L’analisi sinora svolta consente di affermare che la compensazione endoconcorsuale dimostra una notevole espansione applicativa, considerato che – fermi i divieti previsti dall’art 1246 c.c. ([28]) – opera relativamente a crediti non scaduti, non liquidi e non omogenei, in maniera addirittura esuberante rispetto alle condizioni codicistiche di operatività dell’istituto e per vero poco compatibile con una sua natura eccezionale.
Tuttavia, tra le condizioni di operatività della compensazione ex art. 155 CCII, oltre all’evidente necessità di una reciprocità soggettiva (identità dei soggetti portatori contestualmente di posizioni debitorie e creditorie) ([29]), la giurisprudenza è granitica nel richiedere una reciprocità temporale tra i crediti che vanno ad estinguersi, nel senso che entrambi devono collocarsi o prima o dopo l’apertura della procedura concorsuale. In particolare, le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono da tempo pronunziate nel senso che:
- ciò che rileva al fine di poter procedere alla compensazione endoconcorsuale “è il fatto che le radici causali delle obbligazioni contrapposte si siano determinate prima della dichiarazione di fallimento mentre gli effetti della compensazione, cioè l’estinzione delle obbligazioni, si possono verificare dopo tale dichiarazione”;
- ne consegue che “anche in corso di procedura si possano accertare gli estremi della compensazione (comprese la liquidità e l’esigibilità del credito del fallito verificatesi dopo il fallimento, salva sempre l’anteriorità a questo della radice causale del credito)”;
- quanto alla regola espressa dall’art. 2917 c.c. ([30]), questa norma “si riferisce all’ipotesi in cui il controcredito omogeneo sorga dopo il pignoramento, e non anche all’ipotesi in cui credito e controcredito, esistenti a quell’epoca, acquistino dopo i caratteri per potersi fare luogo alla compensazione” ([31]).
Dunque, l’unico presupposto per l’operatività della compensazione nella L.G. ex art. 155 CCII è dato dall’anteriorità all’apertura della procedura del fatto genetico delle obbligazioni contrapposte, potendo non preesistere alla procedura gli altri requisiti previsti dall’art. 1243 c.c. ([32]), purché risulti in qualche modo una manifestazione di volontà del creditore in bonis affinché operi la compensazione ([33]), seppure ex tunc (dal giorno della coesistenza dei crediti: v. art. 1242, comma 1, c.c.).
A tal proposito, non si richiede che, assumendosi la collocazione del fatto genetico dei crediti reciprocamente opposti in compensazione in un momento anteriore all’apertura della L.G., la compensazione debba essere già stata eccepita prima dell’apertura della procedura; anzi, l’art. 155 CCII ha come presupposto proprio il mancato esercizio ante L.G. del diritto di avvalersi della compensazione e l’art. ult. cit. regola dunque il caso di una compensazione legale che, pur afferendo a debiti già coesistenti e quindi estinti [se scaduti n.d.r.], non è stata ancora esercitata prima della L.G. né in via di autotutela, né in sede processuale ([34]).
Tipicamente, dunque, la reciprocità viene negata qualora un credito verso il debitore sottoposto a L.G., sorto anteriormente all’apertura della procedura, si contrapponga ad un controcredito della massa, nato quindi con la L.G. o a seguito dell’esercizio di un diritto o di un’azione che nella stessa trova causa e fondamento, e non già insistente nel patrimonio del debitore prima dell’apertura della procedura ([35]).
Sussiste peraltro la condizione della reciprocità anche se la radice causale dei crediti reciprocamente contrapposti si colloca per entrambi dopo l’apertura della L.G., anche se in questo caso non troverà applicazione l’art. 155 CCII ma l’ordinaria disciplina codicistica ([36]).
Piuttosto, la nuova disciplina legittima dubbi circa la linea di demarcazione tra il prima e il dopo: se, infatti, il comma 2 dell’art. 56 L. fall. si riferiva alla dichiarazione di fallimento, ora invece il comma 2 dell’art. 155 CCII (in assonanza con l’art. 166 CCII) traccia questa linea al “deposito della domanda cui è seguita l’apertura della L.G.”. Vero che l’art 155 CCII si colloca nella Sezione dedicata agli “Effetti dell’apertura della L.G. per i creditori”, tuttavia resta la possibilità interpretativa di una retrodatazione dello spartiacque della concorsualità, ai soli fini della verifica di reciprocità, al momento del deposito della domanda di L.G., peraltro in assonanza con quanto previsto dall’art. 96 CCII (che richiama anche l’art. 155 CCII) con riferimento alla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo.
A prescindere dalla condizione della reciprocità, poi, resta sempre possibile una compensazione volontaria tra curatore e creditore in bonis, purché debitamente autorizzata – all’occorrenza – ai sensi dell’art. 132 CCII.
La nettezza del principio affermato dalla Suprema Corte, laddove attribuisce rilievo scriminante alla collocazione temporale della “radice causale” del credito, si traduce spesso in una non semplice applicazione operativa del principio stesso. In particolare, è stato osservato che si tratta di “misurazione temporale … infarcita di elementi valutativi assai soggettivi e non si conforma al bisogno di certezze” ([37]), che accompagna invece l’incedere degli operatori economici.
Basti pensare alla fattispecie del credito da regresso del fideiussore, che abbia rilasciato la fideiussione prima dell’apertura della L.G. ma sia stata escussa dopo, credito che sorge con il pagamento (ed è quindi successivo) ma viene tipicamente considerato concorsuale (quindi anteriore) ([38]). D’altronde, è normale l’esigenza dei curatori di cercare una retrodatazione dell’insorgenza del credito, anche solo ai fini di evitare l’aggravamento della prededuzione ([39]), sì che la “radice causale” tende ad essere collocata nel negozio giuridico che costituisce l’occasione per l’(eventuale) insorgere successivo del credito, piuttosto che nell’evento scatenante la maturazione (non dipendente in sé e soltanto dal negozio giuridico) del credito stesso.
La giurisprudenza, peraltro, nel momento applicativo non è del tutto esente da contraddizioni, poiché, ad esempio, nel caso dell’esclusione di socio fallito da società di persone in bonis, il diritto del fallito alla liquidazione della quota ex art. 2289 c.c. è stato considerato sorto successivamente (ovvero meglio: contestualmente) alla dichiarazione di fallimento e se n’è quindi esclusa la possibilità di compensazione con l’eventuale credito della società a titolo di conferimenti ancora non versati ([40]).
Come suggerito acutamente in dottrina, quindi, può tornare utile abbinare un criterio funzionale a quello cronologico, che da solo tante incertezze può generare, sì da ritenere che il riferimento al negozio giuridico originario si renda necessario se (e solo se) il rischio dell’insolvenza del debitore non costituisca l’accidente tipico di ogni rapporto obbligatorio ma integri la causa del negozio stesso, come tipicamente accade nel contratto di fideiussione ([41]).