La sentenza in commento segue, quindi, la corrente del fiume verso il mare, ribadendo quanto già previsto da una norma di diritto positivo.[38]
Tuttavia non ci si può esimere dall’avanzare, ugualmente, alcune critiche al principio espresso (prima dal legislatore e poi) dalle Sezioni Unite.
(a) Se si subordina la prededucibilità del compenso del professionista all’ammissione del concordato, evento difficilmente prevedibile ex ante dal professionista al momento dell’assunzione dell’incarico (d’altronde il termine concesso dal tribunale dopo il deposito del ricorso ex art. 161 sesto comma l.f. serve proprio per redigere il piano e la proposta e, quindi, svolgere l’attività funzionale al deposito della domanda), di fatto si trasforma l’obbligazione del professionista, che notoriamente è una prestazione d’opera intellettuale, in una obbligazione di risultato.[39]
Ma così non può essere, atteso che l’obbligazione del prestatore d’opera intellettuale è considerata pacificamente un’obbligazione di mezzi: anche nell’ambito dell’opera svolta per accedere alla procedura di concordato, essa è disciplinata dalla diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c., e la sua responsabilità è scriminata dalla mancanza di dolo o colpa grave al cospetto di problemi tecnici di speciale difficoltà ex art. 2236 c.c.[40].
Invero al riguardo la Suprema Corte nella sentenza commentata ribadisce che l’obbligazione del professionista “è di mezzi”, precisando tuttavia che l’esclusa prededuzione non discende dall’insuccesso della domanda (e quindi alla mancata ammissione), bensì “dall’inidoneità causale” dell’apporto del professionista stesso alle finalità istituzionali della procedura (il decreto di cui all’art. 163 l.f., che apre il concordato alle valutazioni – tramite il voto - dei creditori). Quindi non è un problema di “risultato” ma di apporto causale dell’opera del professionista.
Tale precisazione rischia di essere una foglia di fico che nasconde la substantia rerum: l’apporto causale dell’opera del professionista nella lettura della Suprema Corte è sempre volto ad un fine, e quindi ad un risultato (l’ammissione) che, se manca, porta all’esclusione della prededuzione. Il dubbio quindi di trasformazione “genetica” della natura dell’obbligazione del professionista a seguito di tale lettura della Cassazione, permane.
(b) Anche nel caso di mancata ammissione ex art. 163 l.f., spesso l’opera del professionista risulta non solo funzionale ma anche vantaggiosa per gli interessi della massa.
Come evidenziato dalla stessa ordinanza n. 7974 del 30 marzo 2018 della Cassazione “l'accesso alla procedura di concordato preventivo costituisce di per sé un vantaggio per i creditori ove si tenga conto degli effetti della consecuzione delle procedure, tra cui la cristallizzazione della massa e la retrodatazione del periodo sospetto ai fini dell'esperimento della revocatoria fallimentare”.[41]
Al riguardo le Sezioni Unite (pag. 36) precisano che l’art. 168, comma 3, l.f. – che dispone l’inefficacia delle garanzie ipotecarie iscritte nei 90 giorni precedenti alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese- non si applica qualora venga rinunciata la domanda prima della sua ammissione e consegue il fallimento della società debitrice.[42]
Tuttavia, a prescindere dall’efficacia delle ipoteche, vi sono plurimi elementi che portano a ritenere l’opera del professionista spesso (assai) utile per la massa dei creditori - anche sotto il profilo dell’emersione della crisi - e, quindi, causalmente funzionale:[43] l’attività di predisposizione del piano di concordato, ancorché non ammesso, può essere di particolare complessità e richiedere l’espletamento di numerose attività prodromiche (si pensi al riordino delle scritture contabili e di riconciliazione dei valori contabili, con verifica delle poste, onde conseguire una corretta rappresentazione della situazione patrimoniale concordataria), che possono essere certamente utili anche nel successivo fallimento (e, quindi, essere a vantaggio della massa dei creditori), considerando che il curatore si ritroverebbe a svolgere il proprio compito con una situazione (contabile, legale, valutativa) già preparata, riordinata e rettificata dagli advisor.
Dopo tale lavoro, spesso poderoso e utile al curatore (e quindi alla massa) gli advisors dopo la sentenza delle Sezioni Unite rischiano di restare … con il cerino il mano e non prendere nemmeno un euro in relazione all’attività svolta, vuoi per la mancata collocazione in prededuzione dei propri crediti, vuoi per l’eccezione di inadempimento.
(c) La condizione dell’ammissione ha di certo il pregio della certezza, collegando il riconoscimento della prededuzione ad un dato oggettivo, quale il raggiungimento di un determinato obbiettivo (l’ammissione, appunto), e così risolvendo – come Alessandro Magno con il nodo gordiano - le varie discussioni giurisprudenziali e dottrinali sul punto.
Nell’interpretazione della Suprema Corte, la mancata ammissione del concordato costituisce un serio indizio, in via presuntiva, della mancanza di funzionalità dell’opera del professionista.
Al riguardo non ci si può esimere dal rilevare che spesso la mancata ammissione non risulta causalmente riconducibile all’attività svolta dal professionista, in punto di inadeguatezza-incompletezza-negligenza. Si pensi a questioni giuridiche dibattute, la cui scelta interpretativa da parte del tribunale competente ha portato alla mancata ammissione del concordato: quanti concordati sono stati dichiarati inammissibili perché il piano prevedeva la falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute?[44] Se il medesimo piano concordatario fosse stato presentato qualche tempo dopo nello stesso tribunale, o addirittura lo stesso giorno ma in un tribunale diverso, probabilmente l’esito sarebbe stato differente e la domanda sarebbe stata ammessa (in virtù, appunto, del mutamento giurisprudenziale o di una sopraggiunta modifica legislativa o di una diversa opzione interpretativa seguita dal tribunale competente).
Il fenomeno del “diritto municipale” (o “diritto a macchia di leopardo”) crea conseguenze nefaste in punto di uniforme applicazione del diritto (memento: l’affitto d’azienda ante concordato che configurava, secondo alcuni tribunali, un piano liquidatorio etc.): pare iniquo addossare il rischio del risultato al professionista che ha compiuto la propria opera in modo diligente e seguendo la best practice (e i dettami della giurisprudenza maggioritaria). Professionista che talvolta si trova in una condizione simile al lanciatore di monetine: seguire un’opzione interpretativa piuttosto che un’altra nel redigere il piano e la proposta di concordato richiede l’intervento della dea Fortuna; si può trovare un collegio che condivide (oppure no) quella scelta, o ancora un giudice relatore più autorevole (e preparato) di altri (ma anche il giudice può cambiare in corso di procedura) oppure semplicemente il parere dell’organo giudicante può cambiare (dopo un convegno o una sentenza) durante la fase di pre-concordato. Insomma, molteplici fatturi casuali (e non causali) che incidono sul risultato dell’ammissione della domanda di preventivo.[45]
(d) Escludere la collocazione in prededuzione del credito del professionista nel caso in cui al pre-concordato consegua il fallimento rischia di depotenziare lo strumento concordatario stesso, sfavorendo l’assistenza del debitore da parte di professionisti qualificati e preparati.
Per (tentare) la ristrutturazione delle imprese in crisi si necessita di professionisti competenti, la cui opera va remunerata e nei confronti dei quali non si può ragionevolmente pretendere l’accollo del rischio di un possibile mancato pagamento (salvo i casi evidenti di frode o di abuso). L’incertezza circa la sorte del proprio credito potrebbe rendere assai problematica l’assunzione dell’incarico da parte del professionista: incarico spesso assai gravoso per la mole di lavoro che si prospetta e la struttura organizzativa necessaria per assolverlo al meglio (si pensi soltanto alle varie due diligence per la corretta predisposizione di un piano concordatario ed ai numerosi problemi da risolvere nel corso della procedura); senza un team dedicato risulta difficile predisporre un piano concordatario (e i collaboratori vanno pagati, così come le spese generali di struttura, le utenze, la locazione dell’ufficio etc.).
Invero i possibili (e prevedibili) effetti di tale dictum della Suprema Corte sembrano stridere sia con lo spirito delle varie riforme del diritto delle crisi che si sono succedute negli ultimi anni, il cui intento dichiarato dal legislatore è sempre stato quello di favorire il risanamento dell’impresa nell’ottica della miglior soddisfazione dei creditori sociali, sia con la stessa ratio dell’art. 111, co. 2, l.f.: “favorire il ricorso alla procedura di concordato preventivo, nel quadro della riforma di tale procedura, diretta a predisporre un possibile strumento di composizione della crisi, idonea a favorire la consecuzione dei valori aziendali”.[46] Ma come si possono raggiungere tali obbiettivi ponendo de facto i professionisti più strutturati e preparati in materia in una posizione critica, con un accollo del rischio (economico) spesso difficilmente sopportabile?
(e) Sul primo quesito riguardante l’esenzione dall’azione revocatoria la motivazione della Corte non appare incisiva (pag. 27), sostenendo che appare frutto di una mera “petizione di principio” sostenere “che se i crediti sorti per ottenere servizi professionali strumentali all’accesso al concordato vanno esenti da revocatoria ai sensi dell’art.67 co.3 lett. g) l.f. vuol dire che quegli stessi crediti, ove impagati, diventano prededucibili nel successivo fallimento, a prescindere dall’apertura del concordato”. Secondo la Corte tale tesi “…dovrebbe invero procedere dalla dimostrazione che anche la salvezza dalla revocatoria dei pagamenti operi a prescindere dall’apertura del concordato, presupposto contraddittorio con la constatazione che della strumentalità (quale prius della prestazione da cui sorge il credito) si può predicare la possibile sussistenza anche come fattispecie pienamente compiuta e dunque proprio per il caso di concordato ammesso, cui cioè il debitore abbia acceduto, pena la riduzione a mera intenzionalità della commentata attitudine causale; non va nemmeno sottaciuto che l’esenzione da revocatoria ha riguardo a debiti liquidi e già esigibili pagati alla scadenza, mentre l’ampia gamma delle prestazioni d’ausilio al concordato (e non solo) ben è compatibile con adempimenti parziali, anticipati, in acconto”.
Va tuttavia rilevato che l’art. 67, comma 3, lett. g), l.f., sottrae alla revocatoria fallimentare “i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo”.[47] Dalla lettura combinata di tale norma con l’art. 111, comma 2, l.f., si evince che il legislatore riconosce nella strumentalità delle prestazioni all’accesso al concordato “quel nesso funzionale che, in caso di mancato pagamento, giustifica la prededucibilità dei crediti derivanti dalle prestazioni stesse, pur se sorti prima delle procedure”.[48]
Pertanto esenzione dall’azione revocatoria per i pagamenti effettuati e prededuzione per i crediti non pagati rappresentano (e non possono non rappresentare) due facce della stessa medaglia, nel momento in cui la prededuzione è volta a tutelare quei professionisti che non possono avvantaggiarsi dell’esenzione revocatoria per non aver ricevuto il pagamento del compenso nel corso della procedura. Di conseguenza delle due l’una: o si identifica la «funzionalità» di cui all’art. 111, comma 2, l.f. con la stessa «strumentalità» richiesta dall’art. 67, comma 3, lett. g), l.f., oppure de facto si incentiva la prassi di accettare l’incarico professionale previo pagamento di tutto (o di gran parte) del compenso, senza alcun controllo giudiziale (con la protezione dall’azione revocatoria in caso di successivo fallimento). È peraltro evidente che in tali estreme ipotesi, se l’impresa in crisi non avesse sin dall’inizio liquidità sufficiente per pagare anticipatamente i professionisti, si troverebbe addirittura nella condizione di non poter beneficiare dello strumento concordatario: proprio quello che il legislatore ha voluto evitare.[49]
La Corte a ben vedere evita di prendere definitiva posizione sulla problematica, lasciando così aperto lo spazio per una possibile azione revocatoria avente ad oggetto il pagamento degli acconti ricevuti dai professionisti in caso di mancata ammissione al beneficio del concordato.