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Saggio

La “conclusione delle trattative “ nella procedura di Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa - Il contratto biennale “avallato“ e la Convenzione di Moratoria (ordinaria e digitale) condotta dall’esperto*

Sido Bonfatti, Professore di diritto fallimentare nell’Università di Modena e Reggio Emilia, già Ordinario di diritto commerciale nel medesimo ateneo

24 Agosto 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
**Il presente contributo è destinato a confluire, con gli eventuali aggiornamenti ed integrazioni del caso, nella seconda edizione - di prossima pubblicazione per i tipi di Giappichelli Editore -dell'opera collettanea "Il ruolo dell'Esperto nella Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d'Impresa ", curata da R. Guidotti, M. Tarabusi e dall'Autore. I riferimenti contenuti in talune note hanno per l'appunto riguardo all'opera collettanea menzionata.
L’A. commenta le prime due soluzioni che l’articolo 23 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza prospetta come possibile sbocco della procedura di Composizione Negoziata, evidenziando le caratteristiche innovative della prima e le modificazioni che la seconda riceve per il fatto di essere condotta dall’Esperto designato dalla speciale Commissione costituita presso la Camera di Commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa interessata.
Riproduzione riservata
1 . Il contratto biennale “avallato” dall’esperto
L’art. 11, comma 1, lett. a) del D.L. n. 118/2021 affermava che “quando è individuata una soluzione idonea al superamento della situazione” di crisi (ovvero di quella situazione che ha legittimato l’avvio della “procedura” di Composizione negoziata) le parti delle trattative agevolate dall’esperto nominato dalla Commissione speciale di cui all’art. 3 [ora art. 13 CCII]  avrebbero potuto (inter alia) “concludere un contratto, con uno o più creditori, che produce gli effetti di cui all’articolo 14 [ora art. 25 bis, comma 1, CCII] se, secondo la relazione dell’esperto, … è ido­neo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni”.
La disposizione è stata trasfusa, senza modificazioni, nell’art. 23, comma 1, lett. a), del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza: così mantenendo il carattere fortemente innovativo che la caratterizzava.
 In conseguenza di tale mera trasposizione, rimangano attuali i non pochi interrogativi originati dalla sua previsione nel contesto originario del D.L. n. 118/2021, con particolare riguardo a: 
i) se la relativa disciplina sia limitata all’ipotesi della conclusione del “contratto” in questione – funzionale ad assicurare la continuità aziendale per al­meno due anni – “con uno o più creditori”, ovvero anche con altri soggetti (fornitori; clienti; investitori; le stesse società del “gruppo” al quale apparte­nesse l’impresa impegnata nella Composizione negoziata [1], allorché non fossero creditrici – ma, magari, debitrici! –; eccetera). Stante la lettera inequivoca della norma, la risposta deve essere negativa [2]: ma la ratio sottesa alla stessa non è facilmente individuabile;
ii) se “i creditori”, che rappresentano l’unica possibile controparte di questo “contratto”, perché esso possa produrre gli effetti speciali attribuitigli quale possibile sbocco positivo della Composizione negoziata, debbano appartenere alla schiera di coloro, rispetto ai quali sono state condotte le “trattative” – quindi titolari di pretese aventi titolo anteriore alla apertura della Composizione negoziata –; oppure possano essere rappresentati anche da creditori estranei alle trattative, in quanto successivi – e come tali assistiti, per esempio, dalla esenzione da revocatoria delle garanzie acquisite, e dalla collocabilità in prededuzione dei crediti derivanti dai finanziamenti erogati –. La norma non distingue, e non pare sussistano ragioni per escludere dalla partecipazione a questa soluzione della crisi anche i creditori appartenenti alla seconda categoria – tanto più quando, ma non soltanto quando, gli stessi fossero anche titolari di passività pregresse –;
iii) se la “assicurazione” della continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni sia un obiettivo idoneo di per sé a supportare la soluzione così rappresentata, a prescindere dalla previsione dell’andamento dell’impresa successivamente alla scadenza considerata; oppure debba essere accompagnato dalla rappresentazione della soluzione idonea a conseguire poi – ove il semplice decorso del tempo non produca di per sé tale effetto – il “superamento della situazione” di crisi (ovvero quella che ha legittimato l’avvio della “procedura” di Composizione negoziata). La risposta che si fa preferire è la seconda, non risultando sufficientemente apprezzabili, di per sé, i soli effetti del differimento del dissesto di cui non si prefiguri il possibile superamento [3];
iv) quali siano gli effetti prodotti dalla circostanza che lo sbocco delle trattative, condotte grazie alla “procedura” di Composizione negoziata, sia stato rappresentato dalla stipulazione del contratto de quo. L’art. 23, comma 1, lett. a) menziona espressamente la produzione degli “effetti di cui all’ar­ticolo 25 bis, comma 1” – la “misura premiale” di carattere fiscale rappresentata dal dimezzamento degli “interessi che maturano sui debiti tributari”[4] –, lasciando così intendere che non se ne producano altri: ma al proposito pare necessario un chiarimento.
Non pare ipotizzabile prendere in considerazione l’ipotesi che gli effetti che si sono già prodotti in conseguenza della apertura della “procedura” di Composizione negoziata, non siano destinati a “permanere”, per il fatto che la norma in commento non ne fa menzione. Se si ipotizza questo possibile esito, nessuno – a partire dall’imprenditore – si avvicinerebbe all’istituto, per la sua evidente inaffidabilità.
Gli effetti già prodottisi non possono essere messi in discussione: e ciò riguarda tanto quelli prodottisi automaticamente – in conseguenza, cioè, della sem­plice apertura della “procedura” [5] –; quanto quelli prodottisi in conseguenza del­l’osservanza dei “controlli” disposti sulla gestione dell’impresa, ovvero delle “integrazioni” dell’autonomia privata dell’imprenditore, ad opera di diversi soggetti “titolati” (l’esperto nominato dalla Commissione speciale; l’Au­torità giudiziaria).
Tra questi effetti – già prodotti: e come tali insuscettibili di essere messi in discussione, e non condizionati allo sbocco positivo delle trattative, sia esso rappresentato dal “contratto” de quo ovvero da un’altra soluzione – anche le “misure premiali” di cui all’art. 25 bis, per ciò che concerne il periodo anteriore alla conclusione delle trattative.
La disposizione qui considerata va intesa nel senso che la conclusione delle trattative attraverso il perfezionamento del “contratto” di cui all’art. 23, comma 1, lett. a), CCII comporta l’applicabilità della “misura premiale” (fiscale) di cui all’art. 25 bis, comma 1, per il periodo successivo alla chiusura delle trattative stesse.
Chiarito ciò, si dovrà pertanto concludere che a seguito della conclusione delle trattative rappresentata dal perfezionamento del “contratto” avente i contenuti (ed “assicurante” i risultati) previsti dalla norma (per come si sarà ritenuto preferibile interpretarla):
i) si produrranno (ulteriormente) gli effetti della “misura premiale” di cui all’art. 25 bis, comma 1, CCII;
ii) rimarranno fermi gli effetti delle “misure premiali” ex art. 25 bis prodottisi nel corso delle trattative;
iii) rimarranno fermi gli effetti della “esimente” penale di cui all’art. 24, comma 5, CCII;
iv) rimarranno fermi gli effetti della “esenzione” da revocatoria prodotti dal­l’art. 24, comma 2 (ove beninteso siano intervenuti a suo tempo i presupposti che ne condizionano la nascita);
v) potrebbero non prodursi gli effetti del collocamento in prededuzione dei crediti derivanti dai finanziamenti pur autorizzati dal Tribunale ex art. 22, comma 1, CCII, in quanto la “conservazione” degli stessi è esplicitamente condizionata ad uno sbocco delle trattative in una delle soluzioni espressamente individuate, tra le quali non è compresa la conclusione del ‘contratto’ di cui all’art. 23, co. 1, lett. a), CCII (cfr. art. 24, comma 1, CCII).
I crediti derivanti dai finanziamenti autorizzati dal Tribunale ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. a), CCII sono prededucibili. 
Tale effetto “si conserva”, secondo quanto previsto dall’art. 24, comma 1, CCII, se successivamente alla chiusura della procedura di CNC intervengono: 
i) un Accordo di Ristrutturazione omologato; 
ii) un Concordato preventivo omologato; 
iii) un Piano di Ristrutturazione ex art. 64 bis omologato (c.d. “P.R.O.”);  
iv) la liquidazione giudiziale/la Liquidazione Coatta Amministrativa/l’Amministrazione Straordinaria / il Concordato Semplificato Omologato. 
Conseguentemente l’effetto della predecubilità non si conserva (o non si dovrebbe conservare), inter alia, se successivamente alla chiusura della procedura di CNC intervengano: 
i) la conclusione di un “contratto di continuità aziendale” biennale (cfr. art. 23, comma 1, lett. a), CCII); 
ii) una Convenzione di Moratoria; 
iii) un Piano Attestato di Risanamento; 
iv) il ritorno “in bonis”; 
v) qualsiasi soluzione diversa da quelle identificate dall’art. 24, comma 1, CCII (ad es. incorporazione in altra società).  
Stando così le cose – rectius: se stessero così le cose –, la disponibilità delle banche a concedere “nuova finanza” alle imprese interessate da una procedura di CNC sarebbe prevedibilmente assai modesta. 
Di fronte alla alternativa di procedere o non procedere alla continuazione del sostegno finanziario alla impresa ammessa alla CNC, presumibilmente opterebbe per la soluzione negativa, fino a quando non avesse acquisito la certezza dello “sboccodella CNC, ed avesse conseguito la sicurezza della coincidenza di tale “sbocco” con una delle fattispecie enumerate dall’art. 24, comma 1. 
Tale conclusione deve essere mantenuta ferma con riguardo a quella che era la disciplina della CNC nell’ambito del D.L. n. 118/2021, convertito nella legge n. 147/2021. Essa deve essere rivista – invece – quando si considera la disciplina della CNC come confluita nel CCII.
L’art. 22, comma 1, lett. a), CCII riproduce testualmente la disposizione contenuta nell’art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021, tranne che per il riferimento alla norma disciplinante la prededuzione che viene disposta
L’art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021 riferiva la prededuzione, che assicurava ai crediti derivanti dai finanziamenti autorizzati dal Tribunale, allo “articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267” (“legge fallimentare”). 
L’art. 22, comma 1, lett. a), CCII riferisce la prededuzione, che assicura ai medesimi crediti, allo “articolo 6” CCII.
Prescindendo da quella che era la portata che poteva essere attribuita al rinvio all’art. 111 L. fall., non più interessante in questa sede, il rinvio odierno all’art. 6 CCII richiama l’applicabilità (anche) della disposizione secondo la quale “la prededucibilità permane anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali” (comma 2). 
La evidente contrapposizione  tra procedure “esecutive” e procedure “concorsuali” (si usa la lettera ”o” per separare le due ipotesi); la totale mancanza di qualsiasi relazione tra momento e sede della insorgenza del credito prededucibile e momento e sede del suo soddisfacimento nella collocazione antergata rispetto agli altri creditori; consentono di affermare che la “nuova” prededuzione del CCII consente al credito che ne è dotato di prevalere in qualsiasi confronto con gli altri creditori del debitore comune: sia che si tratti di un confronto individuale (esecuzione forzata), sia che si tratti di un confronto concorsuale (liquidazione giudiziale od altra procedura equipollente); e sia che l’uno e/o l’altro siano caratterizzati da connotati di “consecutività”, oppure di “discontinuità” [6], rispetto alla procedura di CNC nella quale il credito interessato è sorto. 
A questa stregua la previsione dell’art. 24, comma 1, CCII  deve essere circoscritta agli “atti autorizzati dal Tribunale ai sensi dell’articolo 22” che siano diversi da quelli contemplati nella lettera a) della norma richiamata - nonché nelle lettere b) e c) -, perché l’esplicito richiamo, ivi contenuto, all’articolo 6 CCII – totalmente assente nella originaria previsione dell’art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021 – assicura la “permanenza” degli effetti della prededuzione in qualsiasi concorso tra creditori che si apra, in qualsiasi momento, sul patrimonio dell’imprenditore (che era stato) ammesso alla CNC. 
2 . La Convenzione di Moratoria (ordinaria e “digitale”) condotta dall’Esperto
I. La seconda delle alternative indicate dall’art. 11, comma 1, lett b), D.L. n. 118/2021 come possibile strumento di esecuzione di una “soluzione idonea al superamento della situazione” di crisi (ovvero della situazione che avrebbe legittimato l’accesso alla “procedura” di Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’im­presa) era rappresentata dalla conclusione di “una convenzione di moratoria ai sensi dell’articolo 182 octies della legge fallimentare.
Similmente il secondo possibile sbocco della CNC individuato dall’odierno art. 23, comma 1, lett b), CCII, è rappresentato dalla “convenzione di moratoria di cui all’articolo 62”. 
L’istituto è rappresentato da quello, conosciuto con lo stesso nome, già disciplinato dai commi da 5 ad 8 dell’art. 182 septies L. fall.; “annunciato” dal­l’art. 62 D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (che avrebbe poi costituito l’odierno CCII); e poi “anticipato” dal D.L. n. 118/2021 che ne traspose il contenuto – in termini pressoché identici – nel novellato art. 182 octies L. fall. [7].
Quest’ultima disposizione riprendeva già pressoché integralmente l’art. 62 CCII prossimo venturo, confermando la struttura essenziale dell’istituto come originariamente concepito, ne tracciano le seguenti principali direttive – che sono tuttora attuali, stante l’entrata in vigore dell’art. 62 CCII nei termini nei quali era stato formulato nel contesto del D.Lgs. n. 14/2019. In conseguenza la nuova disciplina della Convenzione di Moratoria, rispetto a quella originariamente declinata nella legge fallimentare (prima della “anticipazione” menzionata):
i) ne modifica i presupposti soggettivi, estendendone l’applicabilità a tutti i creditori, e non più soltanto – come l’originario art. 182 septies L. fall. – ai creditori bancari e finanziari;
ii) dispone un “effetto estensivo” della convenzione conclusa con tanti creditori rappresentanti il 75% di una medesima categoria;
iii) precisa che gli “effetti estensivi” della convenzione di moratoria si producono allorché la stessa (ovvero nei limiti in cui la stessa) sia “diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi e avente ad oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito”;
iv) condiziona la produzione degli “effetti estensivi” alla circostanza che “a) tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative o siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sulla convenzione e i suoi effetti”;
v) modificando tanto l’art. 182 septies L. fall. quanto l’art. 62 contenuto nel D.Lgs. n. 14/2019, condizionava (ulteriormente) gli “effetti estensivi” alla circostanza che “c) i creditori della medesima categoria non aderenti, cui vengono estesi gli effetti della convenzione, [subissero] un pregiudizio proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite”. In tal modo veniva lasciata “maggiore discrezionalità al tribunale, in sede di opposizione dei creditori non aderenti, nel valutare la tollerabilità del sacrificio imposto” [8]. Occorre tuttavia segnalare, a tale proposito, che l’art. 62, comma 2, lett. c), CCII è ritornato oggi al testo della norma già contenuto nel D.Lgs. n. 14/2019, per cui gli “effetti estensivi” della Convenzione di moratoria sono subordinati alla condizione (inter alia) che “i creditori della medesima categoria non aderenti, cui vengono estesi gli effetti della convenzione, subiscano un pregiudizio proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite”;
vi) richiede che le “condizioni di extra-efficacia” della convenzione di moratoria siano attestate “un professionista indipendente”[9];
vii) riproducendo pedissequamente l’originario art. 182 septies L. fall. afferma che “in nessun caso, per effetto della convenzione, ai creditori della medesima categoria non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati”;
viii) conferma il procedimento di “approvazione giudiziale” della convenzione di moratoria (comunicazione a tutti i creditori in funzione della eventuale proposizione della opposizione davanti al Tribunale “fallimentare”, che de­cide in Camera di Consiglio con decreto motivato, soggetto a reclamo davanti alla Corte d’Appello ai sensi dell’art. 51 CCII).
Viene così confermata “la funzione cautelativa del patrimonio, oltre che protettiva della continuità aziendale, che l’istituto persegue mediante soluzioni provvisorie e temporanee, eventualmente prodromiche all’utilizzo di altri strumenti di regolazione della crisi, consistenti nella pattuizione con gli aderenti, ed imposizione ai non aderenti, delle seguenti due tipologie di clausole: a) i pacta de non petendo, con effetti analoghi all’automatic stay, implicando essi evidentemente non solo una moratoria dei pagamenti, ma anche il divieto di azioni esecutive e cautelari; b) clausole di conservazione della vigenza di contratti in essere, in particolare le locazioni finanziarie relative a beni aziendali, nonché di “stand still”, volte cioè al mantenimento di linee di credito preesistenti entro i limiti del livello di utilizzo esistente alla data di apertura del tavolo delle trattative[10].
Rimane altresì confermata la esclusione dell’”effetto estensivo” della volontà della maggioranza qualificata dei creditori, appartenenti ad una classe omogenea, dall’obbligo di sostenere finanziamento l’impresa, in qualsiasi modo. Ciò comporta non soltanto la esclusione dell’obbligo, per i creditori di minoranza (25%) non aderenti, di concedere “finanza aggiuntiva” – per es. consentendo l’utilizzo integrale dell’affidamento “accordato”, che non risultasse completamente “utilizzato” -, ma anche la esclusione dell’obbligo di erogare “nuova finanza”, sia pure nei limiti di quanto le precedenti esposizioni si fossero ridotte. Non è pertanto condivisibile l’opinione secondo la quale “va rilevato che la finalità del limite normativo in esame sembra essere solo quella di evitare l’incremento dell’indebitamento complessivo esistente al momento dell’aperura del tavolo delle trattative e non già quella di favorire i creditori estranei che intendano rientrare nella loro esposizione incassando le rimesse senza rimettere a disposizione l’utilizzato[11]”. 
L’effetto vincolante della volontà della maggioranza (qualificata) dei creditori con riguardo alla proroga della esigibilità delle obbligazioni pregresse, e già scadute, produce per l’impresa in crisi un indubbio vantaggio finanziario: ma non ne risolve gli eventuali problemi patrimoniali. Infatti la legge non dispone la sospensione delle regole sulla riduzione del capitale per perdite e della apertura della liquidazione in caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo di legge, non estendendo l’art. 64 CCII alla convenzione di moratoria la disciplina prevista per altri strumenti di regolazione della crisi; la convenzione di moratoria, però, non produce alcun effetto positivo sull’eventuale squilibrio patrimoniale della società, mantenendo inalterata la consistenza del debito, ponendo rimedio temporaneo, semmai, al solo squilibrio finanziario dell’impresa, posticipando i termini di pagamento di debiti scaduti. Ciò comporta che la causa di scioglimento causata dalla riduzione del capitale al di sotto del minimo di legge continuerebbe ad operare pienamente rimanendo fermi tutti i limiti operativi previsti per l’attività dei liquidatori[12]. 
II. L’art. 25 undecies CCII ha innovato la disciplina della CNC contenuta nell’originario D.L. n. 118/2021 (convertito dalla L. n. 147/2021) recependo (inter alia) quanto disposto dall’art. 30 quinquies D.L. 6 novembre 2021, n. 132 (convertito dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233).
La legge 29 dicembre 2021, n. 233, disponendo la conversione del D.L. 6 novembre 2021, n. 151, ha inserito le norme di attuazione della piattaforma telematica nazionale per la Composizione negoziata della crisi, prevista dall'art. 3 D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con L. 23 agosto 2021, n. 147[13]. 
L'art. 30 quinquies, comma 2, ha disciplinato altresì una forma di Convenzione di moratoria “digitale”, destinata ad intervenire sulle sole posizioni debitorie di ridotte dimensioni.
Secondo il primo comma (ora trasfuso nell’art. 25 undeciesCCII) “sulla piattaforma telematica nazionale di cui all’articolo 30 ter, comma 1, è reso disponibile un programma informatico gratuito che elabora i dati necessari per accertare la sostenibilità del debito esistente e che consente all’imprenditore di condurre il test pratico di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto – legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147 [ora art. 13, comma 2, CCII] per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento”. 
In particolare, nel caso in cui l'indebitamento complessivo dell'imprenditore è giudicato sostenibile dal sistema operativo e non supera l'importo di 30.000 euro, il programma redige un piano di rateizzazione.
L'imprenditore comunica tale piano ai creditori interessati, avvertendoli che, se non manifestano il proprio dissenso entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione, il piano si intenderà approvato, e sarà eseguito secondo le modalità e i tempi in esso indicati (resta peraltro salva l'applicazione delle moratorie previste da norme previdenziali e fiscali).
Secondo i primi commentatori “il nuovo istituto è volto a predisporre uno strumento di soluzione della crisi per imprenditori di modestissime dimensioni che non potrebbero certo sostenere il costo di una procedura concorsuale o gli oneri connessi alla composizione negoziata; in sostanza, sulla base dei dati immessi autonomamente dall'imprenditore, elaborati dal programma informatico di accertamento della sostenibilità del debito, verrebbe messo a disposizione del debitore (in crisi ma non irreversibile) un sostenibile piano personalizzato di rientro che dovrebbe comportare un mero allungamento dei tempi di pagamento dei creditori ( senza falcidia del capitale) con riconoscimento, però, a loro favore, di un interesse moratorio il cui tasso dovrà essere determinato da un emanando decreto del Ministro dello Sviluppo economico. La disposizione prevede, dunque, che il piano acquisti vincolatività per tutti i creditori solo se esso sia stato fatto proprio dall'imprenditore (al quale ovviamente non è preclusa alcuna altra opzione), sia trasmesso a tutti i creditori interessati e che non sia rifiutato dai creditori entro trenta giorni dalla ricezione del piano” [14].
L’istituto è stato (letteralmente) ripreso dal CCII. L’art. 25 undecies, comma 1, precisa che l’utilizzo del programma reso disponibile sulla piattaforma telematica nazionale di cui all’art. 13 CCII “consente all'imprenditore di condurre il test pratico di cui all'articolo 13, comma 2, per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento”. Parrebbe evidente pertanto che tale strumento si inserisca nella disciplina della Composizione negoziata “normale”, per verificare le condizioni del conseguimento di uno “sbocco” delle trattative ulteriore rispetto a quelli delineati dall’art. 23 (“Conclusione delle trattative”), rappresentato dalla rateizzazione delle passività pregresse
A prescindere da ogni profilo problematico rappresentato dall’esigenza, a quel che pare, della unanimità dei consensi dei creditori - sia pure conseguibile attraverso il meccanismo del silenzio-assenso -, pare di dovere concludere che per gli aspetti diversi dal contenuto dello “sbocco“ e dalle modalità di perfezionamento dell’accordo con i creditori, rimangano applicabili le disposizioni dettate per la composizione negoziata “ normale “: per cui, conseguentemente, rimangono estendibili anche a questa “variante“ qui considerata le conclusioni raggiunte con riguardo alla versione “normale” per ciò che concerne gli effetti dell’apertura della procedura sui contratti di finanziamento pendenti[15].

Note:

[1] 
M. Arato, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, in Diritto dellacrisi.it, 23 novembre 2021, p. 5.
[2] 
V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 26 ottobre 2021, p. 6. Secondo l’A. “di per sé, dunque, questa soluzione appare volta unicamente a superare le difficoltà connesse ad una crisi temporanea nel convincimento che il miglioramento della situazione economica generale riporti l’impresa a poter operare utilmente sul mercato ed allora appare incongruo che lo strumento de quo sia limitato ai contratti conclusi con i creditori, quando lo stesso effetto potrebbe avere anche un contratto concluso con un nuovo fornitore o un cliente, ma anche che vi sia un limite temporale prefissato, posto che le condizioni per il compimento del risanamento potrebbero verificarsi in un tempo anche più dilatato ma prevedibile con sufficiente affidabilità”.
Secondo L. Panzani, Gli esiti possibili delle trattative e gli effetti in caso di insuccesso, in Il Fall., 2021, p. 1594, “la necessità che sia individuata… una soluzione idonea al superamento della situazione di crisi o di insolvenza esclude che il contratto in esame possa non portare al risanamento dell’impresa”.
[3] 
V. Zanichelli, op. cit. pp. 6 e 7; e infra, § 2 “non può non rilevarsi come un simile esito [la assicurazione della continuità aziendale per due anni], di per sé solo considerato, appaia piuttosto modesto in quanto un conto è assicurare la continuità per due anni e altro è il risanamento dell’impresa che presuppone una soluzione tendenzialmente definitiva della situazione economica deteriorata tramite la prosecuzione dell’attività in prospettiva di permanenza sul mercato da parte dello stesso imprenditore o di un terzo. Una temporanea continuazione del­l’attività non presuppone di per sé un ritorno alla normalità in quanto potrebbe anche essere perseguita assicurandosi l’approvvigionamento di fattori della produzione o la commercializzazione del prodotto a prezzi tali da consentire di non operare in perdita, senza che vengano superate le eventuali criticità strutturali del modello di impresa”; ragione per la quale: “se invece la continuità in tal modo assicurata non è misura risolutiva, e non essendo la stessa un valore in sé, l’esperto non potrà allora limitarsi a valutare come fattibile la continuità aziendale per il biennio ma dovrà indicare qual è lo strumento (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti, piano attestato o altro) già preconizzato e concordato che la continuità rende possibile in quanto mantiene in vita l’azienda assicurandone il valore”. In senso contrario, peraltro, L. Panzani, op. loc. ult. cit.
[4] 
Si deve notare, a tale proposito, che la portata dell’incentivo in esame risulta – forse inspiegabilmente – molto ridotto rispetto a quella assegnabile alla corrispondente disposizione dell’art. 11, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021. L’art. 23, comma 1, lett. a) CCII, infatti – come detto – riconosce al “contratto biennale”, costituente la prima delle possibili “conclusioni delle trattative” a valle della CNC, “gli effetti di cui all’articolo 25 bis, comma 1 (vale a dire, come già precisato, il dimezzamento degli interessi sulle passività tributarie). Il corrispondente art. 11, comma 1, lett. a), del D.L. n. 118/2021, invece, riconosceva al medesimo “contratto biennale” una portata maggiore, rappresentata da “gli effetti di cui all’articolo 14”. Tali effetti erano rappresentati bensì da quello oggi previsto dall’art. 25 bis, comma 1, CCII (dimezzamento degli interessi sulla passività tributarie): ma si estendevano a riprodurre anche gli effetti dei restanti commi della norma richiamata (vale a dire: riduzione al minimo delle sanzioni tributarie; dimezzamento di sanzioni e interessi pregressi; ottenibilità di un piano di rateizzazione fino ad un massimo di 72 rate). La mancata riproduzione di queste parti dell’originaria disciplina non è facilmente comprensibile. 
[5] 
L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, p. 34: “In questo caso [la conclusione del “contratto” di cui all’art. 11, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021] l’imprenditore beneficia delle misure premiali previste dal­l’art. 14 del D. L. non soltanto nel periodo in cui è in atto la composizione negoziata, ma anche successivamente”.
[6] 
Afferma invece che il comma secondo dell'articolo 6 CCII, che attribuirebbe “dignità normativa al principio giurisprudenziale delle costituzione da procedure”, si pone " in chiave di continuità " con la precedente legge fallimentare, PANI, La prededuzione prima e dopo il codice della crisi, in Ilcaso.it, 19 agosto 2022.
[7] 
In questi termini V. Zanichelli, op. cit., p. 8. In argomento v. anche L. Panzani, Gli esiti possibili delle trattative, cit., p. 1594; R. Marinoni, Crisi di impresa. Le novità in tema di ristrutturazione e risanamento aziendale di cui al D.L. 24 agosto 2021, n. 118, in Ilfallimentarista.it, 22 settembre 2021.
Si segnala, in argomento, che l'art. 30 quinquies, comma 2, L. n. 233/2021 ha disciplinato una forma di convenzione di moratoria "digitale", destinata alle esposizioni debitorie di ridotte dimensioni (indebitamento non superiore a 30.000 euro): in argomento F. Lamanna, L'ennesima tutela del debitore in crisi tramite coartazione dei creditori: basterà il silenzio-assenso per approvare la moratoria “digitale”, in ilfallimentarista.it, 2 febbraio 2022; F. Platania, Prime os­servazioni sulla convenzione di moratoria “digitale", ibidem.
Sulla disciplina dell’istituto come declinata nell’art. 62 CCII v. per tutti G. Guerrieri, Le convenzioni di moratoria, in G. Ferri jr. e D. Vattermoli (a cura di), Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzione di moratoria, Pacini Giuridica, Pisa, 2021, p. 141 ss.
[8] 
L. Panzani, Gli esiti possibili, cit.
[9] 
Come indentificato dalla definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. o), CCII.
[10] 
P. Russolillo, Le soluzioni regolari della crisi nel nuovo Codice della Crisi e le convenzioni di moratoria, in Dirittodellacrisi.it, 21 aprile 2021.
[11] 
P. Russolillo, op. loc. ultt. Cit. 
[12] 
In argomento F. Platania, L’accesso agli strumenti di regolazione della crisi, in L. Lambertini e F. Platania (a cura di), Il diritto commerciale della crisi, Milano, 2023, 165. 
[13] 
Sulla struttura e funzionamento della piattaforma cfr. R. Ranalli, Il comportamento dell'imprenditore ed il ruolo dell'esperto anche alla luce del decreto dirigenziale, in Il Fall., 2021, 1516 ss.
[14] 
F. Platania, Prime osservazioni sulla Convenzione di moratoria “digitale”, in IlFallimentarista.it, 2 febbraio 2022. In argomento anche F. Lamanna, L’ennesima tutela del debitore in crisi tramite coartazione dei creditori: basterà il silenzio-assenso per approvare la moratoria “digitale”, ibidem.
[15] 
Si consideri tuttavia come F. Lamanna, op. ult. cit., osservi che “stante l’operare di tale meccanismo, di conseguenza, non sarà affatto necessario per attuare la rateizzazione accedere alla composizione negoziata e dare corso ad ulteriori trattative con i creditori, le quali resteranno al limite attivabili (a parte ovviamente il caso di non approvazione della proposta di moratoria, che potrebbe far scattare l’interesse ad una diversa soluzione della crisi) solo quando, approvata la proposta, questa non possa comunque trovare positiva attuazione a causa di una imprevista incapacità dell’imprenditore di attuare la rateizzazione (a dispetto del test di sostenibilità) o per gli altri difetti ed inconvenienti di disciplina della moratoria ben segnalati da Platania nel succitato e quanto mai pertinente commento. Nell’ipotesi di sua attuazione positiva, insomma, la moratoria “digitale” non soltanto non opererà (nè sarà classificabile) come procedura concorsuale, ma nemmeno risulterà essere una modalità di svolgimento della composizione negoziata, né presupporrà l’avvio o lo svolgersi di quest’ultima. La nuova moratoria si colloca, in realtà, cronologicamente prima, e spazialmente al di fuori, di qualunque altro procedimento finalizzato a risolvere la crisi di impresa, e mira a sua volta a realizzare tale risultato mediante un’ennesima forma di coartazione dei creditori, costretti ad abbandonare il proprio stato di attesa dell’altrui adempimento, per rendersi parte attiva e rifiutare espressamente la proposta di moratoria al fine di contrastare il meccanismo ex lege del silenzio – assenso se non vorranno essere costretti a subirne “obtorto collo” l’attuazione. E tutto questo può accadere sulla sola base e per effetto di un test informatico che il debitore è abilitato a fare in via del tutto autonoma e senza alcun controllo esterno sulla genuinità delle cifre e dei dati da lui inseriti nella piattaforma”.