Loading…

Il trustee sovraindebitato

Annapaola Tonelli, Avvocato in Bologna

23 Giugno 2025

La riforma che ha interessato dal 2019 il diritto fallimentare, oggi denominato diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ha permesso anche alle persone o enti sovraindebitati che versino in stato di insolvenza civile e, come tali, prive dei requisiti di legge per accedere alla liquidazione giudiziale, di avviare una procedura di sovraindebitamento che permetta loro di esdebitarsi e trovarsi in una posizione di fresh start. È di interesse allora verificare se a tale procedura possa teoricamente accedere il trustee di un trust non commerciale che non abbia nel fondo in trust un attivo sufficiente a soddisfare le obbligazioni contratte.  
Riproduzione riservata
1 . Le novità introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII)
Il diritto fallimentare ha subito una radicale riforma dal 2019[1], non solo nella denominazione, chiamandosi oggi diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ma anche nei suoi stessi principi. 
L’ intento perseguito dal legislatore, sulla scorta delle direttive comunitarie, è quanto mai evidente, avendo valorizzato i rapporti negoziali fra impresa e creditori, al fine di preservare le imprese che, nonostante situazioni di crisi o insolvenza, risultino potenzialmente capaci di rimanere sul mercato, mantenendo posti di lavoro. L’impresa insolvente non ha più quindi quale unico approdo la liquidazione giudiziale, avendo la riforma relegato il concorso ad extrema ratio al quale ricorrere nel solo caso in cui l’impresa non possa più recuperare continuità, non risultando più appetibile e dunque incapace di presentare ai suoi creditori un progetto di risanamento strutturato e credibile[2]. Ne consegue una collocazione decentrata dei creditori rispetto al ruolo di attore principale che la legge fallimentare riconosceva loro. 
Il legislatore ha in tal modo perseguito l’obiettivo di permettere alle imprese sanabili di approdare ad una condizione di fresh start che le possa consentire, essendosi liberata del debito o comunque avendolo negoziato con i creditori, di rimettersi produttivamente in gioco. 
In questo contesto, il legislatore ha ritenuto opportuno estendere il medesimo beneficio anche a tutti gli enti o persone fisiche insolventi ma non fallibili (in stato di cosiddetta “insolvenza civile”) che, prima della riforma, non trovavano nell’ordinamento alcuna possibilità di affrancazione, rimanendo in uno stato di limbo negativo senza via di uscita. 
Dopo la riforma, qualsiasi ente, persona fisica o persona giuridica che versi in stato di crisi o in situazione di insolvenza civile (come tale non fallibile; rectius liquidabile giudizialmente) ha la possibilità di avviare una procedura di “sovraindebitamento” al termine della quale, se ricorreranno determinate condizioni, potrà esdebitarsi e trovarsi in una situazione di fresh start
Se quindi oggi nel nostro ordinamento non esiste teoricamente nessun ente o persona che non possa porre rimedio alla sua situazione di insolvenza civile, è di particolare interesse soffermarsi sull’eventualità che sia un trustee (non commerciale, ossia che non svolga attività di impresa) a trovarsi in tale condizione e, di conseguenza, verificare se possa avviare o essere destinatario di una procedura di sovraindebitamento. La questione, infatti, potrebbe divenire concreta, avendo notizia di casi reali di trustee sovraindebitati che non sanno come porvi rimedio.
2 . Il presupposto soggettivo e oggettivo nelle procedure di sovraindebitamento
Il legislatore subordina l’accesso al sovraindebitamento alla ricorrenza, in capo al debitore, di un presupposto soggettivo e di uno oggettivo rispetto ai quali, mentre il secondo può dirsi di facile soluzione anche in relazione ad un trustee, più delicata risulta la valutazione sulla sussistenza del presupposto soggettivo. 
2.1 . Il presupposto soggettivo
La norma da prendere in esame è l’art. 2 la lett. c) CCII che, nel definire cosa si intenda con sovraindebitamento, individua i soggetti che possono accedervi: “sovraindebitamento: lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative di cui al decreto legge… e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”. 
Tuttavia, prima di verificare se un trustee possa rientrare in una delle categorie enunciate dalla norma, c’è un nodo preliminare da sciogliere, rappresentato dalla carenza di soggettività giuridica dei trust, principio proprio al diritto dei trust e confermato più volte dalla Corte di Cassazione[3], al fine di stabilire se detta carenza possa costituire ostacolo all’accesso del trustee al sovraindebitamento. 
Un autore, ragionando in tema di ristrutturazione dei debiti del consumatore, ha escluso la possibilità per il trustee di accedere a questo strumento di regolazione della crisi in quanto, trattandosi di procedura rivolta alle sole persone fisiche, le uniche che possano definirsi consumatori[4], per gli effetti risulta preclusa la sua applicazione ai patrimoni separati (quali il fondo patrimoniale) o segregati (quali i trust) in quanto privi di soggettività giuridica[5]. 
A nostro parere l’impossibilità per il trustee di accedere alla procedura prevista per il consumatore dipende da motivazioni diverse, che tratteremo nel § 3.1, che non dipendono dalla carenza di soggettività giuridica dei trust
Pertanto, in assenza di precedenti giurisprudenziali o di contributi della dottrina che abbiamo trattato la fattispecie dei trust, in rapporto al sovraindebitamento, non possiamo che attenerci ad un ragionamento logico che tragga spunto dalle caratteristiche specifiche dei trust e del trustee
Il focus della questione si incentra sull’impropria terminologia in uso nella prassi che suole riferirsi ai “creditori del trust”, ovvero ai “debiti del trust”, così inducendo a ritenere che il trust sia il debitore e non il trustee
Occorre per contro un intervento di sistema a monte, volto a correggere l’errata espressione in quanto foriera di inaspettate conseguenze pratiche, potendosi parlare esclusivamente di “creditori del trustee” ovvero di “debiti del trustee”, non potendo il trust essere debitore di nulla, come recentemente ribadito anche dalla giurisprudenza[6] 
A sostegno di questa tesi poniamo le fondamenta dei trust, richiamando i precetti del diritto dei trust, le norme della Convenzione e, infine, la corretta applicazione che di questi principi ne hanno fatto i giudici italiani di merito e legittimità. 
Non vi è dubbio, infatti, che il trustee sia il proprietario formale e sostanziale dei beni in trust mentre, l’effetto della separazione patrimoniale che il trust ha prodotto, fra il patrimonio personale del trustee e quello in trust, non inficia né limita in alcun modo i diritti e gli obblighi che la legge riconosce al proprietario di beni, ricomprendenti il potere di contrarre obbligazioni e rispondere del loro inadempimento. 
Questo principio, proprio delle leggi del modello internazionale, presenta una differenza esclusivamente per la legge inglese, strettamente limitata alla garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori posto che, per il diritto inglese, il trustee risponde personalmente delle obbligazioni che ha contratto. Tuttavia, anche per la legge inglese, i creditori personali del trustee non hanno azione diretta sul fondo in trust, subendo anch’essi gli effetti della segregazione dei beni in trust
Non si sposta quindi il fulcro del problema, rimanendo intonso in diritto dei trust, il presupposto iniziale, rappresentato dal fatto che, in ogni caso, a prescindere dalla legge regolatrice dello specifico trust, il debitore, per obbligazioni riferibili ai beni in trust, è sempre solo il trustee
Passando all’art.11 della Convenzione, la norma non lascia dubbi a riguardo: se non c’è segregazione, non c’è trust e non si riscontra nel testo della norma alcuna incertezza che possa aprire il varco ad un’interpretazione degli effetti segregativi in misura attenuata rispetto a quella che gli è propria. 
La sola differenza, rispetto al proprietario civilistico, è l’ambito di azione, potendo i creditori del trustee agire in via esecutiva solo a carico dei beni in trust
Del resto l’effetto segregativo del fondo in trust è opponibile a tutte le persone coinvolte. Lo è infatti: i) per i creditore personali del  trustee, ai quali è precluso il soddisfacimento sui beni in trust; ii) per i creditori del  trustee, che possono soddisfarsi solo sui beni in trust; iii) per i creditori dei beneficiari, che possono escutere i beni in trust solo dal momento in cui diverranno di loro proprietà o, in limine, surrogarsi in una posizione beneficiaria quesita, ossia configurante un diritto certo, liquido ed esigibile del beneficiario verso il  trustee; iv) per i creditori del disponente che, non trovando più capienza nel patrimonio del debitore, possono esclusivamente agire in revocatoria. 
Solo ragionando in questi termini si può correttamente interpretare l’effetto segregativo che il trust produce, non potendosi certo qualificare come una semi-segregazione che, ad esempio, neghi il diritto al soddisfacimento in capo ai creditori del trustee. Di conseguenza, non si può del pari affermare che il diritto di proprietà del trustee sia solo formale e non sostanziale, dal che escludere che egli possa essere identificato nel debitore effettivo. 
L’avvento del trust nel nostro ordinamento non ha infatti creato né un “nuovo diritto di proprietà” né una “nuova tipologia di creditori”, avendo semplicemente permesso la venuta ad esistenza di un patrimonio segregato, ex lege sottratto ai creditori personali del trustee
La norma di riferimento è l’art. 2740 c.c. che, se per un verso limita la responsabilità per debiti personali del trustee, ai soli beni di sua personale proprietà, lasciando indenne i beni in trust, per contro identifica nei beni in trust, la garanzia patrimoniale universale a disposizione dei creditori del trustee
Un esempio elementare può essere di aiuto. 
Pensiamo al caso di Caio che risulti personalmente proprietario di un appartamento in Milano e di un conto corrente acceso presso la Banca Alfa e che, del pari, risulti anche proprietario, in qualità di trustee del trust denominato “Agorà”, di un appartamento in Roma e di un contro corrente acceso presso la Banca Beta. I beni dei quali Caio è proprietario in qualità di trustee saranno pertanto intestati, presso la Conservatoria romana, e presso la Banca Beta, a nome di Caio in qualità di trustee del trust Agorà. 
Caio non paga, né le spese condominiali dell’appartamento in Milano, né quelle relative all’immobile in Roma. 
Vengono quindi ad esistenza due categorie di creditori: i creditori personali di Caio e i creditori di Caio in qualità di trustee ma nessuno, si ritiene, possa avere dubbi sull’ eguaglianza dei diritti riconosciuti dalla legge ad entrambe le categorie di creditori, risultando diverso il solo ambito di escussione. 
La questione può esclusivamente intendersi in questi termini e vie interpretative diverse, che argomentino dalla carenza di soggettività del trust, sarebbero un errore. Il diritto dei trust ne uscirebbe infatti stravolto e, con esso, anche la Convenzione che esige, quale unico effetto, la venuta ad esistenza di un patrimonio separato, rispetto al patrimonio personale del trustee
Questo approdo del ragionamento risulta altresì coerente con la struttura del Codice della crisi, incentrata nel soggetto-debitore e non sul suo patrimonio e che trova, nel sovraindebitamento, una delle massime espressioni. 
Del resto, se si aderisse per un momento alla tesi del “trust debitore”, dal che l’impossibilità di accedere agli strumenti di regolazione della crisi, per carenza di soggettività giuridica, si darebbe luogo ad un evidente corto circuito rispetto al trustee, soggetto di diritto titolare, non solo dei beni in trust, ma anche della piena legittimazione ed interesse ad agire. Il trustee, infatti, se può citare in giudizio o in esso difendersi, se può vendere o comprare beni, se può decidere se dare o non dare ai beneficiari, può del pari contrarre debiti ed essere chiamato a risponderne come qualsiasi altra persona o ente. 
Allorquando i trust cominciarono ad affacciarsi nel nostro ordinamento, una delle ragioni principalmente addotte dalla dottrina contraria al riconoscimento dell’istituto, consisteva nella violazione del principio della riserva di legge espresso nel comma 2 dell’art. 2740 c.c. ai sensi del quale, le limitazioni al principio della garanzia patrimoniale universale del debitore possono essere solo di fonte legislativa. Per gli effetti, sosteneva detta dottrina, mancando una legge nazionale che avesse permesso la venuta ad esistenza di un patrimonio separato, rispetto a quello personale del trustee, la segregazione prodotta dai trust risultava contraria alla norma di ordine pubblico. Aderendo a quella che fu la prima posizione espressa dal tribunale di Bologna nel 2003, che contestava in radice detta argomentazione, nei decenni successivi si è consolidata l’identificazione, nella legge n. 364/1989 di ratifica della Convenzione, la fonte che, nel rispetto della riserva di legge, ha permesso la deroga all’art. 2740 in relazione al trustee
In ragione di ciò, non si può oggi sbrigativamente ascrivere alla segregazione del patrimonio in trust, effetti diversi da quelli che, ex lege, detta segregazione produce, a pena di introdurre nel nostro ordinamento forme di segregazione “diverse”, rispetto a quelle legislativamente previste. 
Il tentativo di tracciare una via di accesso al sovraindebitamento, per i trust, che si fondi sull’esistenza di un patrimonio incapiente, “soggettivizzando” il fondo in maniera indiretta, trova smentita non solo in una recente decisione di legittimità[7] ma anche richiamando una fattispecie del nostro ordinamento. 
Partendo dalla decisione della Corte di Cassazione, la vicenda ha ad oggetto la validità della trascrizione nei pubblici registri immobiliari di un pignoramento trascritto contro il trust e non contro il trustee
Il giudice del merito aveva sostenuto la validità di tale trascrizione, sostenendo che la carenza di soggettività giudica del trust non inficiava la formalità pubblicitaria, richiamando per analogia le trascrizioni in favore dei fondi comuni di investimento immobiliari e del condominio, entità prive di soggettività giuridica. Il giudice aveva altresì ricordato la soggettività tributaria dei trust, ritenendola un presupposto ulteriore che confermava la validità della trascrizione eseguita. La Cassazione ha rigettato queste argomentazioni, dichiarando le formalità pubblicitarie a nome del trust radicalmente nulle e precisando come la soggettività tributaria a nulla rilevi, essendo la soggettività giuridica qualifica rimessa al solo legislatore[8]. A seguire la Corte ha ricordato come sussista una norma speciale che consente la formalità pubblicitaria a nome del condominio mentre, per i fondi immobiliari, ha evidenziato come gli atti traslativi aventi ad oggetto immobili in esso ricompresi, vadano trascritti a nome del proprietario del fondo e non certo del fondo. 
Sebbene tali argomentazioni siano già esaustive, l’impossibilità di “soggettivizzare indirettamente” un’entità che ne è priva, trova ulteriore conferma anche richiamando una fattispecie del nostro ordinamento, l’eredità giacente che, al pari del trust, è priva di soggettività giuridica. 
Ritenuta sin dalla giurisprudenza più datata un patrimonio separato[9], l’eredità giacente ha rappresentato per i giuristi una questione dibattuta, stante la difficoltà di conciliare la sopravvivenza dei rapporti giuridici ad essa riferibili, con l’assenza di un successore mortis causa.; si è parlato infatti di “patrimonio senza titolare”[10]. In ragione di ciò, il curatore dell’eredità giacente, che ha il compito di liquidare i beni e soddisfare i creditori del de cuius, è stato, qualificato dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite[11], come un ausiliario del giudice, esprimendo un principio di diritto confermato dalla Corte Costituzionale[12]. 
Tale fattispecie, quindi, in nessun modo potrà analogicamente richiamarsi rispetto al trust perché, all’esistenza di un elemento che le accumuna, la carenza di soggettività giuridica, ne sussiste uno a monte che le differenzia sostanzialmente: i beni in trust hanno un proprietario che gode di tutte le posizioni soggettive previste dalla legge; l’eredità giacente non ce l’ha e potrebbe non averlo mai. Per queste ragioni, la procedura di liquidazione dei beni oggetto dell’eredità giacente, rimessa ex lege al curatore in veste di ausiliario del giudice, si fonda su presupposti giuridici del tutto diversi rispetto al trust, oltre ad essere prevista da norme speciali del codice civile, gli artt. 428 e ss, che non esistono per i trust
Sussistono invece nell’ordinamento particolari forme di autonomia o separazione patrimoniale, fra due masse appartenenti alla medesima persona, che hanno fonte da una norma di legge, non potendo tali situazioni avere fonte in un negozio privatistico a pena di nullità per violazione del comma 2 dell’art. 2740 cc. 
Partendo dalle norme in materia di successione, l’art. 490 c.c., che disciplina gli effetti derivanti dall’ accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, fa in concreto venire ad esistenza due masse distinte di beni, di proprietà della medesima persona: l’una di Caio a titolo di erede, perché presupposto della norma è che abbia previamente accettato l’eredità, pur essendosi avvalso del beneficio di inventario, e l’altra sempre di Caio, a titolo personale, in quanto composta da beni di sua proprietà ante apertura della successione. 
Autorevole dottrina ha rappresentato la difficoltà dei giuristi a “spiegare come potessero sussistere due patrimoni separati facenti capo allo stesso soggetto”, stante la concezione di patrimonio unitario, e quindi unitaria garanzia patrimoniale per i creditori, concetti dei quali il nostro ordinamento è pervaso. L’autore conclude affermando che la giustificazione della limitazione di responsabilità, derivante dalla sussistenza dei due patrimoni separati possa: “raggiungersi solo ammettendo che sussistano ‘patrimoni separati’ e quindi una separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede. L’erede diviene titolare di due masse patrimoniali distinte: quella dei beni personali riservata alla sola soddisfazione dei creditori personali e quella dei beni ereditari aggredibile da ogni creditore anche se, nel concorso fra i creditori personali e quelli ereditari, quest’ultimi hanno preferenza (art. 490, comma 2, n. 3 cc) ... in ragione di tale diversa disciplina in tema di responsabilità, le due masse di beni sono tenute per legge separate. La separazione dei patrimoni, dunque, è il mezzo con il quale si realizza la limitazione di responsabilità dell’erede beneficiato, prevista dall’art. 490 cc e ammessa, più in generale, dall’art. 2740, comma 2 cc” [13]. 
Pensando poi al contesto societario, l’art. 2304 c.c., in tema di società in nome collettivo, posterga il diritto dei creditori della società a soddisfarsi sul patrimonio personale del socio, alla preventiva escussione del patrimonio sociale mentre, l’art. 2305 c.c., non consente al creditore personale del socio di chiedere la liquidazione della quota sociale di proprietà del debitore, fintanto che la società “dura”. 
Negli esempi dell’eredità beneficiata e della società in nome collettivo, rimane ferma la responsabilità per i debiti in capo rispettivamente al de cuius o al socio, cambiando solo l’ambito di escussione per i creditori mentre, nel caso dell’eredità giacente, dove si è in presenza di un “patrimonio senza titolare”, una norma ad hoc ne disciplina gli effetti rispetto ai creditori del de cuius. 
È altresì interessante rammentare come esista nel nostro ordinamento un’altra norma speciale, quella riferibile ai patrimoni destinati ad uno specifico affare, artt. 2447 bis e ss c.c., che, come evidenziato dalla dottrina, sono “un segmento ulteriore della traiettoria che va nella direzione della ‘specializzazione della responsabilità patrimoniale’, invertendo il senso della regola che chiama a rispondere il debitore con tutti i suoi beni”[14]. 
Il Codice della crisi, agli artt. 262 e ss CCII, indica le modalità liquidatorie dei beni ricompresi nel patrimonio destinato e sebbene sia una fattispecie che non potrà mai interessare il sovraindebitamento, il percorso tracciato dal legislatore si fonda su presupposti di diritto che sussistono anche nel trust
Sia i patrimoni destinati ad uno specifico affare, sia i trust: i) sono patrimoni segregati di proprietà della medesima persona, la società nel caso del patrimonio destinato, il trustee, per i beni in trust; ii) tale segregazione, che deroga all’art. 2740, comma 1 c.c., è legittimata dalla legge (artt. 2447 bis e ss c.c. e l. n. 364/1989; iii) sono privi di soggettività giuridica; iii) possono avere creditori aventi titolo da obbligazioni contratte rispettivamente dalla società o dal  trustee; iv) la garanzia per i creditori del patrimonio è rappresentata dai beni che lo compongono mentre la garanzia per i creditori del trust è costituita dai beni in trust
A queste caratteristiche comune se ne aggiunge un’ulteriore. 
Qualora l’organo amministrativo della società, alla quale appartiene il patrimonio destinato, abbia commesso illeciti, l’art. 2447 quinquies fa discendere la responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte, con l’effetto di permettere ai creditori generali, ossia della società, di escutere anche il patrimonio destinato[15]. Del pari accade per il trust atteso che laddove il  trustee risulti aver commesso breach of trust, fra le quali, ad esempio, aver confuso il patrimonio in trust con il suo personale, i creditori potranno soddisfarsi anche sul suo patrimonio personale e non solo su quello in trust
Una questione differenzia invece le due fattispecie. 
Nel caso dei patrimoni destinati, la titolarità del patrimonio sociale e del separato patrimonio destinato fa capo al medesimo soggetto: la società. Da ciò, stante la carenza di soggettività giuridica del patrimonio, l’impossibilità per il patrimonio destinato di essere autonomamente sottoposto a procedura concorsuale[16]. 
Per contro in materia di trust, la questione è del tutto diversa atteso che il proprietario del fondo in trust, sig Caio, lo è in quanto trustee del trust Alfa: titolo giuridico del tutto diverso rispetto a quello che gli spetta con riferimento ai suoi beni personali. 
La circostanza è dirimente e la fattispecie del trust autodichiarato lo dimostra con chiarezza. 
Nel trust autodichiarato, trustee e disponente sono la medesima persona. Ciò avviene quando un disponente, che chiameremo Caio, decida di destinare parte dei suoi beni alla finalità esplicitata nel trust Alfa, che istituisce e del quale si dichiara trustee. Dal lato pratico i beni che Caio destina al trust Alfa mutano il titolo giuridico: l’immobile viene trascritto nei Pubblici registri immobiliare a favore di Caio, nella sua qualità di trustee del trust Alfa, così per le partecipazioni iscritte nei Pubblici registri, per i rapporti bancari e persino per i beni mobili non soggetti a pubblicità, dovendo comunque Caio dichiararsene trustee in un atto scritto avente data certa. 
Nelle società con patrimoni di destinazione questo non avviene, rimanendo i beni che lo compongono di proprietà della società seppur destinati in un fondo autonomo. 
Da tale premessa deriva proprio l’impossibilità per la società di sottoporre ad autonoma liquidazione giudiziale il coacervo di beni che ha fatto confluire nel patrimonio destinato, mentre tale presupposto viene del tutto meno con riferimento a Caio che, soggetto di diritto, possiede una massa a titolo di trustee ed altra massa a titolo personale. 
In conclusione, le fattispecie civilistiche qui esaminate: eredità giacente, eredità beneficiata, società in nome collettivo e patrimoni destinati ad uno specifico affare hanno legittimazione nella legge, rispetto alla quale tertuim non datur, con l’effetto di destituire ulteriormente qualsiasi argomentazione volta a dare alla segregazione prodotta sul patrimonio del trustee, effetti diversi da quelli previsti dal combinato disposto di cui all’art. 11 della Convenzione, alla legge n. 364/1989 e all’art. 2740 c.c. 
Una riflessione del tutto diversa merita infine menzione. 
Si pensi nuovamente al caso dell’amministratore condominiale creditore che, non avendo trovato altri beni di proprietà del condomino debitore, desista dall’avvio dell’azione esecutiva a carico dell’immobile perché implicante costi e tempi che gli altri condomini non intendono affrontare. 
Oggi, grazie al Codice della crisi, questo creditore trova un soddisfacimento, seppur parziale, nella procedura di sovraindebitamento, essendo a sua disposizione una soluzione alternativa, a tutela dei suoi diritti, rispetto all’avvio dell’esecuzione forzata. Si pensi ora alla medesima situazione nella quale, la sola differenza è data dal fatto che l’immobile è in trust e quindi il debitore del condominio è il trustee
Ragionando in termini costituzionalmente orientati, non vi è chi non veda profili di illegittimità che si presenterebbero qualora si negasse tout court al trustee l’accesso alla procedura di sovraindebitamento, configurandosi un’evidente disparità di trattamento fra il creditore civilistico che ha soddisfacimento dall’ammissione del debitore al sovraindebitamento e il creditore del trustee che, solo perché il suo debitore appartiene a questa categoria, non trova nell’ordinamento la medesima tutela.
2.2 . Il presupposto oggettivo
Il presupposto oggettivo ricorre allorquando il debitore versi in una situazione di crisi o di insolvenza. 
Ci viene a riguardo in aiuto il Codice della crisi che, all’art.2, definisce testualmente entrambe le fattispecie. In particolare, la lett. a) del citato articolo individua la crisi come: “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”. A seguire, la lett. b) definisce l’insolvenza nello: “stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri atti esteriori, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. 
Si può quindi ritenere che il trustee che si trovi in una delle menzionate situazioni assolva il presupposto oggettivo, trattandosi in concreto di una pura valutazione economico-finanziaria che si incentra sulla capacità, o incapacità, del trustee di assolvere le obbligazione contratte in rapporto ai flussi di cassa e all’attivo esistente nel fondo in trust
3 . Le procedure di sovraindebitamento possibili per il trustee
Il Codice della crisi prevede tre strumenti di regolazione della crisi nel contesto del sovraindebitamento: la ristrutturazione dei beni del consumatore, di cui agli artt.67 e ss, il concordato minore, artt.74 e ss e la liquidazione controllata del sovraindebitato, artt. 268 e ss. 
3.1 . La ristrutturazione dei beni del consumatore
L’art. 2 lett. e) CCII definisce consumatore: “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale ...”, autorizzandoci quindi ad escludere in via preliminare la possibilità per i trustee professionali, aventi forma societaria, di accedere a detta procedura. 
Rimane quindi da verificare se possa usufruirne il trustee persona fisica. 
Come detto al § 2.1, la dottrina[17] ha ritenuto che il trustee non possa accedere al piano del consumatore in quanto, trattandosi di procedura rivolta alle persone fisiche, le sole che possano definirsi consumatori[18], ne è preclusa l’applicazione ai patrimoni separati in quanto privi di soggettività giuridica. 
Per le ragioni già esposte, siamo propensi a ritenere che la carenza di soggettività giuridica dei trust non possa essere la scriminante da prendere in considerazione, dovendosi invece concentrare sulla natura delle obbligazioni assunte da un trustee, rispetto a quelle riferibili a qualsivoglia consumatore. 
Il trustee, a prescindere dall’essere persona fisica o giuridica, esercita un ufficio e contrae obbligazioni che, a monte, hanno titolo dall’obbligazione fiduciaria conferitagli dal disponente e che ha accettato di assumere nell’interesse dei beneficiari o per il conseguimento dello scopo del trust
Questo assunto rimane immutato anche in caso di ufficio svolto a titolo gratuito, non facendo venir meno, la gratuità dell’ufficio, il rapporto fiduciario che lega il trustee al disponente e ai beneficiari. Si tratta quindi di un contesto del tutto diverso da quello nel quale versi qualsiasi consumatore che contrae obbligazioni di natura esclusivamente consumeristica. 
È di conforto a questa tesi un’ulteriore considerazione. 
Mentre nei confronti del trustee che contragga irresponsabilmente debiti, possono agire i beneficiari del trust, facendo valere rimostranze a tutela delle loro posizioni beneficiarie, per contro nessuno può agire contro irragionevoli scelte del consumatore, se non i creditori per recuperare i loro crediti. 
In conclusione, si ritiene che il particolare ufficio che caratterizza l’attività di qualsivoglia trustee renda impossibile ascrivere, alle obbligazioni dal medesimo assunte, una connotazione consumeristica.
3.2 . Il concordato minore
Il concordato minore ha veste negoziale, ossia è un accordo “a contenuto libero” che il debitore propone ai creditori e che prevede la soddisfazione dei crediti in via parziale. La procedura, che passa per il vaglio del gestore della crisi da sovraindebitamento, se approvata dai creditori con i quorum decisionali indicati dal legislatore, è infine omologata dal tribunale con sentenza[19]. 
L’ art.74 CCII consente all’accesso al concordato minore a tutte le categorie di debitori di cui all’art.2, comma 1 lett. c) ad esclusione del consumatore, risultando quindi possibile sia per i professionisti, sia per la categoria residuale rappresentata da “ogni altro debitore”, secondo un’interpretazione per altro condivisa dalla dottrina [20]. 
Il comma 1 dell’art.74 subordina la domanda di accesso al concordato minore, all’intento del debitore di proseguire nell’attività di impresa o professionale, permettendogli di formulare una proposta ai creditori che, se accolta e poi omologata, gli permetterà l’esdebitazione e la prosecuzione dell’attività; si tratta dell’ipotesi di concordato minore in continuità. 
Escludendo l’opzione della prosecuzione dell’attività di impresa, estranea ai trust non commerciali, se si accolgono le conclusioni raggiunte in punto alla ricorrenza del presupposto soggettivo in capo al trustee, il trustee professionale persona fisica potrà accedere al concordato minore in continuità. 
Sul fronte invece dei trustees professionali che esercitano la funzione in forma societaria, la questione è più delicata ed obbliga ad una verifica del perimetro entro il quale un’attività possa intendersi come “professionale” posto che nelle definizioni che ci fornisce il legislatore all’art. 2 CCII, non vi è quella di specie. Viene quindi spontaneo chiedersi se la norma si riferisca solo alle attività proprie delle professioni intellettuali di cui agli artt. 2229 c.c. o se la si possa interpretare in senso più ampio. 
La dottrina si è espressa in favore di una interpretazione della fattispecie non limitata ai soli “professionisti collegiati”, ossia appartenenti ad un ordine o ad un collegio professionale[21], aprendo un varco che potrebbe risultare utile. 
A nostro parere l’attività professionale di trustee di trust non commerciali, anche se esercitata in forma societaria, non può confondersi con l’attività d’impresa ascrivibile alla società trustee che, per l’appunto, svolge tale attività ricompresa nel suo oggetto sociale in chiave imprenditoriale, nei confronti dei suoi clienti. Difatti, qualora la società che svolga la funzione di trustee, risultasse in stato di crisi o di insolvenza, nessuno avrebbe dubbi sulla natura commerciali delle obbligazioni assunte, con conseguente accesso alla liquidazione giudiziale ovvero, se impresa sotto soglia, alla liquidazione controllata. 
Se si aderisse a tale impostazione allora anche il trustee che esercita la funzione in forma societaria potrebbe proporre un concordato minore in continuità e possa quindi proporre ai creditori un piano volto a permettere, se omologato, la prosecuzione dell’attività professionale di trustee dello specifico trust in questione. 
In alternativa al concordato minore in continuità, il comma 2 dell’art.74 prospetta il concordato minore liquidatorio, esperibile solo quando “è previsto l’apporto di risorse esterne che incrementino in misura apprezzabile l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda”. 
Ne consegue la possibilità di accesso a tale procedura sia per il trustee persona fisica professionista sia, se si conviene con le ragioni sopra esplicitate, per il trustee che eserciti la funzione in forma societaria, rimanendo comunque aperto l’accesso anche in forza dell’appartenenza del trustee alla categoria residuale individuata in “ogni altro debitore” di cui alla lett. c) dell’art.2.
3.3 . La liquidazione controllata
Modulata sulla falsa riga della liquidazione giudiziale (ossia il vecchio fallimento) la liquidazione controllata può avviarsi, su istanza al tribunale del luogo di residenza del debitore, promossa: sia dal debitore, sia da un creditore purché, se la domanda è formulata dal creditore, il debitore versi in stato di insolvenza e l’indebitamento per debiti scaduti e non pagati non sia inferiore ad euro cinquantamila[22]. Il Tribunale adito, dopo aver raccolto il parere del gestore della crisi da sovraindebitamento[23], decide con sentenza, nominando contestualmente il liquidatore. 
L’analogia con la liquidazione giudiziale è evidente essendo previsto, anche nel contesto della liquidazione controllata, la formazione dello stato passivo in ragione delle domande di ammissione presentate dai creditori e l’approvazione del programma di liquidazione, proposto dal liquidatore, da parte del Giudice Delegato. La prassi è consolidata nel ritenere che la durata massima della liquidazione controllata sia di tre anni, durante i quali il debitore rimane soggetto al controllo pregnante del liquidatore che, dopo aver incamerato tutto l’attivo esistente e i redditi che si fossero medio tempore prodotti, liquida i beni e ne distribuisce il ricavato ai creditori ammessi al passivo, secondo criteri di par condicio. 
Ritenendo sussistente il presupposto soggettivo in capo al trustee, non si ravvisano ragioni per le quali il medesimo non possa accedere alla liquidazione controllata. 
Ciò avverrà quando il trustee in stato di insolvenza non intenda proseguire nell’attività professionale, e quindi escluda il concordato minore in continuità o terzi non gli abbiano fornito le risorse per il concordato minore liquidatorio. 
La liquidazione controllata produrrà l’effetto, non solo di permettere ai creditori insoddisfatti di incassare un quantum che in qualche modo li soddisfi ma, circostanza più importante, produrrà per il trustee l’effetto di liberarsi di un coacervo di beni che gravano sulle spalle e sui quali maturano solo debiti.
4 . Il ruolo dei beneficiari, del trustee, del guardiano e del disponente
Rispetto alle due procedure possibili per il trustee sovraindebitato, un ruolo in ogni caso determinante spetta indubbiamente ai beneficiari. 
La posizione giuridica dei beneficiari, rispetto al trustee, anche se con connotazione diverse fra loro, è quella di creditori del trustee[24]; principio del diritto dei trust confermato anche dalla Corte di Cassazione[25]. 
Per meglio dire, se è vero che certamente si può essere in presenza di beneficiari titolari di posizioni beneficiarie del tutto contingent, e quindi di mera aspettativa, per contro si possono trovare beneficiari con posizioni quesite, vested, e quindi titolari di precisi diritti di credito verso il trustee, sino a risultare certi, liquidi ed esigibili. 
Calando questo assunto nel contesto del Codice della crisi, si può ritenere che i beneficiari con posizioni quesite abbiano la legittimazione e l’interesse a chiedere giudizialmente l’apertura della liquidazione controllata nei confronti del trustee, a fare domanda di insinuazione al passivo e a partecipare al concorso in regime di par condicio. Qualora ciò accadesse, il credito dei beneficiari avrà verosimilmente natura chirografaria, stante la tipicità legislativamente prevista dell’ordine dei privilegi. 
Nel contesto invece del concordato, a prescindere dall’essere in continuità o liquidatorio, la questione si prospetta in modo diverso. 
La prima è a monte, ossia ci si deve chiedere se il trustee necessiti dell’autorizzazione preventiva dei beneficiari per avviare la procedura. A questa domanda è difficile dare una risposta precisa, ritenendo che dipenda dal tenore stesso delle clausole dell’atto istitutivo. In via del tutto generale però, in assenza di espressi divieti contenuti nell’atto, a nostro parere il consenso preventivo dei beneficiari non è necessario in quanto li abbiamo qualificati come creditori del trustee. Ciò è tanto vero che poi i beneficiari, al pari degli altri creditori, potranno aderire o meno alla proposta concordataria del trustee con l’effetto, quindi, di renderla impraticabile se il quorum previsto dalla legge non fosse raggiunto. 
Di interesse risulta invece il ruolo che i beneficiari possono direttamente assumere in relazione alla procedura di concordato. 
Nel caso, ad esempio, del concordato minore liquidatorio, di cui al comma 2 dell’art.74 CCII, subordinato, come suddetto, all’apporto di risorse esterne di apprezzabile vantaggio per i creditori, i beneficiari possono assumere decisioni strategiche a seconda dei fini che intendano perseguire. 
Si pensi al caso di beneficiari che abbiano interesse a mettere risorse a disposizione del trustee affinché, conclusosi positivamente il concordato, si pervenga all’ estinzione del trust, scongiurando possibili sopravvenienze passive latenti delle quali abbiano timore. 
Si consideri poi un esempio opposto: è parte del fondo in trust una partecipazione sociale di minoranza dalla quale derivano dividendi che, a fronte dello stralcio del debito esistente, possono giustificare la prosecuzione dell’attività del trustee atteso che, la liquidazione atomistica della partecipazione, non produrrebbe risorse adeguate a soddisfare i creditori. Oppure, il trustee ha avviato un programma di ristrutturazione di un immobile destinato a locazioni turistiche che, se completato, a fronte dello stralcio del debito, giustifica la prosecuzione dell’attività mentre la vendita all’asta liquidatoria nello stato in cui si trova produrrebbe un ricavato meno satisfattivo. 
Nei casi prospettati, i beneficiari potranno alternativamente appoggiare la via concordataria liquidatoria, o in continuità, in ragione di loro scelte personali. 
In una posizione del tutto diversa si trova invece il trustee
In primo luogo, qualora si trovasse coinvolto nella liquidazione controllata, graverà sulla sua testa il timore che il liquidatore ravvisi atti di mala gestio o di confusione patrimoniale fra il patrimonio in trust e il suo personale. Potrebbe infatti risultare giudizialmente accertato, nella causa avviata dal legale della procedura, che trattandosi di azioni configurabili breaches of trust, il trustee divenga costretto a rispondere con il suo personale patrimonio per i danni che ne sono derivati, conformemente anche al diritto dei trust
In simile evenienza, il trustee potrebbe essere indotto alla scelta di tentare la via del concordato minore (nel quale, come suddetto, è preclusa l’azione di responsabilità contro il debitore) di tipo liquidatorio, offrendo di tasca sua la finanza esterna richiesta dal comma 2 dell’art. 74, al fine di scongiurare gli effetti della ben più grave azione di responsabilità che potrebbe essere avviata dal liquidatore. 
Tuttavia, anche in questa ipotesi la centralità dei beneficiari rimane intonsa, potendo i medesimi rifiutare la proposta concordataria ed avviare direttamente la liquidazione controllata, così costringendo il trustee a soggiacere a norme ben più severe. 
Da ultimo il trustee potrebbe risultare anche un creditore, avendo maturato un credito personale che ha titolo dal compenso che gli spetta, insoddisfatto dall’incapienza del fondo. Si tratta invero di un’eventualità del tutto particolare, alla quale non siamo in grado di dare risposte certe ma solo sollevare alcuni quesiti. Si potrebbe in tale ipotesi considerare il trustee come un creditore della procedura ovvero tale qualifica gli sarebbe preclusa dall’essere contemporaneamente debitore e creditore? In caso di risposta positiva, dovrebbe esprimere un consenso al pari degli altri creditori rispetto al contenuto della proposta concordataria ovvero, nella liquidazione controllata, potrebbe insinuarsi al passivo? E in tale ipotesi, sarebbe considerato come una sorta di creditore postergato come avviene per i crediti vantati dai soci della società in liquidazione? 
Il tema è complesso. 
Da ultimo c’è da chiedersi quali siano i poteri o diritti spettanti al disponente e al guardiano di un trust acceduto al sovraindebitamento. 
Il disponente, a nostro parere, a meno che non abbia a sua volta una posizione beneficiaria nel trust o non sia il destinatario di beni al termine di un trust di scopo (e come tale un creditore) non ha alcun ruolo in relazione al sovraindebitamento. Potrà agire se ne ricorrono i presupposti direttamente contro il trustee, a titolo ad esempio risarcitorio in sede civile, ma questa è altra questione. 
Diverso discorso deve farsi per il guardiano. 
Qualora si tratti del guardiano di un trust con beneficiari, l’unico diritto gli potrebbe derivare dall’essere un creditore, avendo diritto ad un compenso non pagatogli dal trustee
Nel trust di scopo, invece, occorre distinguere l’ipotesi che si tratti di un trust caritatevole o non caritatevole, laddove i primi perseguono scopi di pubblica utilità (assimilabili alle nostre fondazioni) e gli altri scopi non benefici (trust in ambito di crisi di impresa, in sostituzione dei patti parasociali, a supporto di operazioni di finanziamento come forma alternativa alle garanzie tipiche etc.). 
Nei casi di trust caritatevole, subentra una norma di legge che destina obbligatoriamente i fondi a particolari enti, anche in caso di cessazione forzosa del trust, sicché il problema non rileva in questa sede. 
Nei casi invece di trust non benefici, risulta difficile riconoscere in capo al guardiano, che non sia personalmente creditore del trustee, la legittimazione che il Codice della crisi riconosce solo al debitore o ai suoi creditori. 
Risulta anche difficile pensare che una clausola ad hoc prevista nell’atto istitutivo, che legittimi il guardiano in caso di crisi a chiedere l’avvio di uno strumento di regolazione della crisi, possa superare il limite legislativo, ma si lascia la strada aperta a diverse conclusioni. 
Volutamente abbiamo concluso queste note con domande e molti dubbi, ai quali non abbiamo la pretesa di fornire risposte o soluzioni precise, a riprova di come si tratti di un terreno ancora tutto da esplorare ma che certamente, a nostro avviso, non tarderà ad affacciarsi nelle aule di tribunale, sussistendo casi di trustee che attualmente non possono far fronte, con l’attivo del fondo, ai debiti contratti.

Note:

[1] 
La riforma che ha interessato il diritto fallimentare ha avuto inizio con il D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, attuativo della L. 19 ottobre 2017, n. 155, con il quale è entrato in vigore il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Nel tempo sono seguiti ulteriori interventi legislativi che hanno interessato la materia, da ultimo il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136. 
[2] 
Sul punto si segnala Trib. Bologna 8 novembre 2022 (in Dirittodellacrisi.it che è stato fra i primi a riconoscere la possibilità, per l’impresa in stato di insolvenza reversibile, di accedere agli strumenti di regolazione della crisi previsti dal Codice della crisi. 
[3] 
L’assenza di soggettività giuridica dei trust è stata recentemente ribadita dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 34075 del 23 dicembre 2024, in www.il- trust-in-italia.it, commentata da D Muritano, Nullità della trascrizione del pignoramento a favore del trust “soggettivizzato” in corso di pubblicazione sulla rivista trust & Attività Fiduciarie, così confermando un principio di diritto già espresso dalla Corte nelle seguenti decisioni: Cass. 27 gennaio 2017 n. 2043, in trusts e attività fiduciarie 2017, pag. 283 con nota di A Di Sapio e D Muritano, “trust” o “trusteenella trascrizione immobiliare (parte I) pag.236; Cass. 20 febbraio 2015 n. 3456 in trusts e attività fiduciarie 2015, p.389; Cass. 9 maggio 2014 n. 10105, con nota di G Fanticini, L’ingloriosa fine del trust liquidatorio istituito dall’imprenditore insolvente: tam quam non esset!, pag. 583; Cass. 22 dicembre 2011 n. n.28363, in trusts e attività fiduciarie 2013, p.280, con nota di A. Tonelli, Sulla soggettività giuridica del  trust e responsabilità del   trustee, p.260. 
[4] 
La Corte di Giustizia, nella sentenza del 14 novembre 2024, ha recentemente stabilito l’impossibilità per i soggetto diversi dalla persona fisica di essere annoverati nella categoria dei consumatori come delineata dalla Dir. 13/1/1993 CEE, tuttavia specificando come possa uno Stato membro derogare a tale precisazione ed ammettere l’accesso alle procedure previste per tale categoria giuridica anche soggetti propriamente diversi dal consumatore come, ad esempio, il condominio. 
[5] 
S. Leuzzi, Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato, in Dirittodellacrisi.it.
[6] 
Trib. Milano 13 aprile 2025 n. 3129. 
[7] 
Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 34075 del 23 dicembre 2024, cit. 
[8] 
In questo senso si è espressa anche la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1826 del 20 gennaio 2022, in www.il- trust-in -italia.it, affermando come a nulla rilevasse la soggettività tributaria rispetto alla sua carenza di soggettività giuridica. 
[9] 
Cass. 14 agosto 1952, n.2517 in Foro.it, 1952, I pag. 1372. 
[10] 
G. Bonolini, La successione ereditaria, in Trattato di diritto sulle successioni e donazioni, 2009, I, pag. 1261. 
[11] 
Cass. Sez. Un. 21 novembre 1997 n. 11619 in Giust. Civ., 1998, I, pag. 36. 
[12] 
Corte. Cost. 30 aprile 2021 n. 83. 
[13] 
G. Bonolini, cit. 
[14] 
M. Alberti cit. 
[15] 
M. Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, 2023, 7° ed., sub art. 262 CCII, pag. 20058. 
[16] 
A. Caiafa, Nuovo diritto delle procedure concorsuali, 2006, pag. 177. 
[17] 
S. Leuzzi, Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato, cit. 
[18] 
La Corte di Giustizia, nella sentenza del 14 novembre 2024, ha recentemente stabilito l’impossibilità per i soggetti diversi dalla persona fisica di essere annoverati nella categoria dei consumatori come delineata dalla Dir. 13/1/1993 CEE, tuttavia specificando come possa uno Stato membro derogare a tale precisazione ed ammettere l’accesso alle procedure previste per tale categoria giuridica anche soggetti propriamente diversi dal consumatore come, ad esempio, il condominio. 
[19] 
Artt. 74 e ss CCII. 
[20] 
Sulla concreta possibilità di accesso al concordato minore da parte di tutte le categorie di debitori menzionate all’art. 2, comma 1 lett. c) ccii, ad esclusione del consumatore, si esprime favorevolmente anche la dottrina. A Crivelli, Concordato minore e concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it con riferimento al presupposto soggettivo legittimante l’accesso alla procedura de qua: “La prima questione che si pone è proprio inerente all’aspetto soggettivo, laddove ci si domanda se, oltre al professionista ed all’imprenditore minore, possa estendersi il ricorso all’istituto anche di altri soggetti, diversi ovviamente dal consumatore, espressamente escluso.  In effetti, avuto riguardo al testo dell’art. 74, CCII, che fa riferimento espresso all’art. 2, lett. c), CCII, sembrerebbe di sì. 
[21] 
A. Crivelli, Concordato minore e concordato preventivo, cit. 
[22] 
Artt. 268 e ss CCII. 
[23] 
Nella liquidazione controllata, la relazione del gestore della crisi da sovraindebitamento è prevista nel solo caso in cui l’accesso alla procedura dipenda da istanza del debitore. Nel caso invece di domanda proposta dal creditore, il tribunale decide direttamente, senza che sia necessaria la detta relazione. 
[24] 
M. Lupoi, Istituzioni di diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, 2023, VI ed, pag.142. 
[25] 
Cass. n.8719 del 30 marzo 2021, in Riv. Giur. Trib., 2021, 8-9, p. 691. 

informativa sul trattamento dei dati personali

Articoli 12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR)

Premessa - In questa pagina vengono descritte le modalità di gestione del sito con riferimento al trattamento dei dati personali degli utenti che lo consultano.

Finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali - Per tutti gli utenti del sito web i dati personali potranno essere utilizzati per:

  • - permettere la navigazione attraverso le pagine web pubbliche del sito web;
  • - controllare il corretto funzionamento del sito web.

COOKIES

Che cosa sono i cookies - I cookie sono piccoli file di testo che possono essere utilizzati dai siti web per rendere più efficiente l'esperienza per l'utente.

Tipologie di cookies - Si informa che navigando nel sito saranno scaricati cookie definiti tecnici, ossia:

- cookie di autenticazione utilizzati nella misura strettamente necessaria al fornitore a erogare un servizio esplicitamente richiesto dall'utente;

- cookie di terze parti, funzionali a:

PROTEZIONE SPAM

Google reCAPTCHA (Google Inc.)

Google reCAPTCHA è un servizio di protezione dallo SPAM fornito da Google Inc. Questo tipo di servizio analizza il traffico di questa Applicazione, potenzialmente contenente Dati Personali degli Utenti, al fine di filtrarlo da parti di traffico, messaggi e contenuti riconosciuti come SPAM.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

VISUALIZZAZIONE DI CONTENUTI DA PIATTAFORME ESTERNE

Questo tipo di servizi permette di visualizzare contenuti ospitati su piattaforme esterne direttamente dalle pagine di questa Applicazione e di interagire con essi.

Nel caso in cui sia installato un servizio di questo tipo, è possibile che, anche nel caso gli Utenti non utilizzino il servizio, lo stesso raccolga dati di traffico relativi alle pagine in cui è installato.

Widget Google Maps (Google Inc.)

Google Maps è un servizio di visualizzazione di mappe gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo.

Privacy Policy

Google Fonts (Google Inc.)

Google Fonts è un servizio di visualizzazione di stili di carattere gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Dati di Utilizzo e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

Come disabilitare i cookies - Gli utenti hanno la possibilità di rimuovere i cookie in qualsiasi momento attraverso le impostazioni del browser.
I cookies memorizzati sul disco fisso del tuo dispositivo possono comunque essere cancellati ed è inoltre possibile disabilitare i cookies seguendo le indicazioni fornite dai principali browser, ai link seguenti:

Base giuridica del trattamento - Il presente sito internet tratta i dati in base al consenso. Con l'uso o la consultazione del presente sito internet l’interessato acconsente implicitamente alla possibilità di memorizzare solo i cookie strettamente necessari (di seguito “cookie tecnici”) per il funzionamento di questo sito.

Dati personali raccolti e natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati e conseguenze di un eventuale rifiuto - Come tutti i siti web anche il presente sito fa uso di log file, nei quali vengono conservate informazioni raccolte in maniera automatizzata durante le visite degli utenti. Le informazioni raccolte potrebbero essere le seguenti:

  • - indirizzo internet protocollo (IP);
  • - tipo di browser e parametri del dispositivo usato per connettersi al sito;
  • - nome dell'internet service provider (ISP);
  • - data e orario di visita;
  • - pagina web di provenienza del visitatore (referral) e di uscita;

Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

REV 02