Nel caso in cui il piano preveda la cessione di beni e dunque la necessità del compimento di attività di monetizzazione, in tutto o in parte, del patrimonio del debitore, è possibile affidare tali compiti ad un liquidatore, soggetto professionale capace di offrire garanzie di efficienza ed efficacia delle attività di vendita.
Si tratta di soggetto nominato dal giudice delegato su proposta dell’OCC ed avente i requisiti di professionalità ed indipendenza richiesti dall’art. 28 l.f. per il curatore.
La nomina del liquidatore, di regola facoltativa, diviene necessaria ed indisponibile nel caso in cui per la soddisfazione dei crediti siano utilizzati beni già sottoposti a pignoramento[26].
In questo particolare caso il legislatore ha infatti avvertito maggiore preoccupazione nel riaffidare al debitore esecutato la piena e libera facoltà di cessione di beni, in molti casi già sottratti alla sua custodia, imponendo dunque la nomina di un organo terzo.
In ogni altra ipotesi la presenza o meno del liquidatore nella fase esecutive dipende da quanto stabilito nella proposta o nel piano - diversamente da quanto accade nel concordato preventivo con cessione di beni, in cui è invece necessaria e non ovviabile - ma la designazione nominativa ivi contenuta si ritiene non vincoli l’autorità giudiziaria nella scelta del professionista da incaricare[27].
Il perimetro operativo dell’organo liquidatorio delle procedure di accordo e piano del consumatore sembra assai più ristretto di quello del concordato preventivo, in quanto limitato alla sola attività liquidatoria di beni, tanto del debitore, quanto dei terzi che abbiano fornito in tal modo finanza esterna a sostegno del piano, mentre non è prevista, salvo mandato ad hoc, alcuna sua legittimazione all’esperimento di azioni di recupero crediti, da ritenersi dunque affidate al debitore[28]. Analogamente deve ritenersi esclusa, in linea generale e salva attribuzione della rappresentanza sostanziale e processuale, la legittimazione a promuovere giudizi volti alla reintegrazione del patrimonio del debitore o alla miglior realizzazione dell’attivo, quali ad esempio quelli divisionali finalizzati alla liquidazione di quote immobiliari.
Inoltre, la nomina giudiziale del liquidatore comporta quale conseguenza che, diversamente dal debitore, il quale pone in essere gli atti esecutivi senza vincolo e sempre sotto la sorveglianza dell’OCC, le attività di liquidazione compiute da detto organo devono essere autorizzate dal giudice delegato, chiamato anche a verificarne, sentito il parere dell’organismo, la conformità alla proposta e al piano.
Assumeranno al riguardo particolare pregnanza le disposizioni del decreto di omologa, nel quale, come si vedrà appresso, il giudice esercita poteri c.d. conformativi colmando le lacune della proposta ed integrando la disciplina della fase esecutiva, che ben può essere preceduta dalla predisposizione di un documento programmatico, analogo al programma di gestione di cui all’art. 104 ter l.f.
Allo stesso giudice delegato è affidata l’eventuale revoca o sostituzione del liquidatore per giustificati motivi, sicché, diversamente da dall’OCC, tale organo deve intendersi obbligato alla presentazione del rendiconto della gestione.
Il Codice della Crisi fa venir meno la nomina del liquidatore pur quando vi siano beni sottoposti a pignoramento, consentendo, pertanto, anche in tale eventualità, che le vendite siano curate direttamente dal debitore al di fuori dell’espropriazione giudiziale in corso, divenuta definitivamente improcedibile.
Ove le attività di liquidazione risultino complesse, come nel caso in cui si debba procedere alla vendita di beni con procedure competitive, il debitore potrà avvalersi della collaborazione dell’OCC.
La scelta di elidere la figura del liquidatore non solo risponde all’esigenza di garantire l’economicità della procedura, ma è altresì coerente con l’intento di attribuire al debitore la totale responsabilità dell’esecuzione del piano[29].
E’ vero che in tal modo si rischia di concentrare nella persona dell’OCC il ruolo di vigilante e di vigilato, almeno per quanto riguardo le attività di collaborazione nella liquidazione, ma a questa circostanza la pratica potrà ovviare riconoscendo in sede di omologa maggiori poteri di controllo al giudice delegato sulle attività di liquidazione demandate all’organismo, ovvero ipotizzando, almeno per compendi più significativi, la designazione di un collegio di gestori della crisi da parte del referente con attribuzione di compiti diversificati (art. 2 co. 1 lett. f) d.m. 202/2014).
Occorre ora soffermarsi sulle modalità di svolgimento delle attività liquidatorie.
Nonostante l’art. 13 l.s. nulla preveda al riguardo, la dottrina e la giurisprudenza edita sul punto non hanno mai dubitato sulla necessità di applicare alle vendite previste dall’accordo o dal piano del consumatore, ove affidate al liquidatore, la disciplina delle procedure competitive in considerazione sia della natura concorsuale delle procedure di sovraindebitamento, sia perché indubbiamente si tratta di vendite di natura coattiva[30].
Del resto l’art. 13 co. 3 l.s. riconosce al giudice delegato poteri tipici della disciplina di tali vendite, quali la cancellazione del pignoramento eventualmente trascritto sui beni, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo compresa la trascrizione dei decreti di cui all’art. 10 co. 1 e 12 bis co. 3 l.s.[31]
Consegue a quanto sopra che il liquidatore potrà ben avvalersi delle facoltà previste dall’art. 107 l.f., optando per la vendita deformalizzata competitiva, ovvero per quella nelle forme del codice di procedura civile, affidando l’incarico a soggetti specializzati (si pensi ai gestori delle vendite per il caso di asta telematica).
Meno probabile è che la vendita possa proseguire in sede esecutiva, laddove vi siano procedure pendenti, salvo ciò non sia espressamente previsto nell’accordo o nel piano, atteso che l’art. 13 co. 1 l.s., nell’attribuire in via esclusiva al liquidatore la disponibilità dei beni pignorati e delle somme incassate sembra escludere la modalità di liquidazione mediante subentro nelle procedure espropriative individuali[32].
Del resto la ratio posta alla base della disciplina del subentro nelle procedure esecutive individuali, che, oltre alle evidenti economie processuali, è principalmente quella di avvantaggiare l’intera massa degli effetti protettivi anticipati del pignoramento anteriore, è meno avvertita nelle procedure di sovraindebitamento, la cui apertura presuppone proprio l’assenza di atti in frode compiuti anteriormente.
Dalla natura coattiva delle vendite in questione discende senza dubbio l’applicabilità di una serie di disposizioni conseguenti quali:
a) la possibilità per il giudice (ma non per il liquidatore in assenza di espressa previsione normativa) di sospendere la vendita, d’ufficio o su istanza di parte, “qualora ricorrano gravi e giustificati motivi”, atteso peraltro che proprio a questa facoltà sembra riferirsi l’inciso finale dell’art. 12 co. 3 l.s., da ritenersi perciò nonostante la lettera della norma riferibile anche al piano del consumatore;
b) la possibilità di sospendere la vendita in presenza di serie offerte migliorative, tanto più se espressamente previsto dal bando di gara, e sempre che non si sia fatto ricorso alla vendita senza incanto nelle forme del codice di rito[33];
c) le regole sostanziali: quali l’inopponibilità all’aggiudicatario dei diritti di terzi non opponibili alla massa (art. 2920 c.c.), ovvero la limitazione della garanzia del terzo aggiudicatario per vizi redibitori (art. 2922 c.c.), salvo il caso di aliud pro alio;
d) le regole procedurali relative all’incameramento della cauzione in caso di mancato versamento del saldo prezzo (art. 587 c.p.c.);[34]
e) le deroghe al divieto di vendita privatistica previste per il caso di vendite forzate nell’ipotesi di immobili abusivi (art. 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e art. 40 co. 2 l. 28 febbraio 1985, n. 47) e catastalmente non conformi (art. 29 co. 1bis l. 27 febbraio 1985, n. 52).
Più complesso è il caso delle vendite privatistiche che pure il piano potrebbe prevedere, affidandole direttamente alla mano del debitore proponente ed individuando ex ante il soggetto acquirente.
A tale riguardo occorre a ben vedere distinguere a seconda che l’obbligo di contrarre e trasferire il bene ad un determinato acquirente sia derivante dalla stipula anteriore di contratti preliminari opponibili alla procedura, ovvero derivi dalle previsioni dell’accordo o del piano.
Nel primo caso nulla quaestio quando sia il debitore stesso a voler dar corso alla conclusione del definitivo mettendo a disposizione dei creditori il corrispettivo, trattandosi di ordinaria esecuzione di un obbligo contrattuale.
In caso contrario deve prendersi atto della mancanza di una disposizione normativa che preveda la sospensione automatica degli effetti dei contratti pendenti (come nel caso del fallimento), ovvero la facoltà di sospensione o scioglimento su richiesta del debitore (come nel caso del concordato preventivo).
Deve allora convenirsi con coloro che, nell’escludere la libera facoltà di scioglimento da parte del debitore o del liquidatore, sostengono l’applicazione al preliminare di vendita immobiliare delle ordinarie regole negoziali, compresa la possibilità per il promissario acquirente di chiedere l’esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., anche quando la relativa domanda giudiziale non sia stata anteriormente trascritta, e purché la trascrizione del contratto ai sensi dell’art. 2645 bis c.c. preceda quella del decreto ex art. 10 co. 1 l.s. o quella di omologa del piano del consumatore, equiparati all’atto di pignoramento[35].
Naturale conseguenza della natura privatistica di questo tipo di vendita dovrebbe essere il divieto di cancellazione giudiziale delle formalità iscritte o trascritte sul bene, potendo semmai ragionarsi della necessità di trascrizione del decreto ex art. 10 co. 1 l.s. o di quello di omologa del piano del consumatore, trattandosi di beni la cui cessione non è prevista dal piano, ma dovuta ad un preciso obbligo contrattuale anteriore[36].
Ben diverso è il caso di vendita prevista dal piano in favore di soggetto già individuato, atteso che trattandosi di attività strumentale a perseguire le finalità della procedura di sovraindebitamento, essa sarà senz’altro soggetta alle disposizioni sulle vendite competitive, con conseguente onere per il debitore di dar luogo ad una stima che attesti la congruità del corrispettivo, nonché ad adeguate forme di pubblicità che consentano la presentazioni di concorrenti offerte irrevocabili d’acquisto, secondo un meccanismo analogo a quello dell’art. 163 bis l.f.
Non diversamente dovrà ragionarsi per il caso di presentazione, anche dopo l’omologa, di offerte c.d. bloccate, con le quali sia manifestato interesse all’acquisto dei beni compresi nel piano da parte di soggetti terzi.
In senso opposto potrebbe invero opinarsi che la legge non fa rinvio esplicito, nel testo vigente, alla disciplina delle vendite competitive, diversamente da quanto invece prevede l’art. 14 nonies l.s. per quelle effettuate dal liquidatore nominato nell’ambito della procedura di liquidazione del patrimonio, sicché l’autonomia negoziale del debitore non subirebbe alcuna limitazione. Tale soluzione porrebbe però il problema di stabilire se in caso di vendita puramente privatistica sia possibile ottenere dal giudice delegato la cancellazione delle formalità pregiudizievoli[37].
Il Codice della Crisi ha definitivamente chiarito, nel testo novellato dal d.l. 147/2020, che alle vendite e alle cessioni previste dal piano provvede il debitore, tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, sotto il controllo e con la collaborazione dell’OCC, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati.
Va notato che non è stata però pedissequamente richiamata la disciplina delle vendite nella liquidazione giudiziale, alle quali il legislatore riformatore ha inteso applicare una sorta di modello unitario a contenuto in gran parte vincolato, prevedendo la necessaria adozione dell’ordinanza giudiziale e l’applicazione di uno schema per larghi tratti conforme, in particolare per le vendite immobiliari, a quello vendita telematica previsto dal codice di rito.
Per contro nelle procedure di sovraindebitamento è ben possibile avvalersi di modalità di liquidazione semplificate e maggiormente deformalizzate, in cui la gara non presuppone necessariamente l’ordinanza giudiziale e potrà ben concludersi, anche in caso di vendite immobiliari, con la stipula di un atto notarile in luogo del decreto di trasferimento.
Da ultimo va annotato che l’art. 7 co. 1 l.s. prevede la possibilità che il patrimonio del debitore sia affidato ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori, da individuarsi, anche in tal caso, in un professionista in possesso dei requisiti di professionalità ed indipendenza di cui all’art. 28 l.f.
La nomina del gestore per la liquidazione è affidata al giudice così come quella del liquidatore ex art. 13 l.s., ma diversamente da quest’ultimo assume competenze ben più ampie, estese senz’altro alle azioni di recupero crediti, alla prosecuzione di giudizi pendenti e alla distribuzione del ricavato fra i creditori secondo le regole della par condicio.
Si tratta, dunque, di figura affine a quella del liquidatore giudiziale del concordato con cessione di beni ed appare maggiormente compatibile con le ipotesi in cui le proposte di accordo o di piano prevedano l’integrale cessio bonorum[38].
Secondo alcuni autori il liquidatore per la gestione del patrimonio del debitore è figura che può assumere le vesti giuridiche di un vero e proprio trustee, al quale sarebbe trasferita la stessa titolarità dei beni e dei diritti ceduti (mediante segregazione patrimoniale), ma con obbligo di gestirli in conformità alla proposta ed al piano, ferma restando la permanenza in capo al debitore della proprietà e disponibilità di beni estranei alla procedura (ad esempio l’azienda in esercizio in caso di accordo in continuità o la casa di abitazione e i beni essenziali per la vita in caso di piano del consumatore).
Ebbene, l’utilizzo del trust nell’ambito delle procedure di soluzione della crisi di impresa sconta il limite rappresentato dalla clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 15 lett. e) della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, secondo cui il riconoscimento di un trust regolato dalla legge straniera non potrà in ogni caso porsi in contrasto con norme di legge inderogabili per volontà delle parti, quali quelle in materia di “protezione di creditori in casi di insolvibilità”.
Inoltre non pare del tutto indispensabile una siffatta complessa fattispecie una volta chiarito che il vincolo di destinazione imposto dall’omologa al patrimonio del debitore ne preclude l’aggressione da parte di ogni creditore, compresi quelli aventi titolo o causa posteriore (i c.d. prededucibili) e con la sola eccezione dei titolari di crediti impignorabili.
Con il CCI viene meno la figura del gestore per la liquidazione, così come, per quanto sopra esposto, quella del liquidatore giudiziale, ma ciò non esclude che l’autonomia negoziale del debitore possa portarlo all’individuazione di analoga figura deputata alla gestione e liquidazione dei beni offerti per la soddisfazione dei creditori, sia pure sotto il necessario controllo dell’OCC.