un richiamo al rito camerale. Invero, tale rito ammette la possibilità di intervento per i soggetti dotati di un interesse giuridicamente qualificato a prescindere dal voto espresso sul piano, identificato nel caso di specie nell’interesse a un’“omologazione stabile”. 
Coerentemente con tale lettura, deve escludersi la possibilità per il creditore che abbia approvato il piano di opporsi in sede di omologazione. Ciò in quanto qualora si ritenesse ammissibile l’opposizione anche da parte del creditore espressosi favorevolmente sul piano, si rischierebbe a ben vedere di frustrare il senso della norma, nella misura in cui questa ha inteso limitare il potere dei creditori aderenti di contestare quanto già oggetto di accordo col debitore[17].
7 . Conclusioni
La disciplina prevista dal CCII - quantomeno con riferimento al concordato con continuità aziendale - ha ridimensionato i poteri del tribunale nell’ambito del controllo di fattibilità del piano rispetto all’espansione di questi ultimi, a cui si è assistito per il tramite dell’applicazione del criterio della “manifesta inattitudine” di matrice giurisprudenziale nel previgente regime normativo. 
Con un ritorno ai principi originariamente fissati dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2013, largamente disattesi dalle successive pronunce giurisprudenziali richiamate supra, sono i creditori chiamati a valutare la fattibilità del piano e la convenienza della proposta concordataria, per il tramite del loro voto informato alla luce di quanto riferito dai professionisti che intervengono nella procedura. Sono dunque i creditori, cioè, a dover valutare se, pur in presenza di elementi di incertezza, la chance che il piano venga eseguito sia preferibile rispetto all’alternativa, di solito liquidatoria.
In quest’ottica, il tribunale è chiamato a valutare la completezza e la coerenza delle relazioni di tali professionisti al fine di verificare che, nell’accettare il rischio, i creditori abbiano ricevuto una corretta informazione e che, pur in presenza di rischi anche elevati di esecuzione, il piano non sia privo di una ragionevole prospettiva di portare al risanamento dell’impresa, essendo da evitare, in un’ottica di sistema, solo l’omologazione di piani che già ex ante appaiano del tutto privi di qualsiasi possibilità di successo.

Note:

[1] 
Senza alcuna pretesa di completezza, si rimanda a S. Ambrosini, Il controllo giudiziale su domanda e piano concordatari e i compiti dell'attestatore, in Giur. comm., 2017, I, p. 387 ss.; P. Vella, L’affinamento della giurisprudenza di legittimità dopo le sezioni unite sulla “causa concreta” del concordato: ha ancora senso la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica?, in Il fall., 2015, 4, p. 435 ss.; G. Fauceglia, Ancora sui poteri del Tribunale per l’ammissibilità del concordato preventivo: errare è umano, perseverare diabolico, in Il fall., 2008, 6, pp. 573 ss.; V. Giorgi, Poteri del giudice nell’omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione del debito, in Il fall., 2015, 1, pp. 386 ss. C. Trentini, Il controllo del tribunale sulla fattibilità economica del concordato: un “ritorno” legittimo?, in Il fall., 2017, 11, p. 1220 ss. M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Il fall., 2011, 2, p. 172 ss. Si veda altresì L. Mandrioli, Il piano di ristrutturazione nel concordato preventivo tra profili giuridici ed aspetti aziendalistici, in Il fall., 2005, 11, p. 1337 ss.; D. Galletti, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?, in Ilfallimentarista.it, 22 gennaio 2014.; M. Terenghi, Verso un superamento della distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica” nel concordato in continuità?, in Il fall., 2017, 8-9, p. 923 ss.; A. Patti, La fattibilità del piano nel concordato preventivo tra attestazione dell’esperto e sindacato del tribunale, in Il fall., 2012, 1, p. 42 ss. 
[2] 
A sostegno delle conclusioni riportate nel testo, la Corte Suprema afferma che il tribunale “non può esercitare un controllo sulla prognosi di realizzabilità dell'attivo nei termini indicati dall’imprenditore, esulando detta prognosi dalla causa del concordato [..] essendo la stessa rimessa alla valutazione dei creditori quali diretti interessati”. Si veda per un’analisi della pronuncia in questione F. De Santis, Le Sezioni Unite ed il giudizio di fattibilità della proposta di concordato preventivo: vecchi principi e nuove frontiere, in Il fall., 2013, 3, p. 435 ss. e, ivi, p. 447 ss.; V. Giorgi, Poteri del giudice nell’omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione del debito, cit., p. 400 ss.; I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva ‘‘funzionale’’ aperta dal richiamo alla ‘‘causa concreta’’, in Il fall., 2013, 3, p. 286 ss., ove si pone in evidenzia, da un lato, l’accentuazione dell’importanza dell’autonomia privata all’interno delle soluzioni negoziali alla crisi d’impresa e, dall’altro lato, la necessità “strutturale” della presenza dell’autorità giudiziaria all’interno della singola procedura al fine di consentire un corretto dispiegarsi della stessa autonomia privata. Si veda anche L. Abete, La struttura contrattuale del concordato preventivo: riflessioni a latere della sentenza n. 1521/2013 delle Sezioni Unite, in Dir. fall., 2013, 6, p. 867 ss. e, ivi, p. 870 ove si osserva che “la ricostruzione delle Sezioni Unite fa perno [..] sulla dicotomia «fattibilità giuridica - fattibilità economica», la prima ricompresa, la seconda esulante dall’alveo del sindacato demandato all’autorità giudiziaria». Per un’analisi di tale dicotomia introdotta dalle Sezioni Unite si veda altresì M. Fabiani, La fattibilità del piano concordatario nella lettura delle Sezioni Unite, in Il fall., 2013, 2, p. 156 ss. ove, fermo il giudizio positivo in relazione all’impostazione seguita dalla pronuncia in questione, l’A. evidenzia anche l’ambiguità della nozione di causa in concreto utilizzata dalla Suprema Corte. Si veda ancora G. Ciervo, Ancora sul giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo, in Giur. comm., 2015, 1, p 58 ss. e G.B. Nardecchia, La fattibilità del concordato preventivo al vaglio delle Sezioni Unite, in Dir. fall., 2013, 2, p. 185 ss., ove si evidenzia, inter alia, l’importanza dell’informazione dei creditori, su cui ci soffermeremo più avanti. 
[3] 
Cfr. Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Ilcaso.it, 2013. 
[4] 
Si veda su tutti Cass., Sez. 1, 7 aprile 2017, n. 9061, in Ilcaso.it, 2017. Nel merito, ex multis, Trib. Bergamo 24 novembre 2016, Trib. Ravenna 27 novembre 2015 App. Firenze, 6 dicembre 2016, disponibili su Ilcaso.it. Per un’esposizione e attenta analisi delle pronunce che, con diverse declinazioni, hanno allargato il concetto di fattibilità in relazione al vaglio del tribunale in fase di omologazione del concordato C. Trentini, Il controllo del tribunale sulla fattibilità economica del concordato: un “ritorno” legittimo?, cit., pp. 1222-1223. 
[5] 
Così Cass., Sez. 1, 7 aprile 2017, n. 9061, ove si afferma “non è esatto porre a base del giudizio una summa divisio tra controllo di fattibilità giuridica astratta (sempre consentito) e un controllo di fattibilità economica (sempre vietato)”. 
[6] 
Come è noto, il commissario giudiziale è chiamato a svolgere un’attività di controllo e informativa su quanto proposto e compiuto dal debitore a seguito dell’apertura della procedura. Il commissario giudiziale è tenuto ad analizzare il piano presentato dal debitore e a valutarne la fattibilità: nel solco delle proprie funzioni, il commissario giudiziale dovrà quindi interagire con il tribunale e i creditori, svolgendo un ruolo informativo fondamentale al fine di garantire che i loro interessi siano adeguatamente considerati e tutelati. In quest’ottica, ai sensi dell’art. 105, comma 1, CCII il commissario giudiziale è inoltre tenuto a redigere sia l’inventario del patrimonio del debitore sia una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto dell’impresa, fornendo informazioni sulla “condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori”, in modo tale da integrare le informazioni, spesso parziali, in possesso dei creditori e del tribunale. Per una ricognizione e analisi delle funzioni e poteri attribuiti al commissario giudiziale nel Codice della crisi si veda F. De Santis, Rapporti e flussi comunicativi interorganici nella procedura di ammissione del concordato preventivo (secondo il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), in Dir. fall., 3-4, 2020, p. 610 ss. Si rimanda altresì a L. Abete, Gli organi del concordato preventivo, in Il fall., 2020, 10, p. 1237 ss. E. Ricciardiello, Il ruolo del commissario giudiziale nell'era del “fallimento del contrattualismo concorsuale”, in Giur. comm., 2015, 4, p. 715 ss. Similmente, il professionista attestatore è chiamato a fornire ai creditori e al tribunale una valutazione e attestazione circa il contenuto del piano proposto dal debitore. Invero, come è noto, nell’ambito della procedura di concordato preventivo, l’art. 87, comma 3, CCII prevede che un professionista indipendente attesti la “veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano” nonché, qualora sia prevista dal piano la continuità aziendale, che “il piano è atto a impedire o superare l’insolvenza del debitore”. Tale attività, in estrema sintesi, fornisce alle informazioni e alle misure incluse nel piano un’attendibilità rafforzata, nel momento in cui è coinvolto un soggetto qualificato, terzo e indipendente che, sotto la propria responsabilità, verifica e attesta l’affidabilità di quanto ivi previsto. Con riferimento al ruolo svolto dal professionista attestatore nell’ambito delle procedure concorsuali ove tali figure sono previste e, in particolare, alla funzione informativa svolta nei confronti dei creditori si rimanda a G. Lo Cascio, Il professionista attestatore, in Il fall., 2013, 11, p. 1325 ss. e, ivi, p. 1329 ove si pone in evidenza la natura “essenzialmente privatistica” dell’attività dell’attestatore anche in considerazione del fatto che “il professionista è designato dal debitore e non dal tribunale, non assume la veste di consulente tecnico di ufficio, deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, esercitando una funzione valutativa e di certificazione con contenuto probatorio”. F. Santangeli, Auto ed etero tutela dei creditori nelle soluzioni concordate delle crisi d’impresa. Le tutele giudiziali dei crediti nelle procedure ante crisi, in Dir. fall., 2009, p. 606 ss. M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, cit., p. 171 ss. 
[7] 
Ibid. 
[8] 
Cfr. Considerando n. 2 della Direttiva (UE) 2019/1023, ove si rileva che “i quadri di ristrutturazione preventiva dovrebbero innanzitutto permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l'insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane”. Cfr. art. 10, par. 2, lett. d, e Considerando n. 49 in relazione all’assenza di pregiudizio che deve caratterizzare il trattamento riservato ai creditori dalla proposta del debitore. Sul punto L. Stanghellini, Il governo della società fra codice civile e codice della crisi, in AGE, 2023, 1-2, p. 19 ss. e, ivi, p. 33. 
[9] 
Cfr. Art. 10, par. 3, Direttiva (UE) 2019/1023 e il Considerando n. 50 ove è fissata la scelta a livello europeo in relazione alla sindacabilità da parte del tribunale del piano di ristrutturazione. Per un’analisi del raccordo tra la disposizione in esame e le sue ricadute nel nostro ordinamento, in sede di recepimento della Direttiva si rimanda a L. Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di “quadri di ristrutturazione preventiva”, cit., p. 8. 
[10] 
Si veda, senza pretesa di esaustività, per un’analisi delle novità introdotte dal Codice della crisi anche alla luce dell’ultimo correttivo M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Il fall., 2022, 12, p. 1485 ss.; L. Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di “quadri di ristrutturazione preventiva”, in Ilcaso.it., 21 luglio 2022; G. Guerrieri, Il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e l'entrata in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza, in NLCC, 2023, p. 1 ss. Si veda altresì A. Nigro, Codice della crisi, secondo correttivo e diritto societario della crisi, in Dir. banc. mer. fin., 2022, 3, p. 97 ss. Con particolare riferimento ai poteri del tribunale, come si avrà modo di analizzare in dettaglio più avanti, viene in rilievo l’art. 10 (par. 3) della Direttiva (UE) 2019/1023, ove questo prevede che “gli Stati membri assicurano che l’autorità giudiziaria o amministrativa abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l’insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell’impresa”. Tale disposizione ha rappresentato il volano, in fase di recepimento di tale direttiva nel nostro ordinamento, per l’elaborazione dell’attuale assetto normativo del Codice della crisi e dei poteri assicurati al tribunale sia in fase di apertura del concordato, sia di sua omologazione. 
[11] 
Quantomeno per il concordato con continuità aziendale giacché l’art. 112 CCII, comma 1, lett. g, prevede che, in ogni altro caso, la fattibilità del piano deve essere “intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati”. 
[12] 
Come si evince dalla lettura combinata delle norme richiamate nel precedente paragrafo, nonché dalla pronuncia in commento, la riforma del sistema concorsuale italiano ha introdotto - sulla scorta di quanto rilevato nel precedente paragrafo con riferimento alla Direttiva - un’espressa e chiara delimitazione del potere del tribunale di sindacare la fattibilità del piano, sia in fase di ammissione, sia in fase di omologazione del concordato, assente nella previgente legge fallimentare e rimessa al solo formante giurisprudenziale. 
[13] 
Si veda la pronuncia del Tribunale di Trieste in commento, ove è posto in primo piano, al fine di compiere la valutazione richiesta dall’art. 112 CCII, il fatto che “la non irrealizzabilità, dal punto di vista tecnico, di tali linee guida è stata in primo luogo positivamente vagliata dal professionista attestatore” proseguendo poi che “[..] la coerenza del piano rispetto agli obiettivi prefissati è stata, in secondo luogo, confermata dal commissario giudiziale nella relazione ex art. 105, comma 5 CCII [..]”. 
[14] 
In senso analogo alla pronuncia in commento si veda Trib. Napoli, 21 febbraio 2024, disponibile su Dirittodellacrisi.it, ove si evidenzia che “il concordato guadagna [..] l’avallo dell’omologa, non più sulla scorta di una prognosi fausta, ma sulla base di una valutazione non negativa, addivenendosi alla omologa non in quanto presumibilmente idoneo ad assorbire la crisi, ma in quanto non palesemente inidoneo a regolarla, quindi non irrazionale, né implausibile”. In dottrina si veda L. Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di “quadri di ristrutturazione preventiva”, cit., p. 8, ove si evidenzia che “la Direttiva si limita a prevedere che il giudice possa rifiutare l’omologazione di concordati e accordi ‘privi della ragionevole prospettiva di evitare l’insolvenza’. Fra la positiva verifica di fattibilità economica e la verifica negativa dell’evidente inattuabilità del piano si colloca la massima parte dei casi reali, quelli in cui non vi sono certezze, ma possibilità”. Sul punto si veda anche V. Zanichelli, Il Giudice nella ristrutturazione, in Dirittodellacrisi.it, 15 novembre 2022, pp. 12-13 ed anche G.B. Nardecchia, L’omologazione dei Concordati, cit., p. 1246. In senso parzialmente contrario, G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 1° novembre 2022, p. 10, per il quale sussiste una sostanziale continuità nei poteri del tribunale tra la precedente e l’attuale disciplina. Il diverso (e maggiormente) limitato potere del tribunale di sindacare la fattibilità “economica” del piano appare ancor più confermato in relazione al concordato con continuità aziendale. L’art. 112, comma 1, lett. f), CCII, richiedendo che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza, traccia chiaramente il solco in cui si inserisce il vaglio richiesto al tribunale, fissandolo in una delibazione circa una “non assenza” di ragionevoli prospettive di risanamento. Parallelamente, sempre nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale, l’art. 112, comma 1, CCII, nel richiedere una verifica da parte del tribunale avente ad oggetto l’effettiva necessità di nuovi finanziamenti previsti per l’attuazione del piano e, comunque, che questi “non pregiudichino ingiustamente” gli interessi dei creditori, pone una misura di salvaguardia onde evitare fenomeni di abuso dello strumento che potrebbero aggravare il sacrificio sopportato da alcuni creditori a fronte del riconoscimento della prededuzione a nuovi finanziamenti non funzionali al tentativo di ristrutturazione.
[15] 
Con riferimento alla verifica rimessa al tribunale dall’art. 112, comma 1, lett. f) in ordine ai nuovi finanziamenti si rimanda a M. Fabiani, Nuova finanza prededucibile negli accordi di ristrutturazione e nell’esecuzione del concordato preventivo: alla ricerca della razionalità, in Dirittodellacrisi.it, 13 novembre 2023, ove si rileva, in senso critico, che “il semplice ritorno in bonis dell’impresa dopo l’omologazione di un concordato” non giustifica l’accesso alla nuova finanza, dovendo il giudice compiere una verifica maggiormente rigorosa in ordine ai requisiti richiamati supra. La disposizione in questione deriva dal recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva (UE) 2019/1023 ove all’art. 10, par. 2, lett. e), questa richiede che il tribunale verifichi che “qualsiasi nuovo finanziamento sia necessario per attuare il piano di ristrutturazione e non pregiudichi ingiustamente gli interessi dei creditori”. Sul punto si veda altresì G.B. Nardecchia, L’omologazione dei Concordati, cit., p. 1247. 
[16] 
Si veda per un’analisi dei principali profili processuali che interessano l’omologazione e, in particolare, l’opposizione presentata da uno o più creditori dissenzienti, I. Pagni - M. Fabiani, I giudizi di omologazione nel Codice della Crisi, in Dirittodellacrisi.it, 31 agosto 2022 e, ivi, p. 14, ove si osserva, condivisibilmente, che nel giudizio di omologazione l’opposizione non ha ad oggetto un provvedimento del giudice, a ben vedere ancora assente, ma che tale opposizione è invece volta a far sì che “la pronuncia del tribunale abbia un contenuto diverso da quello cui mira il proponente”. Sempre sul punto si rimanda a M. Montanari, Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: profili generali e processuali, in Riv. dir. proc. civ., 2020, 1, p. 270 ss.; S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli, in Dirittodellacrisi.it, 9 ottobre 2023 e G.B. Nardecchia, L’omologazione dei Concordati, in Il fall., 2022, 10, p. 1235 ss. Si veda altresì F. Di Marzio, Sulla omologazione del concordato preventivo, in Giustiziacivile.com, 22 agosto 2023 e, per un raffronto tra il previgente e l’attuale assetto normativo con specifico riferimento al giudizio di opposizione, G. Nuzzo, Profili problematici del giudizio di omologazione del concordato preventivo nella disciplina del Codice della crisi, in Dir. fall., 2020, 1, p. 84 ss.
[17] 
Nel senso di quanto qui sostenuto si veda Cass., Sez. 1, 26 luglio 2012, n. 13284, in CED Cassazione, 2012 ove si rileva, nel vigore del precedente regime normativo, che “la partecipazione consentita, nell'area dei creditori, non è solo riconosciuta ai dissenzienti, che la norma considera a pieno titolo legittimati, ma anche a quelli che non avendo dissentito - per non aver preso parte all'adunanza fissata per il voto, o perché non convocati, o ancora perché non ammessi al voto, o infine perché astenuti - intendano contrastare la omologazione, prospettando l'interesse diretto e attuale al giudizio, in riferimento al trattamento loro riservato dalla proposta”, per tale via escludendo i creditori che abbiano aderito alla proposta concordataria. Sul punto si veda anche S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli, cit., p. 10, ove si afferma che “il discrimen è sempre e solo l’interesse”, nonché che il creditore può “del tutto legittimamente [..] rimanersene in disparte nella fase delle votazioni, per poi reagire a ragion veduta col mezzo oppositivo”.

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