Come già la legge fallimentare, anche il codice della crisi dedica una disposizione specifica al finanziamento dei soci: ciò costituisce il portato del fatto che, a livello operativo, la nuova finanza a beneficio della società in crisi proviene spesso non da finanziatori terzi (es. banche, che anche a seguito dei limiti prudenziali posti dalla evoluzione della normativa di settore incontrano accentuati ostacoli normativi all’incremento della rispettiva esposizione debitoria nei confronti di un debitore in crisi[88]) bensì proprio dai membri della compagine sociale[89].
Nessuna specifica disposizione sui finanziamenti dei soci è invece rintracciabile nella direttiva Insolvency[90]: ciò alimenta un contrasto fra l’opinione di coloro che ritengono la disposizione eurounitaria sulla nuova finanza non applicabile alla shareholder finance[91] e coloro che, al contrario, ritengono che i meccanismi di tutela previsti dall’art. 17 dir. debbano trovare applicazione a prescindere che la nuova finanza provenga da soci o da terzi[92].
La previsione del codice della crisi accorda la prededuzione a tutti i tipi («in qualsia si forma») di finanziamenti erogati dai soci. Al contrario, il previgente art. 182 quinquies, comma 1, L. fall. dava adito al dubbio della sua applicabilità anche ai prestiti dei soci: dubbio che parte della dottrina risolveva in senso positivo, con una tesi però che non riscuoteva consenso unanime[93].
Va altresì rilevato che l’art. 102 CCII riconosce la prededucibilità del credito al rimborso per l’80% del relativo ammontare[94]. Al riguardo, dunque, tale regola differisce parzialmente da quella dell’art. 22, comma 1, lett. b), CCII, che invece prevede la prededuzione dell’intero importo dei finanziamenti soci. Il legislatore della novella ha previsto soltanto per i finanziamenti dei soci ai sensi dell’art. 102 CCII il limite alla collocazione preferenziale del credito del socio, che assolve la funzione di responsabilizzare parzialmente il finanziatore rispetto all’eventuale insuccesso del tentativo di soluzione della crisi e di circoscrivere il rischio in tale evenienza posto a carico dei terzi, le cui pretese sono solo parzialmente postergate a quelle dei soci nell’ordine di soddisfazione[95]. Limite che può dunque essere spiegato dal tentativo del legislatore di contemperare l’interesse del socio finanziatore con quello degli altri creditori del medesimo debitore, circoscrivendo la misura del beneficio accordato alla pretesa del primo[96].
Il sistema delineato dal codice della crisi può dunque apparire, prima facie, non particolarmente razionale: vi si prevede, infatti, i) la prededuzione dei finanziamenti di soggetti già soci al momento del finanziamento, ma solo per l’80% del loro ammontare; ii) la prededuzione del credito per l’intero ammontare di soggetti terzi che acquistino in esecuzione di un concordato o di un accordo di ristrutturazione una partecipazione sociale (cioè finanzino la società anche in equity); iii) la prededuzione integrale del credito da finanziamenti erogati dai soci ai sensi dell’art. 22 CCII.
L’art. 102, comma 2, CCII ripropone con alcune modifiche stilistiche anche la fattispecie dell’art. 182 quater, comma 3, 2° periodo: quella relativa la finanziatore che acquisti la qualità di socio in esecuzione del concordato preventivo, il quale in tal caso beneficia della prededuzione per l’intero ammontare del credito. La regola è espressamente richiamata, e dunque resa applicabile, anche per gli accordi di ristrutturazione dell’art. 57, comma 4 bis, CCII che rinvia per intero all’art. 102 CCII Si tratta di norma che pone svariati problemi applicativi, sia in ordine alla determinazione della relativa fattispecie, sia in ordine alla sua funzione, sia in ordine al suo rapporto con la regola oggi contenuta nel comma 1 dell’art. 102 CCII Problemi che tuttavia risultano gli stessi già prospettati dalla omologa regola contenuta nella legge fallimentare e compiutamente approfonditi in altra sede[97].
In relazione al comma 2 dell’art. 102 CCII, la norma contenuta nel comma 1 dell’art. 102 CCII – che riproduce quella già contenuta nell’art. 182 quater L. fall. e accostabile al § 39 Abs. 4, S. 2, InsO[98] – viene ritenuta incoerente nella misura in cui penalizza e quindi disincentiva i soci dall’erogare nuove somme a sostegno del piano di ristrutturazione e in cui presuppone che il risanamento reso possibile grazie al supporto finanziario del terzo sia maggiormente meritevole (e dunque da proteggere in modo rafforzato) di quello sostenuto dai membri della compagine societaria[99].
Appare tuttavia possibile individuare una giustificazione al diverso trattamento previsto dalla legge a fronte delle due fattispecie in esame.
Chi è già socio può trarre dalla ristrutturazione un vantaggio ulteriore a quello di cui possono fruire i finanziatori terzi: la conservazione del valore della propria partecipazione sociale ed eventualmente il ripristino della sua redditività. Il socio in sostanza per tutelare la propria partecipazione sociale (e l’investimento ad essa sotteso) non ha altra opzione che sostenere finanziariamente il tentativo di ristrutturazione. Ciò stante il legislatore può aver ritenuto la prededuzione per l’80% dell’importo del credito da nuova finanza un incentivo sufficiente, se sommato al perseguimento dell’interesse alla soluzione della crisi che il finanziatore ha in quanto socio, a indurre quest’ultimo a sostenere finanziariamente lo strumento per il trattamento della crisi[100]. Seguendo tale interpretazione, il limite del 20% all’operare del beneficio se, da un lato, non può ritenersi decettivo delle scelte di finanziamento a sostegno della ristrutturazione da parte del socio, dall’altra contempera la tutela dei creditori preesistenti esposti ai rischi che la nascita di nuovi crediti prededucibili comporta, così allineandosi anche a quello che appare essere l’impostazione della direttiva in materia di nuova finanza volta a imporre la previsione di checks and balances (v. sopra).
D’altro canto, anche chi finanzia la società e, in esecuzione di uno strumento di trattamento della crisi, acquista una partecipazione sociale ha – al pari del socio/finanziatore – un interesse preesistente al buon esito della ristrutturazione correlato al rimborso del proprio credito pregresso. Ma la maggior meritevolezza della posizione di quest’ultimo, che certo denota la prededuzione accordata per l’intero importo del finanziamento erogato, deriva dal fatto che tale soggetto contribuisce al tentativo di risanamento anche tramite un investimento che dota l’ente di risorse proprie, l’apporto delle quali non comporta alcun pericolo per i creditori preesistenti: costui assume volontariamente il rischio inerente l’acquisto di una partecipazione in una società in crisi conclamata, al fine di favorirne il superamento, senza porsi in concorso con gli altri creditori sociali preesistenti, così da poter essere considerato meritevole di un trattamento privilegiato rispetto a chi fornisce alla ristrutturazione un contributo finanziario tramite l’apporto di risorse da rimborsare in concorso con gli altri creditori.
La maggiore meritevolezza del finanziatore che divenga anche socio in esecuzione del concordato o dell’accordo di ristrutturazione può essere ricavata anche dalla ratio che la dottrina tedesca collega al Sanierungsprivileg dell’InsO: quella di incentivare l’assunzione del controllo della società in crisi da parte di soggetti che introducano nuove strategie imprenditoriali. La prededuzione del finanziamento alla ristrutturazione viene riconosciuta per l’intero importo dello stesso nel caso di cui all’art. 102, comma 2, CCII perché il legislatore intende privilegiare – con un meccanismo incentivante più forte – il ricambio della compagine sociale preesistente e verosimilmente coinvolta nella gestione che ha condotto alla crisi. Ricambio che non può aver luogo, invece, nel caso in cui a sostenere finanziariamente il tentativo di ristrutturazione siano i vecchi soci[101].
Un ulteriore problema interpretativo è posto dal rinvio effettuato dall’art. 102, comma 1, CCII, laddove si prevede l’applicazione ai finanziamenti dei soci del «beneficio della prededuzione previsto dagli artt. 99 e 101». Di per sé, la lettera della disposizione non pare dirimente nel senso di ritenere applicabile ai finanziamenti dei soci il procedimento autorizzativo e le condizioni al rispetto dei quali è subordinata la prededuzione dei finanziamenti erogati da terzi ai sensi dell’art. 99 CCII: il rinvio a quest’ultima disposizione (come peraltro a quella ulteriore ex art. 101 CCII) varrebbe soltanto a equiparare il rango del credito vantato dal socio a quello vantato dai terzi.
Certo è, d’altro canto, che se così fosse, occorrerebbe trovare una ratio alla diversità di trattamento riservato ai finanziamenti provenienti dai soci rispetto a quelli provenienti dai terzi, i quali sarebbero sottoposti, a differenza dei primi, al procedimento autorizzatorio e ai presupposti della prededuzione già esaminati, ossia a un regime più stringente rispetto al riconoscimento della loro posizione antergata nell’ordine di soddisfacimento[102].
Una possibile chiave interpretativa potrebbe al riguardo essere individuata nel fatto che il legislatore avrebbe individuato come strumento di contemperamento fra l’interesse del nuovo finanziatore e gli interessi dei creditori concorrenti che, come ricordato, possono essere anche pregiudicati dalla collocazione in prededuzione della nuova finanza, il procedimento autorizzatorio di cui all’art. 99, comma 1, CCII relativamente alle sovvenzioni di terzi e il limite alla prededuzione (pari all’80% del credito) per le sovvenzioni dei soci. Per cui potrebbe apparire eccessivamente penalizzante e disincentivante di uno dei canali di finanziamento verosimilmente più importanti in caso di crisi della società applicare al credito di questi ultimi anche l’ulteriore presidio di cui all’art. 99, comma 1, CCII.