Saggio
Il downgrade del Codice della Crisi e il “nuovo” codice dell’emergenza: “vecchi” strumenti a supporto del concordato con riserva “di massa”*
Antonio Pezzano e Massimiliano Ratti, Avvocato in Firenze e Avvocato in La Spezia
18 Marzo 2021
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È di questi giorni la notizia dell’ennesimo ingresso della safety car che, ancor prima del drammatico incedere dell’emergenza da Covid-19 [1], ha circoscritto il proprio ambito contenitivo all’entrata in vigore delle misure
D’allerta, [2] per poi giocoforza estendere la portata del proprio circuito all’intero corpo della riforma [3], i cui effetti sono stati differiti al primo settembre 2021 [4].
Del resto, da più fonti si era elevato un accorato appello alla salvaguardia del sistema economico [5], martoriato dal lockdown, tanto da spingere il Legislatore a decretare d’urgenza misure atte, da un lato, a (tentare di) ridurre al minimo l’impatto del prolungato stato di emergenza e, dall’altro, ad iniettare nel processo economico e produttivo risorse finanziarie di agevole apprensione e garantite dallo stato.
In prima battuta, con il D.L. 17 marzo 2020 n. 18 - cd. Cura Italia, il Legislatore è intervenuto a favore delle imprese [6] con misure volte a: (i) agevolare l’avvio di ammortizzatori sociali, anche in deroga, su tutto il territorio nazionale (artt. 19-22); (ii) sostenere finanziariamente le imprese attraverso
Il sistema bancario (artt. 49 [7], 56 [8] e 57 [9]; far beneficiare di crediti di imposta in caso di cessione, entro il 31 dicembre 2020, dei crediti vantati nei confronti di debitori inadempienti da oltre novanta giorni decorrenti dall’esigibilità (art. 55 che modifica l’art. 44-bis della L. 28 giugno 2019 n. 58); (iv) introdurre sospensioni nei pagamenti di debiti erariali e contributivi (artt. 60, 61, 62 e 68) ed altri benefici fiscali in termini di crediti di imposta (artt. 64 e 65).
In un secondo momento, con il D.L. 8 aprile 2020 n. 23 - cd. Decreto Liquidità, sono state implementate le misure volte a sostenere finanziariamente le imprese (art. 1) anche per l’esportazione, l’internazionalizzazione e gli investimenti (art. 2), attraverso garanzie statali rilasciate da SACE SpA, con il supporto di Cassa depositi e prestiti SpA (art. 3), per finanziamenti non superiori a sei anni e da erogarsi entro il 31 dicembre 2020.
Per ovvie ragioni di omogeneità temporale (in tema v. anche infra), il suddetto termine è stato individuato anche quale dies ad quem, per l’inoperatività degli obblighi civilistici di cui agli artt. 2446-2447 e 2482-bis e-ter c.c. e della relativa causa di scioglimento ex artt. 2484, comma 1, n. 4) e 2545-duodecies c.c. (art. 6) nonché per la deroga al principio della postergazione dei finanziamenti erogati nel periodo (art. 8), operando, per converso, una presunzione di positiva valutazione della continuazione dell’attività, contestualizzata alla data del 23 febbraio 2020 (art. 7).
Il Decreto Liquidità, per quei che in questa sede interessa, è altresì intervenuto sul termine di adempimento dei concordati omologati, con proroga di sei mesi, e sulla possibilità di modificare proposta e piano anche se già approvati nonché sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L. fall. (art. 9) [10]; sulle istanze di fallimento depositate nel periodo 9 marzo 2020/30 giugno 2020, sancendone anche la retroattiva improcedibilità (art. 10) [11]; sulla sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito ricadenti nel periodo 9 marzo 2020/30 aprile 2020 (art. 11); sulla sospensione dei versamenti tributari e contributivi per i mesi di aprile e maggio 2020 (art. 18) [12].
Sotto un primo profilo soggettivo e, a cascata oggettivo, infatti, risulta controvertibile e, comunque, redimibile l’esclusione, dalla rimodulazione di cui all’art. 9 del Decreto Liquidità, delle imprese non assoggettabili a procedure concorsuali ex art. 1 comma 2 L. fall. e, più in generale, dei soggetti “sovraindebitati”, i cui piani siano già nella loro fase esecutiva o in attesa di omologa [14].
Sul piano temporale, invece, non è chiaro perché il dies a quo rispetto alle disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale decorra con riferimento agli esercizi chiusi entro il 9 aprile 2020 (data di entrata in vigore del Decreto Liquidità), mentre nella comunque collegata successiva previsione relativa alla fictio della continuità aziendale, il parametro per gli esercizi “chiusi” è ancorato al 23 febbraio 2020. La data del 9 aprile 2020 viene nuovamente richiamata nella disposizione relativa all’esclusione della postergazione nel rimborso dei finanziamenti soci, mentre il 23 febbraio 2020 torna in gioco sul tema della modifica del piano o di proroga dei termini in caso di concordati preventivi o accordi di ristrutturazione dei debiti non ancora omologati [15]; si passa invece al 9 marzo 2020 per l’improcedibilità delle istanze di fallimento e per la sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito.
L’altalenante computo temporale si conclude con l’art. 13, relativo al fondo centrale di garanzia PMI che, pur aprendosi apprezzabilmente ad alcune PMI già ammesse al concordato con continuità aziendale ovvero che abbiano “stipulato” accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L. fall. ovvero “presentato” un piano attestato di cui all'art. 67 L. fall. [16], prescrive l’ennesimo diverso termine del 31 dicembre 2019: con ciò si corre il rischio di escludere dal beneficio, ed in modo del tutto irragionevole ove davvero si, accedesse a tale interpretazione restrittiva [17], PMI che ben potrebbero ritrovarsi con “esposizioni [che] non siano più in una situazione che ne determinerebbe la classificazione come esposizioni deteriorate, non presentino importi in arretrato successivi all'applicazione delle misure di concessione e la banca, sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore [18], possa ragionevolmente presumere il rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza, ai sensi dell'articolo 47-bis, comma 6, lettere a) e c) del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013”.
Ad ogni buon conto, una preliminare riflessione ci conduce ad affermare che, allo stato, con il Decreto Cura Italia e il Decreto Liquidità, il comparto economico nazionale è già stato sottoposto ad un concordato con riserva “di massa”, attraverso eccezionali previsioni normative tipiche di detta anticamera concorsuale.
Innanzitutto, la moratoria pressoché generalizzata, prevista per i pagamenti delle rate di mutuo e di leasing nonché per i pagamenti erariali e contributivi, rievoca gli effetti del cd. automatic stay [20];la sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione ed il venir meno dell’ipotesi di scioglimento sono state, invece, letteralmente plagiate dall’art. 182-sexies L. fall., così come, in parte avvenuto per la deroga agli imperativi precetti di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., già disciplinata nel concordato preventivo all’art. 182-quater comma 3 L. fall. [21]; quest’ultima norma, poi, in una estensiva proiezione del secondo comma, letta in combinato disposto con l’art. 182-quinquies comma 3 L. fall., ci riporta idealmente alle misure finanziarie temporanee dell’art. 1 del Decreto Liquidità, anch’esse volte a scongiurare il verificarsi di “un pregiudizio imminente ed irreparabile dell’azienda”.
Non è un caso che è stata omessa l’introduzione d’una specifica norma volta, quanto meno, a sospendere il processo espropriativo [25] e nel Decreto Cura Italia, l’inadempimento contrattuale, anche se imputabile a forza maggiore [26] non viene tout court giustificato, limitandosi l’art. 91 a rinviare ad una mera valutazione “ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti” [27].
Fatto sta che l’ingranaggio si è arrugginito e l’unico dispositivo antivirale che può ricondurlo a fluidità non è altro che un sovradosaggio di nuova liquidità, da innestare in un contesto stabilizzato da adeguate misure protettive.
Da qui sorge l’esigenza, da un lato, di fuoriuscire dal dogma e dalla rigidità del concorso, perché i prestiti di liquidità erogati alle imprese devono circolare senza freni (in quanto solo un sistema economico flessibile e capace di agevolare la liberalizzazione dei flussi sarà in grado di ripartire) e, dall’altro, di consentire alle imprese di ottenere il proprio riequilibrio patrimoniale, giocoforza intaccato dalla pandemia.
Gli interventi dei decreti d’urgenza, asetticamente considerati, sono assolutamente insufficienti per conseguire l’obiettivo di tutelare al massimo grado tutti gli stakeholders di ogni impresa (dipendenti, soci, clienti, fornitori, erario, banche), come già sancito dalla Direttiva UE 2019-1023 del 20 giugno 2019 e non sono idonei a fronteggiare il problema delle “perdite” di esercizio prodotte dall’emergenza [33], perché, anche a voler prescindere dall’eccessiva burocratizzazione procedurale all’accesso, il patrimonio d’una impresa non si ristabilizza “per decreto” [34] oppure contraendo finanziamenti [35] (essendo, questi ultimi, chiamati in causa in presenza d’una temporanea carenza di liquidità).
Posto, pertanto, che tutte le imprese sono oggi, quanto meno, in crisi ed assoggettate ad una moratoria collettiva, si assiste ad un fenomeno inverso rispetto a quello legislativamente voluto scongiurare, ovverosia ad un’accelerazione delle misure d’allerta, perché chi non potrà intervenire con capitale proprio e/o non sarà in grado di accedere adeguatamente al credito bancario o, ancora, non sarà in grado di coprire le certe perdite di esercizio con i flussi del prossimo quinquennio, sarà costretto inevitabilmente ad accedere ad una procedura concorsuale [36] per ristrutturare la propria situazione economico patrimoniale o per accertare la propria insolvenza.
E, paradossalmente, un’insolvenza ex art. 5 L. fall. che non sarebbe imputabile all’imprenditore e che, probabilmente, non sarebbe neppure emersa senza la pandemia, tanto da spingere autorevole dottrina [37] ad affermarne l’obiettiva insussistenza dei relativi presupposti, rilevando cioè il solo fatto dell’impossibilità di assolvere regolarmente le contratte obbligazioni, pur a fronte d’una copiosa giurisprudenza di legittimità di segno opposto [38].
A confortare, tuttavia, la condivisibile tesi soccorrono, sul piano legislativo, l’introduzione d’una norma (il citato art. 91 Decreto Cura Italia) che, come visto, impone di valutare sempre l’attuale pandemia come possibile causa di esclusione della responsabilità [39]; sul profilo giurisprudenziale, il principio secondo cui l’insolvenza fallimentare deve in ogni caso consistere in una “situazione strutturale e non transitoria di incapacità di soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni” [40].
A fronte dell’onda lunga della pandemia, che all’evidenza andrà ben oltre il prossimo 30 giugno previsto per l’improcedibilità delle istanze di fallimento dall’art. 10 del Decreto Liquidità, diviene comunque imprescindibile riflettere sull’importanza sempre maggiore della salvaguardia di aziende assoggettate a fallimento, addirittura per insolvenza incolpevole, ma caratterizzate da virtuosi processi produttivi ed economici ed in cui, quindi, preservare l’elemento organizzativo nell’impresa moderna diviene d’uopo.
D’altra parte, come da tempo è stato acutamente osservato, «l’imprenditore individualista instancabile, dotato di intuito, e di audacia, è stato il solo eroe degli economisti. La grande organizzazione aziendale non riscuote uguale ammirazione (...). Il dover sostenere, per amore della verità, la superiorità dell’organizzazione dell’individuo a importanti fini sociali è una dura prospettiva. Tuttavia è necessario farlo. È agli organismi, non agli individui che è passato il potere dell’impresa e sulla società» [42].
D’altra parte è misura che può venire in rilievo già durante la fase liquidatoria ordinaria: difatti, anche in tale ambito l’attuale art. 2487, lett. c, c.c. prevede la possibilità per il liquidatore di compiere gli: «... atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo».
L’esercizio provvisorio, per essere disposto, richiede due requisiti: la sussistenza di un «danno grave» [43] e l’assenza di «pregiudizio ai creditori», guarda caso, presupposti che stanno alla base proprio della recente decretazione d’urgenza.
E’ pur vero che la norma testualmente impone la sussistenza di tali requisiti solo rispetto all’esercizio provvisorio disposto contestualmente alla sentenza dichiarativa di fallimento (art. 104, comma 2, L. fall.), ma sembra pacifico che, anche nel caso di esercizio provvisorio successivamente autorizzato dal Giudice Delegato, su istanza del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori (art. 104, comma 2, L. fall.), tali due requisiti debbano parimenti sussistere [44].
Ecco allora che, di fronte ad una previsione sistematica che alloca anche lo strumento dell’esercizio provvisorio nella logica della migliore liquidazione possibile pro creditori [46], il «danno grave» può considerarsi in terminidi pericolo di dispersione del valore dell’organizzazione d’impresa, tanto nelle sue componenti più strettamente patrimoniali quanto rispetto ai traffici giuridici negoziali riguardanti i vari stakeholders, sia dal lato degli input (lavoratori in primis) che da quello degli output (beneficiari del prodotto o del servizio finale).
Ma in quanto «danno grave» deve trattarsi del rischio di dispersione di un rilevante valore organizzativo che ovviamente aumenta con la dimensione dell’impresa a parità di specificità e durata delle risorse organizzate, ma soprattutto di un pregiudizio che deve riguardare un’impresa che sia ancora appetibile per il mercato, cioè un’azienda viable rispetto a cui possa quindi confidarsi che si generi un goodwill dalla vendita dell’azienda quale going concern in grado, pertanto, di compensare il pregiudizio provocato dalle endogene prededuzioni dell’esercizio provvisorio ex art. 104, comma 8, L. fall.
Anche perché non va trascurato che l’esercizio provvisorio, grazie alle possibilità offerte dalla prosecuzione (anche interinale) dei rapporti contrattuali, se saldato ad una ristrutturazione anche sul piano dei rapporti di lavoro (come senz’altro consente l’art. 105, comma 3, L. fall., ove anche la vendita si concretizzi nel cono d’angolo a forme ancora più libere del concordato fallimentare), può costituire un’occasione di reset organizzativo dell’impresa in grado addirittura di incrementarne il Valore rispetto a quello sussistente all’inizio della procedura fallimentare, pur ferma l’impossibilità di avvalersi di risorse reperibili nell’attivo fallimentare per un’organizzazione ex novo dell’impresa [47].
Quanto al secondo, ed in fondo ancora più tranchant, requisito dell’assenza di pregiudizio per i creditori concorsuali, deve ricordarsi che, ove anche sussista un «danno grave» da interruzione dell’attività d’impresa, l’esercizio provvisorio potrà disporsi solo in quanto non risulti pernicioso per i creditori.
In altri termini «l’istituto di cui all’art. 104 L. fall. presenta una duplice finalità: non solo quella privatistica di consentire il miglior risultato della liquidazione concorsuale, ma anche quella pubblicistica della conservazione dell’impresa del fallito o da questi gestita, sempre che il ceto creditorio non ne ritragga pregiudizio» [48].
E più precisamente in ordine all’assenza di pregiudizio si è correttamente osservato come «il tribunale dovrebbe poter disporre ed essere messo in grado di effettuare il confronto tra il prezzo reputato ricavabile dalla vendita dell’azienda a cui si affianchi l’esercizio provvisorio, al netto delle variazioni finanziarie generate dalla sua prosecuzione, il prezzo ricavabile dalla vendita dell’azienda cui non si affianchi l’esercizio provvisorio e infine il valore che si stima ricavabile dalla vendita atomistica dei singoli beni, potendosi disporre l’esercizio provvisorio, non solo ove il primo dato sia certamente più favorevole rispetto alle altre due ipotesi liquidatorie, ma anche nel caso in cui il risultato sia sostanzialmente equivalente, posto che anche in tal caso verrebbe rispettato il requisito minimale dell’indifferenza per il ceto creditori» [49].
D’altra parte, ai sensi del fondamentale precetto di cui all’art. 105, comma 1, L. fall. [50], la liquidazione disgregata dei singoli beni va disposta solo quando «risulta prevedibile» che la vendita dell’intero complesso aziendale – pertanto da coltivarsi anche ex art. 104 L. fall. – «non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori» [51].
In un tal contesto diventa indispensabile che già in fase prefallimentare, anche attraverso il ricorso a relazioni tecniche ex art. 15, commi 4 e 6, L. fall., i creditori istanti ove ritengano la misura de qua profittevole o anche il medesimo debitore qualora sia dello stesso avviso [53] oppure il curatore successivamente alla sentenza di fallimento ex art. 104, comma 2, L. fall. e/o 104-ter, comma 2, lett. a, L. fall., si adoperino per redigere nel modo più puntuale possibile un piano con le potenziali entrate ed uscite rappresentando in che misura le stesse siano compensate dall’aumento del valore di collocazione dell’impresa fallita e comunque dal suddetto limite minimo del valore di vendita atomistico, con comparazione delle ipotesi alternative, quale la vendita immediata dell’azienda ex art. 104-ter, comma 7, L. fall. [54] ovvero l’affitto d’azienda, se del caso “ponte” (alias temporaneo), cioè in via d’urgenza ante approvazione del programma di liquidazione attraverso procedure competitive semplificate o anche successive e in qualche modo in linea con i disposti del nuovo art. 163-bis L. fall. [55].
Vi è anche chi autorevolmente ipotizza che già nella fase prefallimentare possano anticiparsi gli effetti propri dell’esercizio provvisorio con una misura di «spossessamento cautelare» dell’impresa ex art. 15, comma 8, L. fall. [56].
Meritevole di riflessione, infatti, risulta lo stimolante tentativo di offrire, attraverso lo strumento dell’affitto d’azienda con l’autodichiarazione di fallimento ed il deposito del concordato fallimentare “del giorno dopo”, una possibile via d’uscita allo stallo finanziario cui sono incorse le imprese “contagiate” [57].
l’azienda del fallito [58], come di rendere più difficoltosa la vendita in caso di concesso diritto di prelazione (art. 104-bis, comma 5, L. fall.).
Quando poi si giunge al momento della cessione aziendale, cui appunto mirano le predette due misure, la normativa fallimentare, ferma la regola della competitività (art. 105, comma 2, L. fall.), offre un ventaglio di opzioni per favorirla al meglio, compreso il conferimento dell’azienda o dei rami della stessa in una o più società anche di nuova costituzione (art. 105, comma 8, L. fall.).
Ma anche un altro strumento, ove ben utilizzato anche in connessione con l’esercizio provvisorio (ovvero l’affitto d’azienda), può essere ancora più flessibile della disciplina di cui all’art. 105 L. fall.: il concordato fallimentare ex art. 124 ss. L. fall. che, oltre a favorire la rapida e reale (a differenza della fictio chiusura di cui al novellato art. 118 L. fall. con le sue note problematiche esegetiche quanto operative) definizione delle procedure fallimentari, mira «ad agevolare la soluzione della crisi dell’impresa attraverso strumenti che, nel favorire la riallocazione dei fattori produttivi, consentano al tempo stesso di salvaguardare l’unità dell’azienda, trasferendola nelle mani di chi sia in grado di gestirla utilmente» [59].
Difatti, il concordato fallimentare, a differenza della vendita ex art. 105 L. fall., può consentire:
i) di modulare ex art. 124, comma 2, lett. c, L. fall. nel modo più variegato, e non solo temporale, la soddisfazione dei creditori e quindi in ultima analisi di saldare il prezzo anche della cessione aziendale ricompresa nel perimetro della proposta concordataria [60], che invece nel caso dell’art. 105 l.falL. può avvenire solo in denaro e con il limitato accollo di cui all’art. 105, comma 9, L. fall., oltre che non superare una dilazione di dodici mesi alla luce del novellato disposto dell’art. 107, comma 1, L. fall.;
iii) possedendone il proponente i requisiti soggettivi, la prosecuzione imprenditoriale degli esercizi provvisori inerenti le imprese con gli appalti e le concessioni pubbliche (art. 110, D.Lgs. n. 50/2016) [61];
iv) far fruire uno o più creditori del proponente (ad esempio una banca per un finanziamento funzionale all’esecuzione del concordato acquisitivo anche del complesso aziendale) della prededuzione ex art. 111, comma 2, L. falL. (dopo la prededuzione endoconcordataria preventiva [62], potremmovedere riconosciuta anche la prededuzione endoconcordataria fallimentare [63]).
I vantaggi del concordato fallimentare si appalesano anche con riferimento alla disciplina delle vendite delle azioni giudiziali di cui all’art. 106 L. fall.: mentre con la disciplina del concordato di cui all’art. 124, comma 4, L. fall. il curatore non dovrà anticipare alcuna somma per avviare il procedimento contenzioso (essendo sufficiente la semplice autorizzazione da parte del Giudice Delegato), nel caso previsto dall’art. 106 L. fall. l’azione dovrà risultare già introdotta, con tutte le problematiche che potrebbe scaturire per la necessità di dover prevedere comunque, e quindi anche ad azione ceduta, ad accantonamenti prudenziali in punto di rischio spese di lite per l’ipotesi che il curatore non risulti estromesso dal giudizio ex art. 111, comma 3 c.p.c. a spese compensate.
Ne consegue che il concordato fallimentare, nella poliedricità delle sue possibili esplicazioni [64] ed ove tempestivamente presentato, può davvero rappresentare una riscoperta frontiera da esplorare attentamente [65], per cercare di immettere speditamente nuove liquidità in un “mondo” che ne ha urgente bisogno.
Eppure nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza non ha trovato quella naturale implementazione estensiva, tanto predicata dal Legislatore [66]: difatti, oltre a non essere prevista la disciplina del gruppo di imprese fallite [67], ne ès tata smontata l’architrave posta alla base della competitività, espungendo, in spregio ai basilari principi informativi, l’obbligo di pubblicazione al registro della imprese della relazione periodica semestrale di cui all’art. 33 comma 5 L. fall. [68].
D’altra parte l’attuale art. 113 L. Fall., letto in combinato disposto con l’art. 110 L. fall. in punto di possibile offerta di fideiussione [72] (oltre che con l’art. 112 L. fall. per i creditori tardivi), delinea con chiarezza il percorso da seguire per quelle che sono le tassative ipotesi degli accantonamenti, generali e speciali, senza che quindi la presenza di istanze tardive non ancora esaminate o di eventuali opposizioni ex art. 98 L. fall. prive di conseguite misure cautelari ai sensi del relativo primo comma n. 2, possa legittimare indebiti accantonamenti [73].
Dunque, nell’attuale stato emergenziale, una prima utile applicazione delle norme vigenti viene offerta dall’art. 110 L. Fall., norma che senz’altro [74] permette al Giudice Delegato - così come al comitato dei creditori – di esercitare anche quel potere di vigilanza sull’efficienza operativa del curatore che, proprio nella capacità di distribuire tempestivamente il ricavato ai creditori, dimostra a pieno di aver ben interpretato il suo ruolo in una procedura a ciò teleologicamente deputata.
In tal prospettiva, di particolare interesse appaiono quei provvedimenti che, più che stabilire un termine inferiore ai quattro mesi, indicano l’importo al di sopra del quale i curatori devono tempestivamente attivarsi per predisporre il progetto di riparto [75].
Riepiloghiamo l’incredibile, in termini di burocratizzazione, “processione”: il curatore, per poter provvedere al pagamento del dovuto ai singoli creditori, è onerato (i) di predisporre un progetto di riparto da indirizzare al Giudice Delegato, (ii) depositarlo e (iii) comunicarlo ai singoli creditori; (iv) attendere l’eventuale reclamo e poi, (v) conseguito un ulteriore visto da parte del Giudice Delegato attraverso il provvedimento di esecutività, (vi) poter finalmente provvedere al pagamento. Tutto ciò non sarebbe sufficiente, poiché si pretende che il curatore (vii) richieda e (viii) consegua dallo stesso Giudice Delegato un ulteriore provvedimento autorizzativo ai sensi del citato articolo art. 34 L. fall. per poi (ix) richiedere copia autentica alla cancelleria, indi (x) ritirarla per infine (xi) consegnarla alla banca e (xii) poter finalmente disporre i pagamenti.
Il macchinoso iter non è assolutamente condivisibile: (i) in primis perché, visto anche il disposto specifico dell’art. 115, comma 1, L. Fall., dovrebbe risultare evidente che l’art. 34 comma 3 L. fall. disciplina una mera disposizione gestoria da adottare per quei soli casi in cui non vi sia già a monte un provvedimento autorizzativo ad hoc da parte del Giudice Delegato, in ordine al pagamento da effettuare da parte del curatore [77]; (ii) in secondo luogo perché l’esigenza di vigilanza del curatore nel suo operare non può trasformarsi in potere di “polizia” da parte del Giudice Delegato anche in considerazione di tutte le deterrenze a carico del primo (che, non dimentichiamolo, riveste anche la qualifica di pubblico ufficiale tenuto già quotidianamente a registrare ogni operazione effettuata ex art. 38, comma 1 L. Fall.); (iii) in terzo luogo mal si comprenderebbe tale stringente vincolo a carico proprio del curatore, quando nulla è previsto al riguardo a carico dei corrispondenti organi in caso di liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria e, salva diversa previsione in decreto d’omologazione, di concordato preventivo (liquidatorio).
Fortunatamente già alcuni Tribunali hanno dato vita a virtuose prassi telematiche che stanno risolvendo molti problemi legati alle misure di contenimento [78].
Una visione olistica sulla tematica dei riparti non può trascurare la previsione dell’art. 117 L. fall. e segnatamente il “virus” che rischia di annidarsi nella disposizione del relativo quarto comma.
Dopo cinque anni dal deposito delle somme accantonate per gli irreperibili, infatti, queste vanno ad accrescere il bilancio dello Stato (segnatamente pro Ministero della giustizia), ove non richieste previamente dai creditori insoddisfatti ai sensi del successivo quinto comma.
Visto che non esiste una prassi virtuosa che induca il curatore, all’atto della chiusura del fallimento, ad avvertire tutti i creditori insoddisfatti della sussistenza di somme depositate per gli irreperibili, forse un alert al riguardo dovrebbe essere loro inviato.
Analoga cura potrebbe avere il curatore nelle procedure sorte anteriormente al 16 luglio 2006 cui si applica il previgente art. 117 [79].
Ai sensi dei relativi commi secondo e terzo, infatti, le somme accantonate, anziché andare a favore dei creditori insoddisfatti, rischiano di diventare depositi “dormienti” a beneficio solo delle banche presso cui risultano accesi.
Da quanto fin qui esposto, emerge con sufficiente chiarezza come anche la fase di distribuzione delle liquidità, allo stato della vigente normativa (e purtroppo ancor più in futuro con il Codice della Crisi), può essere un campo dove si gioca un’importante partita per offrire un seppur modesto supporto finanziario alle imprese, che rischiano di non aver vita facile nell’accesso a nuovo credito.
La crisi economica che vivremo negli anni a venire sarà davvero molto acuta.
Quanto decisiva (anche) per le sorti del “sogno” europeista. Ed in un tale contesto un nuovo piano “Marshall”, fondato su principi solidaristici, sarà fondamentale.
Proprio in tale logica sarebbe opportuno - e per tornare così in medias res - che, a fianco degli strumenti previsti dal codice dell’emergenza (a loro volta auspicabilmente “arricchiti” e definiti in sede di conversione in legge), si agevoli e si consolidi una dilatazione temporale di accesso alla moratoria, bancaria ed erariale (ad esempio sino al termine massimo di proroga del 30 giugno 2022, di cui all’art. 9, comma 1, D.L. 23/2020, in fondo sostanzialmente corrispondente ai 24 mesi di ammortamento dell’art. 1, comma 2, lett. a del Decreto Liquidità).
Ovviamente, in molti casi sarà inevitabile il ricorso anche agli strumenti ordinari del diritto concorsuale, responsabilmente favoriti nell’accesso da un differente spirito di approccio da parte di tutti gli attori (salva naturalmente l’abiura di ogni abuso, a maggior ragione in questa fase storica).
E nella breve carrellata, tentando di offrire anche stimoli e spunti per liberare e valorizzare ricchezze che stazionano troppo tempo nelle procedure, abbiamo cercato di individuare il perché alcuni degli strumenti, come l’esercizio provvisorio, l’affitto d’azienda ed il concordato fallimentare, potrebbero riscoprire una gioventù mai pienamente vissuta.
Note:
Comma 429: “All'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 181 del 2008, il comma 6-ter è sostituito dal seguente: «6-ter. Le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 30 luglio 2009, n. 127, adottato ai sensi dell'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono estese, in quanto compatibili, alle somme affluite al Fondo unico giustizia ai sensi del comma 2-bis del presente articolo. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno, sono adottate le eventuali ulteriori disposizioni necessarie a dare attuazione alle misure di cui al presente articolo.
A decorrere dal 1° luglio 2020, alla società di cui al comma 1 è intestato un conto corrente acceso presso la Tesoreria dello Stato. Sul conto corrente di cui al precedente periodo affluiscono, nel rispetto di quanto previsto ai periodi quinto e sesto del presente comma, le somme di denaro oggetto dei procedimenti di cui al comma 2-bis. La società di cui al comma 1 è assoggettata agli obblighi di programmazione finanziaria di cui agli articoli 46 e 47 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Fermo restando il rispetto degli obblighi di cui al precedente periodo e nella prospettiva di garantire stabilità alla consistenza media giornaliera delle somme in giacenza sul predetto conto di Tesoreria, la società di cui al comma 1, entro il 15 gennaio di ciascun esercizio finanziario, comunica al Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero della giustizia la previsione, su base annua, delle somme di cui al comma 2-bis, che saranno depositate, nell'anno finanziario di riferimento, nei conti correnti accesi presso il sistema bancario e postale, nonché la quantificazione della giacenza media annua del predetto conto di Tesoreria dello Stato intestato alla medesima società, da aggiornare con cadenza trimestrale.
La società di cui al precedente periodo accredita i conti correnti accesi presso le banche e Poste Italiane Spa nella misura almeno pari a consentire l'esecuzione delle operazioni connesse ai procedimenti e alle procedure nell'ambito del Fondo unico giustizia, disposte dagli organi competenti. Il Ministero della giustizia, con propria circolare, impartisce agli uffici giudiziari le istruzioni necessarie a rendere immediatamente operative le disposizioni di cui al presente articolo, prediligendo, ove ritenuto opportuno, il ricorso ad un principio di gradualità, con priorità agli uffici ubicati nelle sedi giudiziarie di più significativa rilevanza»”.