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Saggio

Il processo di concordato preventivo*

Francesco De Santis, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Salerno – Avvocato

31 Ottobre 2020

*Il saggio è estratto da Il Fallimento 10/2020
L'interazione temporale della domanda di concordato in bianco con la presentazione della proposta e del piano, il perimetro del sindacato giudiziale di fattibilità ed i rapporti tra le domande di soluzione giudiziale della crisi rappresentano gli snodi più attuali e problematici del processo di concordato preventivo, che il sopravvenire della pandemia ha sospeso in una sorta di “zona grigia”, collocata tra l'essere della legge fallimentare ed il voler essere del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

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1 . Il processo di concordato preventivo nella twlight zone
Il concordato preventivo “va letto, anche, come processo perché è all’interno del processo che si forma la volontà delle parti ed è all’esito del giudizio di omologazione che la volontà delle parti produce effetti vincolanti” [1].
A partire dalla riforma di cui al D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80) – che precedette di poco le riforme organiche della legge fallimentare del 2006-2007 - il profilo processuali del concordato preventivo ha ricevuto, anche ad opera del diritto vivente, un’attenzione crescente, pur se non sempre ispirata da un disegno organico, ovvero sistematico.
L’affluenza degli interventi normativi che hanno interessato il concordato preventivo [2], nonché le pronunzie della Suprema Corte (specie quelle sui limiti del sindacato giudiziale di fattibilità [3] e sui rapporti tra processo di concordato preventivo ed istruttoria prefallimentare [4], hanno polarizzato l’attenzione degli interpreti e degli operatori su due principali aspetti processuali: il primo (maggiormente percorso dalle continue modifiche legislative e dalle incursioni della giurisprudenza, che ne sono state al contempo un post hoc, ma anche un propter hoc), riguardante le fasi del giudizio di ammissibilità della domanda; il secondo (meno tormentato, in quanto ad esito il più delle volte prevedibile) incentrato sul giudizio di omologazione.
Diversamente dalla legge fallimentare (che reca la disciplina concordataria in un contesto unitario, ovvero nel titolo III (artt. 161 ss. L. fall.), il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza - CCII, il Codice), emanato a seguito della L. 19 ottobre 2017, n. 55 (Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza), ha separato le norme di matrice processuale da quelle che potremmo definire “sostanziali” (ovvero dedicate ai presupposti per l’accesso alle procedure negoziali, al contenuto dei patti ed alla loro esecuzione), inserendo le prime nella disciplina del c.d. “procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza” (titolo III del CCII, artt. 37 ss.), e le seconde all’interno della disciplina degli strumenti di regolazione della crisi (titolo IV del CCII), precisamente del capo riguardante gli “accordi” (capo I del titolo IV, artt. 57 ss. CCII) ed il “concordato preventivo” (capo III del titolo IV, artt. 84 ss. CCII).
Tale scelta, se da un lato risponde a criteri di maggiore rigore nella collocazione sistematica del plesso normativo processuale, dall’altro lato impone all’interprete di tenere costantemente d’occhio anche la disciplina sostanziale del concordato preventivo, nella quale il Codice ha in qualche caso sparso norme di matrice processuale [5].
Al contempo, va rilevato che il “procedimento unitario” - una sorta di “contenitore” giudiziario, nel quale dovrebbero confluire tutte le domande, anche contrapposte, per la soluzione giudiziale della crisi d’impresa, con oggetto ad assetto variabile, potendo con esse essere richieste tanto l’apertura della liquidazione giudiziale, quanto l’omologa del concordato preventivo ovvero dell’accordo di ristrutturazione - non è un procedimento realmente unitario, atteso che il primo grado del giudizio (dopo l’introduzione della domanda) è contrassegnato dalla diversificazione dei percorsi processuali, a seconda che si acceda ad una procedura di soluzione pattizia della crisi (ed, all’interno di questa, al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione), ovvero alla liquidazione giudiziale [6].
Dunque, se il contenitore processuale è unitario, non lo è il procedimento, che sconta una sorta di “vizio d’origine”, ostando all’effettiva unitarietà la differente natura processuale dei riti ivi declinati: il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale è un giudizio a cognizione piena, ancorché semplificata; sono invece a carattere sommario le fasi di concessione e revoca del termine per la presentazione della proposta e del piano di concordato preventivo, ovvero dell’accordo di ristrutturazione, nonché di apertura del concordato preventivo; è, invece, nuovamente a cognizione piena semplificata il giudizio di omologazione del concordato ovvero dell’accordo di ristrutturazione [7].
Giovanni Lo Cascio ha rilevato a questo proposito che, non essendo l’accesso alle diverse procedure regolato in modo autonomo, “la presentazione di una proposta di concordato preventivo non evita l’osservanza di regole processuali talvolta complesse alle quali si sarebbe potuto ovviare”, con ciò non escludendo che “la nuova impostazione codicistica possa apparire idonea”, ma con la riserva “che potremo avere un quadro più esauriente dei vantaggi dell’innovazione soltanto dopo che sia stata acquisita un’esperienza pratica e concreta” [8].
Sennonché, con l’avvicinarsi della fatidica data del 1° agosto 2020 (originariamente fissata per l’entrata in vigore del CCII), essendo sopravvenuti i noti eventi pandemici, il legislatore dell’emergenza – sul presupposto della “scarsa compatibilità tra uno strumento giuridico nuovo e una situazione di sofferenza economica nella quale gli operatori più che mai hanno necessità di percepire una stabilità a livello normativo e di non soffrire le incertezze collegate a una disciplina in molti punti inedita e necessitante di un approccio innovativo” - ha differito di un anno ed un mese (al 1° settembre 2021) l’entrata in vigore del Codice, ritenendo “opportuno che l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato, come è la vigente legge fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine” [9].
Verrebbe da chiedersi se il legislatore dell’emergenza abbia, con ciò, cantato il de profundis del CCII, e, per quanto qui ci occupa, del “procedimento unitario”. Non credo sia possibile, allo stato, dare una risposta certa [10],  ma ritengo che due cose siano molto probabili: i) che  le sorti del CCII (e  del sistema processuale da esso disegnato) dipenderanno dall’impatto effettivo della pandemia sul tessuto imprendi- toriale  ed economico  del  Paese, per come verrà delineandosi nei mesi (e forse negli anni) futuri; ii) e che il CCII, ove mai entrasse in vigore, necessiterà di importanti (se non decisive) modifiche, al fine di adattarne le previsioni (e forse anche lo “spirito”)alle mutate esigenze del contesto da regolare [11].
Una cosa mi pare altresì probabile: iii) che il rinvio di un anno potrebbe non bastare, specie se - come è agevole prevedere - l’impatto della pandemia sarà “a lunga gittata” [12].
Del “procedimento unitario” immaginato dal CCII non si ha - e per diverso tempo neppure si avrà - alcuna ricorrenza esperienziale.
Per contro, il legislatore dell’emergenza (come più avanti si dirà) è già intervenuto su alcuni (non irrilevanti) profili del processo di concordato preventivo, agendo sulla vigente legge fallimentare,  e modellandoli  in  senso “facilitativo” per l’impresa che intende accedere alla soluzione pattizia [13].
Ciò ha collocato il futuro dei processi concorsuali in una sorta di zona “crepuscolare”, un po’ “a metà del guado”, tra la fuga in avanti verso l’attraente (ma ancora ignoto) procedimento unitario e le “sicurezze” offerte dalla disciplina vigente, ormai ampiamente “modellata” dalla giurisprudenza.
Non è qui possibile esaminare tutti i passaggi del processo che, a partire dalla presentazione della domanda, conduce all’omologazione del concordato preventivo. Concentrerò dunque l’attenzione su talune questioni, che al momento mi appaiono più attuali e problematiche, anche nella prospettiva della comparazione tra la vigente legge fallimentare ed il CCII.
2 . La domanda “prenotativa” e la revoca del termine
Giova anzitutto soffermarsi su alcune vexatae quaestiones a proposito della domanda di concordato “prenotativa” o “in bianco”, introdotta nel corpo dell’art. 161 L. fall. dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134 [14].
Il CCII ha confermato l’opzione della legge fallimentare, secondo la quale il debitore può depositare, unitamente al ricorso, la proposta di concordato, il piano e la relazione attestatrice, oppure limitarsi a chiedere al tribunale l’assegnazione di un termine, con riserva di deposito di tali atti e documenti nel termine fissato da tribunale. L’opzione è stata estesa dal CCII alla presentazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ormai declinato a pieno titolo (mercé i recenti interventi del diritto vivente [15]) alla stregua di un istituto del diritto concorsuale.
L’art. 44, comma 1, lett. a), CCII dispone che il tribunale, a seguito della domanda del debitore di accedere ad una procedura di regolazione concordata, pronuncia, se richiesto, un decreto col quale fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi ed in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, di non oltre sessanta giorni, entro il quale il debitore è onerato di depositare la proposta di concordato preventivo con il piano e l’attestazione.
La norma ricalca, con una non indifferente riduzione del termine massimo concedibile, la previsione di cui all’art. 161, comma 6, L. fall., a tenore del quale il giudice può fissare per il deposito della proposta e del piano un termine compreso fra sessanta e centoventi giorni, prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni [16]. Il Codice ha altresì ripreso la previsione contenuta nell’art. 161, comma 10, in base alla quale, quando già pende il processo per l’apertura della liquidazione giudiziale, il termine per la presentazione della proposta e del piano è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.
Tali disposizioni marcano la distinzione fra piano, proposta e domanda, ed hanno il pregio “di differenziare ciò che attiene al processo (la domanda), ciò che attiene al contenuto negoziale (la proposta) e ciò che attiene al modo in cui si pensa di rendere realizzabile la proposta (il piano)” [17].
Il tutto è, infine, funzionale alla previsione (contenuta nell’art. 168, comma 1, L. fall., e nell’art. 54, comma 2, CCII) secondo la quale, dalla data della pubblicazione della domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione nel registro delle imprese, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio, e dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano [18].
Il CCII non ha riproposto la norma di cui al penultimo comma dell’art. 161 L. fall., che prevede l’inammissibilità della domanda quando il debitore, nei due anni precedenti, abbia presentato altra domanda alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura o l’omologazione dell’accordo “sicché non si dovrebbero avere più quelle vicende nelle quali il debitore, per il timore di una pronuncia di inammissibilità motivata su questo presupposto, rinunciava alla domanda per poter proporre una nuova domanda di concordato preventivo con riserva, con l’inevitabile reazione della giurisprudenza, che in ciò ravvisava un abuso del processo” [19].
D’altro canto, la concessione del termine, non costituendo espressione di un potere discrezionale del tribunale, non implica alcuna valutazione in ordine all’ammissibilità della domanda di concordato, neppure sotto il profilo della configurabilità della stessa come abuso del diritto (o del processo), il cui apprezzamento presuppone necessariamente la conoscenza delle condizioni offerte dal debitore con la proposta e delle modalità di realizzazione dell’accordo, nonché dei dati contabili che le supportano [20].
Nel contesto di questa (più o meno consolidata) disciplina, mi pare che si vadano delineando due importanti questioni, relative alla decorrenza del termine per la presentazione della proposta e del piano, ed alla revoca del termine.
Secondo un recente orientamento della Suprema Corte, il termine che il tribunale concede per il deposito della proposta e del piano decorre dalla data di presentazione della domanda, non da quella dell’emissione del provvedimento di concessione del termine, né dalla comunicazione di tale provvedimento da parte della cancelleria [21].
Il principio desta, a mio avviso, non poche perplessità.
Se è, infatti, vero che “la fissazione del termine da parte del giudice va ad inserirsi in una fattispecie procedimentale che vede coinvolti anche soggetti, i creditori, che in questa prima fase, e sino all’udienza per la dichiarazione di voto, non possono interloquire, pur subendo gli effetti protettivi della presentazione della domanda dalla pubblicazione della stessa nel registro delle imprese” [22], è altrettanto vero che - pur nel bilanciamento degli interessi in gioco - gli eventuali ritardi del tribunale nell’emissione del provvedimento e della cancelleria nella comunicazione del medesimo al debitore non possono riverberarsi negativamente su quest’ultimo, sottraendogli del tempo, sovente assai “prezioso”, destinato alla predisposizione della documentazione pattizia [23].
Tale orientamento parrebbe superato dalla previsione alloggiata nell’art. 44, comma 1, lett. d), CCII, a tenore del quale il decreto di fissazione del termine deve essere immediatamente trascritto, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese. Ne dovrebbe, a mio avviso, conseguire che il termine decorrerà dalla detta iscrizione, siccome forma idonea di pubblicità del provvedimento sia a vantaggio dei creditori e dei terzi, sia a vantaggio dello stesso debitore, che ha pari possibilità di accesso a tale pubblicità degli altri citati soggetti.
Il secondo profilo da affrontare riguarda il provvedimento di revoca del termine ed il suo regime di stabilità.
Secondo il CCII, il termine per la presentazione del piano o dell’accordo può essere revocato dal tribunale (art. 44, comma 2, CCII). La previsione è mutuata dagli artt. 161, 162 e 173 L. fall.: la revoca è disposta, su segnalazione del commissario giudiziale o del P.M., in caso di scoperta di atti di frode, quando la condotta del debitore si rivela manifestamente inidonea ad una soluzione efficace della crisi, quando si verifichino circostanze tali da pregiudicare tale soluzione, nonché in caso grave inadempimento degli obblighi informativi o di mancato versamento del fondo spese.
Il decreto di revoca è emesso previa instaurazione del contraddittorio e non è autonomamente reclamabile, sul presupposto che esso determina soltanto l’arresto del procedimento, ma non impedisce la riproposizione della domanda di concordato. 
La scelta qui compiuta dal CCII è stata di costruire l’apparato processual-sanzionatorio non sul profilo dell’improcedibilità della domanda (così come oggi prevede l’art. 161, comma 7, L. fall.), bensì della revoca del termine, che è una soluzione processualmente più “leggera” di quella adottata dalla legge fallimentare, ed è probabilmente finalizzata a conferire un fondamento sistematico più robusto alla previsione della non assoggettabilità ad impugnazione del relativo provvedimento.
Le sezioni unite della Suprema Corte, a proposito dei provvedimenti che si collocano nella fase anteriore all’omologazione del concordato preventivo, coi quali viene disposta la chiusura della procedura senza la contestuale dichiarazione di fallimento (e, tra questi, il provvedimento d’inammissibilità del concordato per mancanza dei suoi presupposti, reso ai sensi dell’art. 162 L. fall.), ne hanno sancito la non impugnabilità per Cassazione, perché tale decreto “pur presentando indubbiamente il carattere della definitività - in quanto espressamente dichiarato ‘non soggetto a reclamo’ - non presenta anche il carattere della decisorietà. Esso, infatti, viene emesso dal tribunale a prescindere da una controversia, anche solo potenziale, tra parti contrapposte, nonché all’esito di un procedimento che non prevede alcun contraddittorio, bensì la sola audizione del debitore (‘sentito il debitore’, recita il richiamato art. 162, comma 2). Che i creditori siano o meno favorevoli alla proposta di concordato presentata dal debitore è del tutto irrilevante: il tribunale deve provvedere comunque, d’ufficio, a tutela di un interesse più generale, che prescinde dall’interesse individuale di ciascun creditore” [24].
Altra è l’ipotesi in cui il provvedimento di revoca dell’ammissione al concordato preventivo (ad esempio giustificato dall’accertamento di condotte fraudolente del debitore) sia adottato nel corso del giudizio di omologazione, instaurato all’esito della votazione favorevole dei creditori ed in assenza di opposizioni di quelli dissenzienti, comportando in questo caso anche il sostanziale diniego dell’omologazione: avverso tale provvedimento può essere proposto il reclamo di cui
all’art. 183, comma 1, L. fall., e, successivamente, il ricorso in Cassazione [25].
Tale orientamento è probabilmente alla base dell’innovativa scelta processuale del CCII di consentire l’impugnazione del provvedimento (avente la forma della sentenza e non più del decreto), che nega l’omologazione del concordato o dell’accordo (cfr. art. 51, comma 1, CCII), in situazioni nelle quali la riproponibilità della domanda di soluzione pattizia non è necessariamente esclusa, ma, giunti al termine della procedura, essa risulterebbe gravosa in termini di celerità ed economia processuali, comportando il sacrificio delle attività poste in essere sino a quel momento.
Diversamente, la possibilità di riproporre la domanda (al pari della non contenziosità del procedimento) è alla base dell’espressa previsione di non impugnabilità del provvedimento di revoca del termine, di cui all’art. 44, comma 2, CCII.
Nell’assenza di una previsione normativa espressa, occorre tuttavia chiedersi quale sia il destino della domanda una volta che sia stato revocato il termine, rectius in che senso la domanda sia riproponibile. Non si può, difatti, obliare il dato letterale della legge, a tenore del quale non è la domanda ad essere revocata, ma il termine, sicché - ci si perdoni il bisticcio di parole - a rigor di termini la domanda non dovrebbe essere toccata dal provvedimento.
Il CCII nulla dice al riguardo, ma è da ritenersi che il debitore (benché decaduto dal termine) possa presentare proposta e piano senza termine, salvi gli effetti derivanti dalla coeva pendenza o dalla successiva presentazione di domande di apertura della liquidazione giudiziale.
Non risultano, in questo caso, preclusioni espresse, atteso che la previsione di cui all’art. 47, comma 5, CCII (che subordina la ripresentabilità della domanda di concordato al mutamento delle circostanze), è a mio avviso da riferirsi all’ipotesi in cui il tribunale abbia negativamente delibato l’ammissibilità e la fattibilità del piano, non anche al caso in cui il piano e la proposta non siano stati neppure presentati, a causa della revoca del termine.
Occorre piuttosto chiedersi se l’assenza della previsione di reclamabilità del provvedimento di revoca del termine dia la stura per predicare la percorribilità del ricorso straordinario in Cassazione, essendo dubbio se il diritto di riproporre la domanda pattizia sia sufficiente ad assorbire e superare ogni questione attorno alle caratteristiche di definitività o decisorietà del provvedimento di revoca del termine [26].
Per questo, sarebbe, amio avviso, più opportuna una previsione che consenta il reclamo alla corte d’appello del provvedimento di revoca dei termini, adinstar della previsione di cui all’art. 47, comma 4, CCII, relativa alla reclamabilità del decreto di inammissibilità della proposta concordataria, di cui si dirà infra.
3 . La domanda di concordato in bianco nel prisma dell’emergenza pandemica
L’art. 9 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. “Decreto liquidità”), conv. in L. 5 giugno 2020, n. 40, prevede che il debitore, il quale abbia in precedenza ottenuto la concessione del termine ex art. 161, comma 6, L. fall., già prorogato dal tribunale, può, prima della scadenza, presentare istanza (indicante gli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica) chiedendo la concessione di un’ulteriore proroga sino a novanta giorni, anche nei casi in cui è stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento.
La norma, nell’ottica della salvezza della volontà pattizia in fieri, prevede altresì che il debitore possa chiedere al tribunale, entro l’udienza fissata per l’omologa, un termine (non superiore a novanta giorni) per la presentazione di un nuovo piano e di una nuova domanda di concordato, così autorizzando una vera e propria mutatio libelli [27].
Ancora, l’art. 9, comma 5-ter, del decreto “liquidità”, sottrae all’applicazione dell’art. 160, comma 10, L. fall. le domande di concordato preventivo in bianco, che saranno depositate fino al 31 dicembre 2020. Pertanto, il debitore può ottenere una proroga del termine fino a 120 giorni, prorogabili di altri 60, per depositare la domanda di concordato pieno, anche se nel frattempo siano state depositate contro di lui istanze di fallimento.
Per giunta, il comma 5-bis dell’art. 9 prevede che l’imprenditore il quale, entro il 31 dicembre 2020, abbia depositato una domanda di concordato preventivo in bianco ed ottenuto dal tribunale la concessione dei termini di cui all’art. 161, comma 6, L. fall., possa rinunciare alla domanda, dichiarando di aver predisposto un piano di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., già pubblicato nel registro delle imprese [28].
Da tali disposizioni emerge il favor per il concordato preventivo, “che viene considerato, in una generalizzata situazione estremamente critica quanto al complessivo assetto economico, strumento proficuamente valorizzabile per la prosecuzione di percorsi utili ad evitare la declaratoria di fallimento e la conseguente liquidazione giudiziale oltre che preferibilmente idoneo al soddisfo dei crediti inadempiuti. Nel mutato contesto determinato dalla emergenza epidemiologica, iniziative e richieste che, poiché comportanti dilungamento dei tempi per la definizione della procedura, nella fisiologia concorsuale sarebbero state non consentite ovvero soggette ad attento e scrupoloso intervento tutorio del tribunale vengono, invece, stimolate e consentite, inquadrandosi quale rimedi utili ad evitare che l’aggravamento della crisi che ha determinato l’abbrivio del percorso concordatario e conseguente a circostanze esogene all’attività imprenditoriale possa determinarne il forzoso arresto e, conseguentemente, veicolare il proponente verso l’alternativa prettamente liquidatoria” [29].
Al di là della limitata efficacia temporale delle norme di cui sopra, non è implausibile preconizzare che il legislatore dell’emergenza pandemica abbia così aperto nuovi e prospetticamente più stabili scenari processuali di regolazione concordata della crisi, finalizzati a privilegiare la salvaguardia dell’impresa, a fronte di un maggiore sacrificio delle istanze dei creditori.
4 . Il giudizio di fattibilità secondo la legge fallimentare
Ai sensi dell’art. 162 L. fall., in sede di giudizio di ammissione della domanda di concordato, il tribunale deve valutare la “fattibilità” del piano concordatario.
La questione relativa al perimetro di tale sinda- cato di merito ha appassionato la letteratura degli ultimi anni, spinta dal desiderio (o, forse, dalla speranza) di presentare utili indicazioni ermeneutiche alla giurisprudenza, ispirando numerose voci autoriali. Queste ultime hanno ritenuto, da un canto, che il ruolo del tribunale non sia riducibile ad una mera funzione notarile, ma debba estendersi alla valutazione di fattibilità del piano [30]; e, dall’altro canto, che la tensione del concordato preventivo verso approdi di tipo privatistico abbia escluso in apicibus (salvo che per il concordato con suddivisioni in classi, delle quali il tribunale doveva - e deve - valutare la correttezza dei criteri di formazione) il sindacato giudiziale di merito sulla fattibilità della proposta, demandato alle valutazioni ed alle prognosi dell’attestatore [31].
Il tentativo di definire il “perimetro” di cui sopra è stato portato avanti anche dalla giurisprudenza [32], che aveva inizialmente assunto un orientamento contrario alla sindacabilità del merito della proposta di concordato (e quindi della fattibilità economica del piano), tanto in sede di giudizio di ammissione alla procedura quanto nella successiva fase del giudizio di omologazione, salvo che, in quest’ultimo caso, un creditore a ciò legittimato avesse proposto opposizione [33], proprio al fine di sollecitare un giudizio di merito [34].
Su questo sostrato è intervenuta la nota pronunzia delle sezioni unite del 2013 [35], che ha disegnato un percorso valutativo tutt’oggi insuperato, da un canto, confermando l’impronta prevalentemente privatistica del concordato, e, dall’altro canto, valorizzando (in misura non irrilevante) il controllo giudiziale di merito sulla “causa” del patto di concordato. Secondo le Sezioni Unite, la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell’esito e della sua convenienza) è rimessa al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati. Nessun sindacato è affidato al tribunale sull’aspetto pratico-economico della proposta, ossia “sulla correttezza dell’indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori”, e neppure in ordine alla “prognosi di realizzabilità dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore”.
Spetta, dunque, al tribunale di verificare la sola fattibilità “giuridica” del concordato, eventualmente esprimendo un giudizio ostativo all’ammissibilità della proposta concordataria, quando le modalità attuative della stessa risultano incompatibili con norme inderogabili.
Spetta altresì al tribunale sorvegliare che la valutazione dei creditori venga espressa correttamente e che essi “ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni”. Segnatamente, il tribunale deve verificare l’effettiva realizzabilità della “causa in concreto” del concordato, quest’ultima da intendersi come l’obiettivo specifico perseguito dal procedimento concordatario, che non ha un contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, ma che deve essere inserita “nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, ed all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”.
Il controllo si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si arti- cola la procedura concordataria, verificando che, anche nel prosieguo della procedura (dunque fino alla sua conclusione), non siano venuti meno “quei presupposti la cui mancanza iniziale non avrebbe consentito l’accesso alla procedura”.
In pratica, poiché dalla crisi si può uscire con la liquidazione dell’attivo (i beni ceduti), ma anche con la prosecuzione dell’attività d’impresa, dovrà essere, da un lato, il debitore ad indicare la modalità all’uopo prescelta (concordato liquidatorio, piuttosto che concordato in continuità), e, dall’altro lato, il tribunale a valutare l’attitudine della proposta (e dei mezzi con essa messi in campo) ad inverarla.
Siffatto giudizio riveste, a mio avviso, le caratteristi- che di un tipico sindacato “di merito”, che - per restare sul piano del diritto dei contratti – ingloba in sé una fase interpretativa ed una fase valutativa: l’interpretazione della proposta concordataria (e delle eventuali modifiche introdotte dal debitore in corso di procedura), e la valutazione della legittimità della proposta e dell’idoneità a perseguire la sua causa in concreto.
Giovanni Lo Cascio ha manifestato una posizione critica verso questo orientamento, ritenendo che “le Sezioni unite, anziché far chiarezza sull’annosa questione che in questi anni ha impegnato la giurisprudenza di merito (alla quale quella di legittimità aveva tentato di porre rimedio), abbiano finito per esprimere un orientamento ondivago che, da un lato, ripristina un’eterotutela che in passato era valsa a caratterizzare l’omologazione del concordato preventivo e l’estensibilità dei suoi effetti a tutti i soggetti interessati e, dall’altro, giustifica alcune statuizioni che la stessa Corte nel corso dei suoi precedenti interventi aveva emesso”, soggiungendo che “è venuta anche meno quella prospettiva di privatizzare la procedura ed è tramontato ancora una volta il tentativo di una costruzione unitaria della sua natura giuridica” [36].
La pronunzia delle Sezioni Unite del 2013 ha, dunque, lasciato il tema del perimetro del sindacato di fattibilità “a metà del guado”, sospeso tra la verifica dell’astratto rispetto dei presupposti per l’accesso al concordato, il sindacato di merito, l’analisi della possibilità che il patto di concordato abbia di realizzare la causa in concreto ed il sindacato di fattibilità economica.
La successiva giurisprudenza di legittimità non si è allontanata di molto dal mezzo del guado, pur introducendo precisazioni non irrilevanti in relazione alla tipologia di concordato attinta dal debitore, che hanno progressivamente spostato l’asse della verifica di fattibilità verso dati ed elementi che riguardano gli aspetti economico-finanziari del progetto concordatario.
Si è, tra l’altro, precisato che la proposizione di opposizioni all’omologazione estende il sindacato del tribunale - in presenza delle ulteriori condizioni previste dalla legge (contestazione del creditore appartenente ad una classe dissenziente, ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, dei creditori che rappresentino almeno ilventi per cento dei crediti ammessi al voto) - alla convenienza della proposta concordataria, da valutarsi nel confronto fra il soddisfacimento raggiungibile dai creditori con il concordato e quello possibile attraverso le alternative concretamente praticabili, non anche alla fattibilità economica della proposta medesima [37].
Più avanzata è, inoltre, la soglia del giudizio di fattibilità nel caso di concordato con continuità aziendale, “laddove la rigorosa verifica della fattibilità ‘in concreto’ presuppone un’analisi inscindibile dei pre supposti giuridici ed economici, dovendo ilpiano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa, in un contesto in cui il favor per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale” [38].
È perciò demandato al giudice di “verificare che l’andamento dei flussi di cassa, ed il conseguente indebitamento, non siano tali da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori” [39].
Da ultimo, ilformante nomofilattico ha precisato che la fattibilità economica può ben essere sindacata dal giudice, ove il piano si riveli irrealizzabile prima facie, nel senso della sua manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi, con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale propria della causa concreta [40], fino al punto che “la stessa distinzione astratta tra verifica di fattibilità giuridica e verifica di fattibilità economica può dirsi nella sostanza superata dalla più recente giurisprudenza di legittimità” [41].
5 . Il giudizio di fattibilità secondo il CCII
In contemporanea con il descritto percorso pretorio, l’art. 6, lett. e), L. n. 55 del 2017, ha delegato l’esecutivo, in sede di riforma della disciplina del concordato preventivo, a determinare i poteri del tribunale, attribuendogli poteri di verifica in ordine alla fattibilità “anche economica” del piano.
Con ciò è stata aperta la strada al sindacato di fattibilità economica: il comma 1 dell’art. 47 CCII prevede che il tribunale dia ingresso alla procedura di concordato preventivo, una volta che abbia verificato “l’ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano”.
Si noti la fattezza semantica della norma di nuovo conio, la quale fa assurgere la valutazione di “fattibilità giuridica” a ragione di “ammissibilità giuridica” della proposta concordataria, riservando il perimetro del giudizio di fattibilità alla sola “fattibilità economica del piano” di concordato.
Ciò è in linea col significato proprio delle parole, nel senso che il sindacato sulla legittimità della proposta (ovvero la coerenza di quest’ultima con le norme di legge ed i principi del diritto vivente) è attività preliminare ad ogni altra (e che, dunque, ne condiziona l’ammissibilità), essendo compito precipuo del giudice quello di garantire il rispetto della legalità nello svolgimento della procedura concorsuale.
D’altro canto, il controllo sul piano implica una valutazione in concreto, secondo criteri aziendalistici, riguardo alla probabilità di conseguimento dei risultati prospettati dall’imprenditore, ed in questo senso è corretto parlare di verifica della fattibilità economica.
Quest’ultima, dal canto suo, finisce, a mio avviso, con l’assorbire la valutazione della ricorrenza della causa in concreto, in quanto il giudizio demandato al tribunale non può non investire, oltre alla liceità del progetto pattizio (e ciò rientra nella valutazione di ammissibilità giuridica), anche la delibazione della causa negoziale concreta, sia sotto il profilo (astratto) dell’idoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento dei creditori e quindi il superamento della crisi (come già indicato dalle Sezioni Unite del 2013), sia sotto il profilo della effettiva realizzabilità del medesimo.
Vi è, però, un profilo di sistema abbastanza “curioso”, che merita di essere segnalato.
In sede di giudizio di omologazione del concordato preventivo, anche il comma 3 dell’art. 48 CCII impone al tribunale di verificare, tra l’altro, l’ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale.
Si tratta di una verifica sovrapponibile a quella che il tribunale ha già compiuto nella sede sommaria di apertura del concordato (art. 47, comma 1), o di una verifica avente una natura diversa e più ampia?
Va innanzi tutto considerato che, in questa fase, il tribunale ha a disposizione i rilievi del commissario giudiziale [42], e che la verifica a cui allude il comma 4 dell’art. 48 fa seguito all’approvazione del concordato da parte dei creditori.
È altresì vero che già le sezioni unite del 2013 avevano parlato di un sindacato “permanente” del tribunale sulla ricorrenza della causa in concreto, e che, nel giudizio di omologazione, la valutazione della fattibilità economica e giuridica del piano si svolge con la garanzia del contraddittorio, potendo essere messa in discussione dai creditori opponenti.
Tuttavia - pur considerando che, dal punto di vista sistematico, nulla impedisce al giudice di rivalutare, in sede di cognizione piena, decisioni prese in sede sommaria - il legislatore avrebbe potuto a mio avviso meglio chiarire entro quali termini, nell’assenza di opposizioni all’omologa, il tribunale, a voto avve- nuto, debba o possa ancora valutare la fattibilità del piano, anche se non sono mutate le sottostanti condizioni, potendo così ritornare sui propri passi rispetto alle valutazioni già in precedenza effettuate.
Più monte, forse sarebbe da chiarire senza equivoci la differenza tra la valutazione di fattibilità economica e la valutazione di convenienza economica dell’accordo, essendo quest’ultima sottratta al giudice e riservata ai creditori [43].
6 . È impugnabile per cassazione il decreto che dichiara l’inammissibilità del concordato preventivo?
Se non ricorrono le condizioni di ammissibilità e di fattibilità, il tribunale, con decreto, dichiara inammissibile la proposta. L’art. 162 L. fall. stabilisce che il provvedimento non è soggetto a reclamo; come si è visto, la giurisprudenza non ammette neppure il ricorso in Cassazione, sul presupposto della non definitività del provvedimento.
Il CCII ha, invece, previsto che il decreto sia impugnabile davanti alla corte d’appello nel termine di quindici giorni (art. 48, comma 4). Il procedimento di reclamo è governato dal rito camerale, essendo esplicitamente richiamati gli artt. 737 e 738 c.p.c., dal che si potrebbe arguire l’intentio legislatoris di escludere il carattere cognitivo del procedimento, nonché il contenuto di definitività del decreto. Vero è che il comma 5 dell’art. 47 CCII prevede la riproponibilità della domanda di concordato una volta scaduto il termine per il reclamo, ma è anche vero che non si tratta di una riproponibilità senza limiti, atteso che essa è subordinata ai “mutamenti delle circostanze”.
Ciò vuol dire che, in assenza di siffatti mutamenti, il decreto è da considerarsi definitivo, oltre che decisorio, e che perciò non si possa fare a meno di predicarne l’impugnabilità per Cassazione.
Sotto un profilo sistematico, è giusto osservare che “nel diverso settore delle misure cautelari del codice di rito, la riproponibilità non illimitata che si ha nell’art. 669-septies c.p.c. non esclude la provvisorietà del provvedimento” [44].
Ma è da considerare che per l’accesso al concordato preventivo non sono previsti percorsi processuali (né a cognizione piena, né a cognizione sommaria) diversi o alternativi rispetto a quello degli artt. 40 ss. CCII, e che tale procedimento non è finalizzato al rilascio (o al diniego) di misure cautelari, né è strumentale (nel senso tecnico del termine) a presidiare l’effettività di una domanda di merito.
7 . Il coordinamento tra le domande di soluzione della crisi, il divieto di abuso del processo e l’etica dell’impresa
È ormai pacifico che non si possa aprire la liquidazione giudiziale, se prima non si siano negativamente esauriti i procedimenti pattizi.
L’art. 7, comma 2, CCII prevede che, nel caso di proposizione di più domande, il tribunale debba trat- tare in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata.
Soltanto nell’ipotesi in cui eventuali domande alternative di regolazione della crisi non siano accolte (o comunque in caso di arresto “precoce” della procedura, come nell’ipotesi caso di revoca dei termini concessi per la proposizione di una proposta di concordato o di accordo di ristrutturazione), il tribunale può disporre l’apertura della liquidazione giudiziale, sempre che vi siano domande in tale senso e sia stato accertato lo stato di insolvenza dell’impresa [45].
Il procedimento unitario sembrerebbe in tale guisa agevolare la soluzione dei problemi di coordinamento tra le diverse procedure concorsuali, specie con riferimento alla sovrapposizione che sovente si verifica nella pratica tra il giudizio di ammissione al concordato preventivo e l’istruttoria prefallimentare.
Senonché il CCII non prevede (e, per quanto sopra si è detto, neppure potrebbe prevedere) un rito uniforme per tutte quelle domande. Ma, se così è, la disciplina di nuovo conio poco o nulla aggiunge ai risultati già attinti dal diritto vivente.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da tempo regolato - alla luce delle norme della legge fallimentare - il “nodo gordiano” del concorso tra procedimento concordatario ed istruttoria prefallimentare, dettando la regola per la quale, in pendenza di un ricorso per concordato preventivo, ordinario o con riserva, il fallimento del debitore può essere dichiarato soltanto quando l’esperimento concordatario si chiude con un esito negativo, diverso dal- l’ammissione o dall’omologazione [46].
E tanto a prescindere da ogni considerazione sul (controverso) rapporto tra domanda di soluzione pattizia e domanda di fallimento introdotte davanti ad uffici giudiziari diversi [47], segnatamente se esso debba essere declinato secondo lo schema della pre- giudizialità-dipendenza ex art. 295 c.p.c., ovvero della continenza ex art. 39, comma 2, c.p.c. (soluzione, quest’ultima, indicata - per vero in maniera a mio avviso non in toto convincente [48] - delle Sezioni Unite del 2015).
È da segnalare che, nell’art. 7, comma 2, CCII, si prevede che la trattazione prioritaria, da parte del tribunale, delle domande “conservative” a preferenza di quelle “disgregatorie” avvenga “a condizione che nel piano sia espressamente indicata la convenienza per i creditori e che la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile o infondata” [49]. Con il che si affida espressamente al giudice il potere/ dovere di sanzionare “a monte” l’abuso del processo pattizio, con la dichiarazione d’inammissibilità delle domande conservativeche siappalesinoinconsistenti, pretestuose, inutilmente reiterate col medesimo contenuto, manifestamente inaccoglibili.
Il diritto vivente ritiene ormai concordemente che la domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi del c.d. “abuso del processo”, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità ecce- denti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti [50].
È, dunque, assai attuale il monito di Giovanni Lo Cascio, secondo il quale “il perfetto equilibrio di un sistema concorsuale che risolva senza regole cogenti la crisi imprenditoriale e si fondi esclusivamente sull’accordo delle parti è anche autodisciplina, è esercizio del proprio diritto, è rispetto dell’altrui sfera individuale; è verità, lealtà, correttezza, buona- fede, è riconoscimento di valori umani, senza iquali si ha trasgressione, violazione ed abuso. Allora, il precetto, il comando del giudice e la sanzione diventano inevitabili, ma si torna ai vecchi schemi pubblicistici del passato”.
L’espansione delle iniziative negoziali con arre- tramento dei poteri giurisdizionali nella gestione della crisi d’impresa - Egli aggiungeva - “consentono ampia discrezionalità e decisionismo, ma ne attenuano la verifica ed il controllo. Nel solco delle due aree privatistica e pubblicistica non esaustive dell’intero quadro solutorio si individua un margine che non esprime ancora violazione del diritto, ma neppure ci rivela una condotta irreprensibile. È ciò che oggi si intravede dell’a- buso del diritto. Soltanto una più estesa cultura ed un comportamento aderente ad un’etica negoziale delle parti potrebbero limitarne gli effetti, ma non ne annullerebbero del tutto l’eventualità” [51].



*Il saggio è estratto da Il Fallimento 10/2020

Note:

[1] 
M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, 473.
[2] 
Dapprima con D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in L. 7 agosto 2012, n. 134; poi, con D.L. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modif., dalla L. 9 agosto 2013, n. 98; ancora con D.L. 27 giugno 2015, n. 92, conv., con modif., in L. 6 agosto 2015, n. 132; e, da ultimo, con D.L. 3 maggio 2016, n. 59, conv., con modif., in L. 30 giugno 2016, n. 119. Sulla (sovente inopportuna) sovrabbondanza normativa degli ultimi anni in materia di concordato preventivo si è soffermato G. Lo Cascio, Il punto sul concordato preventivo, in questa Rivista, 2014, 7 ss.
[3] 
Cass. Civ., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521, in questa Rivista, 2013, 156 ss., con nota di M. Fabiani, La questione “fattibilità” del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, con postille di F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, Ibidem, 279 ss., di I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: il richiamo alla “causa concreta”, come funzione economico-individuale del concordato, Ibidem, 286 ss.; e di A. Di Majo, Il percorso “lungo” della fattibilità del piano proposto nel concordato, Ibidem, 291 ss. A commento della pronunzia v. anche: L. Balestra, Brevi riflessioni sulla fattibilità del piano concordatario: sulla pertinenza del richiamo da parte delle sezioni unite alla causa in concreto, in Corr. giur., 2013, 383 ss.; P.F. Censoni, I limiti del controllo giudiziale sulla “fattibilità” del concordato preventivo, in Giur comm., 2013, II, 343; F. De Santis, Le sezioni unite ed il giudizio di fattibilità della proposta di concordato preventivo: vecchi principi e nuove frontiere, in Società, 2013, 435 ss.; A. Didone, Le Sezioni Unite e la fattibilità del concordato preventivo, in Dir. fall., 2013, II, 1 ss.; F. Lamanna, L’indeterminismo creativo delle SS.UU. in tema di fattibilità della proposta di concordato stabilito dalla Cassazione a sezioni unite, in www.ilfallimentarista.it; I. Pagni, Del controllo del tribunale sulla proposta di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521 (e sui rapporti tra concordato e fallimento), inCorr. giur., 2013, 641 s.; G. Travaglino, La fattibilità del concordato preventivo, Il Corriere del merito, 2013, 403 ss.
[4] 
Cass. Civ., SS.UU., 15 maggio 2015, nn. 9935 e 9936, in questa Rivista, 2015, 898 ss., con note di F. De Santis, Principio di prevenzione ed abuso della domanda di concordato: molte conferme e qualche novità dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e di I. Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare dopo le Sezioni Unite del maggio 2015.
[5] 
Ad esempio nell’àmbito della disciplina delle proposte ed offerte concorrenti (artt. 90 e 91 CCII), dell’autorizzazione agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (art. 94), dell’apertura della liquidazione giudiziale a seguito dell’accertamento di atti di frode (art. 106 CCII), del voto (artt. 107 ss. CCII), del giudizio di omologazione (artt. 112, 113 CCII).
[6] 
Il procedimento si unifica, ma soltanto in parte, nelle fasi di gravame, pur sempre distinguendo il rito del reclamo avverso il rigetto della domanda di apertura della liquidazione giudiziale dal rito del reclamo avverso la sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale, ovvero che omologa (o non omologa) il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione.
[7] 
Rinvio, per più lungo discorso, a F. De Santis, Il procedimento cd. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in questa Rivista, 2020, 157 ss.
[8] 
G. Lo Cascio, Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: considerazioni a prima lettura, in questa Rivista, 2019, 268. 
[9] 
Come è noto, il rinvio è stato disposto con l’art. 5, D.L. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con mod., in L. 5 giugno 2020, n. 40. Le parole riportate nel testo sono tratte dalla Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del D.L., Atto Camera n. 2461, 8 ss.
[10] 
Osserva D. Galletti,  Il diritto della crisi  sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in www.ilfallimentarista, 14 aprile 2020, 8, che “La peculiarità assoluta della crisi ‘Covid19’, crisi di natura non solo finanziaria, ma anche economica, a dispetto di quanto  spesso si ode,  consiste nella circostanza per cui non risulta possibile, allo stato attuale, pianificare  in termini precisi  il percorso teso  alla ristrutturazione;  né è parimenti  possibile prevedere, con ragionevole probabilità, gli scenari futuri prospettabili; dunque gli istituti tradizionali del concordato preventivo (ed anche dell’amministrazione straordinaria) appaiono inadeguati  a fornire la via d’uscita”.
[11] 
Sul punto si rinvia alle acute riflessioni di M.  Fabiani, Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza dopo la pandemia, in Il processo civile solidale, a cura di A. Didone - F. De Santis, Milano, 2020, 386 ss.  V.  anche S.  Ambrosini, La  “falsa partenza”  del Codice della crisi,  le novità del decreto  liquidità e il tema  dell’insolvenza incolpevole, in www.ilcaso.it, 21 aprile 2020,  3, il quale individua una ragione del rinvio “meno ‘intuitiva’, la quale tradisce un’incertezza  (per  non  dire  una  convinzione) che,  seppur  non dichiarata  apertamente, è  difficile  non  intravedere  nella  scelta compiuta   dal  Governo:   che  cioè  le  disposizioni  contenute nel Codice non siano ritenute le più idonee  a favorire il risanamento delle imprese in difficoltà e che esse, al contrario, possano finire per renderlo, all’atto pratico, meno agevole Eciò, in qualche modo, a prescindere dall’emergenza epidemiologica in atto”.
[12] 
Sulle prospettive che il rinvio dell’entrata in vigore del CCII ha aperto ai processi concorsuali, v.  L.  Baccaglini, I processi concorsuali solidali, in Il processo civile solidale, cit., 345 ss. Rinvio altresì, per più approfondito discorso, a F. De Santis, Primi appunti per un’esecuzione concorsuale solidale (dopo la pandemia), in Riv. es. forzata, 2020, 273 ss.
[13] 
V. ancora L. Baccaglini, op. cit., passim, e A. Pazzi, Vicende concordatarie solidali, ovvero come la pandemia potrà influenzare l’esecuzione o l’introduzione del concordato preventivo, in Il processo civile solidale, cit., 367 ss.
[14] 
Sul tema cfr. V. Donativi, I requisiti della domanda di concordato con riserva (e il difficile equilibrio tra prevenzione degli abusi ed eccessi di formalismo), in Riv. Società, 2013, 1167; P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, in questa Rivista, 2013, 82.
[15] 
Cfr. Cass. Civ. 12 aprile 2018, n. 9087, in questa Rivista, 2018, 984, con nota di C. Trentini; Cass. Civ. 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass. Civ. 25 gennaio 2018, n. 1896, ivi, 2018, 650. Ma v. in questo senso già Cass. Civ. 18 agosto 2016, n. 16950 e Cass. Civ. 30 ottobre 2014, n. 23111.
[16] 
Il termine è perentorio, sicché la domanda tardivamente integrata dal debitore deve essere dichiarata inammissibile, nel mentre la proroga del termine esige giustificati motivi, da apprezzarsi dal giudice di merito la cui decisione è insindacabile in sede di legittimità (Cass. Civ. 31 marzo 2016, n. 6277; Cass. Civ. 10 gennaio 2017, n. 270).
[17] 
M. Fabiani, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja- Branca-Galgano, Bologna, 2014, 290 (con riferimento alla previsione di cui all’art. 161, comma 6, L. fall.).
[18] 
Differentemente dalla legge fallimentare (in base alla quale le misure protettive si attivano automaticamente a seguito della domanda di concordato), secondo il CCII è necessaria l’istanza di parte. Il CCII - in linea con l’art. 6.8 della Direttiva europea 20 giugno 2019 n. 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio - ha altresì escluso ogni automatismo prolungato delle misure protettive, giacché esse dovranno essere espressamente confermate dal tribunale con decreto, con fissazione della relativa durata, nel termine di trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese (art. 55 CCII). In ogni caso, la durata complessiva delle misure protettive non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe (art. 8 CCII). Sul tema v. I. Pagni, Codice della crisi e dell’insolvenza: il procedimento unitario, in Corr. giur., 2019, 1169 s.
[19] 
I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in questa Rivista, 2019, 555.
[20] 
Cfr. Cass. Civ. 14 febbraio 2017, n. 3836, secondo la quale l’eventuale abuso dello strumento concordatario può emergere solo da una valutazione completa della proposta formulata dal debitore.
[21] 
Cass. Civ. 19 novembre 2018, n. 29740, in questa Rivista, 2019, 1364, con nota critica di M. Gaboardi.
[22] 
Così Cass. Civ. 19 novembre 2018, n. 29740, cit.
[23] 
A conclusioni diverse perviene M. Fabiani, Concordato preventivo, cit., 334, secondo il quale il termine dovrebbe decorrere, se ho ben compreso, dalla presentazione della domanda, che rappresenta l’unico atto del quale i terzi vengono a conoscenza attraverso la pubblicazione camerale.
[24] 
Cass. Civ., SS.UU., 28 dicembre 2016, n. 27073, in questa Rivista, 2017, 537, con nota di I. Pagni.
[25] 
Cass. Civ. 5 dicembre 2018, n. 31477. 
[26] 
Si è chiesta al riguardo I. Pagni, op. ult. cit., 1168, “se la riproposizione della domanda, possibile in astratto, lo sia anche in concreto, visto che il decorso del tempo, nella crisi d’impresa, non consente che venga ripresentata la medesima domanda, sicché mai, a ben vedere, si potrebbe parlare di ‘non definitività’ del provvedimento”.

[27] 
Che è ipotesi diversa e più “evoluta” di quella scrutinata da Cass. Civ. 10 ottobre 2019, n. 25479, la quale ha ritenuto – fatto salvo il limite del divieto di “abuso” del concordato preventivo - che “non può certo dubitarsi sulla possibilità da parte del debitore di presentare ai creditori una nuova proposta concordataria, dopo che la prima non sia stata positivamente apprezzata dai creditori attraverso l’esercizio del diritto di voto”; difatti, “ai sensi dell’art. 161, comma9, L. fall., al debitore non ammesso al concordato di cui al comma 6, è precluso unicamente di ripresentare nel biennio una nuova domanda di concordato con riserva”.
[28] 
Rileva L. Baccaglini, op. cit., 353, che “la novità introdotta dalla norma non consiste tanto nella facoltà accordata al debitore di abdicare alla procedura di concordato (o di accordo di ristrutturazione) in favore della redazione di un piano attestato di risanamento. Era ed è questa un’opzione della quale il debitore poteva disporre anche prima dell’entrata in vigore della L. n. 40/2020. Piuttosto, la novità riposa in ciò, che l’imprenditore può beneficiare degli effetti protettivi della domanda di concordato in bianco (fino al momento della rinuncia alla stessa) per trattare con i creditori e predisporre il piano attestato, senza, dunque, essere esposto ad eventuali istanze di fallimento o all’aggressione del proprio patrimonio, tramite azioni esecutive o cautelari”. Nel medesimo senso v. anche M. Fabiani, Il piano attestato di risanamento “protetto”, in questa Rivista, 2020, spec. 879 ss., secondo il quale è in tale guisa consentito al debitore, che si trovi in situazione di crisi da emergenza ma non in stato di irreversibile decozione, di aspirare ad una regolazione della crisi secondo schemi integralmente negoziali, ponendosi al riparo dal rischio che i tempi sovente non brevi di gestazione del piano attestato di risanamento possano essere compromessi da iniziative aggressive dei creditori.
[29] 
Così Trib. Roma 20 aprile 2020, in www.ilcaso.it, 28 aprile 2020.
[30] 
Cfr., tra i molti, L. Panzani, Il decreto correttivo della riforma delle procedure concorsuali, in Il Fallimento on line, 2001, 1 ss.; S. Bonfatti - P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 568; A.M. Azzaro, Concordato preventivo eautonomia privata, in questa Rivista 2007, 1271; G.  Rago, I poteri del tribunale sul controllo della fattibilità del piano nel concordato preventivo dopo il decreto correttivo, ivi, 2008, 266; R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano nel concordato preventivo, in Dir. fall., I, 2012, 104 ss.
[31] 
Cfr., tra gli altri, S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, 11, I, Padova, 2007, 71; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 184.
[32] 
Per l’illustrazione dell’intenso dibattito pretorio che ha preceduto la nota pronunzia delle Sezioni Unite, Cass. Civ., SS. UU., 23 gennaio 2013, n. 1501, di cui subito si dirà nel testo, si fa rinvio a M. Fabiani, Idisorientamenti nella nomofilachia a proposito della fattibilità del concordato preventivo e della cessione dei beni, in Foro it., 2012, I, 170.
[33] 
Si  ricorda che, ai sensi dell’art. 180, comma 4, L. fall., se vengono proposte opposizioni al concordato approvato con le maggioranze dei creditori prescritte dall’art. 177 L. fall., nell’ipotesi in cui  siano previste diverse  classi di creditori, se un creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il 20% dei crediti ammessi al voto, contestano la convenienza della proposta, il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. La previsione è stata replicata dall’art. 112 CCII, sia pure in un contesto sistematico diverso.
[34] 
Cfr. Cass. Civ. 25 ottobre 2010, n. 21860, in questa Rivista, 2011, 167; Cass. Civ. 10 febbraio 2011, n. 3274, ivi, 403; Cass. Civ. 14 febbraio 2011, n. 356, ivi, 1246; Cass. Civ. 23 giugno 2011, n. 13817, ivi, 933; Cass. Civ. 16 settembre 2011, n. 18987, ivi, 2012, 740. Nel senso che dovesse, invece, esservi un controllo officioso del giudice, se delcasoconrilievo officioso della nullità exart. 1421 c.c., specie in presenza di un vizio genetico della causa, accertabile in via preventiva in ragione della totale ed evidente inadeguatezza del piano non rilevata nella relazione del professionista attestatore, cfr. Cass. Civ. 15 settembre 2011, n. 18864, ivi, 39.
[35] 
Cass. Civ. 23 gennaio  2013,  n. 1521,  cit. 
[36] 
G. Lo Cascio, Concordato preventivo: natura giuridica e fasi giurisprudenziali alterne, in questa  Rivista, 2013,  531.
[37] 
Cass. Civ. 4 maggio 2016,  n. 23882. 
[38] 
Cass. Civ. 7 aprile 2017,  n. 9061.
[39] 
Cass. Civ. 27 settembre 2018,  n. 23315.
[40] 
Cass. Civ. 13 marzo 2020, n. 158; Cass. Civ. 26 novembre 2018,  n. 30537;  Cass. Civ. 9 marzo 2018,  n. 5825.
[41] 
Così  Cass. Civ. 14 gennaio  2019,  n. 645, in motivazione. 
[42] 
Sul punto v. F. De Santis, Rapporti e flussi comunicativi interorganici nella procedura di ammissione del concordato pre- ventivo (secondo il Codice della crisi), in Dir. fall., 2020, 610 ss. 
[43] 
Non rientra nell’ambito della verifica della fattibilità riservata al giudice un sindacato sull’aspetto pratico-economico della proposta e quindi sulla convenienza della stessa, anche sotto il profilo della misura minimale del soddisfacimento previsto, pur dovendo il tribunale “avere riguardo a rilevare dati da cui emerga, in maniera eclatante, la manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, ivi compresa la soddisfazione in una qualche misura dei crediti rappresentati” (Cass. Civ. 8 febbraio 2019, n. 3863; Cass. Civ., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521).
[44] 
Così  ancora I. Pagni,  op. cit., 1167. 
[45] 
A dispetto di qualche “incertezza sorta sulpunto nelcorso dei lavori preparatori della legge delega, il CCII ha altresì tenuto fermo il principio secondo cui l’apertura della liquidazione giudiziale, al pari delle soluzioni pattizie, esige sempre la proposizione di una domanda da parte dei soggetti legittimati, non essendo ammessaalcuna iniziativa officiosa. Sulpunto rinvio a F. De Santis, Il processo uniforme per l’accesso alle procedure concorsuali, in questa Rivista, 2016, 1048 ss.
[46] 
Ci si riferisce a Cass. Civ., SS.UU., 15 maggio 2015, nn. 9935 e 9936, in questa Rivista, 2015, 890, annotata, tra gli altri, da F. De Santis, Principio di prevenzione ed abuso della domanda di concordato: molte conferme e qualche novità dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e da I. Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare dopo le Sezioni unite del maggio 2015.
[47] 
Se le domande pendono davanti al medesimo ufficio giudiziario, lo strumento processuale d’elezione finalizzato al loro coordinamento è la riunione ex art. 273 c.p.c.

[48] 
Rinvio sul punto a F. De Santis, op. loc. ult. cit. L’orientamento delle Sezioni Unite è stato confermato ed implementato da Cass. Civ.  22 febbraio 2020, n. 4343, la quale ha precisato che, allorquando l’istanza di fallimento  sia stata depositata dinanzi ad un ufficio giudiziario diverso da quello innanzi al quale sia già pendente una domanda di concordato preventivo, l’obiettivo della gestione coordinata dei due procedimenti può essere conseguito sollecitando il tribunale  successivamente adito all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 39, comma 2, c.p.c., che in ogni caso,  in ossequio ai principi generali,  e vieppiù nell’ottica di garantire  preferibilmente la soluzione negoziale della crisi, debbono essere adottati anche d’ufficio, con onere del debitore di impugnare, nei limiti in cui ciò sia consentito, tutti i provvedimenti adottati, anche in rito, che possano ostacolare il preliminare esame della domanda di concordato preventivo da lui proposta.
[49] 
Per quanto attiene al riferimento alla convenienza, a me pare che si tratti di un requisito più che altro formale della domanda e non stia a significare che, nel caso concreto, la sorte della stessa dipenda (al di là di un estrinseco controllo di legittimità) da un’effettiva e completa valutazione di convenienza da parte del giudice, al quale (nonostante la previsione del giudizio di fattibilità economica, di cui sopra si è detto) siffatta attività, notoriamente spettante ai creditori, è preclusa.
[50] 
Cass. Civ.,  SS.UU., 15 maggio 2015,  n. 9935. 
[51] 
G.  Lo  Cascio, Percorsi virtuosi ed abusi nel concordato preventivo, in questa Rivista, 2012, 905.

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