Nella bozza di decreto correttivo esaminata figurano diverse modifiche alla disciplina della liquidazione controllata, molte delle quali la avvicinano ulteriormente alla liquidazione giudiziale.
Una prima novità riguarda il terzo comma dell’art. 268 CCII, che contiene ora una più compiuta regolamentazione, sul piano processuale, delle modalità attraverso cui il debitore può sottrarsi alla apertura della liquidazione controllata su iniziativa dei creditori.
L’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 268 CCII sembra poi positivizzare l’orientamento di parte della giurisprudenza di merito secondo cui, per l’apertura della liquidazione controllata anche su istanza del debitore, occorre che vi sia attivo realizzabile e distribuibile ai creditori. Lo specifico riferimento al debitore persona fisica suggerisce, in via interpretativa, che tale condizione non ricorra per le persone giuridiche. In prima battuta, l’assetto così delineato evidenzia un chiaro collegamento con l’istituto della esdebitazione dell’incapiente, riservato appunto alle persone fisiche prive di beni o crediti futuri da destinare al pagamento delle spese di procedura ed al soddisfacimento, pur parziale, dei creditori.
Con la modifica del capoverso dell’art. 269 CCII ritorna tra i presupposti per l’accesso alla liquidazione controllata la valutazione sulla condotta del debitore nella causazione della condizione di sovraindebitamento, già presente nella L. n. 3/2012. Ovviamente la valutazione andrà compiuta in termini di non immeritevolezza, secondo l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del requisito soggettivo formatasi sulla L. n. 3/2012. L’innovazione si pone in collegamento con la riformata disciplina della esdebitazione (vedi infra).
Il novellato art. 270, secondo comma, lett. b), CCII, risolve i contrasti giurisprudenziali emersi a proposito della nomina del liquidatore, ed in particolare della necessità, o meno, che il professionista fosse iscritto nell’elenco dei gestori della crisi. La norma si limita ora a richiamare l’iscrizione al registro degli organismi di composizione della crisi.
Decisamente rilevante appare il nuovo regime del concorso di procedure, stabilito dall’art. 271, primo e secondo comma, CCII. È infatti prevista una più puntuale regolamentazione delle modalità attraverso le quali il debitore, attinto da un’istanza di apertura della liquidazione controllata, può proporre domanda di accesso ad una procedura alternativa. Viene introdotta la facoltà di ottenere le misure protettive, già accordata nell’ambito della ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore. Risulta così risolta la questione, già dibattuta[1], della possibilità di presentare domanda prenotativa ex art. 44 CCII nell’ambito delle procedure da sovraindebitamento. In sintesi: resta il divieto, ma il debitore dispone ora del rimedio attraverso la nuova disciplina dell’art. 271 CCII.
L’art. 275, terzo comma, CCII, stabilisce il compenso unitario per il liquidatore allorquando, in sede di nomina, venga confermato il gestore della crisi designato dall’OCC.
Preceduta da alcune decisioni della giurisprudenza di merito[2], tale soluzione mira a scongiurare (recte, per il futuro, a prevenire) abusi e prassi distorte, e più in generale le conseguenze che derivano dalla pattuizione del compenso tra debitore e OCC, che viene così ‘imposto’ al giudice, sottraendogli ogni prerogativa in proposito.
Avuto riguardo all’esigenza dalla quale è scaturita, la disposizione risulta non solo comprensibile, ma anche condivisibile.
Tuttavia, la soluzione adottata non appare convincente.
Non lo è sotto il profilo della genesi e della natura dei mandati che presiedono alle attività svolte, rispettivamente, dall’OCC attraverso il gestore della crisi e dal liquidatore nominato con la sentenza di apertura: l’uno di natura privatistica, che dà luogo al pagamento di un corrispettivo (per i servizi resi da un ente), l’altro di matrice giudiziaria, che comporta il riconoscimento di un compenso (per le prestazioni compiute da un professionista).
Non lo è sotto il profilo funzionale, attesa la profonda differenza tra l’attività che l’OCC, attraverso il gestore della crisi, svolge in vista del deposito della domanda di accesso, e quella demandata al liquidatore nella fase esecutiva della procedura, con l’ampio catalogo di doveri e responsabilità che ne conseguono (si rammenta che, per espresso richiamo contenuto nell’art. 270, terzo comma, CCII, al liquidatore si applicano gli artt. 35, 35.1 e 35.2 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159).
E non lo è per le interferenze con le regole processuali, dal momento che per addivenire alla liquidazione del compenso unitario il giudice deve modificare unilateralmente lo stato passivo predisposto dal liquidatore, con un provvedimento certamente ben poco ortodosso. Non solo. Poiché, come si dirà, tra le innovazioni apportate dal correttivo figura anche l’introduzione delle opposizioni allo stato passivo, la possibilità di una modifica di quest’ultimo per via diversa dal loro accoglimento deve escludersi, quantomeno per coerenza con il sistema.
Sussistono poi ulteriori criticità, rappresentate dalle incertezze interpretative determinate dal richiamo al decreto ministeriale 24 settembre 2014, n. 202, e dai rinvii incrociati ivi contenuti, aventi portata e significato tutt’altro che univoci, nonché dai rapporti interni tra professionista e OCC in tema di ripartizione del compenso unitario (ed invero, la percentuale riservata al primo per l’attività di gestore della crisi non può, o quantomeno non dovrebbe, valere anche per la fase di liquidazione, alla quale l’ente è totalmente estraneo).
Ad avviso dell’esponente, la soluzione va ricercata a monte, mediante una rigorosa predeterminazione dei corrispettivi che gli OCC possono richiedere ai debitori, lasciando poi alla valutazione discrezionale del giudice la quantificazione del compenso dovuto al liquidatore per la fase esecutiva, che potrà essere anche simbolico (soprattutto nei frequenti casi in cui l’attivo sia costituito dalla quota parte di reddito destinata ai creditori), ma che deve essere riconosciuto, anche per permettere il rimborso delle spese sostenute (altra criticità nei rapporti interni tra OCC e professionista)[3].
Non è questa la sede per approfondire ulteriormente il tema, anche perché si tratta di un argomento che genera molteplici questioni e suscita riflessioni di più ampia portata, come il ruolo degli OCC, caratterizzato da immanente ed istituzionalizzato conflitto di interessi, e la funzione stessa delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, la cui esclusiva finalità, soprattutto dopo la c.d. ‘direttiva insolvency’, non pare essere il soddisfacimento dei creditori.
Altre importanti disposizioni sono contenute nell’art. 272 CCII, ed in particolare nel modificato terzo comma e nel nuovo comma 3 bis.
Ritorna infatti la previsione della durata minima, stabilita ora in anni tre, quantomeno per le procedure aventi ad oggetto i crediti futuri, derogabile qualora non risulti attivo da distribuire. Anche il comma 3 bis, che dispone la separazione tra l’attivo già acquisito ed i crediti maturati sino al triennio dalla apertura rispetto ai beni sopravvenuti, è norma di raccordo con la disciplina della esdebitazione e va accolta favorevolmente, giacché dissipa nel senso già indicato dalla dottrina i dubbi sorti all’indomani della entrata in vigore del Codice della Crisi.
Passando alla rafforzata equiparazione della liquidazione controllata alla liquidazione giudiziale, trattasi di un processo avviatosi con l’introduzione nell’ordinamento, mediante gli artt. 14 ter e ss. della L. n. 3/2012, della liquidazione dei beni del debitore civile.
Quando ancora si discuteva circa la natura concorsuale o meno degli istituti di composizione della crisi da sovraindebitamento, autorevole dottrina[4] osservava come le nuove disposizioni prendessero il posto occupato, nel sistema tradizionale, dalla procedura fallimentare.
Le ampie e rilevanti lacune che caratterizzavano, sul piano procedimentale, la disciplina della liquidazione dei beni, vennero così colmate attraverso l’applicazione analogica delle norme che regolavano la procedura fallimentare.
Un ulteriore passo verso l’assimilazione alla procedura ‘maggiore’ fu poi compiuto con il Codice della Crisi che, oltre a prevedere l’apertura con sentenza, ha disciplinato le azioni (anche revocatorie) del liquidatore (art. 274), la fase esecutiva, il rendiconto ed il riparto (art. 275), la chiusura della procedura (art. 276).
Infine, con il decreto correttivo il processo di equiparazione si affina e si arricchisce di nuovi punti di contatto.
Già nella norma che dispone le prescrizioni contenute nella sentenza di apertura (art. 270 CCII), figura ora il richiamo alle modalità di liquidazione di cui all’art. 216, secondo comma, CCII. Viene poi espunto il rinvio all’art. 143 CCII, che effettivamente riguarda nello specifico gli effetti della apertura della liquidazione giudiziale sull’imprenditore commerciale ad essa assoggettabile, e si inserisce un più puntuale richiamo alle disposizioni del procedimento unitario applicabili alla liquidazione controllata.
Decisamente rilevanti appaiono le modifiche introdotte, all’art. 273 CCII, in materia di formazione del passivo.
Oltre a qualche opportuna correzione terminologica si evidenzia, nel solco della rafforzata equiparazione con la disciplina della procedura ‘maggiore’:
- il richiamo al secondo comma dell’art. 201 CCII in ordine alle modalità di proposizione delle osservazioni al progetto si stato passivo;
- la previsione della esecutività dello stato passivo, sempre a cura del liquidatore, esecutività che scaturisce dall’esame di domande e osservazioni e si perfeziona con il deposito e le comunicazioni, innovazione da porre in correlazione con l’introduzione delle opposizioni,
Infatti, il nuovo quarto comma dell’art. 273 CCII introduce appunto l’opposizione a stato passivo mediante esplicito rinvio all’art. 133 CCII (da proporre pertanto con reclamo), con competenza del giudice delegato (tribunale in composizione monocratica) e con possibilità di ricorrere per cassazione nel termine di trenta giorni.
Del compenso unitario (art. 275 CCII) si è già detto, qui va solo aggiunto che la norma che lo prevede è collocata nell’ambito delle operazioni di rendiconto, e ne postula ovviamente l’approvazione.
Il regime dei crediti prededucibili nella liquidazione controllata, introdotto con l’art. 275 bis CCII, riproduce quasi testualmente la norma di cui all’art. 222.
Infine, la chiusura della procedura (art. 276 CCII) viene rimodellata sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 235 CCII (decreto motivato e soggetti legittimati a richiederla) e si prevede altresì che il liquidatore, con l’istanza di chiusura, depositi una relazione finalizzata alla valutazione dei presupposti, e di eventuali cause ostative, per l’esdebitazione.
A proposito dell’esdebitazione, non è inutile rammentare che, sotto il profilo strutturale, il codice della crisi e dell’insolvenza ne aveva affidato la disciplina ad un gruppo di disposizioni di carattere generale, applicabili ad entrambe le procedure liquidatorie (gli artt. 278-280 CCII), dedicando poi specifiche norme alla liquidazione giudiziale (art. 281 CCII) ed alla liquidazione controllata (art. 282 CCII).
Quanto alle disposizioni di carattere generale, il correttivo prevede l’estensione del beneficio ai soci e liquidatori di società cancellate nei casi di cui all’art. 2495 c.c. ed offre una migliore puntualizzazione delle condizioni temporali di accesso, mediante richiamo al capoverso dell’art. 282 CCII.
Tra le principali novità delle disposizioni specifiche, va senz’altro osservato che la concessione non opererà di diritto, come ora previsto, ma presupporrà la richiesta del debitore e la segnalazione del liquidatore al tribunale (art. 282, primo comma, CCII). In caso di concessione anteriore alla chiusura, la relazione prevista dall’art. 276 CCII viene veicolata in seno alla segnalazione.
Altra importante innovazione è rappresentata dalla introduzione del contraddittorio anticipato sulla richiesta di esdebitazione. Si prevede (art. 282, primo comma, CCII), infatti, che l’istanza del debitore sia comunicata ai creditori, i quali possono presentare osservazione nei quindici giorni successivi.
Trattasi di una modifica senz’altro opportuna, posto che in base all’attuale disciplina potevano esclusivamente proporre reclamo contro il provvedimento di concessione, con aggravio di oneri spesso eccessivo rispetto all’interesse in concreto perseguito.
Infine, come si è accennato a proposito della durata minima della procedura, il nuovo comma 2 bis dell’art. 282 CCII dispone correlativamente la separazione della massa attiva soggetta a liquidazione successivamente alla concessione del beneficio.