Da ultimo, ci si è domandati se, e a quali condizioni, l’erogazione abusiva del credito acquisti rilevanza penale, ovverosia in quali occasioni la condotta illecita della banca possa integrare alcuna delle fattispecie disciplinate dal codice penale. Senz’altro, il finanziamento erogato irregolarmente può facilmente divenire propedeutico alla commissione di alcuni dei reati previsti dal Codice della Crisi, tra cui le condotte di bancarotta fraudolenta o semplice (artt. 322, 323, 329 e 330 CCII).
Deve a riguardo premettersi che l’erogazione del credito da parte della banca finanziatrice non rileva penalmente per il solo fatto di essere avvenuta, atteso che – come meglio si illustrerà nel prosieguo – le diverse fattispecie penalmente rilevanti richiedono sempre una condotta (o frazione di condotta) ulteriore rispetto all’azione della concessione del credito. Inoltre, i reati di bancarotta sono reati propri, motivo per cui la banca, non potendo assumere il ruolo di soggetto attivo del reato, può eventualmente concorrere quale extraneus ai sensi dell’art. 110 c.p., allorquando vi sia un nesso di causa tra l’erogazione del finanziamento e l’evento di danno, e quando sia altresì individuabile in capo alla banca l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, a seconda del fatto di reato preso in considerazione.
Considerato quanto appena premesso, la fattispecie prevista dall’art. 323 CCII, che punisce l’imprenditore che «ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa» (bancarotta semplice), può essere integrata, secondo parte della dottrina, in presenza di operazioni di finanziamento concesse dall’istituto di credito che conosceva lo stato di decozione dell’impresa beneficiaria o che poteva comunque rappresentarselo. In particolare, il riferimento è alla condotta del finanziatore volta ad agevolare il compimento di operazioni di grave imprudenza da parte dell’imprenditore in crisi, che concorre così ad aggravare il dissesto[19]. E infatti, la norma sanziona l’imprenditore che ha compiuto operazioni gravemente imprudenti al fine di ritardare il fallimento, con la conseguenza logica per cui, con l’imprenditore responsabile, può concorrere il soggetto che ha favorito (sotto il profilo del concorso morale) tale ritardo[20].
Accanto all’ipotesi colposa, occorre accennare anche al più grave delitto fallimentare previsto dall’art. 329, comma 2, lett. b, CCII che punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori che, mediante il compimento di operazioni dolose, hanno cagionato (o concorso a cagionare) il fallimento. Dal punto di vista soggettivo, è sufficiente la coscienza e la volontà dell’operazione che dia luogo alla decozione. Sul piano oggettivo, invece, le operazioni dolose attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per l’andamento economico-finanziario dell’impresa, e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente «non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato» (in tal senso: Cass. pen. Sez. V, Sent., ud. 12/10/2018, dep. 06/03/2019, n. 9843), tale per cui si potrebbe ipotizzare che, attraverso la concessione abusiva del credito, venga a concretizzarsi il concorso del funzionario dell’ente erogatore nelle operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento della società[21].
Più complesso è invece il tema del concorso ex art. 110 c.p. dell’istituto di credito nei reati di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 322. A tal riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che, ai fini della configurazione del concorso nel delitto doloso, sono necessari «l’incidenza causale dell’azione dell’extraneus e la sua consapevolezza del fatto illecito e della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico»[22]. Nello specifico, la Suprema Corte di Cassazione, nel superare gli orientamenti contrastanti della giurisprudenza[23], ha precisato «che occorre la prova della consapevolezza che la propria azione sia foriera di danno ai creditori eppertanto debba essere accompagnata dalla conoscenza, da parte dell’agente, dello stato di decozione dell’impresa a cui viene sottratto il cespite attivo» (Cass., Sez. V, 22 aprile 2004, n. 228905), chiarendo che non è necessaria la diretta conoscenza del dissesto perché possa dirsi integrata la condotta illecita della banca, ma ne è sufficiente la semplice rappresentazione, la quale, nel caso della banca, può limitarsi a una più semplice prevedibilità in astratto.
Da ultimo, merita accennare al tema del concorso della banca nelle ipotesi di bancarotta preferenziale ex art. 322, comma 3, CCII. La bancarotta preferenziale fa parte di quei reati plurisoggettivi ove il delitto consegue alla condotta di più soggetti: nel caso di specie, l’imprenditore in stato di crisi e la banca finanziatrice. L’orientamento maggioritario[24] ritiene che non sia rimproverabile la condotta del creditore che si limiti a ricevere un pagamento che gli spetta, fintantoché questi non sia consapevole, nel momento in cui riceve detto pagamento, che lo stesso è fatto allo scopo di favorirlo, a danno degli altri creditori. Va però osservato che sono pur sempre ritenute penalmente rilevanti – dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie – le condotte di «istigazione» da parte del creditore, che partecipi fattivamente alla condotta allo scopo di ottenere un trattamento di favore ovvero addirittura solleciti l’illecita preferenza. Ben più complesso è invece comprendere in concreto quali debbano essere le caratteristiche della condotta del creditore favorito per poterla considerare penalmente rilevante. La questione è stata affrontata più volte con riferimento allo specifico caso che vede l’istituto di credito finanziatore, titolare di somme ingenti non garantite, concedere un nuovo finanziamento, coperto da garanzia reale, allo scopo di ottenerne un totale o parziale ripianamento. Infatti, la concessione di un finanziamento garantito, con successivo rientro del debito pregresso, integra una forma di bancarotta preferenziale, in quanto produce l’effetto di «trasformare» il credito chirografario della banca in credito privilegiato. Sul punto, la Suprema Corte ha aderito al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui il dolo del creditore favorito – pur non richiedendo necessariamente la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore – dovrebbe essere valutato tenuto conto della natura dell’operazione posta in essere dall’imprenditore in crisi insieme alla banca, avuto specifico riguardo alla mancata individuazione di altra ragione che non sia quella «di favorire esclusivamente l’istituto di credito erogante mediante la creazione, in suo favore, di un titolo preferenziale, in tal guisa chiaramente alterando la par condicio creditorum»[25].
Il richiamato orientamento giurisprudenziale potrebbe trovare applicazione anche pe
il caso dei finanziamenti coperti da garanzia statale, ove l’istituto di credito finanziatore, per effetto del subentro, in sua vece, del garante pubblico in qualità di creditore privilegiato, ottiene esattamente quel medesimo vantaggio (rappresentato dalla soddisfazione in via preferenziale) che l’art. 322, comma 3, CCII mira a sanzionare.
Per concludere, si potrebbe sostenere, in generale, che la concessione abusiva del credito possa integrare una fattispecie penalmente rilevante allorché il soggetto che ha erogato il prestito sia stato, allo stesso tempo, anche l’istigatore o il beneficiario di operazioni dolose finalizzate a mettere in pericolo – a proprio vantaggio – il patrimonio dell’impresa, a condizione che lo stesso risulti consapevole del rischio di pregiudicare, per effetto delle operazioni finanziarie, le ragioni dei creditori della società.