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Saggio

La moratoria nel sovraindebitamento*

Marco Bianchi e Alfredo Miccio, Dottore Commercialista in Mantova e Avvocato in Mantova

26 Aprile 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Viene esaminata la recente giurisprudenza sul tema del pagamento rateizzato del debito, con alcuni spunti di riflessione in riferimento alla moratoria prevista dall’art. 8 comma quarto della legge 3/2012. Si esaminano le recenti modifiche all’art. 8 della legge 3/2012 introdotte dal D.L. n. 137/2020, convertito con L. n. 176/2020 e le inerenti previsioni del Codice della Crisi di cui al D.Lgs. 14/2019.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Il presente elaborato prende spunto da due elementi che possono ritenersi significativi nell’ambito delle procedure da sovraindebitamento: da una parte, la constatazione che il procedimento di sovraindebitamento non interrompe necessariamente i rapporti negoziali in essere e, dall’altra, il generale principio vigente, posto dall’art. 8 primo comma L. 3/2012, in tema di libertà delle forme di ristrutturazione e soddisfazione dei crediti [1]. 
Tali assunti saranno sviluppati in una esposizione che prende spunto dalle principali pronunce giurisprudenziali e da alcuni riferimenti legislativi che possono essere di aiuto nell’interpretazione del concetto di moratoria, al fine di distinguerlo dal concetto di adempimento dilazionato o pagamento rateale. 
2 . Spunti di riflessione su moratoria e pagamento rateale del debito: l’art. 8 comma quarto della L. 3/2012 nella recente giurisprudenza della Suprema Corte
Prima di esaminare le novità giurisprudenziali sul punto e le ultime modifiche legislative sul tema, si vorrebbe invitare ad approfondire la differenza etimologica e sostanziale fra il termine moratoria ed il termine rateizzazione o pagamento rateale. 
Con il termine moratoria, nel linguaggio giuridico, si dovrebbe intendere la sospensione della scadenza delle obbligazioni, disposta con provvedimento legislativo, in via eccezionale e con riferimento a eventi straordinari, tali da turbare il normale svolgimento dei rapporti economici e sociali. La moratoria dovrebbe rappresentare un rinvio, un differimento, una sospensione del pagamento o dell’obbligo. 
A riguardo, a livello normativo si può richiamare il D.L. n. 83/2012 (convertito con L. n. 134/2012), che all’art. 26 prevede la sospensione per dodici mesi del pagamento della quota capitale dei finanziamenti ed espressamente si intitola “Moratoria delle rate di finanziamento dovute dalle imprese concessionarie di agevolazioni” o ancora l’art. 65 del D.L. 104/2020, che si intitola appunto “Proroga moratoria per le PMI ex articolo 56 del decreto-legge n. 18 del 2020” e prevede la sospensione dei pagamenti per le imprese colpite dalla epidemia COVID. La sospensione dei pagamenti, qualificata appunto come moratoria, è stata confermata e prorogata dalla Legge di bilancio per il 2021 (L. n. 178/2020) all’art. 1 commi 248 e 249. Anche la Suprema Corte, con la sentenza n. 729/2019[2], qualifica espressamente la moratoria quale esenzione dal pagamento per un tempo determinato. 
La funzione della moratoria, quale sospensione del pagamento, pertanto, dovrebbe essere quella di concedere al debitore un periodo determinato di tempo nel quale riorganizzare i flussi attivi in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori. In tale prospettiva la moratoria dei crediti privilegiati, quale rinvio-sospensione del pagamento degli stessi, si può ritenere ben distinta dalla rateizzazione del pagamento integrale dei crediti medesimi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 comma 1 ed dell’art. 8 comma 1 della legge 3/2012, ove si prevede espressamente la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, potendosi declinare le scadenze e le modalità di pagamento dei crediti nella maniera più funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori secondo le oggettive possibilità del debitore. 
Assimilare la moratoria alla rateizzazione del pagamento integrale del debito, vorrebbe dire snaturare la struttura e la funzione della moratoria, quale sospensione/esenzione temporanea dal pagamento, contraddicendo la ratio e lo stesso spirito della legge 3/2012, rendendo di fatto residuale e quasi del tutto inutilizzabile lo strumento dell’accordo di ristrutturazione con continuità aziendale o del piano del consumatore, imponendo una rateizzazione assolutamente breve - 12 mesi - a scapito degli stessi interessi dei creditori, che ben potrebbero valutare conveniente ricevere il pagamento dell’intero credito rateizzato, piuttosto che liquidare i beni del debitore. In una fase di crisi, come quella affrontata in un procedimento di sovraindebitamento, una rateizzazione che potesse durare solamente un anno, a fronte di debiti quasi sempre con scadenza ultradecennale, equivarrebbe chiaramente a non concedere alcuna rateizzazione.
Si potrebbe osservare ancora come l’ambito di qualificazione giuridica della moratoria, quale sospensione/esenzione temporanea dal pagamento, difficilmente possa sovrapporsi a quello di pagamento integrale, anche se rateizzato, del credito, essendo la moratoria e la rateizzazione istituti giuridici con natura giuridica e causa distinte, dal momento che la moratoria non potrebbe mai rappresentare un pagamento, mentre la rateizzazione risulta essere a tutti gli effetti un pagamento dell’obbligazione. 
Un piano del consumatore o un accordo di ristrutturazione del debito con continuità aziendale ben potrebbero, inoltre, prevedere sia un periodo di moratoria, quale sospensione dei pagamenti (magari anche solo per gli interessi passivi o il solo capitale) a cui potrebbe seguire un pagamento rateale dell’intera somma dovuta, anche maggiorata di eventuali interessi, combinando quindi la moratoria-sospensione del pagamento con il pagamento rateale. 
Tenendo a mente questo spunto di riflessione, possiamo ora ripercorrere le principali pronunce giurisprudenziali sul tema esposto. In una fase antecedente alla recente riforma, una parte della Giurisprudenza (cfr. Cass. 4451/2018), aveva assunto una posizione intransigente sul punto, con una piena sovrapposizione dei due termini – rateizzazione e moratoria -. Tale interpretazione avrebbe comportato verosimilmente, se fosse stata ulteriormente coltivata e condivisa, al blocco di buona parte delle procedure di sovraindebitamento. Imporre ad un soggetto già in grave difficoltà il pagamento in un solo anno dei crediti privilegiati, rappresentati per lo più da crediti derivanti da mutui ipotecari e quindi da rapporti di durata di una certa consistenza, voleva dire di fatto impedire allo stesso soggetto di accedere alla procedura medesima. Nella maggioranza dei casi, infatti, il debitore virtuoso con una procedura di sovraindebitamento ha come obbiettivo proprio quello di mantenere in essere il pagamento delle rate del debito ipotecario o rimodulare il medesimo in termini di riscadenzamento delle rate, allo scopo di pagare i propri debiti, ma al contempo salvare il proprio patrimonio immobiliare, almeno in parte, almeno il bene rappresentato dalla abitazione principale o dal cespite essenziale per la propria attività.  
In questa prospettiva il dettato dell’art. 8 diviene uno strumento in più, utile al buon esito del piano: la possibilità di prevedere una moratoria, intesa quale sospensione del pagamento delle rate in conto capitale e/o interessi per il termine massimo di un anno, può risultare assai utile a rimettere in carreggiata il debitore, ad aiutarlo a ricalibrare i flussi attivi necessari per l’adempimento del piano.
Intendere la moratoria alla stregua di una semplice dilazione, imponendo la rateizzazione ammissibile in un solo anno, trasformerebbe invece l’art. 8 in una sorta di ghigliottina inesorabile, accompagnando il debitore direttamente alla liquidazione del patrimonio. D’altro canto, non si vede il motivo - la ratio - che dovrebbe imporre di interrompere un rapporto obbligatorio in bonis, come potrebbe essere un mutuo ipotecario, con regolari pagamenti delle rate alle scadenze previste ed anche in caso di un rapporto obbligatorio di durata, nel quale il debitore risulti in parte inadempiente, perché in ritardo con il pagamento delle rate, tale rapporto potrebbe essere rimodulato dalla procedura di sovraindebitamento, prevedendone, nei termini previsti dal piano, l’integrale pagamento. 
Volendo valutare l’alternativa liquidatoria, stante il fisiologico e pesante deprezzamento del bene alienato in fase di liquidazione, sarà quasi sempre preferibile la via del piano da sovraindebitamento, che preveda la piena soddisfazione del creditore ipotecario e nel quale il debitore sarà spronato a rispettare il piano ad ogni costo, ben sapendo che l’alternativa liquidatoria imporrebbe la perdita del bene immobile da liquidare, molto spesso rappresentato dalla propria abitazione. Per questa via, a ben vedere, si attua lo stesso meccanismo virtuoso rappresentato dalla conversione del pignoramento che permette, se rispettato, ad entrambe le parti di avere piena soddisfazione delle proprie ragioni: al creditore di rientrare interamente del proprio credito, comprensivo di tutte le spese e degli interessi, al debitore di salvare il proprio bene dalla aggressione del creditore, avendo la possibilità di pagare il credito con una modalità che concretamente gli permetta di adempiere alle proprie obbligazioni, pur se in difficoltà, trattandosi appunto di una rateizzazione del credito e non di una moratoria - sospensione del pagamento.
Si richiamano, a conferma di tale possibile ricostruzione, le recenti sentenze della Suprema corte.
La decisione della Suprema Corte, Cass., Sez. I, n. 17834/2019[3], riguarda una proposta di accordo di composizione della crisi, senza continuità aziendale, nella quale si era proposto di proseguire il pagamento del credito ipotecario secondo le scadenze pattuite, mantenendo in essere il piano di ammortamento del mutuo ipotecario della durata di 16 anni. La decisione della Suprema Corte valorizza al massimo grado il principio di libertà delle forme di ristrutturazione e soddisfazione del credito espresso dall’art. 8 comma 1, richiamando la giurisprudenza formatasi in tema di concordato preventivo, in riferimento all’art. 186-bis secondo comma lett. c LF, dichiarando ammissibile una dilazione pluriennale del pagamento dei creditori ipotecari, ferma restando la necessità di assicurare agli stessi il voto. La stessa Corte precisa, inoltre, che anche per il piano del consumatore possano essere previste appropriate forme di manifestazione di volontà cui associare la tutela del creditore. La Corte conclude sottolineando come siano i creditori a dover valutare la convenienza della proposta, implicante i pagamenti dilazionati, rispetto a possibili alternative di soddisfacimento. 
Si vuole qui evidenziare un’ulteriore decisione della Suprema Corte, Cass., Sez. I, n. 27544/2019[4], che riguarda un piano del consumatore, per il quale si era proposto di pagare il credito ipotecario in 12 anni. La Corte richiama espressamente il principio espresso dalla sentenza n. 17834/2019, secondo il quale negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore, è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dalla L. n. 3 del 2012, art. 8, comma 4, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data ad essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore. La Corte si sofferma anche sul punto, forse maggiormente controverso, della durata del piano, 12 anni appunto, chiarendo esaustivamente quali siano gli interessi in gioco ed il loro delicato equilibrio, sottolineando come non possa aprioristicamente escludersi che gli interessi del creditore risultino meglio tutelati con un piano del consumatore, che pur preveda una dilazione di significativa durata (anche superiore ai 5-7 anni), piuttosto che per mezzo della vendita forzata dei beni del patrimonio del debitore. La Corte prosegue enucleando chiaramente la questione: ogniqualvolta il piano preveda il pagamento integrale del debito, tale soluzione potrà ben essere valutata favorevolmente dai creditori, ben sapendo gli stessi che il patrimonio del debitore, aggredibile tramite esecuzione forzata, molto spesso non risulta in grado di soddisfare integralmente le loro ragioni, tenuto conto di quanto gravano nelle esecuzioni forzate gli oneri e costi delle procedure e le endemiche ed inevitabili svalutazioni dei cespiti liquidati. Prosegue la Corte: “si pensi alla vendita forzata dell’unico bene di rilievo il cui valore sia pari od inferiore all’ ammontare dei debiti. Come è noto, infatti, con la vendita all’incanto, ed in particolare quella di beni immobili, è difficile ricavare una somma maggiore o pari al valore di stima degli stessi, ma anzi, generalmente, il creditore ottiene una somma anche inferiore (spesso di molto) rispetto a tale valore, sia perché gli offerenti alle aste si avvalgono sovente della facoltà, prevista dall’art. 571 c.p.c., comma 2, di offrire un corrispettivo ridotto fino ad un quarto rispetto al prezzo base, sia a causa della decurtazione dei costi della procedura dal ricavato.”
La Corte, ancora, evidenzia e valorizza la ratio della legislazione in tema di sovraindebitamento, sottolineando come l’adozione di un’interpretazione eccessivamente restrittiva, che neghi l’ammissibilità di piani di durata ultra quinquennale, rischi di minare l’effettività di tali strumenti, mal conciliandosi con il processo in atto a livello Europeo di cambiamento della cultura giuridica a favore della logica del salvataggio e della seconda possibilità (second chance), rammendando come la legge n. 3 del 2012 sia stata introdotta non soltanto sulla spinta delle istituzioni Europee, ma anche al fine di arginare il fenomeno, particolarmente avvertito all’interno del nostro Paese, ossia il ricorso al mercato dell’usura da parte di imprenditori o consumatori sovraindebitati. A tal proposito si veda anche la relazione illustrativa alla L. n. 3 del 2012, in cui si annovera, tra le finalità della legge, quella “di evitare inutili collassi economici con la frequente impossibilità di soddisfacimento dei creditori ma, soprattutto, con il ricorso al mercato dell’usura e, quindi, al crimine organizzato”.
Infine, la Corte si sofferma sul principio della convenienza, che deve essere necessariamente oggetto di valutazione da parte dei creditori, richiamando la Cassazione n. 17834 del 2019: “Sono, difatti, i creditori a dover valutare se, in simili ipotesi, un piano del tipo di quello indicato, implicante pagamenti dilazionati, sia, o meno, conveniente a fronte delle possibili alternative di soddisfacimento.” Tale principio sembra essere dirimente sulla questione: il pagamento dilazionato non può essere tout court assimilato ad una soddisfazione non integrale del credito ed in ogni caso tale valutazione deve essere oggetto di esame esclusivamente da parte del ceto creditorio. 
L’ulteriore decisione conforme della Suprema Corte, Cass., Sez. I, n. 17391/2020[5], riguarda una proposta di accordo di composizione della crisi, senza continuità aziendale, nella quale si era proposto di proseguire a pagare il credito ipotecario in cinque anni dalla omologazione.
Per la Suprema Corte gli accordi di ristrutturazione dei debiti, come pure i piani del consumatore, possono prevedere una dilazione del pagamento dei crediti prelatizi, purché ai titolari di tali crediti sia attribuito il diritto di voto. La dilazione, anche se di lunga durata, infatti, non pone un problema di fattibilità giuridica, ma influisce soltanto sulla valutazione di convenienza per i creditori. 
Sono i creditori gli unici a dover valutare se una proposta implicante pagamenti dilazionati sia o meno conveniente rispetto alle possibili alternative di soddisfacimento.
Da ultimo, preme qui sottolineare la decisione della Suprema Corte, Cass., Sez. VI, n. 22291/2020[6], che si riferisce ad un piano del consumatore con una durata ultraventennale. Nel piano proposto il credito ipotecario viene ripagato secondo il piano di ammortamento previsto dal mutuo stesso. Si conferma così la massima che “negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dall'art. 8, co. 4, della L. n. 3/2012, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto, a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data ad essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore.”
Tale assunto non solo conferma quanto già indicato - la possibilità di voto per i  creditori privilegiati pagati oltre l’anno - ma aggiunge qualcosa di specifico ed innovativo per il piano del consumatore, che non prevede la fattispecie del voto, lasciando agli stessi creditori la facoltà di esprimersi sulla proposta di dilazione oltre l’anno dall’omologa del piano: in questo caso si potrebbe pensare, appunto, ad un termine fissato dal Giudice ai creditori per esprimere in forma scritta eventuali osservazioni alla proposta di dilazione. 
3 . Le modifiche apportate all’art. 8 dal D.L. n. 137/2020, convertito con L. n. 176/2020
In questa prospettiva, pur se con alcune criticità, si collocano le modifiche legislative di cui al D.L. n. 137/2020, convertito con L. n. 176/2020, che hanno introdotto i commi 1-ter, 1-quater all’art. 8 della L. n. 3 /2012[7].
Partendo dall’incipit dell’art. 8 al comma 1, che espressamente recita: “la proposta di accordo o di piano del consumatore prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di crediti futuri”, risulta al quanto spiazzante la specificità delle fattispecie presa in considerazione dalle norme recentemente introdotte, tanto da far sorgere più di un dubbio sull’ammissibilità d’ora innanzi di piani che prevedessero rateizzazioni diverse da quelle specificatamente regolamentate dalle due norme di nuova introduzione. Le limitazioni imposte, infatti, risultano molteplici, sia in termini soggettivi che oggettivi, andando di fatto a scardinare il principio generale introdotto originariamente dal primo comma dell’art. 8 sulla fondamentale libertà delle forme di ristrutturazione e soddisfazione dei crediti e ponendosi forse in contrasto con l’orientamento maturato dalla Suprema Corte in ordine al pagamento rateizzato. 
Vediamo, quindi, nel dettaglio le nuove norme: il comma 1-ter si occupa dell’ammissibilità di una procedura di sovraindebitamento che preveda il mantenimento in essere del rapporto obbligatorio di mutuo ipotecario. La norma specifica subito l’ambito di applicazione soggettivo al solo consumatore, sia che lo stesso presenti un piano o una proposta di accordo. Da un punto di vista oggettivo, la norma limita la sua applicazione alla sola abitazione principale, quindi, se il consumatore avesse nella sua titolarità immobili di diversa natura, per questi si porrebbe certamente il pressante quesito di quale sia la sorte di tali immobili, nell’ipotesi in cui i mutui ipotecari su di essi gravanti siano regolarmente adempiuti.
La possibilità di adempiere regolarmente al pagamento delle rate del mutuo ipotecario viene ulteriormente limitata a due sole ipotesi. La prima prevede che il consumatore, alla data del deposito della proposta, non sia in alcun caso in arretrato con il pagamento delle rate; la seconda, prevede che in sede di deposito della proposta, il consumatore faccia specifica istanza, che deve essere accolta dal giudice, di pagare l’arretrato scaduto alla data di deposito della proposta. 
Soprattutto su questa ultima statuizione può essere interessante soffermarsi, al fine di porsi il quesito se l’istanza in oggetto e la relativa autorizzazione giudiziale possano prevedere un termine, anche ampio per il pagamento dell’arretrato, oppure anche un suo pagamento rateale, magari in linea con il pagamento delle restanti rate del mutuo ipotecario; perché, diversamente, ritorneremmo a formalizzare una pesante limitazione alla procedura, che andrebbe a limitare fortemente l’accesso alla medesima, dal momento che, nella stragrande maggioranza dei casi, il debitore giunge ad accedere ad una procedura di sovraindebitamento proprio perché in arretrato con il pagamento delle rate dei debiti contratti e, difficilmente, soprattutto nella fase iniziale della procedura, sarà in grado di pagare in una unica soluzione ed immediatamente l’arretrato maturato.
Non dare la possibilità al debitore di avere il tempo, ragionevolmente inteso, di riallineare la prospettazione dei propri flussi attivi e passivi, che vanno riequilibrati proprio per mezzo della procedura, significa rendere fattibile, nella maggior parte dei casi, la sola liquidazione di tutto il proprio patrimonio. 
Il comma 1-quater si occupa invece del soggetto non consumatore, prevedendo che anche per tale soggetto sia possibile mantenere in essere il mutuo ipotecario e le relative scadenze, ma sempre con specifiche e dettagliate limitazioni oggettive. La prima limitazione impone che la proposta debba necessariamente prevedere la continuità aziendale. I beni oggetto della proposta devono essere beni strumentali all’esercizio dell’impresa e come previsto dal comma 1-ter, il debitore alla data di presentazione della proposta non deve essere in alcun caso in arretrato con il pagamento delle rate, oppure in sede di deposito della proposta, il debitore deve fare specifica istanza, accolta dal giudice, di pagare l’arretrato scaduto alla data di presentazione della proposta. Infine, deve essere redatta specifica attestazione da parte dell’OCC in ordine al fatto che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con la liquidazione del bene effettuata a valore di mercato ed in ordine al fatto che il rimborso delle rate a scadere non leda i diritti degli altri creditori.
In riferimento agli immobili cui tale norma si riferisce, una lettura costituzionalmente orientata potrebbe lasciare perplessi, in quanto la stessa casa, l’abitazione principale, risulta avere un valore diverso nel caso in cui sia nella titolarità di un consumatore o di un soggetto non consumatore, quasi che l’abitazione dell’imprenditore sia da considerarsi meno essenziale rispetto a quella del consumatore e magari lasciar intendere che in qualsiasi contesto l’abitazione secondaria sia da considerarsi sacrificabile, solo perché invece che dal debitore, è abitata magari dai figli del medesimo. 
Risulta poi curiosa anche la previsione che limita la possibilità del pagamento del mutuo ipotecario ai soli beni strumentali all’esercizio della impresa, non contemplando la norma i beni strumentali all’esercizio della professione.
In riferimento alla previsione di un’attestazione specifica dell’OCC, tale disposizione potrebbe essere eccessivamente limitante nell’accesso alla procedura, dal momento che l’esperienza preponderante insegna come quasi mai la liquidazione a valore di mercato dei beni immobili posti a garanzia riesca a soddisfare in buona parte - figuriamoci integralmente - il credito garantito. Senza contare che l’ulteriore attestazione sull’evenienza che il rimborso delle rate a scadere non leda i diritti degli altri creditori risulta quanto meno improbabile nella maggioranza dei casi, visto che certamente il creditore ipotecario, proprio perché creditore privilegiato, riceverà un trattamento sempre più vantaggioso rispetto alla falcidia dei creditori chirografi, a meno che non si interpreti tale norma aver inteso limitare la sua efficacia a creditori dello stesso rango e dello stesso grado di privilegio, in questi termini la disposizione rimane criptica e di difficile applicazione pratica.  
Altra novità legislativa introdotta dal D.L. n. 137/2020, convertito con L. n. 176/2020, riguarda la statuizione del comma 1-bis, in tema di finanziamenti con cessione del quinto.
La norma dispone, infatti, che la proposta di piano del consumatore possa prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno. Tale modifica legislativa trova la sua origine nella disputa giurisprudenziale che si era creata in precedenza, circa la possibilità per una procedura di sovraindebitamento di sospendere l’efficacia delle cessioni dei crediti futuri, come il quinto dello stipendio, posti a garanzia di finanziamenti chirografi. Una necessaria premessa dovrebbe essere quella di richiamare la norma dell’art. 10 comma 5 della L. 3/2012, che prevede espressamente che il decreto di ammissione alla procedura sia equiparato all’atto di pignoramento, nonché il comma 2, che prevede espressamente come, sino alla omologazione della procedura, non possano essere iniziate o proseguite azioni esecutive o cautelari, né acquisiti diritti di prelazione (norme richiamate, in tema di piano del consumatore, dall’art. 12-bis della L. 3/2012). In riferimento al credito derivante da cessione di un quinto dello stipendio o della pensione, è possibile qualificare il medesimo quale credito chirografario, avente ad oggetto, in particolare, un credito futuro, essendo la cessione in parola posta a garanzia di un rapporto obbligatorio di durata, relativamente ad un finanziamento anch’esso da qualificarsi come chirografario. Se tali possono essere le premesse condivisibili, certamente si può in ogni caso ritenere utile la precisazione normativa introdotta[8].
4 . Le previsioni del codice della crisi sul tema della rateizzazione del debito
Passiamo infine ad analizzare le previsioni del Codice della Crisi relativamente a quanto finora affrontano. Il nuovo Codice della Crisi d’impresa (D.Lgs. n. 14/2019, che dovrebbe entrare in vigore nel settembre 2021, salvo possibili proroghe) prevede per il consumatore, all’art. 67 comma 5, una norma simile a quella recentemente introdotta nella L. 3/2012, disponendo che sia possibile il pagamento delle rate del mutuo in scadenza con alcune precise limitazioni, che ricalcano quelle appena entrate in vigore nella legge sul sovraindebitamento e si prestano alle medesime osservazioni già avanzate. In particolare, si deve trattare di mutuo ipotecario sulla abitazione principale ed il debitore deve essere in regola con i pagamenti o deve essere autorizzato dal giudice al pagamento dello scaduto. 
Per l’imprenditore, in riferimento al rimborso rateizzato del mutuo ipotecario, l’art. 75 comma 3 del Codice della Crisi prevede delle disposizioni in linea con quanto appena introdotto nella legge sul sovraindebitamento. Infatti, per l’imprenditore deve essere prevista la continuità aziendale e l’ipoteca del mutuo deve avere ad oggetto beni strumentali all’esercizio dell’impresa. Il debitore dovrà essere in regola con i pagamenti oppure il giudice potrà autorizzarlo al pagamento del debito. Sarà sempre necessaria l’attestazione dell’OCC che accerti che il credito garantito possa essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non leda i diritti degli altri creditori.
5 . Conclusioni
In conclusione, le ultime modifiche apportate all’art. 8 della legge 3/2012 paiono limitare fortemente il principio generale di libertà delle forme di soddisfazione del credito espresso dall’art. 8 al comma 1 della stessa legge, in ordine alla possibilità che la proposta di accordo o di piano del consumatore possa prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di crediti futuri. Le limitazioni imposte, che sono molteplici e forse sotto alcuni profili contraddittorie, si pongono in un contrasto dialettico con l’orientamento maturato sin qui dalla Suprema Corte, spetterà quindi alla giurisprudenza, successiva alla introduzione di tali novità normative, individuare il corretto equilibrio fra il principio generale della libertà delle forme di soddisfazione del credito, la ratio sottesa alla normativa sul sovraindebitamento e le singole disposizioni recentemente introdotte, anche con riferimento  all’interpretazione delle norme che entreranno in vigore con il codice della crisi, in questo momento chiaramente allineate con le previsioni della normativa recentemente riformata. 

Note:

[1] 
Cfr.: FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore "non fallibile" (D.L. 212/2011), Il Caso.it, 2012; AA.VV., FERRO, NARDECCHIA, NOCERA, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2019; GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, Il Fall, 11/2012; LO CASCIO, L'ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento, Il Fall, 7/2013.
[2] 
Cass., Sez. V, n. 729/2019.
[3] 
Cass., Sez. I, n. 17834/2019, in Il Fall., 2/2020, p. 215.
[4] 
Cass., Sez. I, n. 27544/2019, in Il Fall., 5/2020, p. 648.
[5] 
Cass., Sez. I, n. 17391/2020[1], in Il Caso.it.
[6] 
Corte, Cass., Sez. VI, n. 22291/2020, in Il CodiceDeiConcordati.it.
[7] 
LEUZZI, Il primo Decreto correttivo al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: una postilla, In Executivis, 8.11.2020.
[8] 
Per Tutti: Trib. Monza 26.7.2017; Trib. Ancona 15.3.2018; Trib. Santa Maria CV 2.12.2020.

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Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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