Varie sono le questioni. Soffermiamoci su due. L’analisi sarà in ottica giuridica ma non trascurando l’aspetto economico, che deve costituire, costituisce, in questo settore, la guida reale cioè della realtà (storica ) cui è impossibile sottrarsi. E non sarebbe neanche giusto. Una guida che, spesso, è critica verso certe impostazioni solo giuridiche.
a- Obiettivi degli adeguati assetti.
Prima di verificare in cosa debbano consistere gli adeguati assetti menzionati nell'art. 2086 c.c. e nell'art. 3 CCII, è opportuno interrogarsi sugli obiettivi che gli stessi devono raggiungere, per come vengono delineati dai comma 2 – 4 dell'art. 3. Dato che il legislatore non offre una descrizione precisa degli assetti da istituire, è solo apprezzando quali siano le finalità da perseguire che si può tentare di delinearne il contenuto concreto.
Gli obiettivi perseguiti dalle norme sono sostanzialmente due.
Da un lato, quello di consentire all'amministratore di “prevedere tempestivamente l’emersione della crisi” e dall'altro quello di assumere le “idonee iniziative “per superarla o quanto meno affrontarla.
La locuzione utilizzata e poc'anzi richiamata chiarisce che gli assetti di cui si deve dotare l'impresa non debbano tanto riconoscere la crisi quando questa si presenta, ma rilevare gli indizi che la precedono e quindi consentire una prognosi che ne anticipi l'emersione. Benché la stessa crisi, secondo la definizione introdotta all'art. 2, comma 1, lett. a) CCII, già consista nella probabilità di insolvenza ovvero nell'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi: un arco temporale non breve che induce a ritenere come gli strumenti per anticipare in misura significativa l'emersione della crisi non potranno che essere dotati di particolare efficacia.
In concreto (e questa è una delle novità di maggior rilevanza della versione dell'art. 3 CCII. introdotta dal D.Lgs. n. 83/2022) gli assetti di cui si deve dotare l'imprenditore devono consentire di rilevare squilibri di carattere patrimoniale o economico - finanziario in relazione alle caratteristiche dell'impresa (comma 3, lett. a) e di verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale per i successivi 12 mesi, oltre che i segnali specifici delineati al comma 4 (comma 3, lett. b).
Detti segnali consistono in specifiche soglie di indebitamento maturate in aree cruciali dell'attività di impresa, ovvero verso:
- i dipendenti (comma 4, lett. a),
- i fornitori (comma 4, lett. b),
- le banche e gli intermediari finanziari (comma 4, lett. c),
- i cosiddetti creditori pubblici qualificati (Inps, Inail, Agenzia Entrate e Riscossioni) come definiti nell'art. 25 novies CCII. (comma 4, lett. d).
Ad una prima lettura pare che si tratti di soglie abbastanza avanzate di indebitamento che quindi fanno presumere non tanto una crisi probabile o imminente, ma già in atto e che quindi non serviranno a “prevedere tempestivamente” la crisi, ma forse a diagnosticare una situazione ormai conclamata.
Invero, tanto il ritardo di trenta giorni nel pagamento nelle retribuzioni di oltre la metà dei dipendenti (comma 4, lett. a), quanto quello di novanta giorni nella soddisfazione della maggior parte dei fornitori (comma 4, lett. b) rappresentano segnali di una situazione di difficoltà economico – finanziaria evidente, per quanto forse ancora astrattamente rimediabile. Non è quindi escluso che almeno alcune delle soglie indicate dal legislatore si rivelino all'atto pratico troppo avanzate per costituire segnali idonei a perseguire l'ambizioso fine di “prevedere” l'emersione della crisi.
Può invece considerarsi scontato che non sarà necessario superare tutte le soglie di indebitamento perché il segnale della crisi di impresa si concreti. Basterà anche il superamento di uno solo dei parametri, come dimostra l'utilizzo del termine plurale del comma in esame.
Nello stesso tempo, può essere sottolineata la decisiva rilevanza dei segnali elencati nel comma 4, dell'art. 3 CCII, non pare che l'elenco abbia pretese di esclusività per cui potranno in concreto presentarsi situazioni nelle quali, pur non essendo integrata alcune delle ipotesi espressamente formulate, lo stato di crisi sarà comunque prevedibile e magari imminente.
La lettera normativa “costituiscono segnali per la previsione” non depone chiaramente in tal senso. Ma la circostanza che l'esemplificazione sia contenuta nel comma finale della disposizione, dopo che al precedente (lett. a e b) vengono delineate ipotesi molto generali ed ampie, alludendo a squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario ed alle prospettive di continuità aziendale dei successivi dodici mesi, chiarisce come il superamento delle varie soglie di indebitamento sia solo uno dei possibili segnali, non certo l'unico che gli adeguati assetti devono essere in grado di rilevare.
Il secondo obiettivo perseguito dagli assetti che l'amministratore deve istituire e che si affianca alla rilevazione della imminente crisi è quello di affrontare la sua emersione e quindi di dotare sin da subito gli organi gestionali e di controllo di tutte le informazioni ed i dati necessari per una reazione tempestiva ed appropriata.
La circostanza non emerge in via diretta dall'art. 2086 c.c., ma si evince con sufficiente chiarezza dalle previsioni contenute all'art. 3, comma 3, lett. c) e dall'art. 4 comma 2 lett. b) CCII.
Se, infatti, gli assetti devono consentire di rilevare le informazioni necessarie per redigere la lista particolareggiata e il test per verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento dell'impresa, non si può che dedurre come dagli stessi debbano ricavarsi tutte le informazioni utili a valutare, non solo se il risanamento è possibile e ragionevole, ma anche il modo attraverso cui si può pensare di raggiungere un simile, in molti casi ambizioso, obiettivo.
D'altra parte, l'obbligo di assumere tempestivamente le iniziative idonee ad individuare le soluzioni per il superamento degli squilibri economico finanziari (art. 4 comma 2 lett. b) CCII) non può avvenire se gli adeguati assetti non saranno stati efficienti ed esaustivi.
Perciò sebbene in concreto le decisioni sul miglior modo per affrontare la emergente crisi di impresa spettino in via esclusiva agli amministratori, le premesse per il corretto esercizio di tale potere si concretano nella preventiva dotazione di adeguati assetti per l'individuazione (o meglio, la previsione) della crisi, perché è difficile pensare che diversamente possa adempiersi con puntualità l'obbligo di assumere idonee e tempestive iniziative.
b-Il concreto contenuto delle obbligazioni poste a carico dell’amministratore.
Delineati, seppure per sommi capi, gli obiettivi che gli adeguati assetti devono essere in grado di perseguire è possibile interrogarsi con qualche strumento in più su cosa in concreto l'amministratore debba fare per contare su un” assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato”.
Tali assetti dovendo essere definiti in ragione delle dimensioni e della natura della impresa non possono stabilirsi a priori, perché solo calandosi nella concreta realtà imprenditoriale è possibile valutare ed apprezzare l'adeguatezza degli strumenti prescelti.
Tuttavia, lo sforzo dell'interprete deve essere quello di mettere a disposizione degli amministratori indicazioni concrete che possano fornire da guida e per certi versi lo tutelino nel caso di approdo all'ipotesi – deteriore ma pur sempre possibile, nonostante ogni cautela – di liquidazione giudiziale.
Quindi innanzitutto ci si può chiedere se gli assetti adeguati debbano essere interni all'azienda o se sia possibile esternalizzarli, incaricando professionisti esperti di effettuare verifiche periodiche sull'andamento patrimoniale ed economico – finanziario dell'impresa. La norma depone, credo, nel primo senso.
L'istituzione di un assetto adeguato rimanda ad una struttura intrinseca all'azienda, tant'è che per l'imprenditore individuale il legislatore si limita a parlare (art. 3, comma 1) di adozione di ”misure idonee” e quindi di un contributo che di certo potrà essere esterno, sul presupposto di una organizzazione imprenditoriale più semplice e contenuta.
Ciò non significa peraltro che la struttura organizzativa, amministrativa e contabile dell'imprenditore collettivo non possa giovarsi di contributi esterni.
E' indubbio che una simile lettura della norma impone alle imprese, specie quelle di piccole e medie dimensioni, di dotarsi di risorse che al momento spesso non hanno e quindi non troverà facile recepimento in un periodo economico tanto contrastato ed incerto quale quello attuale.
Del resto, la stessa normativa vigente ammette per molte imprese l'adozione di sistemi contabili semplificati che mal si conciliano con l'istituzione e l'efficace funzionamento degli adeguati assetti. Basti pensare tra gli altri all'art. 2435 bis c.c. che consente l'adozione di bilanci in forma abbreviata, all'art. 2435 ter c.c. che semplifica ulteriormente la redazione del bilancio per le c.d. microimprese, alla possibilità di adottare una contabilità semplificata come previsto dall'art. 18 D.P.R. n. 600/1973. Ma pur considerando simili criticità o contraddizioni intrinseche al sistema, non si ritiene che, sulla base dell'attuale dettato degli artt. 2086 c.c. e 3 CCII, gli adeguati assetti possano risolversi in meri test periodici eseguiti da professionisti di fiducia, perché solo conoscendo dall'interno l'impresa e le sue dinamiche commerciali e produttive è possibile apprezzare con sufficiente tempestività i segnali della futura crisi. Gli assetti, quindi, potranno consistere in concreto:
- nel reclutamento e nella formazione di personale addetto alla sorveglianza ed all'analisi dei parametri significativi sotto il profilo patrimoniale ed economico – finanziario,
- nell'adozione di mansionari e moduli strutturati di organigramma destinato ad operare le predette analisi,
- nella redazione periodica di budget previsionali di carattere patrimoniale, economico e finanziario,
- nell'acquisizione di risorse di carattere informatico che potranno rendersi utili per operare diagnosi e previsioni contabili e finanziarie,
- nella previsione di sistemi di controllo interno sull'operato del personale addetto e sulla sua formazione,
- nell'adozione di criteri di libera circolazione delle informazioni all'interno dell'impresa in modo che le criticità e le loro possibili conseguenze possano essere valutate con la necessaria tempestività.
Molto importante, tanto in una prospettiva di migliore funzionamento degli assetti, quanto di verifica di eventuali responsabilità dell'amministratore, sarà la procedimentalizzazione delle attività dell'apparato organizzativo mediante la predisposizione di regole scritte che definiscano funzioni, poteri e modus operandi del personale addetto.
Non di meno, gli esiti di questa attività di monitoraggio imporranno valutazioni non agevoli (perché tale spesso non è quella di formulare una prognosi di continuità aziendale per i successivi dodici mesi) nonché di ricavare informazioni complesse quali quelle indispensabili per redigere la lista particolareggiata ed il test di ragionevole perseguibilità di risanamento previsto per accedere alla composizione negoziata (art. 13 CCII). Sicché è improbabile che i compiti vengano totalmente espletati all'interno dell'impresa, a meno che questa non abbia notevoli dimensioni e personale altamente qualificato.
Sarà necessario che l'impresa si giovi del contributo di professionisti esterni (in particolare commercialisti ed avvocati) che, essendo dotati dell'indispensabile bagaglio professionale, orientino l'amministratore nel difficile obiettivo di superare la crisi, pur a prescindere dall'obbligo generalizzato della difesa tecnica sancito dall'art. 9 comma, 2 CCII.
Considerato che i doveri di adottare adeguati assetti organizzativi finalizzati a prevenire la crisi di impresa e di agire tempestivamente per affrontarla utilizzando gli strumenti posti a disposizione dell'ordinamento sono ormai codificati, può considerarsi pacifico che tanto il radicale inadempimento quanto l'inesatto adempimento di tali specifiche obbligazioni costituiscano potenziali fonti di responsabilità per gli amministratori.
Anzi, si può ipotizzare che saranno forse nel futuro uno dei principali fondamenti delle azioni di responsabilità che il curatore potrà attivare.
In una simile prospettiva non potrà che muoversi dalla conclusione che il modo attraverso cui l'amministratore adempie il dovere di istituire gli adeguati assetti organizzativi, contabili e amministrativi rientra nell'alveo della business judgment rule e che quindi allo stesso dovrà riconoscersi un'ampia discrezionalità.
Essa però non sarà certo insindacabile da parte del giudice, tutte le volte in cui sia stata esercitata in modo irragionevole e manifestamente imprudente e quando le decisioni assunte difettino di sufficienti verifiche istruttorie.
Perciò la giurisprudenza, con tutto quello che ho detto facendo riferimento all’uso delle clausole generali, svolgerà un ruolo decisivo e potenzialmente non rassicurante: judgment rule giurisprudenziale, di fatto ?
Precisamente in questo senso, seppure al diverso fine di giustificare l'assunzione dei provvedimenti previsti dall'art. 2409 c.c., si veda Tribunale di Roma, 15.9.2020 in www.ilsole24ore.it e www.giurisprudenzadelleimprese.it, ove si nota:” mentre da un lato appare certo che la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporti di per sé una responsabilità dell’organo gestorio, dall’altra, si ritiene possibile assoggettare a sindacato giudiziale la struttura organizzativa predisposta dall’amministratore nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza (e, precisamente in questo ambito secondo i criteri della adeguatezza), ciò al fine di verificare se fosse idonea a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo gestorio sia ragionevole e non manifestamente irrazionale. Ed è evidente che tale verifica andrà effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, ed a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati raggiunti “. Non sembrano affermazioni rassicuranti, intrise di giudizi di irrazionalità, proporzionalità, informazioni conosciute o conoscibili(,concetti sui quali da Keynes sino alla moderna economia comportamentale che analizza gli andamenti di borsa e come si formano e i loro effetti sugli equilibri finanziari, si potrebbero scrivere volumi e ai quali, sommariamente, si farà cenno).
Per gli amministratori convenuti l'onere probatorio rischierà di essere particolarmente gravoso. E' certo che dinnanzi ad una allegazione di inadempimento o di inesatto adempimento da parte del curatore, sarà onere dell'amministratore provare di avere adempiuto in modo soddisfacente ai doveri.
Recente giurisprudenza [11] mette in evidenza il ruolo fondamentale dell’art 2086, comma 2, c.c. e ritiene che sia una grave irregolarità, che impone la nomina di un amministratore giudiziario, la mancata adozione di adeguati assetti da parte dell’organo amministrativo, ma altrettanto grave, se non addirittura più grave, è la mancata adozione di adeguati assetti da parte di un’impresa in una situazione di equilibrio economico finanziario.
Vi è la necessità di istituire adeguati assetti indipendentemente dalle circostanze e senza che l’eventuale condizione di sostenibilità economica dell’impresa possa costituire da discrimine, anche tacito.
Si afferma che gli assetti adeguati sono funzionali ad evitare che l’impresa “scivoli inconsapevolmente verso una situazione di crisi o di perdita della continuità“ e hanno lo scopo di consentire all’organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali di crisi, dando la possibilità di predisporre le opportune iniziative. Da una parte si attribuisce agli adeguati assetti una funzione salvifica, come se avessero un’onnipotenza, che in economia non esiste. La letteratura economica, parliamo di quella che si occupa di macroeconomia per non interferire troppo sull’attività di impresa, è piena di esempi persino di Stati che se a un certo punto hanno squilibri o shock economici e hanno, come Stati, vari sistemi di prevenzione o previsione, non si può certo parlare di “colpa” e come gli shock possano essere improvvisi. Dall’altra parte sembra quasi ci sia una presunzione di colpa o responsabilità derivante dalla mancanza o, più subdolamente dalla semplice insufficienza (così ritenuta ) degli adeguati assetti. Per conseguenza l’attenzione è stato detto in sede di commento che, per il Tribunale di Cagliari, ”circa la predisposizione di assetti adeguati deve essere maggiormente intensa proprio quando la società non si trova in crisi, perché in quella fase l’ente ha le risorse per predisporre le misure adeguate ;invece, una volta che la crisi si è manifestata, ciò che risulta maggiormente rilevante non è tanto la (mancata) adozione di adeguati assetti, quanto piuttosto l’omessa o inefficace adozione di uno degli strumenti previsti dalla legge per fronteggiare la crisi “. Perciò ogni società in bonis, quale che sia la dimensione deve formare uffici studi, organismi che facciano previsioni microeconomiche, creditizie, che possano immaginare situazioni di credit crunch, di crisi energetiche (tipo anni 70 o odierne, non dico eventi bellici), non sapendo bene inoltre come si può atteggiare il rapporto causa - effetto in campo (macro)economico. Quelle che sono già in crisi sembrano in “colpa” per altri motivi. Comunque tutte, quasi sempre, di fatto, da “sanzionare“. E arriva l’amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c. [12].
Ma la sentenza cagliaritana, come altre e anche diverse esposizioni giuridiche soffrono di una scarsa attinenza e scarsa voglia di interfacciarsi con l’economia: uno dei pregi dell’opera di è stato quello di vedere nei problemi i due aspetti (economico e giuridico). Bisogna tenere conto degli aspetti anche macroeconomici che inevitabilmente hanno una ricaduta sulle imprese e famiglie, sugli individui, sugli aspetti microeconomici, ma anche giuridici. L’inserimento della macroeconomia sugli atteggiamenti concreti di imprese e individui è un punto oramai assodato non solo da Keynes in poi ma da quando come si dice “macroeconomia: il tutto è maggiore della somma delle parti” e nel 1933 l’economista norvegese Ragnar Frisch coniò il termine macroeconomia. Vediamo con una piccola digressione di far comprendere il concetto sull’incertezza e sulle decisioni e anche sui conseguenti “adeguati assetti “e su certe pretese di marca solo giuridica ma che sono monche della parte economica.
Perché una cosa sono i sistemi di allerta, i segnali di un disequilibrio che inizia, altro è applicare certi principi e obblighi generali in altre situazioni.
L’incertezza in economia e nelle decisioni economiche è il tema ineludibile. Del quale la giurisprudenza non tiene forse a sufficienza conto
Si può cominciare con le classiche opere di Knight Frank, Risk, uncertainty, and profit (1921; trad it. 1960); Capital, time and interest rate (1934); The ethics of competition and other essays (1935); Freedom and reform (1948); The economic organization (1951); Essays on history and method of economics (1956); Intelligence and democratic action (1960), per arrivare a John Maynard Keynes (che per quanto ne sappia non ha riconosciuto il merito a Knight) nel Capitolo 12 della sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936).
Per Keynes "Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile” e nel 1936 affermava, a proposito della borsa di Wall Street, che quando era aperta almeno la metà' degli acquisti o delle vendite degli investimenti era intrapresa nella prospettiva, da parte dello speculatore (che per lui era semplicemente di svolgeva un'attività che cercava di prevedere la psicologia del mercato mentre faceva attività di impresa di cercava di prevedere il rendimento futuro di un investimento nel corso della sua vita), di fare l'operazione inversa in giornata. E questo, aggiungeva, valeva anche per il mercato delle materie prime, non solo per i prodotti finanziari.
Perciò tutto il mondo è paese e da secoli...
Esistono i cattivi o spesso le condizioni economiche cambiano senza che un imprenditore non solo possa farci nulla ma neanche prevederlo?
Persino gli Stati in deficit è dubbio che possano avere patenti di colpa o di cattivi e debbano soffrire come prezzo della loro pigrizia o debolezza.
Facciamo un banale esempio. Ci può essere uno shock esogeno che colpisce un paese (una volta un cattivo raccolto, adesso un improvviso aumento di una materia prima per via di una guerra, o un’inondazione o qualsiasi altro evento che comunque non dipende dalla colpa del paese).
1-Arriva lo shock esogeno sopra indicato che colpisce il paese A e questo induce una riduzione delle importazioni dal paese B, perché il suo reddito (senza colpe) diminuisce.
2-Si verifica perciò anche una riduzione delle esportazioni di B.
Niente è cambiato nelle esportazioni di A verso B (il cui reddito è costante): è noto che se le importazioni dipendono dal reddito di un paese (più aumenta il suo reddito e più possono aumentare, a seguito dell’aumento dei consumi, le sue importazioni, le esportazioni di un paese non dipendono dal suo reddito ma dal reddito degli altri paesi, quelli dove esporta (le esportazioni possono dipendere anche dalla competitività delle merci nazionali, dalla tecnologia, dalla specializzazione ecc., ma non scendiamo in particolari).
Perciò siamo nella situazione che a seguito dello shock esogeno di A (senza colpa), questi ha ridotto le importazioni da B, ma le esportazioni di A verso B non si sono ridotte perché il reddito di B è invariato. Proseguiamo.
3-il paese B svilupperà un deficit della bilancia dei pagamenti e A un surplus.
Al paese che ha ridotto il reddito e le importazioni, ma non le esportazioni ha un surplus e B, quello che non ha ridotto il reddito, ha un deficit. Bel paradosso!
Ma gli effetti continuano.
4-Le esportazioni di B verso A sono una parte importante della domanda aggregata di B:se tale domanda si riduce, il reddito di B si riduce. Non rimane più invariato.
5-Ma se il reddito di B si riduce anche la sua domanda per A si riduce e così il reddito di A (che esporterà di meno verso B)
6-E così finché, dice la teoria ma è da vedere (dopo successivi aggiustamenti al ribasso) il deficit di B scompare e la bilancia dei commerciale di A torna in pareggio.
7-Ma viene ristabilito un equilibrio a un livello più basso di reddito e di occupazione per entrambi i paesi.
Ma senza che nessuno dei due abbia colpe specifiche o si possa fare, anche alla partenza graduatorie di virtuosità.
Tutto questo naturalmente influisce sulle imprese e i loro “adeguati assetti”?
L’esempio è astratto e molto semplificato ma rende l’idea.
Keynes diceva, a proposito delle patenti di pigrizia o debolezza da espiare che qualche paese voleva dare ad un altro, quando c’era il sistema del gold standard, con un etica del gold standard che copriva di vergogna certi paesi per aver accumulato debiti, ma a beneficiarne spesso erano altri paesi in eccedenza, che nell’ordine internazionale, come nella vita ordinaria, che i mendicanti erano di rado i veri cattivi. Cioè il sistema del gold standard portava spesso alla deflazione e alla disoccupazione. Con una impostazione tutta morale. Si riteneva che insito nel sistema del gold standard vi fosse la concezione che la sofferenza era un prezzo da pagare perché un paese era pigro, indolente, cicala, debole ecc. Non capendo che se un paese aveva infrastrutture economiche poco efficaci era giusto che vi ponesse rimedio, ma che a volte i deficit della bilancia commerciale non dipendevano da colpe specifiche (aumento di materie prime di cui non si è dotati ad esempio, comunque le nazioni avevano deficit commerciali perché dovevano e non perché erano più o meno avventate rispetto a quelle che avevano un surplus (che spesso non avevano meriti particolari ).Non si dica che queste sono politiche economiche generali e prevedibili. La loro adozione, il loro cambiamento, decisioni all’interno di un’impostazione, cambiano molto le cose. Le modifiche periodiche o continue degli adeguati assetti, anche se fossero possibili, spesso sarebbero inutili. Soprattutto far discendere da un obbligo generale conseguenze giuridiche, persino ex art. 2409 per tornare alle norme. Ma guardiamo al settore finanziario e bancario e se uno shock lo colpisce. Si dice spesso che il settore finanziario e bancario sia come una cipolla. Sfogliando uno strato dopo l’altro, ci si chiede se in definitiva esista un nucleo solido! Ora con la crisi energetica che mette in crisi aziende molto solide che avranno ricevuto finanziamenti e fidi dalle banche, fidi e finanziamenti ritenuti sicuri, non c’è il rischio di una crisi anche nel settore finanziario? Anzi di una doppia crisi:1-nel settore finanziario perché certi finanziamenti e fidi diventano non più sicuri e solvibili. Anche magari quelli dati alle famiglie. Non solo alle imprese;2- una crisi nel settore del credito perché le banche potrebbero diventare riluttanti al prestito avendo problemi di solvibilità. Quando c’è una crisi del credito l’economia si arresta perché non concedendo più prestiti.
A proposito delle interconnessioni e di effetti sfavorevoli ma improvvisi che possono verificarsi su soggetti ma anche su imprese e sono eventi per il singolo o per la singola impresa imprevedibili e comunque improvvisi e non governabili, per mancanza oggettiva di informazioni, che non sono in possesso neanche degli enti preposti e che anche se ognuno le avesse non potrebbe farci nulla, nel 2008 a seguito dei noti fatti si verificò un fenomeno di contagio finanziario che è stato tale da provocare drammi per coloro che ne sono colpiti senza che ne abbiano, quasi responsabilità. Se gli amministratori della Lehman Brothers o della A.I.G, ecc. possono meritare, a certe condizioni, punizioni almeno morali, altri no. Il circolo vizioso del deleveraging fa sì che un'istituzione finanziaria che si trovi sotto pressione cerca di vendere le proprie attività per procurarsi liquidità. Vendendo le attività rapidamente, spesso deve venderle a sconto. Il contagio deriva dal fatto che altre istituzioni finanziarie detengono attività simili, i cui prezzi diminuiscono a causa della vendita "a ogni costo". Il calo dei prezzi innesca una spirale perversa. La diminuzione dei prezzi di queste attività danneggia le altre istituzioni finanziarie, inducendo i rispettivi creditori a bloccare i prestiti. Le istituzioni finanziarie sono a loro volta costrette a vendere a ogni costo le loro attività per avere liquidità ed evitare il fallimento, alimentando la caduta dei prezzi. Nei mesi successivi al tracollo della Lehman questo fenomeno si manifestò in tutta la sua evidenza, mettendo in crisi non solo il sistema, ma dimostrando che lasciar fallire il colpevole, tipo la Lehman, se può essere giusto, non è responsabile.
I prezzi di una vasta gamma di attività detenute dalle istituzioni finanziarie, dalle obbligazioni societarie, ai titoli rappresentativi di cartolarizzazioni di prestiti studenteschi (erano coloro che solamente volevano studiare in una Università prestigiosa a pagare anche per la Lehman!) crollarono sotto la pressione di un'ondata di vendite. Comunque torniamo a certe pratiche che coinvolgono addirittura gli Stati a loro insaputa. Il carry trade è un sistema per il quale si prende a prestito soldi in paesi che applicano bassi tassi di interesse, come la Russia o il Brasile. Dopo il fallimento della Lehman, è avvenuto un fenomeno ben descritto da Krugman che è simile a quello che era avvenuto già in precedenza in Giappone. Dice l'autore "Il travaso di fondi dal Giappone in altri paesi a bassi tassi di interesse si era bloccato....Siccome i capitali non uscivano più dal Giappone, il valore dello yan è aumentato; e siccome i capitali non entravano più nei mercati emergenti, il valore delle loro monete è diminuito. Ciò ha causato grandi perdite sul capitale per tutti coloro che si erano finanziati in una divisa e avevano concesso prestiti in un'altra ...le aziende dei mercati emergenti che si erano finanziate a basso costo all'estero, si trovassero improvvisamente a contabilizzare grosse perdite "(Paul Krugman).
Certi governi come quello russo, ad esempio, che credevano di non dover subire effetti dalle vicende Usa o Lehman, hanno scoperto, quasi a loro insaputa appunto, che i loro tentativi, magari di corretta amministrazione o di isolamento, venivano vanificati dalla ingiustificata propensione al rischio del settore privato. In Russia, le banche o le aziende erano andate a finanziarsi in massa all'estero perché i tassi di interesse erano più bassi di quelli praticati sul rublo. Il governo russo, diciamo formica, aveva riserve estere per 560 miliardi di dollari, ma le banche o le aziende avevano debiti esteri per 460 miliardi di dollari. Improvvisamente queste aziende e banche si sono trovate con le linee di credito bloccate, mentre il valore in rubli dei loro debiti saliva. Egualmente per le banche brasiliane, che magari non avevano loro personalmente forti esposizioni all'estero, anche loro formiche, ma i loro clienti nazionali purtroppo si.
Per questo ho detto che i controlli e i requisiti devono essere eguali per tutti e che le conseguenze negative possono colpire tutti, dallo studente che ha fatto un prestito per andare all'università e al quale viene revocata una linea di credito, pur pagando puntualmente, ma anche a chi, Stato o altri è stato, persino una formica...Ritornando al diritto, tra l’altro, con l’impostazione, che sembra prevalere in giurisprudenza diventa una conseguenza ritenere gravi irregolarità la mancata predisposizione degli assetti, ma anche l’inadeguatezza degli assetti medesimi, cui è da aggiungere la mancata verifica periodica della loro adeguatezza. Se per gli interessi degli stakeholders questi temi e aspetti possono essere logici con riferimento alle s.p.a, anche senza fare distinzioni, per le altre società diventano oneri notevoli. L’organo di controllo, poi, con questa impostazione che fa propria, come dice il Tribunale di Cagliari la visione che gli assetti adeguati, in società in bonis, sono “funzionali proprio per evitare che l’impresa scivoli inconsapevolmente in una situazione di crisi”, saranno spinti ad essere più realisti del Re? Ma, posto che è legittimo che un organo di controllo non sia stato nominato, quando i soci abbiano deciso, come consente l’art. 2477 cc in tema di S.r.l, di nominare un revisore, sia in caso di nomina facoltativa (art. 2477,comma 1), questa mancanza come viene valutata? Forse il legislatore dovrebbe fare almeno uno sforzo di coordinamento [13]. Il nuovo Codice della crisi d’impresa, che non riguarda solo le imprese in stato di insolvenza o in grave crisi, ma contiene norme dirette a tutte le società, può diventare dirigista? Nel tentativo di prevenire, di tutelare, prevenendo ogni cosa o evento, gli stakeholders, attraverso l’art. 2086 c.c. fa richiamo agli strumenti delineati all’art. 2381 “applicabile anche alle S.r.l., che sono bilancio, budget e cash flow da redigersi e valutarsi almeno a cadenza semestrale ”(Giuseppe Verna ). Questo per tutte le S.r.l., anche quelle unipersonali. Non dovrebbe essere facile sindacare la decisione di intraprendere l'uno piuttosto che l'altro strumento di regolazione. Dovrebbe essere verosimile, infatti, che la scelta sarà stata assunta con l'ausilio di un professionista terzo, al giudizio del quale l'amministratore, attesa la particolare complessità della materia, non potrà che rimettersi in larga misura. Piuttosto si potrà sindacare la tempestività dell'adozione di tali iniziative, ma il tema è inscindibilmente connesso alle modalità di emersione dei segnali della imminente crisi, alla loro gravità ed alla complessità dell'impresa, sì che non pare possibile svolgere in punto di tempestività considerazioni di carattere astratto che abbiano un reale significato e rilievo. Assai più problematico è per l'amministratore dare prova di aver dotato l'impresa di “adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile“. Questo onere lo impegnerà su due fronti distinti, sebbene collegati. Il primo è quello di provare che gli assetti erano stati istituiti ed il secondo che essi erano adeguati, ovvero idonei e funzionali a rilevare le potenziali crisi sopravvenienti. E' perciò evidente che solo qualora gli adeguati assetti siano stati oggetto di procedimentalizzazione per iscritto (e quindi siano state individuate le figure aziendali destinate ad occuparsene, i loro poteri e doveri e le procedure da seguire per appurare il pericolo di crisi, etc.) l'amministratore sarà in grado di fornire prove idonee ad esimerlo da responsabilità. Non pare infatti, credibile che la prova dell'adempimento di tali obbligazioni possa avvenire mediante prove orali. Va invero considerato non soltanto il tempo che spesso intercorre tra i fatti e il loro vaglio giudiziale, ma anche il disgregarsi dell'organizzazione imprenditoriale che segue l'apertura della liquidazione giudiziale, sulla quale quindi l'amministratore non potrà più fare conto quando si troverà chiamato a fornire prova dell'esatto adempimento. Parimenti (atteso che non sarà sufficiente che gli adeguati assetti vengano istituiti, ma si dovrà anche appurare che funzionino) pure l'attività di monitoraggio dell'andamento dell'impresa attuato dagli assetti organizzativi dovrà provarsi per iscritto o comunque in un modo che possa essere a posteriori agevolmente documentato. Non è chi non veda insomma che gli oneri probatori posti a carico dell'amministratore in caso di azione di responsabilità saranno perciò ponderosi ed impegnativi.