Riguardo le procedure elencate dall’art. 12, comma 1, nell’ambito delle quali conservano i loro effetti gli atti autorizzati nel corso della composizione negoziata, sono necessarie alcune precisazioni.
Anzitutto il concetto di prededucibilità riferito all’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l.f., richiamato dalla norma, è parso ad alcuni “improprio”, in considerazione della circostanza che in questa procedura lo spartiacque è dato dall’adesione, che discrimina «i creditori aderenti (da soddisfare con le modalità e nei tempi concordati) e quelli non aderenti (da pagare integralmente, sia pure con la possibilità di moratoria oggi prevista dall’art. 182-bis, comma 1, l. fall.)»[40].
Per altro verso, non facendo la norma distinzione alcuna in ordine alla tipologia di accordo, l’efficacia della prededucibilità dei finanziamenti autorizzati resterebbe ferma finanche nei successivi accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ex art. 182-septies l.fall.[41].
Il problema applicativo maggiore, tuttavia, sembra essere quello relativo all’“omologazione” dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero del concordato preventivo quale condicio sine qua non per la conservazione degli effetti degli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell'articolo 10 nell’ambito della (precedente) composizione negoziata: presupposto espressamente richiamato dall’art. 12 comma 1.
V’è da chiedersi, quindi, qual è il regime giuridico degli atti autorizzati dal tribunale allorquando successivamente non sopraggiunga l'omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l.f., per esempio per la mancata adesione della maggioranza dei creditori.
Stando all’interpretazione letterale (art. 12 delle preleggi), la soluzione sembra chiara: se gli accordi ex art. 182-bis l.fall. e i concordati successivi alla composizione negoziale non vengono omologati, l’efficacia degli atti autorizzati ex art. 10 viene meno. Ma ciò che è semplice rischia di essere troppo semplicistico, creando un’evidente distonia nell’impianto normativo, oltre che una chiara disparità tra i soggetti finanziatori e gli acquirenti di aziende in dipendenza di un evento, futuro (in una procedura diversa e posteriore), incerto oltre che indipendente (perché non ricollegabile al loro operato). Evidente distonia in considerazione della circostanza che, in dipendenza del “caso”, da un lato vi sarebbero atti già autorizzati ex art. 10, vagliati dall’autorità giudiziale prima del loro compimento – e considerati essenziali per il risanamento dell’impresa (in quanto funzionali alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori sociali) – che godono del “beneficio” della conservazione degli effetti (perché la successiva procedura è stata omologata), dall’altro altri atti, anch’essa autorizzati dal tribunali, successivamente divenuti sprovvisti di tale beneficio (per la mancata omologa)[42].
D’altro canto tale rischio in capo ai terzi (finanziatori e acquirenti dell’azienda), riconducibile ad una specie di “lancio della monetina”, potrebbe indurre i possibili interessati ad astenersi dal compiere l’operazione, essendo poco tutelate le loro ragioni e, strategicamente, potendo attendere per intervenire l'apertura di una procedura concorsuale, con le conseguenti maggiori garanzie offerte dalla legge. In particolare, riguardo la cessione di azienda, qualora la procedura successiva non venga omologata senza che segua il fallimento, far rivivere la solidarietà ex post pare davvero irragionevole e lesivo dell'affidamento ingenerato nell'acquirente[43].
Tale distonia potrebbe essere superata, in via interpretativa, per vari motivi di ordine logico e sistematico. Anzitutto, per analogia con la soluzione (opposta) adottata dal legislatore nell'art. 161, comma 7, che conferisce la qualifica di prededucibilità ai "crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore" durante il concordato in bianco, ancorché non seguito da omologazione. Inoltre, per il diverso trattamento riservato agli atti, pagamenti e garanzie posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo all'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto (purché “coerenti”): atti e pagamenti che rimangono esenti dalla revocatoria fallimentare ex art. 12, comma 2 [44]. Va anche considerato che, laddove al primo tentativo di omologazione non riuscito faccia seguito un secondo accesso alla stessa o ad una differente procedura concorsuale, con esito positivo, l'interpretazione secundum rationem legis imporrebbe di ritenere che siano conservati gli effetti dell'autorizzazione ex art. 10 D.L.[45].
Si è tuttavia autorevolmente osservato che, nella pratica, il problema rischia di essere di poco momento, atteso che la norma così formulata non risulterebbe lesiva degli interessi dei creditori, in quanto nel caso non intervenga l’omologazione seguirà - verosimilmente - una procedura liquidatoria dove la prededuzione potrà essere riconosciuta.[46] Invero, avendo rilievo la prededucibilità soltanto in caso di apertura del concorso, avrebbe ben poco significato in pendenza della composizione negoziata, sia perché l’imprenditore è in bonis sia perché potrà richiedere le misure protettive onde impedire al finanziatore di agire esecutivamente sul proprio patrimonio: pertanto in caso di mancata omologa della successiva procedura l'impresa dovrebbe fallire; in alternativa, il finanziatore sarebbe libero di aggredire il patrimonio della società rimasta in bonis.