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Saggio

Il dovere di istituire adeguati assetti tra "littera legis", interpretazioni sistematiche ed applicazioni concrete: esiste un obbligo legale di redigere un business plan ed un budget di tesoreria?*

Emanuele Artuso e Renato Bogoni, Dottori Commercialisti in Padova

29 Novembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
A seguito delle modifiche normative recentemente introdotte (art. 2086, comma 2, c.c.; art. 3 CCII, ecc.), incentrate – in estrema sintesi – sull’implementazione di assetti amministrativi adeguati, si discute intorno ai comportamenti, strumenti, misure, ecc. tali da soddisfare l’obbligo “minimo” di pianificazione finanziaria idonea alla rilevazione tempestiva della crisi. 
Anche alla luce della nota composizione del tessuto imprenditoriale italiano, gli Autori si interrogano pertanto se la nuova disciplina imponga l’adozione di definite e specifiche misure – quali, ad esempio, la predisposizione di un budget di tesoreria a 12 mesi “rolling” – ovvero la stessa possa essere interpretata in modo “elastico”, seppur nel rispetto complessivo tanto degli obbiettivi del Legislatore quanto dei principi sistematici (coerenza, ragionevolezza, ecc.).
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1 . Premessa
Uno dei temi maggiormente discussi, a seguito delle modifiche introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza, attiene a quali comportamenti, strumenti, misure, ecc. siano tali da assolvere all’obbligo “minimo” di pianificazione finanziaria adeguata alla rilevazione tempestiva della crisi. Ciò, anche alla luce della – nota – dimensione strutturale che conforma buona parte del tessuto imprenditoriale italiano (Piccole Medie Imprese), fino ad ora tendenzialmente refrattario ad istituire, coltivare ed attivare stringenti ed efficaci mezzi di pianificazione finanziaria.
Infatti, conformemente ai principi della normativa comunitaria [1], il Codice della Crisi mira a favorire l’introduzione di meccanismi che consentano alle imprese di rilevare tempestivamente la crisi [2], tramite l’adozione di un’ottica di forward looking, ossia di pianificazione economico e finanziaria, mediante l’implementazione di assetti amministrativi adeguati. 
Tale obiettivo è certamente necessario ma, al contempo, potrebbe apparire ambizioso – financo utopistico – in un Paese caratterizzato dalla parcellizzazione del sistema imprenditoriale e dalla mancanza di una strutturata cultura finanziaria. Peraltro, tale carenza culturale è stata favorita, fino al recente passato, dallo stesso atteggiamento, poco lungimirante, del nostro Legislatore, che ha talvolta imposto obblighi contabili di limitato profilo: ex multis, si pensi al rendiconto finanziario, la cui pubblicazione è obbligatoria, limitatamente alle imprese di maggiore dimensione, solo a decorrere dal 2016, con la modifica all’art. 2423 c.c.
Ad ogni modo, il cambio di passo della nuova normativa è evidente, posto che la stessa è permeata da disposizioni che impongono l’adozione di adeguati sistemi amministrativi e contabili (oltre che organizzativi); in specie, alcune disposizioni presuppongono proprio l’adozione di sistemi di pianificazione strutturata. 
A questo punto, ciò che rimane da comprendere è se la nuova normativa imponga l’adozione di definite e specifiche misure quali, ad esempio, la predisposizione di un budget di tesoreria a 12 mesi rolling, ovvero possa essere interpretata, anche in conformità alle tipicità del nostro tessuto imprenditoriale, in modo sufficientemente “elastico”, seppur nel rispetto complessivo degli obbiettivi che la stessa si è posta.
2 . Le disposizioni novellate: breve focus sull’art. 2086 c.c.
A nostro avviso, il tentativo di soluzione del soprastante quesito deve muovere innanzitutto necessariamente da una ricostruzione puntuale del dato normativo, a propria volta collocata in una prospettiva sistematica ed ordinamentale, modellata sui canoni interpretativi di ragionevolezza e proporzionalità.
In tale ottica, il primo, ineliminabile tassello normativo è costituito dall’art. 2086, comma 2, c.c., siccome novellato dagli interventi che già dal 2019 lo hanno interessato e che sono stati prodromici all’innesto del Codice della Crisi “vero e proprio” nel coacervo ordinamentale.
Come noto, la disposizione prevede che “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Tanto dalla citata formulazione letterale (“…che operi in forma societaria o collettiva…”), quanto dalla collocazione “geografica” nel corpo del Codice Civile (Libro V, Titolo II, Capo I, Sez. I, ossia ove si disciplinano norme generali, dedicate a qualsiasi tipologia di imprenditore), pare evincersi come l’art. 2086, cit., si applichi ad ogni ambito di attività d’impresa - commerciale o agricola -, ad ogni tipologia di gestione collettiva della stessa - quindi anche alle società di persone –, a qualsiasi dimensione della stessa - e quindi anche alle imprese di piccola dimensione, sotto la soglia di fallibilità -. Peraltro, attenta dottrina ha ritenuto che la norma in commento debba essere applicata anche alle imprese individuali ([3]).
Pare quindi potersi trarre una primissima – seppur sicuramente non definitiva – conclusione: in linea di principio, il dovere di istituire “adeguati assetti” per l’emersione tempestiva della crisi, è generalizzato, atteso il fine ultimo della pianificazione (e, per l’effetto, della prevenzione) secondo un approccio forward looking.
Non bastasse: nel senso testé tracciato depone anche la nuova rubrica, "Gestione dell’impresa", che ha sostituito quella precedente, "Direzione e gerarchia dell’impresa". Ciò palesa che gli adeguati assetti costituiscono snodo nevralgico della funzione gestoria di tutte le imprese. 
In altri termini ancora, se vogliamo più semplicistici, l’art. 2086, comma 2, reca una sorta di “clausola generale”, che impone un dovere di corretta gestione rispetto ai modelli di organizzazione dell’attività che riveste un valore di novità sistematica di centrale rilevanza ([4]). Pertanto, esso assurge a punto di riferimento per tutte le imprese, in punto di predisposizione del più adeguato presidio gestionale da realizzare, al fine di intercettare tempestivamente la crisi ed implementare elementi atti a tutelare la continuità aziendale.
3 . Le altre disposizioni rilevanti
Proseguendo nella disamina sistematica, non va sottaciuto che, in stretto collegamento con l’art. 375 del Codice della Crisi, il successivo art. 377 modifica gli articoli del Codice Civile in tema di amministrazione delle società di persone (art. 2257), azionarie (art. 2380 bis e art. 2409 novies), e a responsabilità limitata (art. 2475), prevedendo che la gestione dell’impresa si svolga nel rispetto del riformulato art. 2086. In questo modo, pare completarsi idealmente una evoluzione normativa che, partendo dal Tuf in tema di doveri del collegio sindacale per le società quotate (art. 149) e attraverso le successive modifiche inserite dal Legislatore nel corso del tempo in tema di società azionarie (art. 2381 e art. 2403), di enti collettivi (D.Lgs. n. 231/2001) e di discipline di settore (dal comparto bancario e assicurativo, sino alle società a partecipazione pubblica), ha cristallizzato la regola di adeguatezza degli assetti organizzativi quale principio generale di corretta gestione dell’impresa.
Tutto ciò dimostra che se, da un lato, il tema dell’adeguatezza degli assetti organizzativi presenta elementi innovativi introdotti dal Codice della Crisi in funzione della precoce rilevazione della crisi, dall’altro lato trattasi di principio comunque già radicato nell’ordinamento. Come già accennato, infatti, la norma ben si sposa con quanto innovato dalla riforma del diritto societario sin dal 2003 (D.Lgs. n. 6/2003) per le società per azioni negli artt. 2381 e 2403 c.c.: un principio in relazione al quale, in letteratura, già era stato autorevolmente affacciato che, con riferimento alle imprese azionarie, gli assetti organizzativi devono risultare adeguati non solo nella prospettiva di going concern, ma anche per un’efficace, completa, puntuale e tempestiva rilevazione dei segnali della crisi ([5]).
A ben vedere, però, l’art. 2381 non è stato di per sé sufficiente a captare per tempo i prodromi della crisi: di talché, è stata integrata la formulazione dell’art. 2086, prevedendo che l’adeguatezza degli assetti organizzativi deve essere funzionale (anche) alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, affinché l’imprenditore possa attivarsi senza indugio (rectius: senza tardare) per l’adozione delle misure più idonee (i) alla risoluzione della crisi e (ii) al recupero del going concern.
Insomma, cercando di ricomporre quanto sin qui illustrato e ricondurlo ad unità, si può affermare che i numerosi e concordanti addentellati normativi appena offerti militano verso l’ascrizione del dovere di instaurare adeguati assetti quale principio generale in capo ad ogni forma di esercizio dell’impresa. Ciò, nella prospettiva di agire in un’ottica di prevenzione: deve sempre monitorarsi se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato o meno, se esiste l’equilibrio economico finanziario, e quale sia il prevedibile andamento della gestione (come detto, approccio forward looking).
Fermo restando il principio generale, si tratta in concreto di capire il “contenuto” e come si declina tutto ciò.
4 . L’art. 3, comma 3, del Codice della Crisi e le lettere a), b), c)
Un ulteriore passo, ora. Una segmentazione del predetto dovere, perimetrata sulla natura – individuale o collettiva – dell’imprenditore è ritraibile dall’art. 3 del Codice della Crisi, in specie nei commi 1 e 2 che, rispettivamente, si esprimono nel senso di “assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, ai sensi dell’articolo 2086” (comma 2, che si rivolge all’imprenditore collettivo) e, in una sorta di diminutio, nel senso di “misure idonee” (comma 1, che si rivolge all’imprenditore individuale). Il contenuto concreto di quanto l’imprenditore dovrà predisporre, tuttavia, viene successivamente “omogeneizzato” dall’art. 3, comma 3, secondo cui tanto le “misure di cui al comma 1”, quanto “gli assetti di cui al comma 2” debbono consentire le attività (i) di rilevazione, (ii) di verifica e (iii) di ottenimento di informazioni funzionali ad effettuare il test pratico, ed all’utilizzo della lista di controllo, puntualmente enunciate alle lettere a), b), c) del comma 3 ([6]).
A ben vedere, di questo trittico di disposizioni, solo quanto dettato dalla lettera sub b) pare implicare l’implementazione di uno strumento di pianificazione aziendale, rivelandosi quanto sub a) e c) piuttosto rivolti a fissare gli obbiettivi di pianificazione in termini astratti.
Infatti, la lettera a) della citata norma ([7]) presuppone un sistema amministrativo e contabile ben strutturato per quanto attiene la rendicontazione (passata e presente) dei fatti di gestione, ma non assume necessariamente l’implementazione di un sistema di pianificazione. D’altro canto, la stessa lettera c) della citata norma ([8]), si pone in ottica di pianificazione ma – richiedendo solamente che l’assetto adottato sia essere idoneo a “ricavare le informazioni necessarie a ...” - presuppone ancora una volta un solido sistema di rendicontazione contabile ed amministrativa, ma non necessariamente la concreta redazione di piani industriali.
Diversamente la formulazione della citata lettera b) ([9]), laddove allude alla “verifica della sostenibilità dei debiti … almeno per i 12 mesi successivi”, pare evocare la elaborazione di uno specifico sistema di pianificazione e, indubbiamente, proprio del budget di tesoreria che rappresenta il documento che sembra rispondere alla definizione normativa, ossia il documento di stima dei flussi di cassa in entrata e in uscita per un determinato periodo di tempo. 
Come noto, la sua predisposizione ed il suo utilizzo risultano di palmare importanza per valutare se l'azienda dispone di un flusso di cassa sufficiente per continuare ad operare regolarmente in un determinato arco di tempo. 
Tale formulazione, quindi, ha indotto autorevole dottrina a ritenere che l’implementazione di un budget di tesoreria mensile “rolling” per i successivi 12 mesi sia stato imposto dalla nuova normativa ad ogni impresa ([10]).
A nostro avviso, seppur il budget di tesoreria possa rappresentare l’approdo ideale per rispondere a quanto richiesto dalla normativa, sono necessarie alcune considerazioni di approfondimento, come andremo subito ad illustrare.
5 . Quale “budget” predisporre? Una possibile chiave di lettura valorizzando sia i criteri di ragionevolezza, proporzionalità, coerenza, sia altre disposizioni presenti nell’ordinamento (tanto fonti quanto pseudofonti), il tutto secondo una prospettiva di sistema
Se da un lato i numerosi elementi fin qui citati militano verso un “dovere generalizzato”, trasversale, di approntare un siffatto sistema di pianificazione, dall’altro lato una lettura del compendio normativo, ispirata a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, induce a meglio ponderarne la portata applicativa.
D’altro canto, imporre alle piccole imprese la elaborazione di articolati e puntuali budget di tesoreria significherebbe richiedere un adempimento abnorme, sproporzionato ed avulso da parametri di razionalità, considerata la tipica struttura sulla quale poggiano le stesse. Per tacere, poi, di situazioni tutt’altro che trascurabili ed infrequenti nel tessuto produttivo italiano, quali imprenditori individuali, imprese familiari, piccole società di persone, ecc., che fanno leva proprio sulla snellezza e sulla destrutturazione quale chiave competitiva e che – ex lege – godono di specifiche semplificazioni sul versante adempimentale, latamente inteso (contabile, fiscale, ecc.). In definitiva, in termini se vogliamo semplicistici, ma necessariamente concreti ed icastici, può aver senso imporre al fruttivendolo o al salumiere “sotto casa” l’obbligo di implementare un sistema di budgeting finanziario mensile rolling, a 12 mesi?
Peraltro, anche per le imprese di dimensioni maggiori, il sistema come sopra delineato non appare pienamente congruo alle loro peculiarità. Infatti, è noto come queste già approntino (beninteso, se correttamente gestite) un sistema organizzativo complesso, che tendenzialmente si fonda su una pianificazione avviata già negli ultimi mesi dell’anno in corso, in funzione di quello successivo. In estrema semplificazione, l’amministratore delegato con il supporto della funzione amministrativa (in primis il CFO), avvia e coltiva una serie di interviste ed analisi (con il responsabile commerciale, quello della funzione acquisti, della funzione vendite, ecc.), svolgendo una analisi dei dati previsionali per l’anno successivo; ciò, al fine di compendiarli entro la fine dell’esercizio in un budget per i successivi 12 mesi e, al contempo, per implementare (o meglio aggiornare) il business plan relativo al successivo triennio/quinquennio.
Il tutto si completa con un’analisi a consuntivo, che viene effettuata nell’esercizio successivo, con una periodicità variabile in base alla dimensione dell’impresa (nei gruppi multinazionali spesso a livello mensile, ma generalmente per tutte le imprese su base trimestrale [11]), che è “occasione” per valutare la necessità di rivedere le previsioni per l’anno in corso. 
Ad esito di tale attività, spesso si arriva alla predisposizione di un “forecast 1”, generalmente dopo il primo semestre, che aggiorna i dati del piano economico finanziario per l’anno in corso, ed in taluni casi di un “forecast 2”, di ulteriore aggiornamento, dopo il terzo trimestre. Una siffatta attività, ad evidenza, non è né temporalmente breve, né contenutisticamente semplice e, anche in imprese di non piccola dimensione, non può efficacemente evolvere sino all’implementazione di un meccanismo di aggiornamento mensile del budget economico e finanziario a valere sui successivi 12 mesi ([12]). 
In altri termini, il passaggio da un aggiornamento del budget limitato a specifici periodi dell’anno, per i mesi successivi fino alla chiusura dell’esercizio, ad un sistema di budgeting che aggiorni in continuo (ogni mese) i dati relativi all’intero periodo dei successivi 12 mesi, pare richiedere uno sforzo eccessivo, abnorme e sproporzionato, posto che la finalità di monitoraggio tempestivo della crisi potrà basarsi anche su altri sistemi.
Tanto illustrato, si pone ora una ulteriore e nodale domanda, ossia se l’implementazione di un sistema come quello appena descritto – pur a fronte dell’evidente formalizzazione, accuratezza, aggiornamento che reca in sé e fondato su un budget di matrice economica e finanziario periodicamente aggiornato limitatamente al periodo residuo dell’esercizio – si possa porre in contrasto con quanto pare ritraibile dal coacervo normativo. 
In altri termini, ancor più semplicistici, ridotta all’osso, la domanda che ci poniamo è: violano i “nuovi” indici normativi sia le imprese di maggiori dimensioni, che poggiano su assetti così strutturati (che consentono un aggiornamento periodico – ma non necessariamente mensile - dei dati finanziari limitatamente al periodo delineato nel budget annuale), sia le imprese minori, che poggiano su assetti minimi e snelli (quindi, ben meno articolati di quanto prevede la normativa)?
A nostro avviso, la risposta va fornita abbracciando un’ottica sistematica e tenendo a mente che, nell’ordinamento, esistono numerose disposizioni – disseminate in fonti e pseudofonti normative anche molto eterogenee tra loro – che inducono ad interpretare le novellazioni recate dal Codice della Crisi secondo una esegesi attenta non solo al dato meramente letterale ma, appunto, anche a quello sistematico, privilegiando una interpretazione “elastica”, improntata a canoni di ragionevolezza, razionalità, coerenza e proporzionalità.
Ex multis, militano in tal senso:
- l’art. 18 del D.P.R. n. 600/1973, che consente la tenuta della contabilità semplificata per le piccolissime imprese, il che non è in re ipsa conforme a questo tipo di pianificazione. Infatti, la normativa tributaria prevede sotto certi parametri (400 mila Euro di ricavi, se esercente attività di prestazione di servizi; 700 mila Euro se esercente attività di cessione di beni) una consistente serie di semplificazioni (registri contabili obbligatori, modalità di determinazione del reddito, ecc.), che implica una destrutturazione degli adempimenti di base, ossia quelli attinenti alla registrazione delle operazioni ([13]);
- l’art. 2435 bis c.c., che consente alle piccole imprese (sulla scorta di limiti dimensionali relativi all’attivo dello stato patrimoniale, ai ricavi, al numero di dipendenti), la redazione di un bilancio in forma abbreviata che, oltre alla espunzione o all’aggregazione di taluni aggregati di bilancio (tanto a stato patrimoniale, quanto a conto economico), consente altresì l’esonero dalla redazione del rendiconto finanziario, ossia un documento di fondamentale importanza ed, ex se, meno ponderoso – sotto svariati punti di vista – del budget di tesoreria;
- l’OIC 9 (Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali), che prevede un approccio semplificato alla determinazione delle perdite durevoli di valore (cfr. par. 30 e ss.). Infatti, per le piccole medie imprese che presentino i parametri dimensionali di cui all’art., 2435 bis c.c. e anche per le microimprese di cui all’art. 2435 ter c.c., si riconosce in via opzionale che l’impairment possa essere fondato solo su dati economici, non finanziari: esse – PMI – possono disapplicare i parr. da 16 a 28 e per l’effetto adottare un approccio alla determinazione delle perdite durevoli di valore basato sulla mera capacità di ammortamento ([14]). Tale disposizione consente quindi, ad imprese non piccolissime per il mercato italiano (imprese con fatturato sino ad 8,8 milioni di Euro), di evitare la redazione di un piano finanziario per la determinazione del valore degli asset aziendali;
- il D.L. n. 146/2021 (art. 5, comma 14 quater), che interviene in materia di tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, modificando l’art. 1, comma 1, primo periodo, del D.P.R. n. 695/1996, stabilendo che le scritture ausiliarie di magazzino devono essere tenute a partire dal secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui, per la seconda volta consecutivamente e contemporaneamente, ricavi e rimanenze assumono i seguenti valori: ricavi superiori a Euro 5.164.000, rimanenze superiori ad Euro 1.100.000. Pertanto, al di sotto di tali soglie, è previsto l’esonero dalla contabilità di magazzino. Ne consegue ad evidenza che la necessità di effettuare un inventario fisico per la redazione di un bilancio impedisce, in concreto, alle imprese che non adottano la contabilità di magazzino di redigere frequenti bilanci infrannuali;
- il principio di revisione ISA Italia 570, che è imperniato sul tema della continuità: su questo importante tema ci si soffermerà diffusamente nel prosieguo.
Il quadro così succintamente tratteggiato evidenzia, a nostro avviso, come una lettura dell’intero corpus normativo improntata ai suddetti criteri di ragionevolezza, razionalità, proporzionalità e – soprattutto – coerenza, suggerisca una interpretazione “elastica” delle novellazioni recate dal Codice della Crisi, che tenga sì conto delle disposizioni di Legge, tuttavia “filtrandole” anche alla luce di quanto in concreto utilmente applicabile.
In altri termini, apparirebbe non coerente con il nostro sistema contabile un assetto che impone ad ogni impresa di redigere un budget di tesoreria mensile (con le caratteristiche sopra citate), ma al contempo consente a quelle di minore dimensione (i) di non tenere la contabilità di magazzino, (ii) di non redigere un business plan finanziario (almeno una volta all’anno) per la valutazione delle immobilizzazioni, (iii) o addirittura consente alle imprese di ridottissime dimensioni di tenere la contabilità semplificata.
6 . Ulteriori addentellati normativi ed interpretativi
A questo punto, appare importante aggiungere alcune brevi ed ulteriori argomentazioni che, ad avviso di chi scrive, confermano la bontà di una lettura volta a valorizzare la (necessaria) “elasticità” della disciplina trattata.
Innanzitutto, può essere utilmente spesa qualche altra considerazione sulla portata dell’art. 3, comma 3, lett. b), laddove aggancia intimamente la sostenibilità dei debiti, la continuità aziendale e l’arco temporale dei dodici mesi successivi.
A tal proposito, da un lato va rilevato come, in linea di principio ed in senso stretto, altro sia la sostenibilità dal punto di vista finanziario, rispetto alla sostenibilità ai fini della continuità, la quale ultima contempla anche ulteriori elementi; dall’altro lato, tuttavia, la prassi professionale segnala che la predetta, apparentemente manichea, demarcazione teorica è destinata a sfumarsi. Tali profili, infatti, tendono a sovrapporsi e coesistere, costituendo in concreto due facce della stessa medaglia (in concreto, nella grande maggioranza dei casi, le situazioni in cui si generano dubbi sulla continuità aziendale, si verificano in momenti in cui sorgono dubbi sulla sostenibilità finanziaria dell’impresa).
Appare quindi di notevole rilevanza, come anticipato retro, indugiare su ISA 570, in quanto imperniato sul tema della continuità.
In tal senso, esso riporta oltre una ventina di “Indicatori, indici ed eventi che possono far sorgere dubbi sulla continuità aziendale”, recanti gli elementi di fonte finanziaria, gestionale, ecc. e volti a stabilire la continuità. Di questi, tuttavia, solo uno riguarda il bilancio, come segue: “I bilanci storici o prospettici mostrano flussi di cassa negativi?”. 
Quindi, attiene ai bilanci in via sia consuntiva, sia prospettica.
Il punto di caduta appare assai evidente: il piano e la matrice bilancistica non risultano in materia l’unico fulcro (anzi), concorrendo, piuttosto, numerosi ed eterogenei elementi a fondare la valutazione in ordine alla continuità.
Per l’effetto, si evince che non è richiesta l’implementazione di un sistema di pianificazione finanziaria e ciò attiene – a tutta evidenza – ad imprese per definizione “non piccole”, altrimenti non sarebbero assoggettate a revisione.
Ma vi è di più. Nella prospettiva evocata nel presente contributo, milita un ulteriore elemento di coerenza legislativa. Infatti, nel decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, atto a disciplinare la composizione negoziata, viene previsto, quanto alle imprese “sotto soglia” “che il piano redatto dall’imprenditore sotto-soglia potrà essere anche circoscritto alle sole grandezze economiche e che i flussi al servizio del debito possono essere stimati in misura corrispondente al margine lordo operativo risultante dal piano, dedotti gli investimenti e la stima delle imposte sul reddito” (così par. 15.5).
Pertanto, è lo stesso decreto dirigenziale, volto a regolare quanto dettato dal D.L. n. 118/2021, recante “Misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia” (oggi sostanzialmente trasfuso Codice della Crisi e dell’Insolvenza [15]), che consente alle imprese di minori dimensioni l’implementazione di una pianificazione solo economica, prescindente da grandezze finanziarie.
Per l’effetto, risulterebbe irrazionale che, nel medesimo ambito normativo, una fattispecie risultasse oggetto di differente trattamento da parte del Legislatore, imponendosi doveri differenti.
In definitiva, la conclusione che, perlomeno ad avviso degli scriventi, appare maggiormente preferibile secondo criteri di coerenza, ragionevolezza, proporzionalità, è la seguente: le recentissime novellazioni non impongono a qualsiasi imprenditore la redazione di un budget di tesoreria mensile, “rolling”, della durata di 12 mesi ([16]), dovendosi piuttosto modellare gli “assetti” alla fattispecie concreta, in modo adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, d’altro canto esistendo una numeroso ed eterogeneo novero di strumenti idonei ad assicurare l’obbiettivo di monitoraggio e prevenzione cui anela il Legislatore. 
7 . Brevissimi spunti conclusivi
In sede di osservazioni finali, nel ribadire quanto fin qui illustrato, ci permettiamo di elaborare qualche spunto - del tutto privo di qualsiasi velleità dogmatica, in quanto improntato a criteri di prassi ed empirismo - intorno a cui possano essere individuati alcuni strumenti in concreto spendibili per assicurare l’ossequio del dovere in punto adeguati assetti:
- il punto da cui muovere sarà costituito proprio, ed imprescindibilmente, da una tenuta regolare ed aggiornata del proprio impianto contabile, di talché esso possa costituire in ogni momento la base di partenza per qualsivoglia elaborazione;
- lo stesso dovrà essere impostato in modo da fornire una rendicontazione completa ed aggiornata, da cui si possa ricavare un continuo confronto tra i dati dell’esercizio e dell’esercizio precedente e quelli di budget (quest’ultimo non per le imprese di ridottissime dimensioni);
- potranno di conseguenza essere definiti taluni indici significativi, che possano assurgere ad utili “Key Performance Indicators”, con cui l’impresa potrà monitorare in continuo il proprio “stato di salute” ed il perseguimento degli obiettivi aziendali; 
- in ogni impresa, inoltre, dovrà essere sviluppata una permanente pianificazione dei flussi finanziari, quanto meno di breve periodo, che nelle imprese di minore dimensione potrà attingere agli scadenziari e alla pianificazione di produzione e di vendita;
- si potranno implementare sistemi ordinati e formalizzati di reporting con una certa frequenza, ad esempio trimestrale, che attengano sia allo Stato Patrimoniale sia al Conto Economico. Quest’ultimo, inoltre, auspicabilmente, dovrebbe essere aggiornato nella sua “parte alta” su base mensile;
- potranno essere poi analizzati alcuni indicatori generali relativi alla tenuta finanziaria dell’impresa, e tra questi spiccano gli stessi indici della crisi emanati dal CNDCEC (Documento del 20 ottobre 2019);
- potranno, inoltre, essere implementati ed aggiornati, secondo una pianificazione predefinita (anche annualmente), dei sistemi più complessi di rating, come quello che si basa sul “rating MCC”, o sistemi di analisi come quello di Altman;
- si potrà poi attingere ad elementi informativi provenienti da banche dati pubbliche o che possano essere assunti liberamente dall’impresa (si pensi, ad esempio, alla Centrale Rischi di Banca d’Italia, che dovrebbe essere analizzata periodicamente anche per capire la percezione che dell’impresa possono avere i suoi stessi finanziatori).
In definitiva, quindi, la verifica della sostenibilità dei debiti per (almeno) i dodici mesi successivi potrà essere implementata secondo vari sistemi, da intendersi aventi perimetro “a geometria variabile” e non secondo dogmi predefiniti, così da cesellarli in modo adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa
Essi potranno certamente articolarsi, nelle imprese più strutturate, mediante l’implementazione di sistemi di budgeting finanziario con aggiornamento mensile, ma nella generalità dei casi potranno essere configurati diversamente; per arrivare, nelle imprese di minime dimensioni, a meccanismi estremamente semplificati, ma che in ogni caso non potranno prescindere da un puntuale e costante aggiornamento contabile, idoneo a fornire all’imprenditore una corretta informazione sullo “stato di salute” dell’impresa.
Il coacervo di dati ed elementi ottenuti, tuttavia, non dovrà rimanere ancorato ad una alea di “freddezza numerica”, bensì dovrà essere analizzato con coerenza e realismo dall’imprenditore: non a caso, sovente la tardiva percezione dello stato di crisi non dipende dalla mancanza di chiari segnali ed indizi di insostenibilità finanziaria, ma da un atteggiamento eccessivamente “ottimista” dell’imprenditore.
Pertanto, la forte richiesta di assunzione di assetti adeguati non potrà prescindere da, e dovrà essere un concreto stimolo per, una crescita culturale dell’imprenditore, verso la quale un ruolo determinante potrà e dovrà essere giuocato proprio dall’organo di controllo, così come chiaramente riaffermato dal Codice della Crisi.

Note:

[1] 
Il secondo considerando della Direttiva Insolvency (Direttiva UE 2019/1023) precisa che “i quadri di ristrutturazione preventiva dovrebbero innanzitutto permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l'insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane. Tali quadri dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso”.
[2] 
Definita dal Codice come “probabilità d’insolvenza” che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi: cfr. art. 2, comma 1, lett. a).
[3] 
Sul punto, si esprimono nel senso della applicabilità degli adeguati assetti ad ogni ambito di attività d’impresa, ricoprendo una sorta di funzione di “clausola generale” (con diverse sfumature terminologiche), ex pluribus: P. Montalenti, Gestione dell'impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta, La nuova disciplina delle procedure concorsuali, in ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 483; S. Ambrosini, Assetti adeguati e “ibridazione” del modello srl nel quadro normativo riformato, in M. Irrera (a cura di), La società a responsabilità limitata: un modello transtipico alla prova del Codice della Crisi. Studi in onore di Oreste Cagnasso, Torino, 2020, 434 e ss.; A. Danovi – G. Acciaro, Nuovo Codice della crisi e adeguati assetti societari, in A. Danovi – G. Acciaro (a cura di), Adeguati assetti societari per la prevenzione della crisi. 1. Nuovo codice della crisi d’impresa, Il Sole 24 Ore, luglio 2022, 31 e ss.; R. Ranalli, La funzionalità degli assetti societari alla rilevazione tempestiva della crisi, in A. Danovi – G. Acciaro (a cura di), Adeguati assetti societari, cit., 40 e ss.
Sul coordinamento tra art. 3, Codice della Crisi, e art. 2086, c.c., cfr. ancora F. Lamanna, Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, 93 e ss.; nonché, in prospettiva ulteriormente sistematica di raccordo con l’art. 4, Codice della Crisi, L. Panzani, I doveri delle parti, in Dirittodellacrisi.it, 14 settembre 2022, par. 4; nonché, infine, per l’intreccio con le altre disposizioni civilistiche, F. Macario, La riforma dell’art. 2086 c.c. nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali, in Dirittodellacrisi.it, 26 maggio 2022.
La posizione, tuttavia, non è monolitica in letteratura (cfr. ad esempio A. Quagli – A. Panizza, Gli adeguati assetti amministrativi e contabili, in A. Danovi – G. Acciaro (a cura di), Adeguati assetti societari, cit., 100 e ss. (“…l’imprenditore individuale, non tenuto all’obbligo di cui all’art. 2086, comma 2…”).
Infine, per una prima rassegna giurisprudenziale sulla portata del novellato art. 208 c.c., cfr. F. Aliprandi – A. Turchi, Spunti operativi sugli adeguati assetti alla luce della recente pronuncia del Tribunale di Cagliari, in Dirittodellacrisi.it, 12 aprile 2022.
[4] 
Sul punto, cfr. quanto autorevolmente espresso da P. Montalenti, Gestione dell'impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta, La nuova disciplina delle procedure concorsuali, in ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 483. Sul ruolo dell’art. 2086, comma 2, nel regolare i rapporti tra i soci cfr. il recentissimo contributo di A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Le Società, 2022, 945 e ss.
[5] 
P. Montalenti, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giurisprudenza Commerciale n. I/2018, 77.
[6] 
Come accennato, l’estensibilità alle imprese individuali dell’obbligo di adozione degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili vede la dottrina collocarsi su posizioni multiformi. L’introduzione dell’art. 3, comma 1 - che impone per l’imprenditore individuale di assumere misure idonee a prevenire la crisi, declinate dai successivi commi del medesimo articolo in modo del tutto analogo alle misure che debbono essere adottate dagli imprenditori collettivi - rende marginale la differenza tra gli imprenditori individuali e collettivi: entrambi devono adottare sistemi organizzativi adeguati a prevenire la crisi, anche se si può ritenere che per le imprese individuali possa essere tollerata l’adozione di meccanismi meno “procedimentalizzati”.
[7] 
L’art. 3, comma 1, lett. a) dispone quanto segue “Al fine di prevedere tempestivamente l'emersione della crisi d'impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di:
a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore”.
[8] 
Che prevede quanto segue: “c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, al comma 2”…
[9] 
Riportiamo la lettera, evidenziando appena che viene richiesta anche la continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi: “b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4”.
[10] 
Cfr. ad esempio S. Ambrosini, L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e il rapporto con le misure di allerta nel quadro normativo riformato, 15 ottobre 2019, in www.ilcaso.it, 6 e ss., secondo il quale “la possibilità di ricavare dal piano di tesoreria elementi di effettiva utilità è subordinata alla verifica dell’andamento mensile della liquidità per almeno dodici mesi”; P. Rinaldi, In tesoreria entrate e uscite certe, previste e prospettiche, in Professionisti e crisi di impresa (AA. VV.), Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi. Focus, 23 ottobre 2019, 7; A. Quagli – A. Panizza, Gli adeguati assetti amministrativi e contabili, in A. Danovi – G. Acciaro (a cura di), Adeguati assetti societari, cit., 105.; A. Danovi – P. Riva – A. Panizza, Adeguati assetti per prevenire la crisi d’impresa: arrivano nuovi adempimenti per gli imprenditori, in Quotidiano Ipsoa, 7 luglio 2022, secondo i quali: “Il rispetto di quanto richiesto, ovvero di verificare, in qualsiasi momento, la sostenibilità dell’indebitamento per almeno i dodici mesi successivi (di fatto un budget di tesoreria rolling a dodici mesi), non può che prevedere, oltre che la tempestiva rilevazione dei fatti di gestione (necessaria alla produzione di aggiornati dati consuntivi):
- la presenza del budget d’esercizio (in grado di fornire informazioni fino alla fine dell’anno);
- la capacità di produrre le informazioni prospettiche relative al periodo successivo a quello di budget, fino al raggiungimento del termine di (almeno) i dodici mesi successivi. Ad esempio, nel mese di luglio l’impresa dovrà essere in grado di elaborare proiezioni relative all’andamento dei flussi di cassa fino allo stesso periodo dell’anno successivo”.
[11] 
Come noto, le prassi amministrative variano in funzione di una molteplicità di eterogenee direttrici, quali la dimensione aziendale, la cultura manageriale, l’appartenenza a gruppi multinazionali, ecc. In linea generale, tuttavia, si possono valutare positivamente sistemi organizzativi che prevedono rendicontazioni mensili, seppur limitate alla parte “alta” del conto economico (spesso rivolte ad individuare la tenuta del fatturato e del margine di contribuzione), e che su base trimestrale sviluppano l’intero conto economico (almeno fino al livello dell’Ebitda), in modo da consentire un’analisi dettagliata dei risultati in raffronto con l’esercizio precedente e con i dati previsti a budget. Dal punto di vista patrimoniale, nelle aziende più strutturate, non ci si limita a valutare l’evoluzione della posizione finanziaria netta mensile, ma si preparano anche lo stato patrimoniale trimestrale ed il rendiconto finanziario.
[12] 
Un budget di tesoreria per periodi ridotti può trovare altre fonti di implementazione (a mero titolo esemplificativo e non esaustivo: scadenzario dei crediti verso clienti e dei debiti verso fornitori; quanto agli acquisti, l’analisi degli ordini delle merci o dei contratti in corso; ecc.); tuttavia, per un periodo di 12 mesi, non può prescindere da una vera e propria pianificazione economico finanziaria.
[13] 
Va osservato, tuttavia, che la Cassazione Penale esprime una differente impostazione. Solo per restare ad una delle sentenze più recenti, cfr. Cass. pen., Sez. III, 30 maggio 2019, n. 24152, la quale, attingendo anche a proprie precedenti pronunce, sostiene che “in materia di scritture contabili, è necessario innanzitutto considerare la normativa civilistica, espressione del valore attribuito alla regolare e corretta tenuta della contabilità e della rilevazione periodica della situazione patrimoniale dell'ente societario. Tali adempimenti infatti consentirebbero non soltanto un controllo ab interno per l'imprenditore il quale può avere contezza dell'andamento della propria impresa, ma anche ab extremo a garanzia dei soggetti terzi che con l'impresa stessa entrano in contatto. Diversa è invece la ratio fondante la fissazione di peculiari regimi in sede tributaria: gli obblighi contabili imposti sono infatti principalmente finalizzati a permettere all'amministrazione finanziaria di esercitare le verifiche sulla corretta determinazione del reddito d'impresa, in stretta relazione con le modalità tipiche con cui l'evasione può essere realizzata. Tale differenza funzionale tra le due normative comporta la non derogabilità/modificabilità delle disposizioni civilistiche da parte di quelle in materia di accertamento delle imposte sui redditi, dati i fini esclusivamente tributari della normativa fiscale. Qualora si ritenesse che il regime di contabilità semplificata ex art. 18 D.P.R. n. 600/73 consenta all'imprenditore di tenere le scritture contabili solo in relazione a quelle previste dal medesimo testo normativo, si ammetterebbe, implicitamente, un'abrogazione degli artt. 2214 e ss., tesi questa che, per i motivi sopra sinteticamente esposti, non può trovare accoglimento. È bene inoltre evidenziare come la stessa lettera dell'art. 18 prefato faccia salvi "gli obblighi di tenuta delle scritture previste da disposizioni diverse dal presente decreto", con inclusione nell'eccezione anche dell'art. 2214 c.c. Questa Corte è chiara sul punto, anche se le pronunce di riferimento attengono alla materia dei reati fallimentari. Si è infatti affermato che: "il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l'esonero dall'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall'art. 2214 cod. civ., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta semplice (Cass., Sez. V, 3 maggio 2017, n.33878; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2014, n. 52219)”.
[14] 
Ciò, assumendo che, per le società di minori dimensioni, i risultati così ottenuti divergono in misura non rilevante da quelli che si sarebbero ottenuti applicando il modello base (id est, quello finanziario), pertanto l’implementazione di una pianificazione finanziaria vera e propria permette di evitare costi amministrativi sproporzionati.
[15] 
Cfr. il D.Lgs. n. 83/2022, che ha apportato ulteriori modifiche al Codice della Crisi (ed in specie all’art. 13) proprio tenendo in considerazione le disposizioni recate dal D.L. n. 118/2021.
[16] 
Vedi ad esempio A. Quagli – A. Panizza, Gli adeguati assetti amministrativi e contabili, in A. Danovi – G. Acciaro (a cura di), Adeguati assetti societari, cit., 105 e 106, secondo i quali “L’imprenditore sarà infatti chiamato a verificare la sostenibilità dell’indebitamento in qualsiasi momento dell’anno per i successivi dodici mesi. Ad esempio, nel mese di maggio l’impresa dovrà essere in grado di elaborare proiezioni inerenti l’andamento dei flussi di cassa fino allo stesso mese dell’anno successivo”.

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