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Saggio

Il ruolo delle parti e dei professionisti nel film della crisi d’impresa*

Massimo Fabiani, Ordinario f.r. di diritto commerciale nell’Università del Molise

2 Ottobre 2025

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il contributo, che trae origine dalla Relazione introduttiva predisposta per il Convegno di Mantova del 3/4 ottobre 2025, cerca di porre in evidenza i ruoli, spesso sovrapposti erroneamente, delle parti e dei professionisti in funzione di far emergere le criticità che contaminano le rispettive posizioni nella convinzione che negli scenari di crisi siano distanti le logiche ‘avversariali’ del processo e sia preferibile un approccio altamente solidaristico che dovrebbe indirizzare i doveri dei protagonisti.
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1 . Preambolo
La crisi di una impresa quando tracima in un contesto esternalizzato può essere rappresentata come la sceneggiatura di un film nel quale non vi sono protagonisti o comparse selezionati in base alle loro attitudini, perché il ruolo di protagonista o di comparsa viene assunto nel corso del film. Questo film è autoprodotto ed anche autodiretto perché manca un vero e proprio film-maker non potendo tale ruolo essere riconosciuto né al giudice né agli organi di una procedura. 
Vedremo che, forse, le cose non stanno proprio così ma, per ora, è utile non far scendere in campo qualcun altro rispetto al debitore, ai creditori e ai professionisti che li assistono o che sono coinvolti nella sceneggiatura. 
Il protagonista dovrebbe essere l’imprenditore/debitore o, se si vuole, chi dirige l’impresa, da un lato e il creditore dall’altro; le comparse dovrebbero essere i professionisti che assistono il debitore e nelle società di capitali una posizione marginale (quanto meno rispetto al passato) sembra essere affidata ai soci[1]. Questo scenario, però, talora viene scompaginato e finanche capovolto. Il debitore viene fagocitato in un circuito nel quale sembra trascinato da decisioni altrui. Forse taluno può pensare che siano esagerazioni ma così non è. Sempre più spesso ai consulenti del debitore e ad altri professionisti vengono addebitate scelte e comportamenti che dovrebbero riguardare, essenzialmente, l’imprenditore. Così pure, non poche volte debitore e creditori scompaiono come antagonisti e vengono avvinti in un’unica posizione, quella di artefici di un aggravamento del dissesto[2].
Questo è lo scenario reale e con questo è doveroso confrontarsi: nelle pagine che seguono le relazioni che intercorrono tra i protagonisti economici e le presunte comparse saranno esaminate con attenzione ma anche con trasparenza e senza veli di ipocrisia, con l‘obiettivo ambizioso, pur se velleitario, di instillare qualche riflessione in più sul giuoco delle parti. 
Per svolgere questa analisi possono essere adottati diversi percorsi; qui si utilizzerà il percorso cronologico vedendo i ruoli tempo per tempo nello scenario di crisi. Solo per comodità e solo perché l’assoluta maggioranza delle crisi riguarda società di capitali, sarà preso a modello la crisi di una impresa-società di capitali, ente nel quale al ruolo gestorio si possono giustapporre contrapposizioni tra management e proprietà, così come emergono le posizioni, quando ci sono, dei controllori, sindaci e revisori.
2 . Sul manifestarsi della crisi
Se ci si muove in un contesto virtuoso si può immaginare che in presenza di assetti adeguati vi sia una tempestiva rilevazione della crisi non appena si manifesta[3]; ma, anche se l’organizzazione non è efficiente, ad un certo punto la crisi è destinata a venire in superficie. È ovvio che le due ipotesi restituiscono conseguenze assai diverse ma ai fini che qui rilevano il momento della rilevazione non è così importante, quanto lo è in tema di responsabilità[4]. 
Il primo tassello è incorniciato: la crisi viene assunta all’interno dell’impresa, ma per interno si deve intendere un circuito più ampio perché la rilevazione della crisi può dipendere anche dai controllori. Tanto i sindaci, quanto i revisori, nell’ambito delle loro rispettive competenze, hanno gli strumenti per avvertire una situazione di mal funzionamento dell’impresa e, ora più che mai, debbono attivarsi prima all’interno nel rapporto dialogico con gli amministratori e poi all’esterno utilizzando tutti quegli strumenti che la legge loro assegna, e sono strumenti certamente più intensi quelli attribuiti ai sindaci[5]. 
Il codice della crisi nei principi di vertice e in apice esalta i doveri delle parti; possiamo forse postulare che l’art. 4 CCII non abbia la presunzione di introdurre qualcosa che prima non esisteva[6] ma, di certo, esplicita in modo netto che esistono dei doveri precisi che concernono, proprio, la fase di crisi e che dunque si aggiungono ai doveri tipici dell’imprenditore: l’importazione della buona fede “oggettiva”[7] è comunque un valore aggiunto che non può essere confinato in una interpretazione riduzionistica che riconduca la norma alla buona/mala fede processuale[8]. Mi pare, infatti, del tutto condivisibile l’obiezione mossa[9] in ordine al fatto che il dovere pertiene ad un fascio di relazioni che scavalca l’assetto procedimentale; non viene in discussione l’uso distorto dello strumento processuale, ma la modalità dell’approccio alla crisi da parte dei protagonisti, che non a caso nell’art. 4 sono individuati anche nei creditori. 
L’art. 4 prende in esame la posizione delle parti a partire dal momento in cui si avvia un percorso formale, la composizione negoziata o uno degli strumenti di regolazione, ma v’è da ritenere che una condotta di buona fede e correttezza – non così lontana dai principi di corretta gestione imprenditoriale – si imponga non appena si intravede che possono essere messi a rischio i diritti dei creditori. 
Questo fatto deve essere enfatizzato, nel senso che quelli del codice sono doveri speciali[10] perché devono essere osservati quando si avverte il malfunzionamento dell’impresa, termine volutamente generico e improprio ma che vuole essere onnicomprensivo perché abbraccia una fase, anche non breve, nella quale si percepisce che l’interesse sociale qui inteso come interesse dei soci potrebbe non essere più perseguibile e che emergono con prepotenza altri interessi e quelli dei creditori in primo luogo. È un momento tanto delicato perché può determinare un cambio di rotta nell’agire amministrativo, quanto difficile da cogliere soprattutto per chi gestendo l’impresa ha, fisiologicamente, l’aspettativa di non abbandonare l’intrapresa commerciale. Questa è la ragione per la quale la sensibilità dei sindaci o dei revisori può essere un movente per una accelerazione nel rilievo della crisi. 
Detto altrimenti, esiste un dovere dell’imprenditore di reagire alla crisi (art. 2086 c.c.) e questo dovere deve essere assolto secondo canoni di buona fede e correttezza perché con il mal funzionamento dell’impresa è inevitabile il coinvolgimento dei diritti di altri soggetti, creditori in primo luogo. 
Non si vuole, ora, discutere di regole tecniche precise ma di un sentiment: il debitore non deve arrecare danni ai creditori e prima ancora non deve consentire la perdita di valore dell’impresa (v., art. 21 CCII[11]). Sia chiaro che tutto ciò non ha nulla a che vedere con il tema della BJR, perché è il malfunzionamento dell’impresa che inverte l’agire amministrativo e, quando avviene l’inversione[12], la BJR deve essere assunta con particolare prudenza; in situazioni di crisi quando non è ancora definito uno scenario di incisione dei diritti dei creditori, una gestione conservativa non è necessitata[13], ma lo diventa non appena la prosecuzione della gestione va ad impattare sui diritti dei creditori. Si rovesciano gli interessi da perseguire, pur quando non si voglia condividere la tesi secondo la quale, nella dimensione del dissesto la proprietà è passata nelle mani dei creditori[14]. Ed ancora – pur se si ammetta che l’interesse dei creditori funga da limite alla BJR[15] - non sono affatto persuaso che la scelta gestoria, prima di “aprire il tavolo della crisi” e poi, di accedere ad uno o l’altro strumento siano insindacabili per la BJR.[16] 
Al dovere di rilevazione, si accompagnano poi il dovere di scegliere la reazione e quello di attuarla[17][18]. 
Ma, poiché il pur ampio palinsesto degli strumenti regolativi della crisi non assorbe tutte le possibili iniziative del debitore, di certo i doveri di buona fede e correttezza travalicano le misure del codice e si espandono per cogliersi in ogni situazione nella quale si confrontano debitori e creditori in uno scenario di crisi[19]. 
Qui non si intendono indagare i singoli doveri in cui si articola l’art. 4 CCII e quelli altrove previsti, perché ciò che si vuole mettere in luce è la dimensione complessiva del ruolo delle parti.[20] 
3 . Reazione alla crisi e ruoli delle parti
Presa consapevolezza della crisi dobbiamo chiederci chi si debba assumere la responsabilità della scelta della reazione e la responsabilità per la scelta[21]. 
A questo punto della cronologia entrano in campo con prepotenza i consulenti dell’impresa; se la responsabilità per la scelta deve ascriversi al debitore, ove si consideri che la scelta è solo in parte una scelta “commerciale” ed è, in larga parte, una scelta tecnica non si possono non prendere in esame le condotte dei professionisti che assistono il debitore. 
Ed allora, quella dello strumento di regolazione della crisi d’impresa – al pari dell’istituzione di assetti adeguati a rilevarla e della gestione delle risorse finanziarie aziendali nella c.d. twilight zone[22]  o, se si vuole ancor prima nel c.d. “tea-time[23]” - rappresenta, in effetti, una delle decisioni più delicate per l’organo gestorio (o liquidatorio), tanto in termini di efficacia nel risanamento quanto per i profili di responsabilità che ne derivano. Una scelta motivata esclusivamente dalla volontà di mettersi al riparo da azioni di responsabilità[24] (c.d. scelta “pro domo sua”), oppure tardiva, errata o assunta in modo irrazionale potrebbe esporre gli amministratori a una revoca per giusta causa (art. 120-bis, comma 4, CCII) e a profili di responsabilità sia per perdita di valore[25] del patrimonio aziendale, sia per il danno diretto ai soci, ai sensi degli artt. 2395 e 2476, comma 7, c.c.[26]. Infatti, mentre alcuni strumenti di regolazione della crisi consentono ai soci di mantenere inalterate le proprie prerogative gestorie e gli assetti proprietari, altri comportano una redistribuzione eterodiretta dei diritti corporativi, con possibili ‘effetti espropriativi’. È in questo contesto che s’inserisce il rinvio all’art. 116 CCII operato dall’art. 57, comma 2, CCII, un richiamo che, sebbene non oggetto di approfondimento in questa sede, solleva delicate questioni sistematiche. 
L’adozione di un determinato strumento, dunque, non può essere basata su una logica difensiva o di mera convenienza personale, ma deve rispondere a un criterio di razionalità e funzionalità rispetto alla salvaguardia dell’impresa e degli interessi coinvolti. La Business Judgment Rule offre una protezione agli amministratori (e liquidatori), ma solo se la decisione sia stata assunta con cognizione di causa, previa approfondita istruttoria[27]. 
Il vero safe harbour per gli organi sociali risiede nella piena comprensione e padronanza degli istituti disponibili; è rappresentato dalla ‘metabolizzazione’ degli strumenti del mestiere, in modo da prelevare dalla “cassetta degli attrezzi”[28] quello più appropriato. 
La scelta tecnica è naturalisticamente affidata ai consulenti e se il debitore è responsabile della scelta ma è indotto alla scelta dall’indirizzo tecnico assunto dal professionista, v’è da dubitare che questi sia serenamente al riparo da ogni responsabilità, il che però non significa che ogni volta vi sia responsabilità del professionista.
3.1 . La responsabilità “tecnica”
Ormai da alcuni anni non si contano le decisioni dei giudici, spesso di legittimità[29], che nella cornice dei giudizi di opposizione allo stato passivo negano le ammissioni al passivo dei crediti vantati dai professionisti del debitore sul presupposto di eccezioni di inadempimento sollevate dal curatore e ritenute non superate dal creditore. Sappiamo, peraltro, quanto al cospetto di una eccezione di questo tenore, sia complicata la difesa del creditore che deve dimostrare di avere bene eseguito l’incarico professionale[30]. Lasciamo in disparte il tema dell’onere della prova e delle obiettive difficolta probatorie e torniamo alla questione centrale che pertiene alla sussistenza della responsabilità. Il rischio che si corre più frequentemente è quello di effettuare valutazioni apparentemente con logica ex ante ma con una influenza soggettiva decisiva derivante dalla conoscenza dei fatti poi accaduti; l’automatismo del senno del poi è quasi inevitabile. Tuttavia, si può accantonare questa problematica per concentrarci sulla questione di fondo e cioè sulla responsabilità. 
Diamo pure per ammesso e scontato che il professionista assuma una c.d. ‘Obbligazione di mezzi’ e non ‘di risultato’[31], ma già nell’obbligazione di mezzi il professionista deve espletare l’incarico nella piena consapevolezza della obiettiva praticabilità dell’operazione che va a comporre. Il compimento di errori valutativi è certo tollerabile, mentre diverso è il caso in cui siano compiuti errori ‘istituzionali’: se un professionista nel redigere un ricorso per concordato con piano liquidatorio prevede di distribuire ai creditori chirografari il soddisfacimento dell’esposizione debitoria chirografaria in misura del 10%, quando l’art. 84 comma 4 CCII stabilisce la soglia minima del 20%, si fatica a non evidenziare un errore di cui si è, poi, responsabili. 
Situazioni di questo tipo non sono rare, se non altro per il fatto che la panoplia di mezzi di reazione alla crisi è tale da rendere assai difficoltoso avere un approccio sicuro e consapevole; ma sul tema delle responsabilità si tornerà nel § 4. Ed ancora, neppure va escluso che debitore e professionisti possano adottare un percorso alternativo rispetto a quanto previsto dal codice della crisi, ad esempio perseguendo un percorso che si snodi da cima a fondo fuori dal contesto procedimentale, anche più tenue[32].
Le difficoltà nella scelta crescono, se si vuole, quando si condivide che la composizione negoziata prima e gli strumenti poi non sono ordinati gerarchicamente in relazione alla dimensione quantitativa della crisi, perché la scelta se da una parte non può omettere di prendere in considerazione lo stato di pre-crisi,  crisi o insolvenza, per altro verso maggiore importanza deve essere data alla composizione dell’attivo e del passivo (vale a dire alla numerosità e alle qualità 
soggettive dei creditori), all’appartenenza del debitore ad un gruppo di imprese, al grado di coinvolgimento giudiziario che si vuole ottenere, ai tempi[33] e ai costi, e ad altre variabili.[34]
3.2 . I doveri dei creditori
L’art. 4 disegna i doveri delle parti e quindi anche dei creditori; la lettura dell’art. 4 a prima vista sembrerebbe disegnare dei doveri meno intensi ma questa impressione deve essere respinta perché il creditore ha il diritto di conseguire il suo credito ma questo non lo pone, in uno scenario di crisi, in una posizione di preminenza né rispetto al debitore, né rispetto agli altri creditori. 
Nella crisi di una impresa quando le risorse non sono sufficienti per soddisfare interamente tutti i creditori e quindi quando ai creditori sono imposti sacrifici, la logica delle relazioni tra le parti si trasforma da logica bilaterale egoistica a logica collettiva, se si vuole, solidaristica[35]. Un solo esempio può essere illuminante: (i) nel contesto di un rapporto bilaterale debito/credito il creditore può far espropriare i beni del debitore e coltivare l’esecuzione anche quando una offerta transattiva possa risultare migliore del risultato dell’esecuzione[36]. La logica egoistica può essere tollerata perché è il creditore che dispone del proprio diritto; (ii) nel contesto di uno scenario di crisi e, dunque, di concorso, la logica collettiva prevale e il comportamento ostruzionistico del creditore idoneo a danneggiare gli altri creditori non può essere tollerato[37], fermo, però, il fatto che la condotta del creditore dovrà essere valutata con estrema cautela, per evitare che il perseguire un legittimo diritto si trasformi in un abuso[38]. Quindi, se il creditore può preferire per ragioni sue la liquidazione giudiziale del debitore anche se peggiore dell’offerta concordataria, ma se questo atteggiamento impatta sui diritti di altri creditori, deve poter essere neutralizzato. La collettivizzazione deriva dalla stessa idea del concorso ed è, comunque, declinata se si vuole in termini di diritto positivo per quanto stabilisce l’art. 4 CCII[39]. 
Nel Codice della crisi non vi è una esplicita previsione di un generalizzato “divieto di ostruzionismo”, ma non poche sono le norme che sembrano indirizzarsi verso un siffatto divieto[40]. 
Si può pensare, in occasione delle regole sulla votazione nel concordato preventivo[41], alla esclusione del creditore che si trovi in conflitto di interessi “con gli altri creditori”[42]. Ma si può pensare, forse e soprattutto, alle regole sulla c.d. ristrutturazione trasversale (art. 112 comma 2 lett. d CCII)[43], là dove persino se la maggioranza dei creditori ripudia il concordato votando sfavorevolmente, si può giungere alla omologazione del concordato preventivo quando un interesse superiore alla buona riuscita dell’operazione di mercato prevale sulle posizioni dei singoli creditori, purché non li pregiudichi[44]. Ed ancora, un divieto di ostruzionismo sembra potersi cogliere nella, se si vuole stravagante, disposizione dell’art. 53, comma 5 bis, CCII che sembra lasciare sul terreno un esito win-loser, quando il creditore reclamante virtualmente vittorioso non ottiene ciò cui aspirava, dovendosi accontentare di un risarcimento del danno (tutto da dimostrare)[45]. 
Come è agevole notare il creditore non è affatto libero da lacci e lacciuoli nel modo in cui attendere ai propri interessi, perché quelli egoistici possono essere sopraffatti da quelli collettivi. Non solo. Le condotte dei creditori vanno valutate in un contesto più ampio quando si pensi a cosa può accadere quando non vi sia una condotta improntata a buona fede e correttezza. 
La questione assume tonalità di centralità perché si è abituati a pensare che il rifugio riparatorio – una volta messa in disparte l’idea che la sanzione si muova soltanto sul piano etico[46] - sia quello e solo quello della tutela risarcitoria[47]. In verità, se si vuole restituire effettività al sistema e si vuole rimanere concentrati sulla tutela di un interesse collettivo che travalica quello del singolo, non è avventato, né velleitario immaginare che al cospetto di azioni contrarie a buona fede e correttezza il rimedio stia nell’impedire al creditore un determinato comportamento pure eletto dalla legge come tipico (forme di tutela per equivalente)[48], oppure stia nella imposizione di misure coercitive volte a incentivare il creditore ad assumere condotte pro-attive[49]. Qualcuno potrebbe deviare sulla figura dell’esercizio abusivo del diritto ma questa figura, probabilmente, non è necessario evocarla nella misura in cui esiste una norma quale è l’art. 4 CCII[50]. Sterilizzare condotte altrui non è davvero soluzione eterodossa se si guarda alla disposizione di cui all’art. 69, comma 2, CCII che penalizza il creditore, inibendogli il diritto ad opporsi alla omologazione del piano di ristrutturazione del consumatore quando ha violato i doveri di correttezza. 
Ecco, allora, che il colore di sfondo muta profondamente e quando si osservano le condotte delle parti l’approccio deve essere quanto più profondo perché ne va del valore di una soluzione per quanto possibile condivisa. Sia chiaro che discutere dei doveri dei creditori e porre in risalto possibili rimedi alle loro condotte inosservanti dell’art. 4 CCII, non significa affatto mettere in ombra i doveri del debitore. Tuttavia, ragionare in termini di effetti delle violazioni dei principi generali da parte del debitore è, forse, meno stimolante perché esistono rimedi specifici che penalizzano tali condotte; l’insuccesso dell’operazione di ristrutturazione per effetto del diniego di una omologazione e la pure possibile sortita della liquidazione giudiziale sono conseguenze penalizzanti. Ma, sanzioni assai concrete e in ‘forma specifica’ le ricaviamo dall’impedimento a coltivare la procedura di concordato semplificato di cui all’art. 25 sexies CCII nel caso di assenza di buona fede del debitore.[51] In ogni caso, la condotta del debitore deve essere osservata con particolare attenzione, come si accennava in precedenza, in un momento antecedente quando ciò che si pretende è una reazione tempestiva ed efficace e ciò è tanto più importante quanto si rammenti che la composizione negoziata prevede un accesso esclusivamente basato su una scelta volontaristica del debitore[52]. 
Per completezza, va ricordato che i doveri di cui all’art. 4 CCII sono estesi a tutti coloro che sono coinvolti nello scenario di crisi in ruoli diversi da quelli del debitore e dei creditori[53]: primi tra tutti i soci.
4 . Il ruolo dei professionisti del debitore
Anche i creditori si muovono sul proscenio della crisi con l’assistenza di professionisti, ma su questo punto giova ricordare una prassi comune che deve essere segnalata. Nelle regolazioni pattizie della crisi, qualunque sia lo strumento prescelto, quando si formano cordate di creditori omogenei è consueto che i costi dei professionisti dei creditori vengano addebitati al debitore, sì che il patrimonio del debitore si indebolisce anche per gli oneri di assistenza professionali delle controparti. Si discute assai sulla liceità di una siffatta pattuizione ma il risultato ‘contabile’ non è così eretico come potrebbe apparire, ove si rammenti che le spese del processo esecutivo, che sono spese del creditore, sono prelevate dall’attivo del debitore. In sostanza non è eretico che il patrimonio del debitore sia afflitto anche dai costi professionali del debitore perché in fondo il creditore dovrebbe riscuotere il suo credito al netto dei costi professionali. Ciò posto, la criticità sta tutta nel processo di nomina perché di solito l’incarico viene conferito dal debitore; qui emerge una posizione che può implicare un conflitto di interessi perché la nomina proviene dal debitore ma il professionista rappresenta gli interessi del creditore. Sarebbe preferibile che vi fosse un accordo puramente economico tra debitore e creditori ma con la formalizzazione dell’incarico direttamente dai creditori e con assunzione delle responsabilità da parte del professionista verso i creditori. 
5 . Circoli chiusi, circoli aperti e conflitti
L’ambiente delle crisi – dal versante professionale - si sviluppa su piani diversi e spesso assai poco comunicanti tra loro. Vi sono professionisti che assistono solo i debitori, altri che assistono solo i creditori e altri che assistono gli uni e gli altri. Nella maggior parte dei casi questi professionisti non coincidono con quelli che si muovono leggiadramente o cupamente nei corridoi dei tribunali[54].  
Le crisi delle imprese di maggiori dimensioni e dei gruppi quasi sempre presuppongono un primo passaggio dalle procedure volontarie, per poi approdare alla liquidazione giudiziale o alla amministrazione straordinaria quando il tentativo di risanamento o di ristrutturazione non ha esito positivo. Nelle procedure negoziate di una certa dimensione, che sono numericamente poche (però, non poi così poche) ma che rappresentano la grandissima maggioranza in termini di indebitamento, è consueto intercettare i consulenti legali del debitore, il consulente dedito al confezionamento della manovra finanziaria, quello dedito alla formazione del piano industriale, quello dedito alla ricerca sul mercato di potenziali interessati all’acquisizione dell’azienda o del capitale; i consulenti legali e finanziari degli investitori e dei creditori; quando serve l’attestatore, o il chief officer restructuring. Come è facile intuire questi costi sono spesso enormi, ma anche tante volte, si dice, quasi inevitabili.  Il tema è assai delicato perché questi costi sottraggono risorse ai creditori anteriori al processo di risanamento, il che si traduce nella necessità (non sempre avvertita) di dimostrare che il valore aggiunto di questi costi si misura sul più elevato tasso di recovery che si promette ai creditori. Detto altrimenti, questi costi sono tollerabili, anche per ‘numeri’ consistenti, quando sono funzionali ad un miglior trattamento dei creditori. Se ciò accade non v’è nulla da scandalizzarsi se l’entità di questi costi si misura con cifre a sei zeri e quando il processo va in porto i contratti di conferimento di incarico non dovrebbero essere messi in discussione. 
Il quadro muta profondamente quando il processo di risanamento va in stallo o, peggio, esonda in una procedura concorsuale liquidatoria, perché in tal caso i costi della ristrutturazione comprimono le attese dei creditori precedenti. Talora può accadere che l’insuccesso dipenda (anche) da inadempimenti professionali e se così accade, la scure dei rigetti delle domande di ammissione al passivo, tante volte agitata, può risolvere il problema; questi, però, dovrebbero essere casi patologici, perché nella fisiologia delle situazioni all’insuccesso non si accompagna alcun inadempimento dell’obbligazione professionale. È in queste ipotesi che si palesa il conflitto tra i professionisti del debitore e i creditori anteriori: la fetta della torta da distribuire diviene più misera per i secondi perché bisogna fare spazio ai primi. Se il professionista (il cui credito è assistito da causa di prelazione) o la società di consulenza (il cui credito è di natura chirografaria) hanno svolto con diligenza, perizia e prudenza il loro incarico non v’è ragione che siano penalizzati per il sol fatto dell’insuccesso del risanamento, così come per converso i creditori anteriori che non beneficiano di un processo per loro non favorevole (o, peggio, pregiudizievole) non dovrebbero vedere ridotte le loro pretese per un concorso di altri creditori successivi. Sia chiaro, la questione non riguarda solo i crediti dei professionisti ma di tutti i creditori che tali divengono lungo il processo di risanamento. 
Giunti a questo punto è sin troppo ovvio che il passo conseguente sarebbe la messa in discussione dell’istituto (perché tale è diventato nel corso del tempo) della prededuzione[55]. Sennonché, mettere in discussione la prededuzione è tema non solo assai complesso ma persino sistemico, volta che senza prededuzione i processi di risanamento sarebbero, in apice, impraticabili. Qui, allora, non è il caso di dibattere di prededuzione in generale, ma di verificare se vi possa essere un punto di conciliazione tra i diritti dei creditori anteriori e i diritti dei professionisti successivi. Questi termini, anteriori e successivi, vanno intesi in modo non tecnico se solo si pensa al fatto che nella composizione negoziata della crisi non vi è uno spartiacque formale tra creditori anteriori e creditori successivi, data la natura non concorsuale della composizione negoziata. Il legislatore, non sordo rispetto a queste tensioni, e memore del principio direttivo della legge delega 155/2017[56], ha pensato di stabilire un quoziente di prededuzione fissato al 75% del credito, secondo ciò che dispone l’art. 6 CCII. Questa disposizione è ed è stata molto criticata[57], ma a ben vedere rappresenta un barlume di una possibile ‘transazione’ tra i diritti dei creditori anteriori e i diritti di credito professionali; con una precisazione, perché la norma si riferisce ai crediti dei professionisti in senso stretto e non ai crediti delle società di consulenza che pure si ritrovano in tutte le ristrutturazioni più importanti. 
Sempre l’art. 6 assume che la natura del credito sia prededucibile a condizione dell’omologazione di un accordo ex artt. 57 ss. CCII o di un piano ex artt. 64 bis ss. CCII o dell’apertura della procedura di concordato preventivo ex art. 47 CCII[58]. La disposizione, tuttavia, contiene un velo di ipocrisia perché tutti siamo consapevoli di quante volte accordi di ristrutturazione omologati naufraghino ben presto e di quante volte concordati preventivi, pur aperti, si incaglino nei procedimenti di revoca (art. 106 CCII)[59], nella mancata approvazione o nel diniego di omologazione. Proviamo a dare per scontato che tutti questi eventi negativi avvengano al di fuori del controllo dei professionisti e che a costoro nulla debba o possa essere imputato: i professionisti hanno eseguito correttamente la loro prestazione ma il costo da essi rappresentato riduce obiettivamente le prospettive di soddisfacimento dei creditori anteriori. 
Questo conflitto già oggi presente va risolto de iure condito e de iure condendo
Sulla base del diritto positivo attuale se si adotta una interpretazione letterale dell’art. 6 CCII, l’unico risultato possibile è questo: (i) i crediti professionali (in senso stretto) sono prededucibili – nei limiti di quanto previsto nell’art. 6 lett. (b), (c) e (d) – a prescindere dal successo o insuccesso; (ii) i crediti delle società di consulenza non sono assistiti né da cause di prelazione, né dalla prededuzione, perché non sono prestazioni professionali e non  sono prestazioni connesse alla gestione del patrimonio e alla continuazione dell’attività. Ciò nondimeno, una interpretazione diversa è possibile ed è connessa alla formula lessicale che chiude la lettera (d) dell’art. 6 comma 1: “per il buon esito dello strumento”. La dimensione della sequenza delle parole sembra inclinare alla sopra descritta interpretazione letterale secondo la quale la prededuzione compete per il solo fatto che il debitore abbia conferito un incarico funzionale ad ottenere un buon risultato della ristrutturazione. Però, se si vuole, così interpretata la norma parrebbe quasi paradossale perché implicherebbe – a contrario – che il debitore possa (invece) conferire un incarico al fine di conseguire un risultato negativo dello strumento. Ed allora non sarebbe poi così eterodosso che il “buon esito dello strumento” divenisse la condizione per l’attribuzione della prededuzione, ferma invece la spettanza della causa di prelazione[60]. In questo modo non verrebbe sovvertito il principio di trasformazione dell’obbligazione in obbligazione di risultato[61]. Ma neppure questo risultato è appagante perché vorrebbe dire che in ogni ipotesi di sbocco in una procedura liquidatoria la prededuzione non potrebbe mai invocarsi[62]. Pertanto, comunque interpretata, la norma produce un risultato inefficiente. Chiuso il circuito interpretativo si torna al punto di partenza e cioè alla lettura più tradizionale dell’art. 6 CCII, con l’effetto che nel conflitto tra creditori, chi soccombe è il creditore anteriore e così non si è trovato un punto di mediazione. Il rischio è evidente: se non si può addomesticare la prededuzione, ci sarà maggiore propulsione ad eccepire inadempimenti che in verità tali non sono e, di riflesso, ci sarà un aumento del contenzioso, esito che invece dovremmo tutti cercare di voler evitare. Una conclusione, questa, all’evidenza deludente. 
Una ipotesi di lavoro diversa mi pare che possa muovere da una attenta valutazione di ciò che vuole rappresentare la prededuzione, cioè un premio destinato a chi ha favorito il percorso di ristrutturazione[63]. Se tale percorso non ha performato, la prededuzione è un onere eccessivo (sopravvenuto) per la collettività dei creditori. Queste parole evocano un istituto del diritto civile di antica formazione: la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.). Si potrebbe, dunque, immaginare che il curatore, in sede di formazione dello stato passivo, non lamenti un inadempimento nella prestazione, il che condurrebbe alla esclusione del credito, ma lamenti l’eccessiva onerosità della prestazione nella parte in cui ha generato un credito prededucibile, il che condurrebbe ad una possibile soluzione di mediazione affidandoci all’ultimo comma dell’art. 1467 c.c., là dove il contratto può essere riportato a condizioni più eque, quali ad esempio il riconoscimento del privilegio in luogo della prededuzione, ciò che, però, consentirebbe di superare il ben peggiore risultato della esclusione del credito per inadempimento[64]. 
Mi rendo ben conto della forzatura della interpretazione ma, appunto, l’interprete non può rinunciare a trovare una lettura della norma che specie in presenza di interessi collettivi risulti assecondare un principio di gradualità (o proporzionalità)[65]. 
Se, invece, si trascorre ad una prospettiva de iure condendo, la previsione apparentemente rozza di attribuzione di un quoziente soltanto in prededuzione nel caso di insuccesso, può costituire un punto di conciliazione tra interessi contrapposti. Non è un mistero che il legislatore in tempi recenti, v., la l. 35/2025 sulla misura della responsabilità dei sindaci delle società di capitali[66], sta proprio adottando criteri – per quanto discutibilissimi – di predeterminazione dell’entità delle obbligazioni di debito[67]. 
6 . Circoli chiusi, circoli aperti e competenze
Per restare nel campo delle tematiche professionali dobbiamo trattare, senza infingimenti, il tema delle competenze professionali. 
Quando qualcuno mi chiede quale sia il difetto principale delle leggi sull’insolvenza a me viene facile rispondere che il vizio maggiore è quello della complicazione del regime disciplinare, specie di quello degli strumenti di regolazione della crisi[68]. E se è complicato, ne consegue che per affrontarlo seriamente occorrono specifiche competenze, come peraltro deve accadere in ogni occasione in cui un sapere tecnico presenta particolari complessità. 
Fatta questa premessa, la conseguenza intuitiva è che il professionista che si cimenta con le crisi dovrebbe essere dotato di specifiche competenze nel campo della ristrutturazione e se queste competenze non ha, con un sano bagno di umiltà dovrebbe coinvolgere (senza per questo doversi far da parte) chi di questa materia si occupa.  Sembra una conclusione razionale e ineccepibile ma non è priva di controindicazioni perché se dalla precedente postulazione si volesse far conseguire che pochi sono i professionisti adeguati il risultato sarebbe oltre modo preoccupante. Da una parte si corre il rischio che qualcuno si senta sempre un po’ più adeguato, e dall’altra parte una perimetrazione del panel dei professionisti genera facilmente incroci, incrostazioni e latenti conflitti di interessi, temi di cui spesso non ci si avvede ma che con appena un po’ di visione in filigrana emergono anche con prepotenza. Mentre a proposito di cariche elettive o di incarichi pubblici si evocano sorteggio e rotazione[69], nel mondo del diritto dei privati il debitore e i creditori debbono restare, ovviamente, arbitri di scegliere a chi affidare le loro sorti. L’empasse va sminata affidando ai professionisti un compito nobile, quello di non assumere l’incarico quando nell’eseguirlo vi potrebbero essere, anche solo occulte, contaminazioni, senza andare alla ricerca di veri e propri conflitti di interesse. Non possiamo certo predicare che un eccesso di professionalità sia pernicioso, ma talora una professionalità non proprio specifica potrebbe risultare preferibile; l’esperienza degli esperti della composizione negoziata restituisce, sebbene solo in parte, questa impressione. In più casi (che non si possono né quantificare, né qualificare come maggioranza o minoranza) un esperto dotato di professionalità ma non specificatamente prelevata dal mondo delle crisi, proprio perché privo di incrostazioni e diffidente verso le liturgie, è stato in grado di meglio coniugare gli interessi contrapposti delle parti. La formazione teorica e soprattutto pratica debbono essere un obiettivo prioritario sul quale tutti e proprio tutti sono chiamati ad investire, non già per favorire gli interessi corporativi dei professionisti, ma consentire che questi professionisti riescano a far conseguire alle parti da loro rappresentate i migliori risultati da misurare, sempre, con un’ottica collettiva.
7 . Il superamento di un clima di diffidenza
Alcuni anni fa, nel 2014, avevo intitolato un mio saggio con queste parole “Per un superamento delle reciproche diffidenze tra giudice e parti nel concordato preventivo”.[70] 
Rileggendo quello scritto che ripercorreva alcuni punti critici del concordato nei quali emergeva un conflitto tra l’autonomia delle parti[71] e l’eteronomia dell’intervento giudiziale, al § con le conclusioni, osservavo: “Nei conflitti economici di così vasta diffusività di effetti come nella crisi d'impresa è ipocrita pensare che vi sia una seconda chance; solo se un legislatore accorto sceglierà di immaginare un percorso impugnatorio efficace, efficiente ed effettivo, si potrà accogliere la sentenza in rassegna come risolutiva del contrasto; altrimenti, temo, resterà una ambiguità di fondo. Un velo di ambiguità che non potrà essere squarciato fintantoché non recederanno le reciproche diffidenze fra parti e giudici e fra giudici e professionisti. Nel nostro paese la conflittualità fra giudici e difensori è assai più elevata che altrove e trova una matrice nella diversa formazione iniziale; poiché tante inefficienze domestiche germinano dai reciproci eccessi di corporativismo, forse ripensare i valori fondanti della formazione potrebbe agevolare il superamento di tanti conflitti e quindi, per quel che qui interessa, soprattutto di quei conflitti economici sulla crisi d'impresa che vengono reputati una pesante zavorra per lo sviluppo della nostra economia”. 
Sono trascorsi più di dieci anni, alla legge fallimentare è succeduto il codice della crisi, il concordato preventivo è finito un poco in un cono d’ombra, è divampata la composizione negoziata[72], ma non una di quelle diffidenze sembra svanita.  
Poiché è inutile andare alla ricerca del colpevole ma è necessario prendere atto che esiste ancora, in modo resiliente, un clima di sfiducia reciproca che germina da diffidenze, provo a ribadire che uno scenario di crisi quando perviene davanti al giudice non si traduce in un normale giudizio tra parti contrapposte, là dove al giudice è rimesso il compito di ius dicere. Nella dimensione processuale della crisi, continuo a pensare che il processo abbia un fine più nobile e cioè quello di essere il luogo ove la mediazione di un conflitto avviene con l’aiuto del giudice per raggiungere un obiettivo di conciliazione di interessi, sì contrapposti, ma avvinti dall’obiettivo comune di raccogliere quante più risorse è possibile. Questo è e non può non essere un obiettivo comune, quasi un “bene comune” [73] per le considerazioni enunciate nel § 3.2. 
L’obiezione è facile: quello disegnato è un mondo non solo virtuale ma addirittura irreale, tant’è che queste elucubrazioni andrebbero accantonate per fare posto alla classica relazione trilaterale del processo civile: A vs. B e C decide. Ma è, davvero, un mondo irreale? Non si può fare qualcosa per transitare verso un mondo di relazioni diverse? Nella dialettica tra giudici e parti si dovrebbe sostituire il sospetto e la sfiducia con l’attenzione e il rispetto[74]; la contrapposizione polemica con il dialogo e con la condivisione di un comune sentimento di pari responsabilità verso tutta la collettività, perché ogni crisi è, sempre, una perdita di valore; ogni crisi è un detonatore di disagio economico e sociale. 
Tutto ciò ci riporta prepotentemente proprio all’art. 4 CCII che è in questo modo che merita di essere interpretato: una norma che pone prima la giustizia e poi la legge[75]. Ma giungere a questa conclusione significa, al fondo, affidarsi alla discrezionalità del giudice - in un certo qual modo amplificata dal ricorrente uso di clausole generali[76] tra cui, proprio, i doveri delle parti secondo buona fede e correttezza[77]- e l’eccesso di discrezionalità è, spesso, una ragione delle diffidenze[78] perché rischia di vulnerare l’obiettivo della prevedibilità delle decisioni[79]. Eppure, forse in aperta dissonanza con quanto si poteva preconizzare, nelle soluzioni negoziate (sintagma volutamente generico), il ruolo del giudice a me pare non tanto quello del “garante” del buon funzionamento delle regole di autonomia negoziale[80], quanto invece quello dell’equilibratore delle opposte posizioni (che tanto opposte non dovrebbero essere per le ragioni sopra enunciate)[81], e ciò nella visione della crisi come momento nel quale dovrebbe emergere il bene comune del miglior exit dalla situazione di dissesto. 
Non siamo dinanzi ad un crocevia là dove sono precisate le direzioni e si tratta di scegliere; qui ci troviamo all’interno di un labirinto dal quale uscirne è assai complicato perché vengono in giuoco comportamenti irrazionali[82], spesso instillati da ragioni tutt’affatto estranee a logiche professionali. 
Se la formazione comune tra giudici e professionisti[83], arricchita dalla possibilità di mutare ruolo durante la carriera, è un obiettivo – virtuosamente coltivato in altri Ordinamenti -  che potrebbe essere percorso ma che si scontra con la tradizione domestica, occorre trovare un luogo, diverso dalle occasioni di confronto convegnistico/accademico, nel quale giudici e professionisti, assieme, assumano decisioni comuni. 
Quando, con la c.d. Riforma Cartabia, nell’ordinamento processuale è stato inserito il “rinvio pregiudiziale” di cui all’art. 363 bis c.p.c., in occasione di un primo commento[84] avevo segnalato che l’innovazione avrebbe potuto essere di più ampio respiro ordinamentale e culturale. Ricordavo che, qualche anno fa, avevo trasmesso – in occasione di una precedente collaborazione con il Ministero della Giustizia – una proposta di legge che prevedeva, proprio, un rinvio pregiudiziale ma nella forma della richiesta di una interpretazione su questioni nuove (per tali intendevo questioni nascenti da nuovi interventi normativi e per un arco temporale limitato, lasciando poi l’intervento del giudice di legittimità alla normale dialettica dell’impugnazione). Per semplificare, immaginavo la formazione di una sezione consultiva della Corte (non troppo dissimile nella forma dall’esperienza del Consiglio di Stato) deputata a fornire una interpretazione non vincolante per il giudice del merito che aveva effettuato il rinvio, ma volta a indirizzare il giudice verso una certa soluzione, imponendogli, in caso di disaccordo, la necessità di una motivazione ad hoc dissonante. In quella proposta, di certo ormai finita in qualche sinistra macchina tritadocumenti, compariva, però, una previsione dissonante e cioè la costituzione di una sezione integrata da componenti non togati, sebbene in quota di minoranza, formati da persone altamente qualificate: in parte esperti della materia, ma in parte studiosi di altri settori, sul presupposto che una interpretazione persuasiva non può deflettere dall’essere anche una interpretazione ordinante. Comporre una sezione mista mi era sembrato un modo per istituzionalizzare il confronto culturale; oggi, però, non si tratta solo di trovare soluzioni interpretative condivise, ma proprio di avvicinarci all’obiettivo del superamento delle diffidenze con l’affidamento di decisioni condivise.

Note:

[1] 
Sul ruolo dei soci, il dibattito è apertissimo, e lo studio monografico più recente è di F. Viola, Soci e amministratori nella gestione della crisi d’impresa, Torino, 2025, 34, 67, 122; cfr., anche S. Ambrosini, Il sacrificio dei soci sull’altare della ristrutturazione: definitivo tramonto della shareholder’s primacy, in Dir.fall., 2025, 499; in luogo di molti, per una posizione critica, v., F. Guerrera, L'espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, in Riv. soc., 2022, 1292; G.B. Portale, Il codice italiano della crisi d'impresa e dell'insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, in La crisi di impresa del nuovo codice: problemi e prospettive a cura di F. Barachini, Torino, 2024, 2; F. Briolini, I conflitti tra amministratori e soci in sede di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza. Prime riflessioni, in Il nuovo dir. soc., 2023, 7; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, in Banca, borsa, tit.cred., 2023, I, 187. 
[2] 
Non si contano, ormai, le azioni di responsabilità in cui oltre agli organi sociali sono coinvolti gli istituti di credito finanziatori, gli advisor del debitore e l’attestatore; la letteratura sulla c.d. “concessione abusiva di credito” è vastissima; qui si possono ricordare gli arresti più recenti, tra cui Cass. civ., 4 novembre 2024, n. 28320; Cass. civ., 21 dicembre 2023, n. 35750; Cass. civ., 27 ottobre 2023, n. 29840. 
[3] 
Il tema della adeguatezza degli assetti è divenuto, nel corso del tempo, sempre più centrale e il dibattito vede all’opera battaglioni di interpreti; la bibliografia è già sterminata e solo in luogo di molti si possono rammentare i contributi recentissimi di  O. Cagnasso-G. Garesio-M. Irrera-M. Callegari-R. Ranalli, Gli assetti adeguati, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso-L. Panzani, Milano, 2025, 681 ss., cui si rinvia per l’amplissima bibliografia citata a p. 748. 
[4] 
È ormai consueto che in ogni azione di responsabilità agli organi sociali venga contestata l’inadeguatezza degli assetti (v., F. Macario, La disciplina sostanziale delle azioni di responsabilità nella liquidazione giudiziale: tra adeguatezza degli assetti, monitoraggio della continuità e gestione tempestiva della crisi; in Dirittodellacrisi.it, 2025, parimenti, l’inadeguatezza degli assetti è argomento sempre più discusso nei procedimenti ex art. 2409 c.c. in Dirittodellacrisi.it, 2025. 
[5] 
F. Sudiero, La segnalazione dell’organo di controllo ex art. 25-octies del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Torino, 2025, 130 ss.; prima dell’avvento dell’art. 25 octies CCII, v., R. Russo, Collegio sindacale e impresa in crisi, Milano, 2021, 59 ss.; V. Calandra Buonaura, Ruolo e responsabilità degli organi di controllo societari nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Giur. comm., 2021, I, 791; P. Piazza, Collegio sindacale di s.p.a. e recenti innovazioni del diritto della crisi: le potenziali ricadute di sistema sul rapporto tra soci e creditori, anche nella società in bonis, in Nuove leggi civ.comm., 2022, 195. 
[6] 
Sulla portata innovativa v., G. Meruzzi, I doveri delle parti, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, Commentario diretto da M. Irrera-S.A. Cerrato, Bologna, 2024, 94; L. Panzani, I doveri delle parti, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso-L. Panzani, Milano, 2025, 650. In verità, se si guarda al passato e si riconosce che le procedure di regolazione della crisi di fonte pattizia si fondavano sulla autonomia negoziale, l’avvicinamento progressivo ma inesorabile del diritto civile consentiva di configurare l’importazione nell’ambiente concorsuale dei principi del diritto privato e dei contratti, tra cui, appunto, buona fede e correttezza. 
[7] 
R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 595. 
[8] 
Così, invece, A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 64. 
[9] 
G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 96. 
[10] 
Speciali nel senso che concernono lo scenario di crisi. Una specialità diversa da quelle ipotesi particolari, disseminate nel codice, nelle quali la buona fede viene esplicitamente menzionata, v. G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 91. 
[11] 
L. Panzani, I doveri delle parti, cit., 666; G. Ferri jr, La gestione dell’impresa nella composizione negoziata della crisi, in Dir.fall., 2025, 592, sottolinea la priorità dell’interesse dei creditori in caso di insolvenza. 
[12] 
Sulla questione della selezione del momento in cui avverrebbe questa inversione, v., G. Palmieri, L'interesse della società in crisi tra tutela dei creditori e corporate social responsibility. profili critici, in Banca, borsa. tit.cred., 2025, I, 128; A. Luciano, La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, 12 ss.; A. Santoni, Doveri degli amministratori e interessi dei creditori, in Riv. dir. soc., 2023,  629-630; J. Donati, La gestione non conservativa della società con patrimonio insufficiente, in Riv. soc, 2021,  807 s.; L. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in Riv. dir. soc., 2020, 308; P. Benazzo, Il controllo nelle società di capitali tra diritto ‘comune' e codice della crisi d'impresa, in Riv. soc., 2020, 1574 ss.; F. Bordiga Gli obblighi degli amministratori nel contesto del codice della crisi e dell'insolvenza, in Liber amicorum Aldo A. Dolmetta, a cura di E. Ginevra, Lattanzi, U. Malvagna, U. Minneci, G. Mucciarone, A. Sciarrone Alibrandi, Pisa, 2023, 487 ss.; G. D'Attorre, La continuità aziendale tra “scommessa” e “tradimento”, in Il Fall., 2024, 1052 s.; G. Meo “Business Judgement Rule” e crisi, in Riv. soc., 2024, 591 s.; R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 598. 
[13] 
F. Santangeli, sub art.4, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 31. 
[14] 
L. Stanghellini, Le crisi di impresa tra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007, 40 ss.; M. Perrino, Il concordato con attribuzione ai soci, in AGE, 2023, 221-222; R. Sacchi, La governance societaria nella crisi d'impresa, in La crisi di impresa del nuovo codice: problemi e prospettive a cura di F. Barachini, Torino, 2024, 183; D. Stanzione, Il «controllo finanziario» dei creditori sulle società di capitali, tra solvenza e insolvenza dell'impresa, in Banca, borsa, tit. cred., 2024, I, 601 602; A. Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell'impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 836; in questi termini anche B. Libonati, Crisi societarie e governo dei creditori, in Dir. giur., 2007, 10 ss. 
[15] 
G. Palmieri, L'interesse della società in crisi tra tutela dei creditori e corporate social responsibility. profili critici, cit., 129. 
[16] 
Così, mi pare, invece, A. Santoni, La scelta dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in corso di pubblicazione (dattiloscritto letto per cortesia dell’Autore); G. Palmieri, L'interesse della società in crisi tra tutela dei creditori e corporate social responsibility. profili critici, cit., 129. 
[17] 
R. Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm., 2014, I, 304; G. Ferri jr, Poteri e responsabilità degli amministratori nel concordato preventivo delle società, in Riv. dir. comm., 2022, I, 15. 
[18] 
R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Il Fall., 2021, 591 ss. 
[19] 
G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 99. 
[20] 
Per una analisi specifica dei doveri, v., in luogo di molti, L. Panzani, I doveri delle parti, cit., 661. 
[21] 
M. Fabiani-M. Spiotta, L’incrocio di Shibuya e la scelta dello strumento di regolazione della crisi, in Giur.comm., 2025, I, in corso di pubblicazione; A. Santoni, La scelta dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit.; S. Pacchi, La scelta dello strumento di regolazione della crisi, in Ristrutturazioni aziendali, 4 marzo 2024, 1; M. Arato, La scelta dell’istituto più adeguato per superare la crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 8 ottobre 2021, 1. 
[22] 
Cfr. R. Del Porto, La corretta gestione delle risorse finanziarie aziendali in situazione di crisi, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 7 aprile 2025. 
[23] 
P. Benazzo, Il controllo nelle società di capitali tra diritto ‘comune' e codice della crisi d'impresa, in Riv. soc., 2020, 1576. 
[24] 
Esperibili, oltre che nel CPLIQ, anche nel CPCON (ove sia stato nominato un liquidatore e il piano contempli l’attribuzione ai creditori del risultato dell’esito vittorioso dell’azione), nel PRO e nel CS (arg. desunto dal rinvio all’art. 115 contenuto nell’art. 25, septies, comma 1, CCII). 
[25] 
M. Fabiani, Perdita di valore dell’impresa, responsabilità degli organi sociali e il pernicioso “abbaglio” dei netti patrimoniali, in Società, 1045, 2024 ss., prospettiva poi ripresa da B. Inzitari, Obblighi di segnalazione nel Codice della crisi: responsabilità dei sindaci e dei revisori per i danni relativi alla perdita di valore della società e dei crediti, conseguente alla mancata o tardiva attivazione delle misure e degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 24 febbraio 2025. 
[26] 
Sull’argomento si rinvia agli approfonditi contributi di P. Benazzo, Assetti organizzativi, diritto dell’impresa e diritto delle società: dal passato a un (possibile) futuro, in Dirittodellacrisi.it, 2 gennaio 2025; Id., Gli assetti proprietari e la circolazione delle partecipazioni sociali nel prisma del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Riv. Società, 2023, 8 ss.; Id., Il codice della crisi e il nuovo correttivo: il punto (storico e prospettico) sul diritto societario della crisi, (nt. 57), 91 ss. V. anche E. La Marca, La partecipazione nelle società in crisi: problemi di governance e meccanismi di tutela (anche alla luce del “Correttivo-ter”), in Giur.comm., 2024, I, 1173 ss.; C. Vasta, I rapporti tra gli amministratori e l'assemblea dei soci nella nuova disciplina del CCII, in Giur.comm., 2024, I, 1011 ss. 
[27] 
Sulla BJR nello scenario di crisi v., tra i contributi più recenti, G. Meo, “Business Judgement Rule” e crisi, in Riv. società, 2024, 577 ss.; D’Attorre, Scelta dello strumento di gestione della crisi e business judgment rule, in AGE, 2023, 149 ss. 
[28] 
La metafora è di Ranalli, Dall’allerta alla composizione negoziata. Flessibilità, semplificazione e trasparenza del nuovo strumento, in Dirittodellacrisi.it, 24 febbraio 2022.  
[29] 
Senza tema di smentita, se si leggono tutte le decisioni del Supremo collegio e non solo le pronunce massimate, ordinanze e sentenze sono in numero ben superiore a quattrocento, se si prende la banca-dati Foroplus. 
[30] 
In tema di eccezione di inadempimento e onere della prova cfr., Cass. civ., 20 dicembre 2023 n. 35554.
 
[31] 
Questa è una affermazione tralaticia, v., in luogo di molte e per restare all’ambiente concorsuale, v., Cass. civ., 12 luglio 2025, n. 19174; Cass. civ. 3 luglio 2025, n. 18020; Cass. civ., 13 agosto 2024, n. 22779. 
[32] 
A. Santoni, La scelta dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit.; L. Panzani, I doveri delle parti, cit., 668. 
[33] 
Sulla importanza del ‘timing’, S. Pacchi, Efficienza e mercato: i tempi della giustizia - Ovvero, La importanza del tempo nella disciplina della crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 2024, 3. 
[34] 
M. Fabiani-M. Spiotta, L’incrocio di Shibuya e la scelta dello strumento di regolazione della crisi, cit. 
[35] 
E. Gabrielli, Autonomia privata, utilità sociale e “tracce di concorsualità”, in Dir.fall., 2025, 227; M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Il Fall., 2022, 5; L. Panzani, I doveri delle parti, cit., 654; A. Bassi, sub art. 4, in Il codice della crisi, Commentario a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Torino, 2024, 33; D. Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d’impresa, Milano, 2022, 109; ma non ci si può limitare a questo perché incalzano anche altri valori, v., G. D’Attorre, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in diritto della crisi.it, 2021, 2; Id., La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv.dir.civ., 2021, 60; S. Pacchi, Sostenibilità, fattori esg e crisi d’impresa, in ristrutturazioniaziendali.it, 2023, 2; M. Onza,   “Gestione sostenibile” dell’impresa, “adeguati assetti” e (una annotazione su) “interesse sociale”: spunti di riflessione, in ristrutturazioniaziendali.it, 2023, 5. In senso diverso, però, G. Palmieri, L'interesse della società in crisi tra tutela dei creditori e corporate social responsibility. profili critici, cit., 141. 
[36] 
La collettivizzazione degli interessi è colta da F. Macario, Il concorso dei creditori nell’evoluzione della responsabilità patrimoniale: appunti per una riflessione tra diritto generale delle obbligazioni e nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, in diritto della crisi.it, 2025, 2 ss.; M. Fabiani, Il concorso dei creditori dopo il codice della crisi, in Il Fall., 2023, 1017; M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, in Il Fall., 2022, 1287. 
[37] 
Sul divieto di ostruzionismo, v., M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, cit., 1277. La dimensione ancipite tra diritto di credito con valenza individuale e diritto di credito con valenza collettiva è enfatizzata da G. Ferri jr., Creditori, voce in Crisi d’Impresa, Annali Enc.dir., VIII, Milano, 2024, 376. 
[38] 
R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 599. In passato, (M. Fabiani, Introduzione ai principi generali e alle definizioni del codice della crisi, in Il Fall., 2022, 1177), avevo, infatti, precisato che «il diritto della crisi e dell'insolvenza è cementato dall'idea che serva ad attuare la responsabilità patrimoniale, senza in esso esaurirsi. Con diverse sfumature, gradatamente ascendenti, l'attuazione della responsabilità patrimoniale dovrà essere coniugata con altri valori — che in talune situazioni potrebbero finanche divenire dominanti —, ma la cornice costituzionale impedisce di negare che le procedure di crisi e di insolvenza non siano degli strumenti per consentire al creditore di ottenere tutto e proprio tutto ciò che un debitore inadempiente non ha voluto corrispondergli ». Il limite, quindi, resta quello del “creditor no worse off”. 
[39] 
G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 105. In senso contrario, però, F. Santangeli, sub art.4, cit., 34, osserva che il creditore deve restare arbitro incontrastato delle proprie determinazioni, salvi i casi nei quali è la legge a specificare i divieti. D. Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d’impresa, cit., 88, pone in evidenza che le disposizioni che “forzano” la volontà dei creditori derivano, proprio, dal fatto che i creditori sono portatori di interessi disomogenei. 
[40] 
Per un ricco carnet dei doveri “negativi” dei creditori v., G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 107. 
[41] 
G. Bozza, Votazione, in I concordati dopo il Correttivo, Opera diretta da A. Jorio-M. Spiotta, Bologna, 2025, 828 ss. 
[42] 
R. Brogi, Il conflitto di interessi nel codice della crisi, in Il Fall., 2023, 599; A. Colnaghi, La Cassazione torna sul conflitto d’interessi nell’espressione del voto per l’approvazione del concordato fallimentare, in Il Fall., 2022, 85; B. Massella Ducci Teri, I poteri della maggioranza nel concordato preventivo alla luce del Codice della crisi tra proprietà e gestione, in Corr. giur., 2020, 389; G. Nuzzo, Il conflitto di interessi dei creditori nei concordati, Milano, 2019; Id., Alcune proposte di“trapianto” del diritto straniero in tema di conflitti di interesse dei creditori nel concordato tra disciplina vigente e riforma della legge fallimentare, in Nuove leggi civ., 2017, 3, 653; G. D’Attorre, Le Sezioni Unite riconoscono (finalmente) il conflitto d’interessi nei concordati, in Il Fall., 2018, 960; Id., Il voto nei concordati ed il conflitto di interessi fra i creditori, Ibidem, 2012, 757; Id., Il conflitto di interessi tra creditori nei concordati, in Giur. comm., 2010, I, 392; M. Fabiani, La ricerca di una tutela per i creditori di minoranza nel concordato fallimentare e preventivo, in Giur. comm., 2012, II, 298; R. Sacchi, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’autorità giudiziaria, in Il Fall., 2009, all. 1, 30; Id., Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Il Fall., 2009, 1063; Id., Il principio di maggioranza nel concordato e nell’amministrazione controllata, Milano, 1984; L. Stanghellini, Creditori “forti” e governo della crisi d’impresa nelle nuove procedure concorsuali, in Il Fall., 2006, 385.
[43] 
L. Panzani, La doppia regola distributiva, in I concordati dopo il Correttivo, Opera diretta da A. Jorio-M. Spiotta, Bologna, 2025, 1076; P.D. Beltrami, Omologazione e disposizioni sulla liquidazione nel concordato liquidatorio e in continuità, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso-L. Panzani Milano, 2025, 1871.
[44] 
Per valutazioni omogenee, cfr., G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 114. 
[45] 
M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, cit., 1282; M. Fabiani-I. Pagni, L’omologazione e gli eventuali reclami, in I concordati dopo il Correttivo, Opera diretta da A. Jorio-M.Spiotta, Bologna, 2025, 949. 
[46] 
D. Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d’impresa, cit., 302. 
[47] 
R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 596. 
[48] 
In termini simili, G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 115. 
[49] 
G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 112; M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, cit., 1278; Trib. Verona, 22 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it, a proposito di misure protettive e cautelari nell’ambito della composizione negoziata. 
[50] 
A. Bassi, sub art.4, cit., 35. In senso diverso, R. Rordorf, Il diritto esorbitante: abuso del diritto, abuso del processo, abuso del concordato, in Il Fall., 2020, 1213, ritiene che anche nel nuovo sistema concorsuale vi sarà spazio per la figura dell’abuso del diritto. 
[51] 
G. Ferri jr, La gestione dell’impresa nella composizione negoziata della crisi, cit., 594. 
[52] 
M.C. Di Martino, La crisi della composizione negoziata, in Nuove leggi civ.comm., 2024, 717; G. Meo, La responsabilità nella composizione negoziata della crisi, in Dir.fall., 2023, 834. 
[53] 
G. Meruzzi, I doveri delle parti, cit., 119. 
[54] 
In questo breve contributo non si parla degli organi delle procedure; ci si permette, solo, di osservare che non mi trova consenziente la prassi di alcuni tribunali di segmentare i professionisti pretendendo, di fatto, una sorta di esclusiva e ciò per un duplice ordine di ragioni: (i) da una parte vedere le crisi da più punti di osservazione è sicuramente un arricchimento; (ii) dall’altra parte c’è il rischio che alcuni si sentano dei “legionari di Cristo”, portatori dell’evangelizzazione della liquidazione giudiziale quale panacea di tutti i mali. 
[55] 
Su cosa sia la prededuzione con l’avvento del codice della crisi v., M. Fabiani, La prededuzione nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in diritto della crisi.it, 2023, 4 ss. 
[56] 
A. Monteverde, La prededuzione dei crediti, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, Commentario diretto da M. Irrera-S.A. Cerrato, Bologna, 2024, 135; S. Bonfatti, La prededuzione, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso-L. Panzani, Milano, 2025, 775.
[57] 
A. Monteverde, La prededuzione dei crediti, cit., 152; C. Pecoraro, sub art.6, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 43. 
[58] 
Ed infatti, per A. Crivelli, La prededuzione dei professionisti, cit., 14 la prededuzione dovrebbe venire meno. 
[59] 
A. Monteverde, La prededuzione dei crediti, cit., 152, distingue il caso in cui la revoca venga disposta per fatti sopravvenuti (nel qual caso la prededuzione resterebbe intonsa) dal caso in cui la frode risalga a fatti, prima non conosciuti, ma già verificatisi in un momento anteriore alla apertura (nel qual caso la prededuzione dovrebbe recedere). 
[60] 
G.B. Nardecchia, La prededuzione, in I concordati dopo il Correttivo, Opera diretta da A. Jorio-M. Spiotta, Bologna, 2025, 752. 
[61] 
Per essere più chiari, mentre c’è chi assume che la norma abbia così trasformato l’obbligazione del professionista in obbligazione di risultato (M. Greggio, La prededuzione dei compensi dei professionisti secondo le Sezioni Unite: per la certezza si rischia l’ingiustizia? in Dirittodellacrisi.it, 2022, 10; ma vedi le osservazioni di S. Fortunato, sub art. 6, in Il codice della crisi, Commentario a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Torino, 2024, 50), a me pare che di tale trasformazione si possa discutere quando il credito venisse escluso, non già quando viene qualificato in termini di rango. 
[62] 
Non a caso perplessità sulla formula sono sollevate da A. Crivelli, La prededuzione dei professionisti, cit., 16. 
[63] 
In termini simili, v., A. Crivelli, La prededuzione dei professionisti, in Dirittodellacrisi.it, 2024, 8. 
[64] 
Sulle commistioni tra prededuzione, inadempimento e privilegio v., anche, A. Crivelli, La prededuzione dei professionisti, cit., 16. 
[65] 
L’equilibrio delle relazioni tra i protagonisti è, infatti, uno dei pilastri del codice della crisi, v., G. D’Attorre, Diritto della crisi e diritto commerciale, in Banca, borsa, tit.cred., 2024, I, 358. 
[66] 
Tale menzione prescinde da un giudizio di valore sulla scelta concreta operata dal legislatore. 
[67] 
Non trovo, invece, condivisibile l’idea che il bilanciamento dei valori (v., in termini analoghi V.V. Chionna, Prededuzione, voce in Crisi d’Impresa, Annali Enc.dir., VIII, Milano, 2024, 957), possa derivare dalla valutazione di congruità del quantum del credito preteso, salvo che il professionista abbia omesso di pattuire con il cliente l’entità del compenso e ciò in virtù del principio di autonomia negoziale; fermo, ovviamente, che in caso di successiva liquidazione giudiziale il curatore voglia impugnare con l’azione revocatoria il contratto di conferimento dell’incarico professionale.
[68] 
Si tratta di una delle critiche più diffuse, v, tra gli altri, N. Rondinone, C’era una volta il diritto fallimentare, Torino, 2025, 207 ss.; ma, in senso opposto, v., I. Pagni, L’impostazione del codice della crisi: dalla composizione negoziata alla regolazione giudiziale della crisi e dell’insolvenza, in La crisi d’impresa nel nuovo codice; problemi e prospettive, a cura di F. Barachini, Torino, 2024, 195. 
[69] 
L. Vernero, I criteri di nomina dei professionisti, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, Commentario diretto da M. Irrera-S.A. Cerrato, Bologna, 2024, 124. 
[70] 
Pubblicato e ancora reperibile in ilcaso.it. Il saggio derivava da una nota Di un'ordinata decisione della Cassazione sui rapporti fra concordato preventivo e procedimento per dichiarazione di fallimento con l'ambiguo addendo dell'abuso del diritto, pubblicata in Foro it., 2015, I, 2335 a commento di una sentenza della Corte di cassazione. 
[71] 
Sulla rilevanza “civilistica” dell’autonomia delle parti, v., di recente, G. Bevivino, Il ruolo dell'autonomia privata nel diritto dell'insolvenza riformato, in Giust.civ., 2024, 42. 
[72] 
Sia consentito un rinvio a M. Fabiani, Composizione negoziata della crisi: una “storia” di successo? in Dirittodellacrisi.it, 2025, 2. 
[73] 
In sintonia v., E. Gabrielli, Autonomia privata, utilità sociale e “tracce di concorsualità”, cit.,228, il quale valorizza l’art. 41 Cost. Sull’importanza di abbandonare la logica ‘avversariale’ v., M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, cit., 1285. 
[74] 
M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, cit., 1289. 
[75] 
M. Nieva-Fenoll, Le origini della giustizia. Perché desideriamo che vinca il più giusto e non il più forte, Bologna, 2025, passim, ricorda che il processo non nasce per affermare una tecnica, né per esercitare potere, ma come risposta a un bisogno profondo, umano, di equilibrio percepito come giusto; e che ogni giustizia che dimentichi l’umano, finisce per smarrirsi. O, se si vuole, per una citazione un poco dissacrante, v., F. De Gregori, Il bandito e il campione, Sony Music, 1993. 
[76] 
R. Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, in Il Fall., 2022, 877; G. D’Attorre, I principi generali nel diritto della crisi d’impresa, in Nuova giur. civ. comm., 2019, II, 1084; P. Montalenti, Le nuove clausole generali nel Codice della crisi, in Giur.it., 2023, 1436; R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 594.
[77] 
L. Panzani, I doveri delle parti, cit., 653. 
[78] 
Il tema della discrezionalità è assai dibattuto ed è molto controverso; tra i contributi più recenti v., F. Viganò, Discrezionalità interpretativa del giudice e valore dei precedenti, in sistema penale.it, 1 luglio 2025; R. Bin, A discrezione del giudice, Milano, 2024, passim; M. Massa, Discrezionalità e discrezione del giudice. Verso uno studio del minimalismo nella giustizia costituzionale, in Bergonzini, C., Cossiri, A., Di Cosimo, G., Guazzarotti, A., Mainardis, C., Scritti per Roberto Bin, Torino 2019, 524- 535; G. Pitruzzella, L’interpretazione conforme e i limiti alla discrezionalità del giudice nell’interpretazione della legge, in federalismi.it, luglio 2021. Per il processo civile, si vis, M. Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza del processo, in judicium.it. 
[79] 
R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 595; D. Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d’impresa, cit., 152. 
[80] 
R. Rordorf, Il ruolo del giudice nella ristrutturazione delle imprese in crisi, in diritto della crisi.it, 2023. 
[81] 
G. Verde, Il giudice regolatore: una riflessione sui confini della giurisdizione avendo presente il codice sulla crisi delle imprese, in Dir.fall., 2025, 444.
[82] 
È noto che esistono studi approfonditi sull’economia comportamentale anche negli scenari di crisi, v., N. Usai    La crisi d’impresa tra responsabilità e irrazionalità, Milano, 2025, passim; Id., Economia comportamentale e diritto della crisi: il ruolo della “mala gestio cognitiva” nel ritardo nell’emersione delle difficolta ` dell’impresa, in Riv. soc., 2022, 1218. 
[83] 
G. Verde, Il giudice regolatore: una riflessione sui confini della giurisdizione avendo presente il codice sulla crisi delle imprese, cit., 445. 
[84] 
M. Fabiani, Rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione: una soluzione che non alimenta davvero il dibattito scientifico, in Riv. dir. proc., 2022, 197 e ss. 

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