La disposizione concorsuale trova la sua prima caratterizzazione nel comma 1 dell’art. 107 del R.D. 267/42 che prevede come la liquidazione debba avvenire secondo regole di competitività, individuabili in quei meccanismi processuali che siano finalizzati all'ottenimento del miglior risultato, nel minor tempo e con la maggior trasparenza possibile. In coerenza con le considerazioni che precedono, unitamente alla lettura di alcune regole di base contenute agli artt. 105 e ss. L.F. ed in assenza di una specifica previsione normativa, le “vendite competitive” possono, dunque, ragionevolmente qualificarsi tali quando prevedano complessivamente: (i) un sistema incrementale di offerte; (ii) un’adeguata pubblicità e assoluta trasparenza endo-processuale ottenuta con la comunicazione alle parti;(iii) regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell’offerente; (iv) completa e totale accessibilità a tutti gli operatori interessati.
Il tema è trattato in dottrina individuando, ad esempio, il mancato raggiungimento del requisito in presenza di accettazione di offerte in busta chiusa senza successiva gara, o in presenza di aggiudicazioni per effetto di subentro del secondo aggiudicatario in caso di rinuncia o inadempienza dell’acquirente; di diverso avviso altra parte della dottrina [6] che ritiene che il significato di procedura competitiva voglia esclusivamente dire che il curatore deve sollecitare la presentazione di offerte e prevedere un termine entro quale le stesse dovranno pervenire.
In giurisprudenza si rinviene, invece, una mera enunciazione dei principi cardine, e cioè l'idoneità della pubblicità che deve precedere la vendita e la natura competitiva del procedimento utilizzato per l'individuazione del soggetto acquirente.[7]
In tale contesto, il curatore, in virtù della deformalizzazione voluta dal legislatore e considerata l’assenza di regole prestabilite che vincolano la liquidazione dell’attivo fallimentare, è chiamato a determinare, nell’alveo del programma di liquidazione, la procedura che, in base alla situazione concreta, sia ritenuta maggiormente idonea alla massimizzazione del risultato. Stante l’ampia portata della norma e l’elevata dose di discrezionalità che il legislatore della prima riforma ha voluto attribuire al curatore (seppur mitigata dalla richiesta analiticità del contenuto del programma di liquidazione) il vero problema da affrontare resta quello della codificazione di una procedura che possa dirsi rispettosa dei dettami di legge. In linea generale può essere opportuno mutuare a contrario le regole dettate dal Codice di Procedura nella misura in cui le stesse siano adattabili e coerenti con la natura dei beni trattati, potendo, diversamente da quanto accade con il ricorso al 2° comma dell’art. 107 L.Fall., operare quel processo di “cannibalizzazione” delle norme codicistiche da parte della legge fallimentare, adottando le prescrizioni contenute nel codice che maggiormente si attagliano alla tipologia di vendita, ma senza essere vincolati al rispetto di tutto l’impianto dell’esecuzione individuale. Non sfugge, infatti, che il ricorso alle regole del processo esecutivo permea automaticamente la vendita del requisito di competitività, sicché il fatto stesso di aver adottato tale modalità può far ritenere assolto l’onere di individuare la procedura competitiva di liquidazione (considerato che questo è l’alveo naturale previsto dalla norma, trattandosi di procedure competitive definite tali dal legislatore). Potrebbe, allora, essere lo stesso curatore a propendere per un richiamo, magari anche parziale, al sistema del codice di rito, sfruttandolo per forgiare una procedura modellata proprio sulla scorta di dette regole laddove si ritenga che ciò soddisfi, al meglio, le esigenze del fallimento posto che, anche in questo caso, l’eventuale richiamo a formule derivate dalla liquidazione codicistica deve pur sempre essere interpretato alla luce della complessiva formulazione del programma di liquidazione e del bando di gara. E d’altronde, il rinnovato vigore delle riformate vendite immobiliari attuate in sede esecutiva, consente al Curatore di ispirarsi agevolmente alla disciplina codicistica, senza con ciò tradire l’obiettivo di deformalizzazione perseguito dal legislatore.[8]
Dunque, una prima conclusione può trarsi, ovvero che, al fine di garantire il meccanismo della competitività, non bisogna discostarsi di molto dal sistema codicistico dettato in tema di esecuzioni immobiliari (nella misura in cui, ovviamente, lo schema sia confacente alla tipologia di bene venduto). Ma, qualora se ne ravvisi la necessità, è importante testare schemi alternativi che possano superare la prova di resistenza imposta dalla perimetrazione della norma concorsuale. Sulle tipizzazioni di procedure competitive, nonostante le stringate indicazioni legislative, appare possibile individuare tre modelli di liquidazione utilizzabili dalle procedure fallimentari, ovvero: (i) Vendita a procedure competitive rigide; (ii) Vendite a procedure competitive semplificate; (iii) Vendite a trattativa privata. Maggior tutela, evidentemente, offre il sistema utilizzabile della c.d. procedura competitiva rigida caratterizzata dal meccanismo delle vendite giudiziali con incanto o senza incanto, con gli opportuni aggiustamenti. Si tratta, all’evidenza, di una procedura che si caratterizza per la necessaria presenza di offerte scritte, segrete e cauzionate, di suddivisione in lotti dei beni, di eventuale predeterminazione dei rilanci minimi, di precisazione preventiva dei termini di pagamento massimi o delle condizioni per accedere ad una dilazione; con il naturale epilogo dell’aggiudicazione in favore del maggior offerente, eventualmente a seguito di gara.
L’ampia portata e la voluta genericità del concetto di “competitività” - che va, come visto, necessariamente “riempito” di contenuti seppur nel solco tracciato dal Legislatore, - è stata nel tempo meglio codificata (facendo, evidentemente, uso della prassi che si era via via formata) giungendo all’introduzione dell’art. 163-bis dettato in tema di “Offerte concorrenti”.
La disposizione, che trova la sua genesi con l'art. 2, comma 1, del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132, prevede che “quando il piano di concordato di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e), comprende una offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, il tribunale dispone la ricerca di interessati all'acquisto disponendo l'apertura di un procedimento competitivo a norma delle disposizioni previste dal secondo comma del presente articolo”.
Così fornendo l’esatta perimetrazione della “competitività” e stabilendo “le modalità di presentazione di offerte irrevocabili, prevedendo che ne sia assicurata in ogni caso la comparabilità, i requisiti di partecipazione degli offerenti, le forme e i tempi di accesso alle informazioni rilevanti, gli eventuali limiti al loro utilizzo e le modalità con cui il commissario deve fornirle a coloro che ne fanno richiesta, la data dell'udienza per l'esame delle offerte, le modalità di svolgimento della procedura competitiva, le garanzie che devono essere prestate dagli offerenti e le forme di pubblicità del decreto”.
Una disposizione molto puntuale che arriva a declinare ulteriormente la forma di pubblicità [9], l’aumento minimo del corrispettivo, l’irrevocabilità delle offerte, le garanzie da prestare, la segretezza delle offerte e l’inefficacia delle apposte condizioni; nonché le specifiche modalità del meccanismo di gara da svolgersi necessariamente in udienza.[10]
Prescrizioni, dunque, che confermano la rigidità di un procedimento competitivo caratterizzato da regole certe e dalla assoluta trasparenza nella scelta del contraente, senza lasciare alcun margine di discrezionalità nella ricerca del miglior offerente.