La certezza delle regole è però valore di primaria importanza in ogni campo del diritto e ancora di più nella crisi di impresa, dove il debitore gioca quelle che potrebbero essere le sue ultime chance di risanamento.
Per tale ragione, sullo sfondo di queste frastagliate posizioni di cui si è dato conto, il legislatore del Codice della Crisi e dell’Insolvenza si è sentito in dovere intervenire (anche) su tale aspetto.
Già nella legge 19.10.2017 n. 155, infatti, delegava il governo a “disciplinare il diritto di voto dei creditori con diritto di prelazione, il cui pagamento sia dilazionato, e dei creditori soddisfatti con utilità diverse dal denaro” (art. 6 lett. g)).
Un compito poi assolto con la formulazione dell’art. 86 del CCII, che va qui esaminata nella versione definitiva offerta dal recente D. Lgs. 26.10.2020 n. 147 (cd. “decreto correttivo” al CCII).
Le scelte operate dal legislatore delegato, consacrate nell'art. 86[7], possono essere così sintetizzate:
a) il debitore può prevedere pagamenti dilazionati in favore dei creditori privilegiati per un periodo “non superiore a due anni”, salvo che tali diritti gravino su beni destinati alla liquidazione[8]. Da una dilazione annuale si è quindi passati ad una biennale, e tale più ampio termine difficilmente potrà essere ulteriormente derogato dal debitore con la proposta di una moratoria maggiore, sia in ragione dell’inequivoca espressione letterale (“non superiore”), sia per la volontà legislativa esplicitata nella relazione illustrativa di accompagno al decreto correttivo[9];
b) la moratoria consentita non è più “forzosa”, imposta cioè, nell'ambito di un anno, unilateralmente dal debitore ai creditori privilegiati a prescindere da un loro specifico consenso, ma diventa una soluzione praticabile solo riconoscendo a costoro il diritto di voto. Soltanto con il loro voto favorevole, quindi, il debitore potrà sperare di godere – ove raggiunte le maggioranze di legge - di un maggior respiro per l’adempimento delle obbligazioni di pagamento, mentre, se non vorrà utilizzare tale strumento, si vedrà costretto a far fronte immediatamente e integralmente ai creditori privilegiati;
c) è stato espunto dalla norma il riferimento all’ipotesi dell’incapienza del credito privilegiato rispetto al valore di mercato del bene, disciplinata all’art. 160, comma 2, L. fall. e, nel CCII, all'art. 85, comma 7. L’eliminazione del richiamo non sta a significare che anche a tali creditori non si possa offrire un pagamento dilazionato (nei limiti della capienza).
d) è stato individuato un preciso criterio per quantificare la misura del credito per il quale viene prevista la votazione del creditore privilegiato, pari alla differenza fra il valore del credito maggiorato degli interessi moratori sulla dilazione e quello di attualizzazione dei pagamenti alla data di deposito della domanda di concordato. In questo modo si "riesce infatti a quantificare ciò che il creditore privilegiato perde in termini di chance di investimento"[10] e conseguentemente si riesce a porre fine al dibattito sulla misura della votazione.
Ma nella disamina del trattamento riservato ai creditori privilegiati nel CCII non ci si può soffermare all’analisi del solo art. 86, dovendo la visuale dell’interprete estendersi anche all’art. 100, comma 2, del CCII[11].
La risposta del legislatore della riforma ai temi oggetto della presente riflessione va colta proprio nel combinato disposto delle due disposizioni appena richiamate.
L’art. 100, comma 2, CCII è una disposizione che consente (consentirà) al debitore che abbia proposto domanda di concordato con continuità aziendale, di procedere al rimborso, alla scadenza convenuta, delle future rate a scadere dei mutui assistiti da garanzia reale sui beni strumentali dell’impresa.
Si tratta quindi di crediti garantiti da privilegio speciale, pegno o ipoteca; tali sono infatti le garanzie reali nel nostro ordinamento.
Il mantenimento dell’originario piano di ammortamento sarà però possibile solo ove si rispettino determinate condizioni:
a) il debitore non dovrà risultare moroso nel pagamento delle rate alla data di presentazione della domanda di concordato. La limitazione sarà superabile chiedendo al giudice l’autorizzazione al pagamento degli arretrati, come prevede espressamente la norma (purché, ad avviso di chi scrive, il contratto non sia stato nel frattempo risolto dal mutuante anche solo avvalendosi della clausola risolutiva espressa solitamente prevista in simili fattispecie contrattuali)[12];
b) un professionista indipendente dovrà attestare, come nelle ipotesi di cui al comma 1 (che infatti utilizza la parola “anche”), che la prestazione da cui origina il credito risulti essenziale per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori.
La presenza di questo requisito desta qualche difficoltà di comprensione. Se infatti l’essenzialità e la funzionalità sono concetti immediatamente percepibili nei casi di future prestazioni di beni e servizi strategici (ai quali è dedicato il comma 1 dell’art. 100 CCII), più difficile risulta traslare tali requisiti al campo dei finanziamenti già concessi. In questi casi, infatti, la “prestazione” del finanziatore è stata già eseguita e quindi le sue qualità essenziali e funzionali si sono necessariamente consumate nella fase genetica o comunque immediatamente attuativa del rapporto, antecedente alla domanda di accesso in procedura.
A parere di chi scrive, l'ellittico richiamo ai due requisiti del primo comma sembra piuttosto essere riferito al mantenimento della rateizzazione del debito bancario; non può che essere la conservazione del piano di ammortamento a dover essere essenziale alla prosecuzione dell'attività e funzionale alla miglior soddisfazione dei creditori. Tali qualità, pertanto, non possono che riferirsi alla "prestazione" del debitore (restituzione del prestito) e non a quella del creditore, come nel caso del primo comma;
c) il credito dovrà poter essere soddisfatto con il ricavato della liquidazione a valori di mercato del bene gravato da privilegio, e anche tale aspetto sarà oggetto di attestazione da parte del professionista incaricato.
Il legislatore ha qui voluto concedere l’eccezionale misura del mantenimento della rateizzazione ai soli casi di “capienza” del bene rispetto al debito ancora da soddisfare, coniando così una regola inversa a quella dettata dall’art. 85, comma 7, CCII, che contempla invece l’ipotesi della “incapienza”;
d) sarà infine necessario che il rimborso delle rate a scadere non leda i diritti degli altri creditori.
Il richiamo al requisito della par condicio creditorum – che dovrà essere attestato anch’esso dal professionista esperto – si comprende solo se, avuto riguardo alla graduazione dei crediti, si volge lo sguardo al “livello superiore”. A ben vedere, infatti, il pagamento rateale del finanziamento de quo non potrà mai ledere i diritti dei creditori chirografari, che sono di rango “inferiore”, atteso che costoro non potranno lamentarsi del fatto che il privilegiato, che di regola avrebbe diritto ad essere soddisfatto immediatamente e integralmente, venga tacitato con modalità diluita nel tempo.
La violazione della par condicio creditorum potrà invece configurarsi nel caso in cui la rateizzazione vada a negare o anche solo ad erodere risorse destinate alle prededuzioni che, nel concordato in continuità aziendale – a cui è dedicata la norma in commento – matureranno fisiologicamente e in quantità considerevole nello sviluppo del piano. E’ quindi a tale fenomeno che l’attestatore dovrà prestare attenzione per certificare la ricorrenza di tale requisito voluto dal legislatore, assicurando che la rateizzazione, nello specifico, non penalizzi la soddisfazione delle stesse.
Senonchè, per poter giungere a tale affermazione egli dovrebbe poter contare su un piano di concordato completo e formato nei suoi dettagli. Aspetto che ricorrerà sicuramente se l’istanza verrà avanzata contestualmente al deposito della proposta “piena”, ma non anche laddove la stessa dovesse essere avanzata nella fase prenotativa.
In questo caso, pertanto, sarà indispensabile che nell’istanza del debitore compaiano (laddove non presenti già nella domanda di accesso alla procedura) delle anticipazioni del piano concordatario, le “idonee informazioni sul contenuto del piano” che il legislatore richiede, ad esempio, per il rilascio delle autorizzazioni per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione (art. 46, comma 2, CCII)[13].
Non vi è dubbio che con il comma 2 dell’art. 100 CCII si è inteso per lo più rispondere alle esigenze, già avvertite in passato, di dover far fronte immediatamente e in unica soluzione al debito per mutui ipotecari a suo tempo concessi, divenuti esigibili in virtù dell’applicazione dell’art. 55, comma 2, L. fall. anche alla procedura di concordato preventivo per via del richiamo operato dall’art. 169 L. fall.
E’ infatti noto che, nell’opinione tradizionale, il mutuo non può annoverarsi tra i contratti pendenti, in quanto, dopo la sua erogazione, gli obblighi che residuano sono solo quelli che fanno capo al mutuatario, avendo il finanziatore già assolto la sua obbligazione principale [14].
La risposta del legislatore del CCII a simili problematiche è chiara: viene introdotta con il comma 2 dell’art. 100 una “disposizione innovativa ed eccezionale” (in questi termini si esprime la Relazione Illustrativa) che realizza una “deroga al disposto dell’articolo 154, comma 2” ovviando a quella immediata esigibilità del credito che avrebbe altrimenti impedito la conservazione della rateizzazione.
Una risposta calibrata sulla base delle esperienze del passato, dove appunto il mantenimento del piano di ammortamento del mutuo fondiario sull’opificio sede dell’attività produttiva (per citare un esempio frequente), rappresentava un ostacolo difficilmente sormontabile nella ristrutturazione, se non attraverso l’utilizzo di strumenti negoziali atipici quali i cd. patti paraconcordatari, sulle cui caratteristiche e peculiarità torneremo nella parte finale del presente contributo.
Resta il fatto che la disposizione dell’art. 100, comma 2, CCII rappresenta sicuramente un importante strumento messo a disposizione del debitore, che gli consente di ottenere unilateralmente - si noti tale aspetto - un beneficio che dovrebbe altrimenti negoziare direttamente con il creditore e che, quindi, trova (troverà) una risposta alle sue esigenze di flessibilità.