Premessa
Tema di interesse è quello riferito all’esame della normativa fiscale, quanto alle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. n. 14/2019. Tale argomento va preliminarmente inquadrato in ambito temporale sulla base di diversi momenti:
1) un primo momento riguarda le procedure intervenute a tutto il 15/07/2022 (data di entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. n. 14/2019 a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 83 del 17/06/2022) per le quali rimangono in vigore tutte le attuali disposizioni fiscali, sia ai fini delle imposte dirette che dell’IVA;
2) un secondo momento riguarda le procedure aperte dopo il 15/07/2022 per le quali, fatta eccezione per la composizione negoziata della crisi per la quale rilevano novità in ambito tributario previste dall’art. 25 bis CCII (misure premiali), si applicano le attuali norme di cui al punto sub 1 con difficoltà interpretative dovute alla diversa denominazione degli istituti previsti dal CCII rispetto alle definizioni contenute nella attuale normativa fiscale;
3) un terzo momento riguarda le procedure che si apriranno dopo che il governo avrà approvato la legge delegata ai sensi dell’art. 9 della legge 9/08/2023 n. 111 (legge delega) da attuarsi entro 24 mesi dal 29/08/2023; in tale situazione si apriranno due scenari:
- il primo riferito alle procedure aperte prima della approvazione della legge delegata;
- il secondo riferito alle procedure aperte dopo l’approvazione della legge delegata.
Nel primo caso si continueranno ad applicare le norme come indicato al punto sub 2; nel secondo caso, salvo specifici interventi del legislatore in termini di decorrenza, interverranno le novità apportate nella legge delegata dai principi previsti dall’art. 9 della legge delega (L 111/2023).
Con il presente intervento, si analizzeranno, con riferimento alle imposte dirette, le indicazioni di cui all’art. 9 della legge 111/2023 (legge delega al governo per la riforma fiscale). L’articolo 9 indica i principi e criteri direttivi che la riforma deve considerare nell’ambito degli istituti di regolazione della crisi previsti dal D.Lgs. n. 14/2019 (codice della crisi e dell’insolvenza - a seguire CCII).
Analisi dell’art. 9 della legge delega (L. n. 111/2023)
La norma in esame può, come di seguito essere sintetizzata, seguendo la struttura dell’articolo:
Art. 9, comma 1) Nell’esercizio della delega il governo deve osservare i seguenti specifici principi e criteri direttivi:
a) nell’ambito degli istituti disciplinati dal codice della crisi e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. n. 14/2019 si dovrà:
1) prevedere un regime di tassazione del reddito per tutte le imprese, comprese quelle minori e le grandi imprese, che ricorrono agli istituti di cui al CCII distinguendo tra:
1.1) istituti liquidatori (che determinano l’estinzione dell’impresa debitrice) per i quali il reddito di impresa si determina sulla base del residuo attivo conseguito in unico periodo (attuale art. 183, comma 2, Tuir); trattasi di unico maxi periodo di imposta (compreso quello riferito all’esercizio provvisorio) che si conclude con la fase esecutiva della procedura o dell’istituto di gestione della crisi il cui risultato, per tutte le imprese, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo esistente alla chiusura del detto periodo e il valore fiscalmente riconosciuto del patrimonio netto esistente all’inizio di uno degli istituti disciplinati dal CCII.
1.2) istituti di risanamento che non determinano l’estinzione dell’impresa, per i quali si applica la ordinaria disciplina del reddito di impresa anche con riferimento agli adempimenti dichiarativi.
Per quanto attiene agli obblighi dichiarativi, con riferimento al maxi periodo citato sub. 1.1, deve essere presentata una sola dichiarazione dei redditi a cui devono provvedervi il curatore nella liquidazione giudiziale e gli organi incaricati negli altri istituti di natura liquidatoria previsti dal CCII (commissario liquidatore nella liquidazione coatta amministrativa e commissario straordinario nella amministrazione delle grandi imprese in crisi). Tale operatività rileva anche relativamente al periodo d’imposta antecedente la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (come nell’attuale ordinamento ex art. 5 D.P.R. n. 322/1988).
Quanto agli altri istituti liquidatori, cioè, concordato (preventivo, minore e semplificato) e al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione aventi natura liquidatoria, seppur rilevi la nomina da parte del Tribunale di un Commissario Giudiziale / liquidatore giudiziale, si ritiene che l’adempimento dichiarativo vada assolto dal legale rappresentante; infatti, in tali procedure l’imprenditore conserva la gestione dell’impresa, seppur sotto la vigilanza dei predetti soggetti. Il Commissario giudiziale e/o liquidatore giudiziale non hanno la rappresentanza legale che permane in capo all’imprenditore.
Particolarità potranno rilevare invece per l’istituto della liquidazione controllata dei soggetti sovraindebitati di cui agli artt. 268 e seguenti del CCII.
Anche per tali soggetti si dovrebbe prevedere che il reddito derivante nel cd periodo procedurale (tra la data della sentenza di apertura della procedura e la data del decreto di chiusura) qualunque sia la durata e anche se vi è stato esercizio provvisorio, sia determinato sulla base delle indicazioni in precedenza previste (Residuo attivo).
Tuttavia, quanto ai soggetti cui compete la presentazione della dichiarazione non si dovrebbero però applicare i criteri utilizzati nell’ambito della liquidazione giudiziale; ciò per il fatto che in tale istituto non si produce alcun effetto successorio ma piuttosto un effetto segregativo del patrimonio.
2) Estendere il regime degli adempimenti attualmente previsti ai fini IVA per la liquidazione giudiziale (ex fallimento) a tutti gli istituti liquidatori nonché al concordato preventivo e alla amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi anche non liquidatori. Il riferimento agli istituti liquidatori dovrebbe ricomprendere anche quegli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza che possono avere, direttamente o indirettamente finalità liquidatorie.
3a) Estendere a tutti gli istituti disciplinati dal CCII l’applicazione:
- dell’art. 88, comma 4 ter, Tuir in tema di sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti per il debitore sottoposto ai suddetti istituti;
- dell’art. 101, comma 5, Tuir in merito alla deducibilità delle perdite su crediti in caso di debitore sottoposto a uno dei citati istituti;
nonché:
- dell’art. 26, commi 3 bis, 5, 5 bis e 10 bis D.P.R. n. 633/1972 (legge IVA) in tema di note di variazione in diminuzione.
A seguire, eccezion fatta per il tema IVA, si analizzeranno i succitati specifici argomenti.
3b) Prevedere l’esclusione delle responsabilità (a carico delle imprese che hanno fatto ricorso o sono state assoggettate a istituti disciplinati dal CCII) previste:
- dall’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 che, in particolare, al comma 1, prevede la responsabilità solidale (entro precisi limiti) del cessionario per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni di norme tributarie commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti;
- dall’art. 2560 c.c. ai sensi del quale l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito e, nel trasferimento di una azienda commerciale, risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
4) Introdurre disposizioni che disciplinino gli effetti derivanti dall’accesso delle imprese a uno degli istituti previsti dal CCII relativamente:
4.1) al rimborso e alla cessione dei crediti di imposta maturati nel corso delle procedure prevedendo che, negli istituti liquidatori, tali operazioni siano possibili anche prima della chiusura della procedura, previo accertamento degli stessi crediti da parte dell’amministrazione finanziaria;
4.2) alla notificazione degli atti impositivi prevedendone l’obbligo nei riguardi sia degli organi giudiziali sia dell’impresa debitrice attribuendo, nelle procedure liquidatorie, la legittimazione processuale sia agli organi giudiziali, sia all’impresa debitrice.
5) Viene prevista l’estensione della transazione fiscale (già regolata dagli artt. 63 e 88 CCII) alla composizione negoziata della crisi prevedendo la possibilità di raggiungere un accordo per il pagamento parziale o dilazionato dei tributi, ivi inclusi quelli locali, con l’intervento del tribunale. Viene inoltre previsto che analoga disciplina rilevi per l’istituto della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
b) (L’articolo 9, lettera b) prosegue in ambiti diversi rispetto agli aspetti fiscali riferiti agli istituti di gestione della crisi previsti dal CCII).
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Appare evidente come l’operatività e l’attuazione dei principi sopra in sintesi richiamati dipenda, in primis, da alcuni aspetti operativi quali -in particolare- l’individuazione degli istituti interessati (posto che la delega fa riferimento agli istituti liquidatori e a quelli di risanamento: distinzione generica che, come si vedrà, crea non pochi problemi pratico applicativi).
Nello specifico ambito tributario si osserva come la delega nulla dice quanto alle plusvalenze e minusvalenze da cessione di beni o aziende attualmente trattate dall’art. 86, comma 5, in ambito concordato preventivo, né mai fa riferimento al termine procedure concorsuali (con riferimento a quest’ultimo aspetto si evidenzierà, a seguire, trattando della deducibilità delle perdite sui crediti ex art. 101, comma 5, Tuir, come il tema abbia rilievo).
Individuazione ai fini fiscali degli istituti disciplinati dal ccii
Dalla relazione illustrativa al disegno di legge delega si evince che, nell’ambito degli istituti di gestione della crisi e dell’insolvenza previsti dal CCII, viene considerato un regime di tassazione del reddito di impresa differenziato a seconda che l’impresa faccia ricorso a uno degli istituti liquidatori ovvero di risanamento.
A tal fine la relazione così precisa: “L’individuazione, ai fini fiscali, della natura liquidatoria di una procedura, va operata nonsulla base della qualificazione di quest’ultima, desumibile dal codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, ma in funzione del fatto che da essa derivi l’estinzione dell’impresa debitrice”.
Tale indicazione, “…ai fini fiscali…” si riferisce sia alle imposte dirette che all’IVA.
Inoltre, l’identificazione degli istituti di risanamento va individuata, a parere di chi scrive, a contrariis rispetto alla precedente indicazione della relazione (con riferimento agli istituti liquidatori) e cioè: “…… dal fatto che da essa derivi il risanamento dell’impresa debitrice” e non l’estinzione della stessa.
Calare nella pratica applicazione, sugli istituti di gestione della crisi, questi concetti non sarà, come vedremo, sempre agevole.
Proviamo ad individuare gli istituti liquidatori:
1) Istituti liquidatori
La delega, come osservato, ne inquadra la tipologia precisando che dal ricorso a tali procedure debba discendere l’estinzione dell’impresa debitrice.
In tale ambito è necessaria una ulteriore distinzione:
a) Istituti di matrice liquidatoria:
- liquidazione giudiziale ex art. 121 e ss. CCII;
- liquidazione coatta amministrativa ex art. 293 e ss. CCII;
- liquidazione controllata nel sovraindebitamento ex art. 268 e ss. CCII;
- concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 240 e ss. CCII;
- concordato nella liquidazione coatta amministrativa ex art. 314 CCII;
- concordato minore liquidatorio art. 74, comma 2, CCII;
- concordato preventivo liquidatorio ex art. 84, comma 4, CCII;
- concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata ex artt. 25 sexies e 25 septies CCII (riferimento all’art. 114 CCII);
- amministrazione grandi imprese in crisi di natura liquidatoria;
b) Istituti che possono avere finalità liquidatoria o anche di risanamento con trasferimento dell’azienda a terzi:
- concordato preventivo in continuità indiretta ex art. 84, comma 2, CCII;
- accordi di ristrutturazione dei debiti nelle varie versioni: ordinari, agevolati, a efficacia estesa e con intermediari finanziari di cui agli artt. 57-60-61 e 61, comma, 5 CCII;
- piani di ristrutturazione soggetti ad omologa ex art. 64 bis CCII;
- concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 240 CCII;
- concordato nella liquidazione coatta amministrativa ex art. 314 CCII (riferimento all’art. 240 CCII);
- amministrazione grandi imprese in crisi;
- piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII.
Con riferimento all’ultimo istituto si è a conoscenza delle differenze interpretative circa le possibilità che detto strumento possa avere natura liquidatoria. A conforto della posizione assunta si ricorda che nei “Principi di attestazione dei Piani di Risanamento” a cura del CNDEC del 16/12/2020 è espressamente previsto (CF2 pag. 42 punto 6.1.5) il piano liquidatorio[1].
Nell’ambito di tale elencazione, dall’esame delle norme si evidenzia come tali istituti possano, a seconda della impostazione/evoluzione della procedura, assumere l’una o l’altra classificazione.
In tal senso recita la relazione illustrativa al disegno di legge delega per la riforma fiscale che è utile riproporre: “In particolare, al comma 1, lettera a) numero 1), in considerazione della introduzione di nuovi istituti nell’ambito del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, viene previsto un regime di tassazione del reddito delle imprese differenziato a seconda che l’impresa acceda a uno degli istituti liquidatori ovvero di risanamento previsti dal medesimo codice. L’individuazione, a fini fiscali, della natura liquidatoria di una procedura va operata non sulla base della qualificazione di quest’ultima, desumibile dal codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, ma in funzione del fatto che da essa derivi l’estinzione dell’impresa debitrice”.
Considerata la stringente indicazione contenuta nella norma e cioè “estinzione dell’impresa” nel senso dell’annullamento della stessa, (si veda, a completamento del concetto, l’art. 2495 c.c. “cancellazione della società”) l’individuazione degli istituti prettamente liquidatori si restringe molto. Di conseguenza possono, secondo chi scrive, classificarsi come tali:
- la liquidazione giudiziale ex art. 121 e ss. CCII;
- la liquidazione coatta amministrativa ex art. 293 e ss. CCII;
- la liquidazione controllata nel sovraindebitamento ex art. 268 e ss. CCII;
- concordato preventivo liquidatorio ex comma 4, art. 84 CCII;
- concordato minore liquidatorio ex art. 74, comma 2, CCII;
- concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 sexies e septies;
- l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi prettamente liquidatoria.
Non vengono considerati, rispetto alla elencazione che precede, gli istituti sub 1/b posto che non determinano con certezza l’estinzione dell’impresa potendo, anche indirettamente, perseguire il risanamento.
Si dovrà in tali ipotesi verificare, nel corso dell’impostazione/evoluzione della procedura, se si determinerà o meno l’estinzione dell’impresa.
Quanto alla elencazione sub 1/a) non possono considerarsi istituti estintivi dell’impresa:
- il concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 240 CCII posto che con il comma 2 lett. c) é prevista “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma …” con evidente possibilità di “risanamento”;
- il concordato nella liquidazione coatta amministrativa ex art. 314 CCII che rimanda all’art. 240 CCII;
- il concordato minore ex art. 74, comma 1, CCII posto che detto istituto nell’indicato comma prevede espressamente che la proposta consenta di proseguire l’attività imprenditoriale/professionale.
2) Istituti di risanamento
Sulla base di quanto in precedenza ricordato, (possono considerarsi istituti di risanamento tutte quelle procedure che non determinano l’estinzione dell’impresa) si ricomprendono nella categoria:
- Il concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 240, comma 2, lett. c) CCII che prevede il recupero dell’impresa;
- Il concordato nella liquidazione coatta amministrativa ex art. 314 CCII che prevede il recupero dell’impresa;
- Il concordato minore ex art. 74, comma 1, CCII che prevede il recupero dell’impresa;
- Il concordato preventivo sia in continuità diretta che indiretta ex art. 84 CCII;
- Il concordato preventivo con assuntore (dell’impresa) ex art. 84 CCII;
- gli accordi di ristrutturazione dei debiti nelle varie versioni: ordinari, agevolati e a efficacia estera ex art. 57-60-61, comma 5, CCII con finalità di risanamento;
- la composizione negoziata della crisi ex art. 12 e ss. CCII con finalità di risanamento;
- l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi con finalità di risanamento;
- gli accordi in esecuzione del piano di risanamento ex art. 56 CCII con finalità di risanamento;
- il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ex art 64 bis CCII con finalità di risanamento.
Esame delle specifiche indicazioni dell’art. 9
v Sopravvenienze attive da riduzione di debiti (art. 9 comma 1 lett. a) n. 3 L. n. 111/2023)
Con la norma di principio e di indirizzo il governo viene delegato a estendere a tutti gli istituti disciplinati dal CCII (quindi sia liquidatori che di risanamento) l’applicazione:
· dell’art. 88, comma 4 ter, Tuir in tema di sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti del debitore sottoposto ai detti istituti.
La relazione illustrativa ricorda come la norma attualmente in vigore prevede la totale detassazione delle sopravvenienze attive derivanti da riduzione di debiti in caso di debitori sottoposti ad alcuni istituti con carattere liquidatorio (in particolare il concordato fallimentare ex art. 124 e ss. L. fall. ora concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 240 e ss. CCII e il concordato preventivo liquidatorio ex art. 160 e ss. L. fall. ora concordato preventivo ex art. 84, comma 4, CCII o per effetto di procedure estere equivalenti previste da stati con i quali esiste adeguato scambio di informazioni).
L’art. 25 bis CCII prevede, per la composizione negoziata, l’applicazione di tale norma.
Nel caso di istituti che non hanno finalità liquidatorie, nell’attuale contesto normativo [(concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis L. fall., ora concordato preventivo ex art. 84, commi 2/3, CCII, accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 bis L. fall. pubblicato nel registro delle imprese ora accordi di ristrutturazione debiti ex art. 57-60-61, comma, 5 CCII; piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d) L. fall. pubblicato nel registro delle imprese ora accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento ex art. 56 CCII) o di procedure estere equivalenti], la riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo di cui all’art. 84 Tuir, senza considerare il limite dell’80%, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’ACE, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui all’art. 96, comma 4, Tuir. A tal fine rilevano anche le perdite trasferite nel consolidato nazionale di cui all’art. 117 Tuir non ancora utilizzate.
Considerata la filosofia della delega quanto alla distinzione tra procedure liquidatorie rispetto a quelle di risanamento potrebbe essere modificato il comma 4 ter dell’art. 88 del Tuir per conservare l’attuale distinzione tra sopravvenienze attive totalmente detassate (per imprese destinate all’estinzione) rispetto a sopravvenienze attive parzialmente detassate (per imprese destinate al risanamento).
Da ciò ne consegue la necessità di individuare gli istituti previsti dal CCII che determinano l’estinzione dell’impresa rispetto a quelle che prevedono la continuità gestionale.
Ricordando quanto in precedenza indicato, gli istituti di gestione della crisi che non comportano l’estinzione dell’impresa per i quali la detassazione rileva solo in parte dovrebbero individuarsi nei seguenti:
- composizione negoziata della crisi nel caso in cui si attui il risanamento ex artt. 23 e 25 bis, comma 5, CCII;
- accordi di ristrutturazione dei debiti: ordinari (artt. 57-59 CCII), agevolati (art. 60 CCII), a efficacia estesa (art. 61 CCII) con effetto di risanamento;
- accordi in esecuzione di piani di risanamento ex art. 56 CCII;
- concordato minore ex art. 74 e ss CCII con effetto di risanamento;
- concordato preventivo in continuità sia diretta che indiretta, posto che la finalità della norma è quella di favorire gli istituti non estintivi dell’impresa;
- piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione di cui all’art. 64 bis e quater CCII con finalità di risanamento;
- concordato preventivo con assuntore ex art. 84 CCII che prevede la continuazione dell’attività di impresa;
- concordato nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione coatta amministrativa ex artt. 240 e 314 CCII in cui si attui risanamento e recupero dell’impresa.
Per alcuni di questi istituti, dal punto di vista fiscale, la natura liquidatoria andrà individuata non sulla base della qualificazione giuridica ma in funzione al fatto che da essa derivi l’estinzione dell’impresa debitrice.
Per l’individuazione degli istituti di carattere prettamente liquidatorio si veda elenco a seguire:
- la liquidazione giudiziale ex art. 121 e ss CCII;
- la liquidazione coatta amministrativa ex art. 293 e ss. CCII;
- la liquidazione controllata nel sovraindebitamento ex art. 268 e ss CCII;
- concordato preventivo liquidatorio ex comma 4, art. 84 CCII;
- concordato minore liquidatorio ex art. 74, comma 2, CCII;
- concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 sexies e septies CCII;
- l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi prettamente liquidatoria.
v Perdite su crediti (art. 9, comma 1, lett. a) n. 3 L. n. 111/2023)
Viene prevista l’estensione a tutti gli istituti considerati dal CCII delle disposizioni previste dall’art. 101, comma 5, Tuir in merito alle perdite su crediti nel caso di debitore sottoposto a uno dei detti istituti (quindi sia a quelli liquidatori che di risanamento).
Per quanto attiene alla composizione negoziata l’art. 25 bis CCII già ne prevede l’applicazione.
Di rilievo è l’indicazione della relazione illustrativa che, nel chiarire l’argomento, prevede: “La legge delega estende inoltre, la deducibilità automatica delle perdite su crediti nelle ipotesi in cui il debitore sia assoggettato a tutti gli istituti liquidatori ovvero di risanamento previsti dal CCII.
A legislazione vigente, infatti, la deduzione automatica è possibile solo se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o un piano attestato o è assoggettato a procedure estere equivalenti, previste in stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni; qualora, invece, il debitore acceda a un istituto del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza diverso da quelli sopra menzionati, esplicitamente indicati nell’articolo 101, comma 5, del TUIR, le perdite su crediti sono deducibili secondo la regola generale, cioè solo se risultanti da elementi certi e precisi”.
Si ricorda che il comma 5 dell’art. 101 Tuir nella attuale versione prevede che le perdite su crediti sono deducibili nella determinazione del reddito di impresa, in via generale, se risultano da elementi certi e precisi, oppure, in ogni caso, senza onere probatorio, quando il debitore, alternativamente:
- é assoggettato a una procedura concorsuale;
- ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 bis L. fall.;
- ha concluso un piano attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d) R.D. 16/3/1942 n. 267;
- è assoggettato a procedure estere equivalenti previste in stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni.
Tale beneficio rileva inoltre, ex comma 5, art. 25 bis CCII, nella composizione negoziata della crisi.
Alla luce della legge delega sembrerebbe che il beneficio sia esteso a tutti gli istituti disciplinati dal CCII.
Si è usato il condizionale posto che la relazione illustrativa al governo sulla delega fiscale prevede espressamente che: “qualora invece, il debitore acceda ad un istituto del CCII diverso da quelli sopra menzionati, esplicitamente indicati nell’art. 101 comma 5 del Tuir, le perdite sui crediti sono deducibili secondo le regole generali, cioè se risultanti da elementi certi e precisi”.
Ne conseguirebbe che, quanto agli istituti di gestione della crisi (CCII), contrariamente al chiaro tenore di cui all’art. 9, comma 1, lett. a) n°3 della legge delega, gli istituti per i quali rileverebbe la automatica deducibilità fiscale per il creditore sarebbero quelli oggi previsti dal comma 5 dell’art. 101 Tuir con l’aggiunta della composizione negoziata della crisi ex CCII, con la evidente difficoltà di individuare, nell’ambito del CCII, gli altri istituti assimilabili a quelli attualmente previsti e cioè: procedura concorsuale, accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ex art. 182 bis L. fall., piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d) L. fall. e procedure estere equivalenti ( in particolare si ricorda che nel CCII non rileva una definizione di “procedure concorsuali”).
Anche in questo ambito, stante lo spirito della delega, si tratterà (forse) di individuare gli istituti liquidatori (estinzione dell’impresa) rispetto a quelli di risanamento, con riconoscimento solo ai primi della possibilità per il creditore di dedurre integralmente le perdite su crediti.
Ai fini dell’individuazione della data di maturazione del diritto alla deducibilità fiscale delle perdite su crediti per il creditore rilevano, allo stato attuale, (sulla base di un documento circolato come relazione al decreto legislativo) le seguenti indicazioni:
- dalla data della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale;
- dal provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
- dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo;
- dalla data di omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti;
- dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della domanda di accesso al piano di ristrutturazione soggetto ad omologa;
- dalla data del decreto che dispone l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi;
- dalla data certa degli atti e dei contratti di cui all’art. 56 co5 CCII (Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento).
- dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui al comma 2 dell’art. 25 sexies (concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio);
- dalla data di presentazione della domanda di cui all’art. 76 CCII (concordato minore);
- dalla data di pubblicazione della proposta ai sensi dell’art. 70 CCII (ristrutturazione dei debiti del consumatore);
- dalla data della sentenza di apertura della procedura di cui all’art. 270 CCII (liquidazione controllata dei soggetti sovraindebitati ex art. 268 CCII);
Il beneficio fiscale testé analizzato rileva anche nella composizione negoziata della crisi ex comma 5, art. 25 bis CCII al determinarsi di alcuni eventi procedurali; trattasi:
- contratto con uno o più creditori;
- accordo stragiudiziale firmato anche dall’esperto;
a partire per entrambe le fattispecie dalla data della loro pubblicazione nel registro delle imprese.
v Esame di tema non previsto nella delega. Le plusvalenze e le minusvalenze
La norma che, nell’ambito delle attuali procedure concorsuali tratta delle plusvalenze e delle minusvalenze è il comma 5 bis dell’art. 86 Tuir che recita:
“La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”.
Si ricorda che in un primo momento, la norma era stata interpretata solo come soluzione al problema della rilevanza fiscale della cessio bonorum, dibattuto in costanza della normativa fiscale previgente al D.P.R. n. 917/1986. L’intervento del legislatore, quindi, venne salutato come un’interpretazione chiarificatoria dell’irrilevanza fiscale della (formale) cessione dei beni ai creditori, con la conseguenza che la concreta vendita dei beni stessi a opera del liquidatore giudiziale dava invece luogo all’evidenziazione di plusvalenze e minusvalenze rilevanti fiscalmente.
Peraltro, nonostante il parere contrario dell’Amministrazione delle Finanze, l’attenzione degli interpreti fu attratta da un diverso significato della norma, nel senso di conferire irrilevanza fiscale alle plusvalenze e alle minusvalenze realizzate -in corso di concordato preventivo- nel momento dell’effettiva vendita dei beni a terzi, momento in cui si concretizza il passaggio di proprietà.
In tale situazione di dibattito interpretativo è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5112 del 3 aprile-4 giugno 1996; tale sentenza, con l’autorevolezza del collegio giudicante da cui proviene, dopo avere analizzato la portata retroattiva del comma 6 dell’art. 54 (D.P.R. n. 917/1986 nella versione vigente a tutto il 31 dicembre 2003), per effetto del disposto dell’art. 36 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, afferma che la previsione della norma fiscale, relativamente al concordato preventivo con cessione dei beni, non può che riferirsi alle plusvalenze realizzate in sede di liquidazione, considerato che “… Appare evidente che neppure quella sopra puntualizzata alla lettera (a) (plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso) può essere realizzata dalla cessione dei beni ai creditori, dal momento che la cessione a titolo oneroso prevista dal legislatore come presupposto per la tassazione delle plusvalenze implica l’alienazione del bene e quindi un effetto che, per quanto si è detto, nel caso della cessione dei beni ai creditori non può in alcun modo determinarsi”.
Pertanto la norma, per avere significato applicativo, secondo la Suprema Corte, non può che riferirsi alle cessioni dei beni attuate su impulso del liquidatore giudiziale nelle fasi successive all’omologazione del concordato preventivo, cessioni le cui plusvalenze non risultano assoggettabili a tassazione.
Prosegue la Corte precisando che detta interpretazione scaturisce anche dal parere della Commissione dei Trenta sullo schema del T.U. (art. 127), da cui si desume “che l’obiettivo che si intendeva raggiungere con la disposizione in esame era proprio quello di ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”.
Le conseguenze di tale importante sentenza sono che la liquidazione dei beni, anche tramite cessione dell’azienda, nella fase post omologa, non determina plusvalenze tassabili.
Conforme alla sentenza citata rilevano: in giurisprudenza, anche la Commissione Centrale, sez. XVIII, del 7 ottobre 1994, n. 3985; in dottrina, Leo Monacchi Schiavo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, ed. Giuffré, relativamente alal sola ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni; G. Falsitta, La responsabilità del curatore, ed. Giuffré 1988.
Nell’ambito delle novità introdotte dal D.L. n. 35/2005, che, come in precedenza osservato, prevede, rispetto al regime previgente, una forma di concordato preventivo che può prescindere dalla classica “cessione di beni ai creditori”, considerato un piano di risanamento diversamente modulato (rif. Art. 160), la norma in esame va interpretata, a parere di chi scrive, in senso estensivo.
Infatti, in tutte le forme di concordato preventivo previste dal nuovo regime che presuppongono, per la realizzazione del piano, vendite di beni, di aziende ecc. anche tramite il conferimento (che, ai fini fiscali, è assimilato alla cessione), le connesse plusvalenze realizzate non dovrebbero, ai sensi della norma in esame, essere soggette a tassazione ai fini delle imposte sui redditi.
Ciò sembra trovare conforto nelle indicazioni contenute nella citata sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che ricomprende nella portata della norma la cessione in genere dei beni aziendali, estendendola ai casi di cessione di beni effettuata successivamente alla chiusura del concordato, ma in esecuzione dello stesso.
Come inoltre chiarito dall’Agenzia delle Entrate con ris. n. 29 dell’1 marzo 2004 (facendo riferimento anche alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I civile, del 4 giugno 1996, n. 5112), la ratio di tale norma è quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concorsuale”.
Di conseguenza, sembra desumersi che, anche a parere del Ministero, la disposizione, malgrado la sua ambigua formulazione, riguarda non sola la cessione dei beni ai creditori, ma anche il trasferimento a terzi dei beni ceduti in esecuzione della proposta. (Cass. 16 ottobre2006, n. 22168).
Le plusvalenze rileveranno civilisticamente e andranno poi riprese tra le variazioni in diminuzione in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Non mancano tuttavia interpretazioni più restrittive: l’Agenzia delle Entrate (con risposta da interpello n. 462/2019) ritiene che la disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 86 del TUIR abbia natura di norma speciale rispetto alle ordinarie regole di determinazione del reddito di impresa circoscritta da circoscrivere all’ipotesi in cui “dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa” con la conseguenza “ che alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni … nell’ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale, siano applicabili le regole generali di determinazione del reddito d’impresa, con la conseguenza che le stesse concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza”.
Considerate le novità previste dall’art. 9 della legge delega sia con riferimento alla determinazione del reddito che degli aspetti connessi alle dichiarazioni fiscali di cui si è detto in precedenza, si presume che la disposizione recata dal su richiamato comma 5 dell’art. 86 Tuir dovrebbe essere abrogata, essendo il trattamento delle plusvalenze e delle minusvalenze realizzate nella procedura di concordato preventivo liquidatorio, assorbito dai criteri di determinazione del reddito stabiliti dal nuovo art. 183 Tuir che trovano sicura applicazione a tale tipo di procedura.
Si auspica che l’impostazione ipotizzata venga applicata anche alle altre forme di concordati preventivi liquidatori quali:
- Il concordato minore liquidatorio ex art. 74, comma 2, CCII;
- Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 sexies e septies CCII;
Si ha notizia che, al fine di favorire il risanamento delle imprese, verrà previsto, con specifica disposizione, che le plusvalenze conseguite dalle imprese assoggettate a istituti di gestione delle crisi ex CCII di carattere non liquidatorio (compreso l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale, e la composizione negoziata della crisi conclusasi con una delle soluzioni previste dall’art. 23 CCII) potranno concorrere alla formazione del reddito oltre che per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate, anche in quote costanti in tale esercizio o in quelli successivi non oltre il nono purché siano previste nel piano di risanamento depositato a norma di legge.
Concordato con assuntore
Con riferimento alla specifica tipologia, dalle notizie raccolte, sarebbe prevista una particolare disposizione sulla base della quale, in caso di concordato preventivo di cui all’art. 84 CCII (liquidatorio, in continuità diretta e indiretta), dei concordati proposti nella liquidazione giudiziale di cui all’art. 240 CCII, nella liquidazione coatta amministrativa di cui all’art. 314 CCII, nel concordato minore di cui all’art. 78 CCII e dei concordati proposti nella amministrazione delle grandi imprese in crisi, il valore dei beni, diritti, aziende o rami aziendali e debiti attribuiti all’assuntore sarà quello riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi in capo all’impresa debitrice, aumentata dall’eventuale ulteriore onere sostenuto dall’assuntore.
Nel caso sia prevista l’attribuzione a uno o più assuntori di aziende o rami di aziende le posizioni soggettive dell’impresa debitrice, incluse le perdite dei periodi di imposta precedenti, saranno attribuite all’assuntore o agli assuntori purché nel limite dell’importo dei redditi futuri risultanti dal piano economico che l’assuntore deve a tal fine predisporre, piano che dovrà essere attestato da professionista indipendente.
Sintetizzando, nel caso in cui l’assunzione abbia ad oggetto l’intera azienda dell’impresa debitrice, l’operazione sarà attuata in base al principio di neutralità fiscale evitando salti di imposta e doppia imposizione.
È prevista, al fine di evitare effetti abusivi, l’applicazione da parte della amministrazione finanziaria, nel caso ne ricorrano i presupposti, dell’art. 10 bis L. n. 212/2000 in tema di abuso del diritto.