Saggio
La consecuzione delle procedure concorsuali nel sistema del Codice della crisi: la prospettiva processuale*
Massimo Montanari, Ordinario di diritto processuale civile nell'Università di Parma
20 Dicembre 2022
*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
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Sommario:
Sarebbe questa, però, un’impressione decisamente fallace, in quanto non v’è motivo per ritenere che i problemi e, soprattutto, le soluzioni che si metteranno a fuoco in quella prospettiva non debbano attagliarsi alle ipotesi in cui la procedura liquidatoria abbia a conseguire all’insuccesso di un diverso strumento di regolazione negoziale della crisi, come accordi di ristrutturazione dei debiti o piani di ristrutturazione omologati. Come avremo modo di vedere, le sole norme del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (cui sarà d’ora in poi rinvio anche con l’acronimo CCII) da cui possono trarsi spunti per la sistemazione in chiave processuale del passaggio dal concordato preventivo alla liquidazione giudiziale sono tutte comprese entro la sezione dello stesso Codice dedicata al “procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza” e, dunque, hanno per definizione una portata trascendente i rapporti tra le due procedure che sole verranno qui formalmente in considerazione. Senza contare, poi, che talune di quelle norme, come l’art. 49, comma 2, e l’art. 53, comma 5, contengono espressi riferimenti a strumenti concorsuali ulteriori, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Due distinte norme del Codice, quali i relativi artt. 73 e 83, regolano la conversione nella corrispondente procedura liquidatoria (leggi: liquidazione controllata del sovraindebitato) delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento a carattere volontario-negoziale, ovverosia, rispettivamente, la ristrutturazione dei debiti del consumatore e il concordato minore, delle quali sia stata disposta la revoca dell’omologazione ai sensi dei precedenti arrt. 72 e 82. Esse, però, non toccano i nodi problematici che saranno affrontati in prosieguo di trattazione[1], per i quali occorre sempre far capo alle su richiamate norme del procedimento unitario, applicabili alle procedure da sovraindebitamento in forza della generale disposizione di rinvio di cui all’art. 65, comma 2, CCII.
In considerazione di ciò, la Prima Sezione della Suprema Corte reputava necessario interpellare le Sezioni unite in vista di un’esatta definizione del rapporto intercorrente tra le due distinte vicende impugnatorie, aventi rispettivamente ad oggetto la revoca o annullamento dell’omologazione del concordato[9] e la sentenza di fallimento, venutesi, nella specie, a contestualmente spiegare (così l’ordinanza interlocutoria 22 settembre 2016, n. 18558)[10].
Consideriamo, viceversa, la fattispecie concretante l’oggetto dalla norma su riportata. Poiché non è pensabile che la domanda diretta alla declaratoria di apertura della liquidazione giudiziale sia presentata direttamente al cospetto della Corte d’appello, necessario è immaginare, affinché essa Corte, come la norma prospetta, possa addivenire a quella declaratoria, che la relativa domanda già appartenesse al fascicolo di primo grado[15], vale a dire che già ne fosse investito il giudice dell’omologa, in modo tale da decretarne il rigetto in via contestuale alla concessione dell’omologa stessa. Solo così, infatti, il reclamo proposto ai sensi dell’art. 51 CCII contro la pronuncia di omologa potrebbe al contempo essere indirizzato, quale distinto capo della medesima sentenza[16], contro la pronuncia reiettiva della domanda di apertura della liquidazione giudiziale, mettendo in condizione la Corte adita di statuire su questa domanda ed accoglierla all’atto del rigetto, con la revoca dell’omologa, della contrapposta istanza concordataria.
Il rilievo di questa opzione dei riformatori ai fini della presente indagine è presto illustrato. Se unico è il rimedio impugnatorio ammesso contro la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale e quella di omologazione del concordato preventivo, uniforme dev’essere il regime della relativa pronuncia di accoglimento. A venire in gioco sono allora, a questo punto, le previsioni dell’art. 53, comma 2, CCII, a tenore delle quali, dalla pubblicazione della sentenza di revoca della liquidazione giudiziale “e fino al momento in cui essa passa in giudicato, l'amministrazione dei beni e l'esercizio dell'impresa spettano al debitore, sotto la vigilanza del curatore. Il tribunale, assunte, se occorre, sommarie informazioni ed acquisito il parere del curatore, può autorizzare il debitore a stipulare mutui, transazioni, patti compromissori, alienazioni e acquisti di beni immobili, rilasciare garanzie, rinunciare alle liti, compiere ricognizioni di diritti di terzi, consentire cancellazioni di ipoteche e restituzioni di pegni, accettare eredità e donazioni ed a compiere gli altri atti di straordinaria amministrazione”: una disciplina che attesta la capacità della sentenza di revoca della liquidazione a spiegare i propri effetti quando ancora non sia passata in giudicato[27] e che, se è vero quanto premesso circa la necessaria uniformità di regime delle pronunce di accoglimento dell’unitario rimedio ex art. 51 CCII, autorizza a trarre un’analoga conclusione con riguardo alla revoca dell’omologazione del concordato.
Ciò posto, dobbiamo subito osservare, però, come, superato il nodo pregiudiziale relativo alla possibilità di far luogo all’apertura della liquidazione giudiziale (o altre procedura di tipo liquidatorio) in pendenza dei termini o del giudizio d’impugnazione avverso la pronuncia di revoca dell’omologazione del concordato (o di altra procedura di regolazione negoziale della crisi d’impresa), analoghi spunti risolutivi non siano, per contro, più reperibili tra le pieghe del nuovo ordinamento concorsuale: sicché, intorno alla questione che origina dal riconoscimento di quella possibilità, e che investe, come detto, il rapporto intercorrente tra le impugnazioni esperibili contro i provvedimenti, rispettivamente, di apertura della procedura liquidatoria e revoca dell’omologazione della procedura concordataria, le incertezze che aleggiavano in precedenza sono destinate a perpetuarsi. Perché è vero che la Cassazione è intervenuta al riguardo nella sua più autorevole composizione, ma con soluzione che dava ampio àdito a dubbi, che la riforma, avendo lasciato immutate le coordinate normative di riferimento, non è certo valsa a sopire.
Stabilito, per un verso, che le ragioni di critica avverso la sentenza della Corte d’appello che abbia revocato l’omologazione del concordato possono essere fatte valere esclusivamente in via di ricorso per cassazione contro quella sentenza; e, per il verso opposto, che la salvaguardia dell’opzione concordataria passa necessariamente attraverso l’impugnativa della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale che abbia visto la luce dopo la revoca dell’omologa: praticamente inevitabile diviene concludere nel senso che l’attivazione del rimedio impugnatorio ammesso contro uno dei provvedimenti che occupano, nella fattispecie, la scena non preclude l’attivazione dell’altro; e che il coordinamento dei giudizi di gravame che potrebbero venire così a parallelamente dipanarsi debba essere affidato, in ragione della preminenza e, dunque, del rilievo pregiudiziale spettanti alla soluzione concordataria della crisi d’impresa rispetto a quella liquidatoria[49], alla sospensione per pregiudizialità-dipendenza ex art. 295 c.p.c. del giudizio di reclamo, davanti alla Corte d’appello, contro la sentenza di avvio della liquidazione giudiziale, nell’attesa del pronunciamento della Cassazione sul ricorso proposto contro la sentenza di revoca dell’omologazione del concordato. Così che poi: a) in caso di rigetto del ricorso e conseguente conferma dell’oppugnata sentenza di revoca, il debitore non avrebbe motivo per riassumere il giudizio pendente innanzi alla Corte d’appello[50], se non, al più, ai fini dell’esame di vizi intrinseci alla sentenza oggetto del reclamo (siccome, ad es., emessa in violazione della regola del contraddittorio) e tali da determinarne la revoca indipendentemente dalle sorti finali del giudizio di omologazione del concordato; b) mentre, in caso di accoglimento del ricorso e annessa, rinnovata, pronuncia di omologa – vuoi all’esito del giudizio di rinvio dopo la cassazione vuoi da parte, direttamente, della Suprema Corte, nell’esercizio dei suoi poteri di c.d. cassazione sostitutiva ex art. 384, comma 2, ult. parte, c.p.c. -, il giudizio di cui la Corte d’appello aveva decretato la sospensione va necessariamente ripreso, in funzione della revoca della sentenza che aveva dichiarato aperta la procedura di liquidazione giudiziale[51].
Nelle ipotesi, logicamente diverse da quella della revoca dell’omologazione, in cui l’impercorribilità delle vie del concordato preventivo sia certificata con provvedimento del Tribunale, si può avverare l’eventualità che la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale sopravvenga in pendenza del reclamo proposto davanti alla Corte d’appello avverso quel provvedimento. Scontato come neppure qui il debitore possa astenersi dall’interporre reclamo contro quella sentenza, appare evidente come all’esigenza del coordinamento decisorio tra i distinti procedimenti di gravame così venuti in essere si possa, nella specie, dare risposta, anziché per il tramite della sospensione di quello dipendente, attraverso la riunione dei procedimenti medesimi, cui non osta, com’era, viceversa, nella fattispecie di consecuzione su cui ci siamo innanzitutto trattenuti, la pendenza degli stessi in gradi differenti del giudizio.
Il riferimento è, chiaramente, al decreto di rigetto dell’istanza di ammissione alla procedura de qua[54], in ordine al quale l’art. 47, comma 5, CCII, ribaltando le scelte espresse dall’art. 162, comma 2, L. fall.[55], ha previsto l’esperibilità di un apposito mezzo di gravame, il cui perimetro applicativo non avrei poi particolari esitazioni ad estendere sino a ricomprendere anche il decreto con cui il Tribunale abbia a dare atto della mancata approvazione, da parte dei creditori, della proposta concordataria nonché quello di revoca dell’ammissione alla procedura di cui all’art. 106, comma 3, CCII[56].
Note: