In occasione dell’approvazione della legge fallimentare del 1942 il legislatore si trovava di fronte ad un panorama normativo nel quale erano già presenti, oltre alla procedura concorsuale di diritto comune del fallimento, anche “procedure speciali” denominate “liquidazione coatta amministrativa”, introdotte per la gestione delle situazioni di crisi di imprese operanti in specifici settori dell’economia. In particolare il legislatore si trovava di fronte ad una disciplina sufficientemente compiuta della procedura di liquidazione coatta amministrativa delle imprese bancarie (espressa dalla “legge bancaria” formatasi nel biennio 1936-1938).
In linea di massima le esigenze di delineare procedure “di crisi” idonee a prevenire o superare anche situazioni di crisi “di legalità”, nonché di consentire interventi connotati da discrezionalità amministrativa delle Autorità amministrative di vigilanza di settore, avevano trovato risposte normative contingenti, e non coordinate tra di loro.
A ciò pose rimedio la legge fallimentare fissando alcuni fondamentali principi concernenti:
a) le regole di coordinamento tra le procedure concorsuali di diritto comune (fallimento; amministrazione controllata; Concordato preventivo), e le procedure speciali delle liquidazioni coatte amministrative;
b) un nucleo di disposizioni normative (artt. 194-215 L. fall.) comuni a tutte le procedure di l.c.a., variamente delineate o delineabili per le singole categorie di imprese giudicate meritevoli di una disciplina delle crisi di diritto speciale [1];
c) l’affermazione del necessario adeguamento delle disposizioni in vigore ad una serie di norme imperative (artt. 195, 196, 200, 201, 202, 203, 209, 211 e 213 L. fall.), dotate di efficacia abrogatrice delle disposizioni previgenti di contenuto incompatibile (art. 194, comma 2, L. fall.).
Successivamente la disciplina delle procedure di l.c.a. è stata interessata da alcuni fenomeni di carattere generale.
Principalmente si è andata affermando la tendenza a dettare, per ogni singola categoria di imprese appartenenti al novero di quelle sottratte al fallimento, un corpus autonomo di disposizioni speciali aventi ad oggetto la disciplina delle situazioni di “crisi”, in larga parte autosufficiente. Questa tendenza, già manifestatasi con la disciplina delle situazioni di crisi delle società fiduciarie, delle società fiduciarie e di revisione e degli enti di gestione fiduciaria (D.L. 5 giugno 1986, n. 233, convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 1986, n. 430), ha trovato la sua più completa espressione nella disciplina delle crisi delle banche (artt. 70 ss. D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”), e nella disciplina delle crisi delle imprese abilitate alla prestazione di servizi di investimento (artt. 51 ss. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”): ed ha poi registrato una significativa conferma con l’approvazione di una articolata “disciplina delle crisi” delle imprese di assicurazione (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 205, “Codice delle Assicurazioni”).
In secondo luogo si è andata accentuando l’attenzione al fenomeno del “gruppo” di imprese, che la disciplina della procedura di fallimento, invece, praticamente ignorava (ed ha continuato ad ignorare nel tempo). Sulla scia di quanto già previsto dalla disciplina della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (art. 3 D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazioni dalla legge 3 aprile 1979, n. 95 – c.d. “legge Prodi” -), le disposizioni sulla l.c.a. delle società fiduciarie (e delle società fiduciarie e di revisione, nonché degli enti di gestione fiduciaria) assoggettarono alla procedura concorsuale di diritto speciale della l.c.a. non soltanto le società fiduciarie (e assimilate) propriamente dette, ma anche le società (in stato di insolvenza) che, pur esercitando una attività economica “di diritto comune” - che come tale ne avrebbe comportato la soggezione al fallimento -, presentassero dei rapporti di collegamento con la società fiduciaria (così da appartenere a quello che può essere definito il “gruppo fiduciario”).
Successivamente, le disposizioni sull’amministrazione straordinaria e sulla liquidazione coatta amministrativa delle imprese esercitanti l’attività creditizia hanno assoggettato a tali procedure di crisi di diritto speciale non solamente le banche propriamente dette, ma anche le società (in stato di insolvenza) “di diritto comune” – che in quanto tali sarebbero state soggette al fallimento – presentanti dei rapporti di collegamento con la società bancaria (così da appartenere a quello che è normativamente definito “gruppo bancario”). Nello stesso modo gli artt. 275 ss. del d. lg. n. 209/2005 hanno dettato una disciplina compiuta “sul risanamento e sulla liquidazione del gruppo assicurativo”.
La considerazione del corpus normativo rappresentato dalla “rivisitazione” della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (D.Lgs. n. 270/1999 – c.d. “legge Prodi-bis” -, che prese il posto del menzionato D.Lgs. n. 95/1979) aveva indotto a cogliere i sintomi di una terza, possibile tendenza di fondo nella evoluzione della disciplina delle procedure concorsuali “amministrativistiche”: un rafforzamento delle funzioni dell’Autorità giudiziaria, sia pure in un contesto caratterizzato da una forte “ingerenza” dell’autorità amministrativa, anche in funzione della garanzia di un più adeguato equilibrio tra l’esigenza del soddisfacimento degli interessi generali di settore, e l’esigenza del soddisfacimento degli interessi individuali delle controparti dei rapporti giuridici posti in essere dall’imprenditore assoggettato ad A.S. (primi tra tutti i suoi creditori).
Tale tendenza, peraltro, è stata rapidamente corretta dalla successiva disciplina della procedura della “Amministrazione straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni in stato di insolvenza” (c.d. “legge Marzano”, o “legge Parmalat”: D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, e successive modificazioni e integrazioni), e dalla integrazione da essa ricevuto da parte del c.d. “decreto Alitalia” (D.L. 28 agosto 2008, n. 134, convertito nella legge 27 ottobre 2008, n. 166), volto a disciplinare le situazioni di crisi delle grandi imprese “operanti nei servizi pubblici essenziali” [2].
Successivamente, nel momento di mettere mano alla prima “riforma organica” della legge fallimentare, dopo oltre 60 anni dalla sua approvazione, per espressa (e non è dato di sapere quanto consapevole) volontà del legislatore delegante, la “riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, avviata con l’approvazione della legge n. 80/2005, fu specificamente circoscritta a quelle [“procedure concorsuali”] “di cui al regio decreto 16 maggio 1942, n. 267”, cioè le procedure disciplinare dalla c.d. “legge fallimentare” (cfr. art. 1, comma 5, L. 14 maggio 2005, n. 80), vale a dire le procedure rivolte a disciplinare le situazioni di crisi delle imprese “di diritto comune”.
In conseguenza di ciò la “riforma organica” della legge fallimentare degli anni 2005 e 2006 (e seguenti) non riguardò, in linea di principio:
(i) né le procedure di liquidazione coatta amministrativa disciplinate in testi normativi diversi dalla c.d. “legge fallimentare” - per es.: le procedure di l.c.a. delle banche, delle imprese autorizzate a prestare servizi di investimento, delle assicurazioni, che sono rimaste disciplinate, rispettivamente, nel “Testo Unico Bancario” (D.Lgs. n. 386/1993); nel “Testo Unico della Finanza” (D.Lgs. n. 58/1998); e nel “Codice delle Assicurazioni” (D.Lgs. n. 209/2005) -;
(ii) né la procedura concorsuale di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (c.d. “Prodi-bis”), disciplinata dal D.Lgs. n. 270/1999;
(iii) né la procedura concorsuale di Amministrazione Straordinaria delle imprese insolventi di rilevanti dimensioni (c.d. “legge Marzano” o anche “legge Parmalat”, disciplinata dal D.L. n. 347/2003);
(iv) né la procedura concorsuale di Amministrazione Straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni “operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali” (c.d. “decreto Alitalia”: d. L. n. 134/2008).
Si è precisato che a tali procedure la “riforma organica” della legge fallimentare degli anni 2005 e 2006 (e seguenti) non si sarebbe applicata in linea di principio: ma non va trascurata la circostanza che una parte rilevante della disciplina delle procedure di L.C.A. regolate al di fuori del fallimento era costituita da disposizioni di rinvio alla “legge fallimentare” propriamente detta. In conseguenza di ciò, molte disposizioni modificate dagli interventi di riforma che si sono succeduti dal 2005 sino alla approvazione del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza si sono trovate ad essere applicate anche alle procedure concorsuali amministrative delle L.C.A. “speciali”, nella versione riformata, pur essendo tali procedure - come detto - di per sé non interessate dagli interventi riformatori.
Occorre infine dare conto dei dubbi di legittimità costituzionale che in passato hanno investito l’istituto. È proprio la ricorrenza dei ricordati interessi di carattere, per così dire, “generale”, che ha consentito alla disciplina in materia di liquidazione coatta amministrativa di sottrarsi alla censura di incostituzionalità (C. Cost., 26 giugno 1975, n. 159, in Foro.it., 1975, I, 1592, che ha escluso la illegittimità costituzionale dell’art. 2 L. fall. sotto il profilo degli artt. 3 e 24 Cost.), agitata, anche in dottrina, soprattutto partendo dalla constatazione dell’affievolimento dei poteri e dei diritti dei creditori (tanto sotto il profilo del loro potere di iniziativa; quanto sotto quello della sottrazione della loro tutela all’autorità giudiziaria[3]).
Al conseguimento di tale risultato interpretativo non è estraneo il fenomeno rappresentato dalla circostanza che la Corte Costituzionale, attraverso la propria attività “correttiva”, ha sovente introdotto nella liquidazione coatta alcuni principi propri della procedura fallimentare[4]; e alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 209 L. fall. nella parte in cui prevedeva che l’opposizione dei creditori in tutto o in parte esclusi decorresse dalla data del deposito dell’elenco dei crediti e non da quella di ricezione delle raccomandate a.r. con cui il Commissario liquidatore dà notizia dell’avvenuto deposito).
In questo senso può anche dirsi che la Corte Costituzionale abbia “precorso i tempi” rispetto a quello che sarebbe stato l’indirizzo perseguito dal legislatore del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 18: deve infatti tenersi in considerazione la circostanza che gli interventi modificativi della disciplina della liquidazione coatta amministrativa ad opera dell’art. 18 del c.d. “decreto correttivo” [del 2007] furono giustificati proprio alla luce dell’esigenza di una armonizzazione con la disciplina dettata per istituti della procedura fallimentare, ovvero proprio per adeguare la normativa vigente agli interventi “correttivi” della Corte Costituzionale cui si è fatto cenno[5].