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La pretesa di governare l’incertezza. Nota alla sentenza del Tribunale di Cagliari del 19 gennaio 2022

Francesco Felis, Notaio in Genova

17 Marzo 2023

Visualizza: Trib. Cagliari, 19 gennaio 2022, Pres. Tamponi, Est. Caschili

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1 . Impostazione del problema: un’introduzione economica
I collegamenti tra diritto ed economia, l’importanza del primo per governare i fenomeni economici sono noti e basta ricordare Daron Acemoglu e James A. Robinson [1].
Allo stesso tempo se l’economia non può prescindere dal diritto, neanche questo può fare a meno dell’economia e soprattutto ignorare assetti e concezioni economiche che, oggi, sono diffese e anche patrimonio comune. Il diritto, le norme cioè di cui si compone, non possono pretendere di plasmare il mondo economico non tenendo conto della realtà economica, bella o brutta che sia.
I due autori citati, economisti, non giuristi, ma con una particolare sensibilità al diritto, asseriscono che: “Il nocciolo della nostra teoria è il legame fra istituzioni economiche e politiche inclusive e prosperità. Le istituzioni economiche inclusive che fanno rispettare i diritti di proprietà offrono pari opportunità e incoraggiano gli investimenti in nuove tecnologie e competenze conducono alla crescita economica più facilmente delle istituzioni estrattive, che essendo strutturate per consentire a pochi il prelievo delle risorse di molti, non tutelano i diritti di proprietà e non forniscono incentivi all’attività economica” (p. 440-441). Le istituzioni politiche inclusive sono quelle che danno maggior potere a una fetta ampia e trasversale della società. Tali caratteristiche si ritrovano, con tutti i condizionamenti dati dalle diverse epoche storiche, nella gloriosa Rivoluzione inglese, in quella francese (non fu la ghigliottina, ma le riforme che si affermarono in Francia e in Europa) e in tante altre situazioni analoghe. Le istituzioni politiche inclusive sono lo Stato di diritto e lo Stato liberaldemocratico, che crea sviluppo duraturo. Che, oggi, deve fare i conti, per esempio, anche con il potere dell’informazione per affermarsi completamente: infatti, non a caso, nell’opera indicata, si rammenta la preoccupazione del controllo della televisione da parte dei governanti il Perù.
Si ricorda il tariffario per comprare le persone, per il quale un giudice della Corte Suprema valeva da 5000 a 10000 dollari al mese, così i politici, ma i prezzi per i canali televisivi erano di milioni di dollari e un titolo in prima pagina sui giornali costava da 3000 a 8000 dollari. Così si condizionano le istituzioni, si fa il diritto e l’economia.
I giganti come Google e Facebook vengono paragonati ai robber barons dalla Zuboff.
Al di là di cosa siano le istituzioni economiche e le istituzioni politiche inclusive ed estrattive, nell’opera, vi sono parecchi esempi, anche storici, alcuni convincenti, sicuramente due sono i punti condivisibili.
a - uno stretto legame tra assetto giuridico-politico (le regole) e assetto economico; 
b - il ruolo che la storia recita, nel senso che “i grandi cambiamenti istituzionali, che sono il requisito per i grandi cambiamenti economici [ed è elemento da sottolineare], sono l’esito dell’iterazione fra istituzioni esistenti e congiunture critiche cioè avvenimenti storici importanti come la Peste nera, che durante il XIV secolo uccise addirittura la metà della popolazione delle regioni europee; oppure l’apertura delle rotte commerciali atlantiche, che per molti, in Europa occidentale, dischiuse enormi opportunità di profitto; infine la Rivoluzione Industriale che fornì il potenziale per rapide e dirompenti trasformazioni nella struttura delle vecchie economie di tutto il mondo” (p. 442).
I cambiamenti istituzionali, le regole, sono elemento essenziale per i cambiamenti, positivi, economici e per il loro perdurare. Così possono esserlo per quelli negativi. Per capire, bisogna andare al processo storico dello sviluppo istituzionale, senza alcun predeterminismo storico, cioè (p. 443) “non c’era alcuna necessità storica che il Perù diventasse tanto più povero dell’Europa occidentale”. 
Ma per venire ad aspetti più strettamente giuridici, quelli che ho denominato i comportamenti delle imprese, in ultima istanza dei loro amministratori alle note, in ambito giuridico, discussioni nate dalla contrapposizione tra la concezione dove l’interesse dell’impresa in sé è qualche cosa di distinto, e qualche volta contrapposto, all’interesse degli azionisti (teoria istituzionalistica in contrapposizione con teoria contrattualistica). Si usa anche l’espressione “oggettivizzazione della impresa” [2]. L’interesse dell’impresa è qualcosa di distinto da quello degli azionisti (teoria istituzionalistica contrapposta a quella contrattualistica). 
Diceva Asquini “l’impresa è un esempio di istituzione, infatti ricorrono tutti i suoi elementi caratteristici: il fine comune, cioè il conseguimento di un risultato produttivo socialmente utile, che supera i fini individuali dell’imprenditore (intermediazione, profitto) e dei prestatori di lavoro subordinato; il rapporto di coordinazione tra di essi; la conseguente formazione di un ordinamento all’interno dell’impresa, che conferisce al rapporto di lavoro, oltre l’aspetto contrattuale, un particolare aspetto istituzionale” [3]. Certamente la visione dell’Asquini e della Mazzuccato [4] si contrappone a quella oggi dominante nell’inconscio collettivo e comune, plasmato dalla teoria marginalista, incentrata sulla massimizzazione dell’utilità individuale, sull’interesse individuale alla massimizzazione del risultato come unico principio di razionalità in grado di guidare i processi decisionali. Principio presente oggi nei mercati finanziari che non producono cose materiali. Al massimo rapporti contrattuali dove basta che gli operatori, usando diligenza o con accortezza esplicitando i rischi a soggetti che forse sono in grado di capirli, vanno esenti da responsabilità. Perché solo in termini di responsabilità si ragiona in realtà e basandosi su calcoli statistici e attuariali per la sua determinazione e ricorrenza. Per questo diventa funzionale una certa semplificazione e deregulation. Appunto un versante giuridico. 
La crisi ha imposto una riflessione sul sistema attuale di Corporate Governance che ha mostrato limiti e difetti. In questo contesto si inserisce la revisione dei principi del codice di Corporate Governance della OECD ancora fermo al 2004. E in questo contesto si inserisce l’insegnamento di Rathenau che ci riporta alla fondamentale questione del valore della azienda quale insieme di contratti e rapporti giuridici che trascende il mero interesse economico al dividendo. L’interpretazione che emerge è il passaggio da un’ottica di cosiddetta sharesholders value a quella di stakeholders value
Questo passaggio implicherebbe considerare l’Impresa non come mera organizzazione nelle mani dei proprietari capitalisti e deputata a creare profitti, ma quale organizzazione complessa composta dal capitale iniziale, dai lavoratori, dai creditori, dal territorio. Ovviamente tale prospettiva comporta dei cambiamenti soprattutto a livello di governance ed infatti i maggiori cambiamenti sono destinati ad avvenire nella composizione dei Consigli di Amministrazione. 
Mariana Mazzuccato rievoca, a prescindere dalla questione giuridica, a testimonianza di come dovrebbero dialogare di più il mondo economico e quello giuridico, la questione posta da Milton Friedman nota come la teoria degli shareholder. Essa è stata spiegata dal premio Nobel per l’Economia Milton Friedman, in un famoso articolo pubblicato sul New York Magazine nel 1970, ed intitolato “The Social Responsability of Business i sto Increase its profits”.
Tale teoria focalizza l’attenzione sugli azionisti, suoi loro interessi e sulla creazione di valore economico e della massimizzazione del profitto in una pura ottica affaristica che si può riassumere nella famosa citazione di Friedman: “business of business is business”. 
Il Premio Nobel per l’Economia riteneva che la finalità ultima di ogni impresa fosse la creazione di valore economico per gli azionisti attraverso la massimizzazione del profitto. Secondo questo approccio, seguito da tutti i manuali di economia, gli agenti economici diversi dagli azionisti dell’impresa e che entrano in relazione con essa sono “protetti” unicamente dai contratti stipulati con l’impresa stessa e dalla regolamentazione imposta dai governi. Scrive Friedman: “…l’imprenditore ha una sola responsabilità sociale: quella di usare le risorse a sua disposizione e di impegnarsi in attività dirette ad accrescere i profitti sempre con l’ovvio presupposto del rispetto delle regole del gioco, vale a dire dell’obbligo di impegnarsi in una aperta e libera competizione, senza inganno e senza frode. Parimenti, la responsabilità sociale dei dirigenti dei sindacati è semplicemente quella di servire gli interessi dei loro associati”
La Mazzuccato espone, in modo critico la teoria. 
Nel suo “Strategic Management. A Stakeholder Approch”, Robert Edward Freeman punta l’attenzione non solo sugli azionisti, ma su tutti gli stakeholder, tutti i portatori di interesse, e quindi considera gli interessi ed il punto di vista di proprietari, clienti, dipendenti, fornitori, associazioni di categoria, competitors, in quanto possono influenzare le decisioni dell’impresa e nello stesso tempo essere influenzati dalle azioni dell’azienda. 
Friedman riteneva, nel 1970, che un principio cardine, almeno da lui ritenuto tale, cioè la massimizzazione dei profitti da parte delle imprese fosse violato e la situazione sarebbe divenuta causa di declino economico. Così non c’erano più sanzioni per i dirigenti che mancavano di massimizzazione i profitti, gli azionisti, che erano dispersi o poco organizzati, non infliggevano sanzioni. Neanche i mercati lo facevano perché le società spesso erano monopoliste. Dare potere ai dirigenti che lasciavano diminuire i profitti per gli azionisti anziché massimizzarli, pagando migliori stipendi agli impiegati, investendo in standard più elevati di tipo ambientale, per la salute e sicurezza dei profitti, era una chimera: in realtà, per Friedman, il sacrificio dei profitti verso gli azionisti, si traduceva in aumento delle note spese e dei consumi di lusso dei manager. 
Friedman riteneva che i rapporti tra i dirigenti e gli azionisti (principali e agenti) fossero improntati ad egoismo e il problema si poteva risolvere dando la priorità ai secondi: perciò era utile la frantumazione dei conglomerati perché non erano altro che flussi di cassa. Se gli interessi dei dirigenti e degli azionisti avessero dovuto essere allineati, si sarebbe aggiunto, meglio sarebbe stato pagare i dirigenti in azioni o in opzioni della società. Così sarebbero stati motivati a massimizzare gli interessi degli azionisti. Ma i dirigenti hanno anche l’interesse a procurarsi una rendita: i gestori dei patrimoni, che soprattutto spingono a frantumare i conglomerati per ricavare valore per gli azionisti, sono più vicini ai dirigenti che ai loro clienti che rimangono poco informati. La vera alleanza e convergenza si verificava tra i gestori e i dirigenti, non tra i secondi e gli azionisti. Comunque, diminuiva la percentuale di utili da destinare all’investimento e l’aumento di prezzo delle azioni o l’aumento dei dividendi era visto in un ambito temporale sempre più ristretto: nel 1945 le azioni gli individui e i fondi o le istituzioni le tenevano in media per quattro anni, le tenevano per otto mesi nel 2000, per due mesi nel 2008, per ventidue secondi nel 2011, con l’incremento del trading ad alta frequenza. Almeno, questo, negli Stati Uniti [5] . 
Il famoso caso Dodge v. Ford sancisce il principio del primato degli azionisti, proprio dei paesi anglosassoni. L ’Europa continentale è rimasta più fedele a modelli più orientati agli stakeholder. La vertenza Dodge v. Ford del 1919 è ancora oggi alla base della concezione secondo cui una società è in primo luogo al servizio degli azionisti: gli economisti che gravitano attorno all’Università di Chicago furono i principali sostenitori dell’idea del primato degli azionisti la cui attrattiva sta in parte nella sua semplificazione dal punto di vista economico. Se le aziende avessero ampi doveri pubblici, diventerebbe difficile misurarne quantitativamente i risultati. Se invece sono tenute unicamente a massimizzare la ricchezza degli azionisti, è più facile da valutare la loro performance [6].
Nel Regno Unito il Companies Act del 2006, art 172, sembra deporre per questa tesi e anche nello Stato del Delaware sembra che la giurisprudenza valorizzi la massimizzazione, come scopo sociale, del valore per gli azionisti. 
Ma il primato degli azionisti come si declina? Ci si deve concentrare ad esempio sul valore borsistico del titolo o non piuttosto il valore di una società non è comunque il risultato di un equilibrio complessivo tra molteplici interessi. La risposta che si dà, che costituisce una variante della concezione del primato degli azionisti e si inserisce in quel alveo, è che bisogna riferirsi al “enlightened shareholder value”, al valore per gli azionisti illuminati.
Cioè la massimizzazione della ricchezza per gli azionisti deve tener conto degli altri stakeholder e di uno scopo societario che va al di là del profitto. 
Questa concezione, non so quanto soddisfacente, nasce nel solco della concezione alla Friedman, per la quale ciò che va bene per la società, per un gruppo di stakeholder, finirà per andare bene sempre anche per gli azionisti, in virtù quasi di una coincidenza divina. Con il corollario che i dirigenti, i manager, nel perseguire lo scopo societario, non devono compiere azioni di cui facciano le spese in ultima analisi gli azionisti.
Oggi si ritiene che le società debbano agire in riferimento allo scopo dichiarato, per esempio perseguendo gli aspetti compendiati nella triade “ambiente, società, governance “indicati con la sigla ESG(environment, society, governance ). A proposito degli ESG, se il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza ("CCII"), compie per certi versi una rivoluzione, ponendo al centro del sistema aziendale di prevenzione della crisi l'adeguatezza degli assetti societari e delle misure della rilevazione tempestiva della stessa (cfr. articolo 3 CCII), e la riforma giunge in un momento storico, per i processi di trasformazione in atto nel capitalismo, che volge verso la stakeholder economy, e per la crescente importanza dei fattori di sostenibilità come parte integrante del ciclo vitale e dello sviluppo aziendale, dall’altro canto si è messo in evidenza come emerga da una recente analisi di Cerved Rating Agency che le società con valutazione ESG "bassa" hanno in media una probabilità di default dalle 2 alle 5 volte superiore a quella delle più virtuose. L'analisi ha osservato che gli aspetti ESG che impattano maggiormente sulla valutazione di merito creditizio sono quelli riguardanti la governance. Ogni comitato nella sua azione vedrà se alcuni fattori rilevanti che compongono l’ESG sono perseguiti, se la composizione del consiglio di amministrazione tiene in conto queste esigenze, anche nei criteri di nomina e si propone di inserire nei documenti sociali (in ambiente italiano si potrebbe dire nello statuto) indicazioni a proposito dello scopo societario, che tengano conto di perseguire, e come questi obiettivi, per fare sì che la costituzione della società sia subordinata all’intenzione di offrire un contributo più ampio alla collettività. Viene proposto un esempio concreto [7] :la missione proclamata da Facebook è “creare comunità e avvicinare il mondo”, mentre il suo scopo legale depositato è assai meno significativo “compiere qualsiasi atto o attività legale consentito alle società ai sensi della Delaware General Corporation Law”. Ma la cultura rappresentata dal Delaware è forte ed è conveniente e così l’impostazione teorica alla Friedman. Cambiare la struttura aziendale, persino modificando il modello societario o inserendo uno specifico scopo nei documenti costitutivi, che consentirebbe di perseguire anche finalità pubbliche più ampie, mi lascia alquanto scettico sulla sua realizzabilità concreta. Le B Corp sono negli Stati Uniti aziende che soddisfano determinati parametri di performance sociale e ambientale, trasparenza pubblica e rendicontazione legale, cercando di realizzare un equilibrio tra scopo e profitto. Ma mi sembrano un piccolo fenomeno in termini numerici. Forse è più realistico insistere sulla creazione e sviluppo di quelle regole (posto che sembra che il mercato impieghi circa cinque anni per assorbire nella quotazione del titolo tutte le informazioni sugli investimenti intangibili e pertanto i dirigenti che investono ad esempio in ricerca e sviluppo o nel miglioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti rischierebbero di agire contro il loro stretto interesse personale se i loro benefit o pacchetti di azioni a loro favore o incentivi sono basati su prestazioni che variano da uno a tre anni ) che diano incentivi o subordino il trattamento economico dei dirigenti su una scala temporale lunga. Per assicurare coerenza tra incentivi e creazione di valore a lungo termine e sostenibile [8].
2 . Gli atteggiamenti degli amministratori in generale (cenno)
Il principio generale è che gli atti gestori degli amministratori sono insindacabili (c.d. business judgement rule). 
L’amministratore di una società non può infatti esser chiamato a rispondere per aver posto in essere scelte imprenditoriali che si siano poi rivelate inopportune dal punto di vista economico, atteso che la valutazione preventiva sulla opportunità della scelta attiene alla discrezionalità imprenditoriale e, sebbene possa essere posta alla base di una revoca dell’incarico, non può costituire fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.
Tuttavia, il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto e la sua operatività trova dei limiti. Se è vero, infatti, che l’attività di amministrazione di una società comporta sempre dei rischi, tali rischi devono essere limitati, assumendo decisioni ragionevoli e informate.
La discrezionalità dell’amministratore con riferimento alle scelte di gestione della società trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi secondo i parametri della diligenza professionale richiesta all’amministratore stesso e tenendo conto in particolare della mancata adozione delle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, ovvero della diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.
In questo senso, l’art. 2381, comma 6, c.c. – norma dettata per le S.p.a., che si ritiene pacificamente applicabile anche alla S.r.l. – prevede che gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato.
3 . Il comportamento degli amministratori di fronte all’obbligo di istituire adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili
Ai sensi dell’art. 2086 secondo comma e 2475 c.c., così come modificati dal D.Lgs. n. 14/2019, gli amministratori hanno l’obbligo di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società. Poiché la gestione societaria spetta agli amministratori, è dovere dei medesimi istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società che sia idoneo a consentire il tempestivo rilevamento di una situazione di crisi dell’impresa e di perdita della continuità aziendale e – qualora l’azienda sia già in uno stato di crisi – i medesimi amministratori debbono anche attivarsi ricorrendo agli strumenti previsti dall’ordinamento per il recupero della continuità aziendale.
Questa espressione introdotta dal D.Lgs. n. 14/2019 come deve intendersi?
Meramente riproduttiva, sostanzialmente, della norma ex art. 2381, 4 e 5 comma, c.c. oppure apporta delle novità?
Deve intendersi come una norma programmatica, ma priva di contenuto concreto, un po' generale e di principio ma che dal punto di vista operativo, nella sua espressione un po' ambigua e per certi versi tautologica, che riproduce compiti e obblighi che già in via generale si ritenevano vigenti e che derivavano dalla presenza di altre norme e principi generali, anche dall’evoluzione economica vista nel primo paragrafo, in conclusione una norma ad un tempo inutile e che diventa rilevante quando “qualcuno“, il collegio sindacale, decide di farla valere, magari a semplice scopo di “lavarsi le mani“ per possibili responsabilità?
Oppure è una norma che si ricollega direttamente e costituisce o può costituire il fulcro di quello che deve essere, come detto, l’atteggiamento, il comportamento della società alla luce del dibattito economico degli interessi, visti spesso come contrapposti, tra gli azionisti e gli stakeholders? E’ la norma chiave, attuale e futura, più che quelle dettate in tema di responsabilità per capire e risolvere l’annoso problema dei comportamenti e degli atteggiamenti degli amministratori. Tra l’altro per ogni tipo di società.
Un certo contenuto e sapore ripetitivo rispetto all’art 2381 c.c. lo presenta rispetto all’art. 2086, anzi diventa un sintomo di un’estensione di un principio dettato per le S.P.A a tutte le società, in controtendenza a quella che era la caratteristica della riforma societaria. Così come l’articolo presenta un tono enfatico e in parte tautologico e nella sua generalità e genericità, pericoloso, perché può permettere ogni comportamento da parte di chi anche vuole lavarsi semplicemente le mani da responsabilità oppure vuole estendere oltre limiti economicamente corretti controlli che confliggono con il principio che gli atti gestori degli amministratori sono insindacabili (c.d. business judgement rule). Che, comunque è un principio che consente ad un organismo economico che, di per sé, prevede il compimento di atti e la tenuta di comportamenti mossi dal proprio interesse economico, che spesso sono incerti nel loro esito.
La funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e deve necessariamente essere esercitata discrezionalmente dagli amministratori; in questo senso, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma, al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.
Tuttavia, l’insindacabilità delle scelte di gestione non ha carattere assoluto, in quanto tali scelte possono essere sindacabili sia sul modo che sulla razionalità in cui sono state assunte. 
È possibile, quindi, configurare una responsabilità degli amministratori per avere adottato degli assetti organizzativi inadeguati, qualora, essendosi poi verificata l’insolvenza senza la tempestiva adozione di misure previste per il superamento della crisi, non sia stata attuata un’adeguata istruttoria, ovvero si siano adottati assetti non coerenti, anzi irragionevoli, rispetto agli esiti dell’istruttoria stessa. 
Secondo la giurisprudenza, le mere irregolarità contabili commesse dall’amministratore non sono di per sé produttive di un danno e non costituiscono autonoma fonte di un obbligo, perché la responsabilità dell’amministratore non deriva dalla sola irregolarità della tenuta dei libri contabili, se da questo fatto non dipende un pregiudizio economico della società. In particolare, un bilancio falso non implica automaticamente un danno al patrimonio degli acquirenti delle quote, ma incombe sugli attori l’onere di dimostrare che il prezzo è stato determinato in relazione alla rappresentazione della situazione della società contenuta nel bilancio.
Perciò il problema, che diventa generale e non solo collegato alle s.p. a, è che l’ art. 2086 c.c., modificato nel 2019, stabilisce che tutte le società devono istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, e devono attivarsi senza indugio per l’adozione e attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. 
Un obbligo analogo è previsto dall’art. 3 del Codice della crisi, entrato in vigore nel maggio 2022. 
Gli organi delegati devono curare l’ade­guatezza degli assetti organizzativi e contabili alla natura e alle dimensioni dell’im­presa; tale adeguatezza è poi oggetto di valutazione da parte del CdA e di vigilanza da parte del Collegio Sindacale. In tal modo, l’adeguatezza organiz­zativa diviene il parametro della legalità dell’azione della società e dei suoi ammini­stratori, ed entra a far parte dei principi di corretta amministrazione. Le imprese italiane, e in particolare alle PMI, sono quindi chiamate ad un vero e proprio processo di crescita, non solo organizzativo ma anche culturale, basato sull’adozione di un modello di indirizzo della gestione (corporate governance) tale da favorire il costante monitoraggio dell’andamento aziendale, la possibilità di tempestiva rilevazione delle criticità e la previsione di interventi a garanzia della continuità.
L’art.2086 comma 2 c.c., nel testo modificato dall’art. 375 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (“CCII”), introdotto dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, stabilisce che tutti gli imprenditori che operano in forma societaria o collettiva hanno il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
È stato senza dubbio allargato a tutti gli imprenditori operanti in forma societaria o collettiva l’obbligo, originariamente previsto per le sole S.p.A. dall’art. 2381 c.c., di dotarsi di adeguanti assetti organizzativi, amministrativi e contabili.
Un primo punto, fermo, meditato o meno dal legislatore, è quello di allargare un principio previsto per le s.p.a tutte le imprese in forma societaria.
Un secondo punto mi sembra quello di estendere un obbligo “generico”, espresso in forma generica a tutte le società. Imputare e far nascere responsabilità per obblighi specifici è una cosa, ma per obblighi generici, visti come generali e applicabili sempre anche a società in equilibrio e in bonis, è tutt’altro. I fenomeni di allerta che indicano un inizio di una crisi, di un disequilibrio economico, che dovrebbero far attivare degli strumenti e possono determinare responsabilità degli amministratori sono visti come altra cosa rispetto a questo obbligo generale e sempre operante. La giurisprudenza, vedremo, così interpreta questo principio ex art 2086 ecc.
Dunque, farlo diventare generale, anche per le società di persone.
Tale da incidere come criterio guida, quindi con la sua portata, anche al di là dell’aspetto strettamente “fallimentare “.
Anche e soprattutto per i comportamenti da tenere ai sensi di quello che è stato espresso nel primo paragrafo e dell’evoluzione strettamente economica descritta. Con la necessità di vedere come si contempera con il principio del c.d. business judgement rule.
L’obbligo di dotarsi di adeguati assetti è stato confermato dal CCII, entrato in vigore il 16 maggio 2022, più volte modificato, da ultimo con il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, di attuazione della Direttiva UE 20 giugno 2019, n. 10231. 
L’art. 3 primo comma del CCII, definendo i doveri del debitore, stabilisce che l’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere le iniziative necessarie a farvi fronte, e al secondo comma conferma l’obbligo in capo all’imprenditore collettivo di adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative.
Tali norme impongono alle imprese italiane, in particolare a di piccole e medie dimensioni, un vero e proprio processo di crescita, non solo organizzativo ma anche culturale, tale da favorire la rimozione o, quantomeno, l’attenuazione di frequenti e comuni fattori critici quali il sottodimensionamento, il capitalismo familiare, il personalismo autoreferenziale dell’imprenditore, la debolezza degli assetti di corporate governance, le carenze nei sistemi operativi e l’assenza di monitoraggio e di pianificazione, anche a breve termine?
Le imprese italiane, di qualsiasi dimensione, devono dunque compiere un deciso salto di qualità, in termini di adozione di un modello di indirizzo della gestione (corporate governance) che consenta loro di prendere le distanze dai comportamenti del passato, frequentemente caratterizzati da un diffuso disordine organizzativo. e che favorisca il costante monitoraggio dell’andamento aziendale, la possibilità di tempestiva rilevazione delle criticità e la previsione di interventi a garanzia della continuità.
Gli artt. 2086 c.c. e 3 CCII costituiscono delle clausole generali, individuando nella predisposizione di assetti adeguati una caratteristica consustanziale all’impresa, che consiste appunto nell’essere un’attività organizzata. La predisposizione di adeguati assetti organizzativi è funzionale a promuovere un’efficiente e corretta gestione dell’impresa costituendone una sorta di difesa preventiva volta a ridurre la possibilità di errore. In altri termini, una corretta gestione dell’impresa dipende necessariamente dalla predisposizione a monte di adeguanti assetti organizzativi, nonché dal loro corretto funzionamento e dalla capacità degli organi sociali di curarne, valutarne e vigilarne l’adeguatezza.
Perciò se punto fermo è l’obbligo per l’impresa di dotarsi di “adeguati assetti”, diventa un perno centrale del sistema di early warnings, finalizzato a favorire l’emersione tempestiva della crisi di impresa. Ciò sul presupposto che affrontare tardivamente tale situazione, quando ormai si è verificata la perdita della continuità aziendale, rappresenta un danno per l’intero sistema economico e per gli stessi creditori, che vedono in tal modo azzerarsi il residuo valore dell’azienda, oltre che le stesse opportunità occupazionali e di fare impresa, anche a causa della perdita di credibilità sul mercato. 
In tale contesto si inseriscono, inoltre, quale specificazione del generale obbligo di adottare un’adeguata struttura organizzativa, i doveri previsti da varie normative di settore, tra le quali in particolare: le norme in materia ambientale (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche);il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e successive modifiche);le normative antiriciclaggio (D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, e successive modifiche).
Viene esaltata attraverso questo collegamento il rilievo degli interessi degli stakeholders ma addirittura gli interessi pubblici e collettivi in generale?
La risposta diventa affermativa ma con l’esigenza di contemperare questo elemento con il principio del business judgement rule.
La risposta potrebbe in sede teorica facile, ma nella pratica lo è meno. 
Per assetto organizzativo si intende il preciso e dettagliato sistema di funzioni, poteri, deleghe di firma, procedure e processi decisionali in cui viene strutturata internamente la società, idoneo ad individuare con chiarezza compiti e responsabilità dei soggetti coinvolti nella gestione sociale.
L’assetto organizzativo si differenzia dall’assetto amministrativo e dall’assetto contabile, anch’essi richiamati dalla norma di cui all’art. 2086 c.c. 
Per assetto amministrativo si intende l’insieme di procedure interne finalizzate ad assicurare un corretto ed ordinato svolgimento dell’attività aziendale e delle fasi di cui è composta (si pensi, ad esempio, agli iter autorizzativi relativi ai pagamenti o alle procedure di carico e scarico delle merci in magazzino). 
Per assetto contabile si intende, invece, l’insieme delle procedure finalizzate ad una corretta rilevazione dei fatti contabili (si pensi, ad esempio, alla predisposizione periodica di budget o ai programmi di contabilità). Gli assetti amministrativi e contabili sono quindi fortemente correlati a quelli organizzativi, rappresentando, di fatto, un sottosistema di questi ultimi, che consentono di determinare e verificare, a livello previsionale e/o consuntivo l’andamento della gestione e i risultati dalla stessa prodotti in termini economico-finanziari, favorendo la tempestiva rilevazione di situazione di crisi e perdita di continuità aziendale.
Come si è accennato, l’assetto amministrativo di cui deve dotarsi la società deve essere “adeguato”. L’adeguatezza degli assetti deve essere misurata in relazione alla natura dell’attività esercitata e alle dimensioni dell’impresa: le società, pertanto, sono tenute a dotarsi di procedure che siano proporzionate alle caratteristiche, alla complessità dell’attività svolta e alle dimensioni dell’impresa. Manca, peraltro, una definizione legislativa generale di adeguatezza degli assetti orga­nizzativi.
Alcune normative e regolamenti di settore (quali ad esempio quelle riguardanti le società che operano nel settore banca­rio, assicurativo e finanziario) prevedono specifiche norme organizzative e presidi (si pensi in particolare alle funzioni di compliance, di risk management e di internal audit), cui le società appartenenti a tali settori devono adeguarsi, sotto il controllo delle rispettive Autorità di Vigilanza. Le regole e i principi stabiliti da tali normative di settore in tema di assetti organizzativi sono in buona misura estendibili a tutte le società. Sono inoltre rilevanti in proposito le Norme di Comportamento del Collegio Sindacale, redatte dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) (l’ultima edizione risale al gennaio 2021), le quali contengono una serie di precisi riferimenti per valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo delle società non quotate.
Un altro importante documento di riferimento per la definizione degli assetti organizzativi è il Codice di Corporate Governance per le società quotate, che, seppure appunto rivolto alle società quotate, è applicabile anche a società diverse da quelle di grandi dimensioni.
I citati documenti collegano l’adeguatezza dell’assetto organizzativo alla puntuale individuazione dei principali fattori di rischio aziendale e delle conseguenti attività di buona gestione e regolare monitoraggio.
L’assetto organizzativo è composto essenzialmente da:-la struttura organizzativa, che organizzativa definisce ed individua i necessari livelli gerarchici e i conseguenti rapporti formali di dipendenza, a sua volta articolata nella struttura organizzativa di base (rappresentata dalle unità organizzative, dai compiti e dalle relazioni), nella struttura delle unità organizzative (con evidenza di mansioni e responsabilità) e nell’assegnazione dell’autorità e delle modalità di applicazione del potere;- i sistemi operativi, la componente in grado di definire il grado di relazione tra le unità organizzative, consistenti nel sistema dei processi, nella determinazione degli obiettivi, delle strategie e all’assegnazione delle risorse (sistema di pianificazione programmazione e controllo), nel sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, in quello di gestione del personale, nel sistema di autoregolamentazione e in quello informativo [9]. Gli amministratori non sono, tuttavia, gli unici soggetti coinvolti nella pre­disposizione e nel corretto funzionamento di un adeguato sistema organizzativo; infatti, ai sensi dell’art. 2403, comma 1 c.c., il collegio sindacale vigila sull’adeguatezza del sistema organizzativo. Accanto ai margini ampi di discrezionalità in capo all’organo amministrativo, ve ne sono altrettanti da parte del collegio sindacale, nonostante le linee guida o le Norme di Comportamento sopra citate elaborate dagli organi professionali, posto che parliamo di ogni tipo di società. In particolare è difficile, spesso indistinguibile, la differenza tra scelte di organizzazione e assetti organizzativi e il giudizio sui secondi, facilmente, coinvolge anche le prime. Infatti, in linea teorica, a differenza delle scelte di organizzazione (quali ad esempio la decisione di produrre prodotti di nicchia o di largo consumo, di rivolgersi al mercato locale o internazionale, etc.), che sono scelte gestorie di merito, strettamente connesse alle opzioni di mercato e dunque tendenzialmente insindacabili (c.d. business judgment rule), gli assetti organizzativi non sono affidati alla discrezionale libertà d’impresa ma devono essere adeguate, ovvero appropriate. Ma i due aspetti tendono a diventare le facce di una stessa medaglia. La creazione di un’adeguata struttura organizzativa deve considerarsi ricompresa tra le attività che devono essere espletate dagli ammi­nistratori nello svolgimento della propria funzione gestoria ai sensi dell’art. 2380 bis, comma c.c., e a sua volta tra i doveri a contenuto generico imposti agli amministratori ai sensi dell’art. 2392 c.c. 
In altri termini, trattandosi di un obbligo a contenuto specifico, la decisione di non predisporre assetti organizzativi, amministrativi e contabili ai sensi dell’art. 2086 c.c. perché ritenuti non necessari rispetto alla reale struttura organizzativa della società e dunque sulla base di una valutazione negativa assunta con riferimento alle dimensioni e alla natura dell’attività esercitata, non sarebbe giustificabile sulla base della business judgment rule, dato che, in base alla regole generali, gli amministratori devono adempiere ai doveri loro imposti dalla legge. 
Qualificandosi quale vero e proprio dovere degli amministratori, la mancata adozione di assetti amministrativi rappresenta di per sé fonte di responsabilità solidale in capo agli amministratori, assumendo rilievo in termini di inadempi­mento dei doveri di corretta gestione, di diligenza e di agire in modo informato di cui all’art. 2392 c.c. 
La violazione di tale obbligo, inoltre, può integrare il presupposto della grave irregolarità nella gestione, produttivo di possibili danni alla società ai sensi dell’art. 2409 c.c., o motivare il collegio sindacale (o il sindaco unico) a procedere con la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406, secondo comma, c.c., ovvero configurare una giusta causa di revoca degli amministratori ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c. A conseguenze in parte diverse può condurre la predisposizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili che si dimostrino inadeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c. Il criterio dell’adeguatezza, dovendo essere parametrato alla dimen­sione dell’impresa e alla natura dell’attività sociale, ovvero variando di concreto di società in società, si configura quale scelta discrezionale del potere gestorio, ma non per questo del tutto insindacabile. 
Occorrerà a tal fine valutare se gli amministratori, siano essi delegati o dele­ganti, abbiano effettuato idonee verifiche e/o acquisito utili o necessa­rie informazioni [10].
Comunque vediamo cosa si può dire per cercare di specificare in cosa debbano consistere gli adeguati assetti sopra indicati.
4 . Gli adeguati assetti (in particolare)
Varie sono le questioni. Soffermiamoci su due. L’analisi sarà in ottica giuridica ma non trascurando l’aspetto economico, che deve costituire, costituisce, in questo settore, la guida reale cioè della realtà (storica ) cui è impossibile sottrarsi. E non sarebbe neanche giusto. Una guida che, spesso, è critica verso certe impostazioni solo giuridiche.
a- Obiettivi degli adeguati assetti. 
Prima di verificare in cosa debbano consistere gli adeguati assetti menzionati nell'art. 2086 c.c. e nell'art. 3 CCII, è opportuno interrogarsi sugli obiettivi che gli stessi devono raggiungere, per come vengono delineati dai comma 2 – 4 dell'art. 3. Dato che il legislatore non offre una descrizione precisa degli assetti da istituire, è solo apprezzando quali siano le finalità da perseguire che si può tentare di delinearne il contenuto concreto. 
Gli obiettivi perseguiti dalle norme sono sostanzialmente due. 
Da un lato, quello di consentire all'amministratore di “prevedere tempestivamente l’emersione della crisi” e dall'altro quello di assumere le “idonee iniziative “per superarla o quanto meno affrontarla.
La locuzione utilizzata e poc'anzi richiamata chiarisce che gli assetti di cui si deve dotare l'impresa non debbano tanto riconoscere la crisi quando questa si presenta, ma rilevare gli indizi che la precedono e quindi consentire una prognosi che ne anticipi l'emersione. Benché la stessa crisi, secondo la definizione introdotta all'art. 2, comma 1, lett. a) CCII, già consista nella probabilità di insolvenza ovvero nell'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi: un arco temporale non breve che induce a ritenere come gli strumenti per anticipare in misura significativa l'emersione della crisi non potranno che essere dotati di particolare efficacia.
In concreto (e questa è una delle novità di maggior rilevanza della versione dell'art. 3 CCII. introdotta dal D.Lgs. n. 83/2022) gli assetti di cui si deve dotare l'imprenditore devono consentire di rilevare squilibri di carattere patrimoniale o economico - finanziario in relazione alle caratteristiche dell'impresa (comma 3, lett. a) e di verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale per i successivi 12 mesi, oltre che i segnali specifici delineati al comma 4 (comma 3, lett. b).
Detti segnali consistono in specifiche soglie di indebitamento maturate in aree cruciali dell'attività di impresa, ovvero verso:
- i dipendenti (comma 4, lett. a),
- i fornitori (comma 4, lett. b), 
- le banche e gli intermediari finanziari (comma 4, lett. c),
- i cosiddetti creditori pubblici qualificati (Inps, Inail, Agenzia Entrate e Riscossioni) come definiti nell'art. 25 novies CCII. (comma 4, lett. d). 
Ad una prima lettura pare che si tratti di soglie abbastanza avanzate di indebitamento che quindi fanno presumere non tanto una crisi probabile o imminente, ma già in atto e che quindi non serviranno a “prevedere tempestivamente” la crisi, ma forse a diagnosticare una situazione ormai conclamata.
Invero, tanto il ritardo di trenta giorni nel pagamento nelle retribuzioni di oltre la metà dei dipendenti (comma 4, lett. a), quanto quello di novanta giorni nella soddisfazione della maggior parte dei fornitori (comma 4, lett. b) rappresentano segnali di una situazione di difficoltà economico – finanziaria evidente, per quanto forse ancora astrattamente rimediabile. Non è quindi escluso che almeno alcune delle soglie indicate dal legislatore si rivelino all'atto pratico troppo avanzate per costituire segnali idonei a perseguire l'ambizioso fine di “prevedere” l'emersione della crisi.
Può invece considerarsi scontato che non sarà necessario superare tutte le soglie di indebitamento perché il segnale della crisi di impresa si concreti. Basterà anche il superamento di uno solo dei parametri, come dimostra l'utilizzo del termine plurale del comma in esame.
Nello stesso tempo, può essere sottolineata la decisiva rilevanza dei segnali elencati nel comma 4, dell'art. 3 CCII, non pare che l'elenco abbia pretese di esclusività per cui potranno in concreto presentarsi situazioni nelle quali, pur non essendo integrata alcune delle ipotesi espressamente formulate, lo stato di crisi sarà comunque prevedibile e magari imminente.
La lettera normativa “costituiscono segnali per la previsione” non depone chiaramente in tal senso. Ma la circostanza che l'esemplificazione sia contenuta nel comma finale della disposizione, dopo che al precedente (lett. a e b) vengono delineate ipotesi molto generali ed ampie, alludendo a squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario ed alle prospettive di continuità aziendale dei successivi dodici mesi, chiarisce come il superamento delle varie soglie di indebitamento sia solo uno dei possibili segnali, non certo l'unico che gli adeguati assetti devono essere in grado di rilevare.
Il secondo obiettivo perseguito dagli assetti che l'amministratore deve istituire e che si affianca alla rilevazione della imminente crisi è quello di affrontare la sua emersione e quindi di dotare sin da subito gli organi gestionali e di controllo di tutte le informazioni ed i dati necessari per una reazione tempestiva ed appropriata.
La circostanza non emerge in via diretta dall'art. 2086 c.c., ma si evince con sufficiente chiarezza dalle previsioni contenute all'art. 3, comma 3, lett. c) e dall'art. 4 comma 2 lett. b) CCII.
Se, infatti, gli assetti devono consentire di rilevare le informazioni necessarie per redigere la lista particolareggiata e il test per verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento dell'impresa, non si può che dedurre come dagli stessi debbano ricavarsi tutte le informazioni utili a valutare, non solo se il risanamento è possibile e ragionevole, ma anche il modo attraverso cui si può pensare di raggiungere un simile, in molti casi ambizioso, obiettivo.
D'altra parte, l'obbligo di assumere tempestivamente le iniziative idonee ad individuare le soluzioni per il superamento degli squilibri economico finanziari (art. 4 comma 2 lett. b) CCII) non può avvenire se gli adeguati assetti non saranno stati efficienti ed esaustivi. 
Perciò sebbene in concreto le decisioni sul miglior modo per affrontare la emergente crisi di impresa spettino in via esclusiva agli amministratori, le premesse per il corretto esercizio di tale potere si concretano nella preventiva dotazione di adeguati assetti per l'individuazione (o meglio, la previsione) della crisi, perché è difficile pensare che diversamente possa adempiersi con puntualità l'obbligo di assumere idonee e tempestive iniziative.
b-Il concreto contenuto delle obbligazioni poste a carico dell’amministratore.
Delineati, seppure per sommi capi, gli obiettivi che gli adeguati assetti devono essere in grado di perseguire è possibile interrogarsi con qualche strumento in più su cosa in concreto l'amministratore debba fare per contare su un” assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato”.
Tali assetti dovendo essere definiti in ragione delle dimensioni e della natura della impresa non possono stabilirsi a priori, perché solo calandosi nella concreta realtà imprenditoriale è possibile valutare ed apprezzare l'adeguatezza degli strumenti prescelti.
Tuttavia, lo sforzo dell'interprete deve essere quello di mettere a disposizione degli amministratori indicazioni concrete che possano fornire da guida e per certi versi lo tutelino nel caso di approdo all'ipotesi – deteriore ma pur sempre possibile, nonostante ogni cautela – di liquidazione giudiziale.
Quindi innanzitutto ci si può chiedere se gli assetti adeguati debbano essere interni all'azienda o se sia possibile esternalizzarli, incaricando professionisti esperti di effettuare verifiche periodiche sull'andamento patrimoniale ed economico – finanziario dell'impresa. La norma depone, credo, nel primo senso. 
L'istituzione di un assetto adeguato rimanda ad una struttura intrinseca all'azienda, tant'è che per l'imprenditore individuale il legislatore si limita a parlare (art. 3, comma 1) di adozione di ”misure idonee” e quindi di un contributo che di certo potrà essere esterno, sul presupposto di una organizzazione imprenditoriale più semplice e contenuta.
Ciò non significa peraltro che la struttura organizzativa, amministrativa e contabile dell'imprenditore collettivo non possa giovarsi di contributi esterni.
E' indubbio che una simile lettura della norma impone alle imprese, specie quelle di piccole e medie dimensioni, di dotarsi di risorse che al momento spesso non hanno e quindi non troverà facile recepimento in un periodo economico tanto contrastato ed incerto quale quello attuale. 
Del resto, la stessa normativa vigente ammette per molte imprese l'adozione di sistemi contabili semplificati che mal si conciliano con l'istituzione e l'efficace funzionamento degli adeguati assetti. Basti pensare tra gli altri all'art. 2435 bis c.c. che consente l'adozione di bilanci in forma abbreviata, all'art. 2435 ter c.c. che semplifica ulteriormente la redazione del bilancio per le c.d. microimprese, alla possibilità di adottare una contabilità semplificata come previsto dall'art. 18 D.P.R. n. 600/1973. Ma pur considerando simili criticità o contraddizioni intrinseche al sistema, non si ritiene che, sulla base dell'attuale dettato degli artt. 2086 c.c. e 3 CCII, gli adeguati assetti possano risolversi in meri test periodici eseguiti da professionisti di fiducia, perché solo conoscendo dall'interno l'impresa e le sue dinamiche commerciali e produttive è possibile apprezzare con sufficiente tempestività i segnali della futura crisi. Gli assetti, quindi, potranno consistere in concreto:
- nel reclutamento e nella formazione di personale addetto alla sorveglianza ed all'analisi dei parametri significativi sotto il profilo patrimoniale ed economico – finanziario,
- nell'adozione di mansionari e moduli strutturati di organigramma destinato ad operare le predette analisi,
- nella redazione periodica di budget previsionali di carattere patrimoniale, economico e finanziario,
- nell'acquisizione di risorse di carattere informatico che potranno rendersi utili per operare diagnosi e previsioni contabili e finanziarie,
- nella previsione di sistemi di controllo interno sull'operato del personale addetto e sulla sua formazione,
- nell'adozione di criteri di libera circolazione delle informazioni all'interno dell'impresa in modo che le criticità e le loro possibili conseguenze possano essere valutate con la necessaria tempestività.
Molto importante, tanto in una prospettiva di migliore funzionamento degli assetti, quanto di verifica di eventuali responsabilità dell'amministratore, sarà la procedimentalizzazione delle attività dell'apparato organizzativo mediante la predisposizione di regole scritte che definiscano funzioni, poteri e modus operandi del personale addetto.
Non di meno, gli esiti di questa attività di monitoraggio imporranno valutazioni non agevoli (perché tale spesso non è quella di formulare una prognosi di continuità aziendale per i successivi dodici mesi) nonché di ricavare informazioni complesse quali quelle indispensabili per redigere la lista particolareggiata ed il test di ragionevole perseguibilità di risanamento previsto per accedere alla composizione negoziata (art. 13 CCII). Sicché è improbabile che i compiti vengano totalmente espletati all'interno dell'impresa, a meno che questa non abbia notevoli dimensioni e personale altamente qualificato.
Sarà necessario che l'impresa si giovi del contributo di professionisti esterni (in particolare commercialisti ed avvocati) che, essendo dotati dell'indispensabile bagaglio professionale, orientino l'amministratore nel difficile obiettivo di superare la crisi, pur a prescindere dall'obbligo generalizzato della difesa tecnica sancito dall'art. 9 comma, 2 CCII.
Considerato che i doveri di adottare adeguati assetti organizzativi finalizzati a prevenire la crisi di impresa e di agire tempestivamente per affrontarla utilizzando gli strumenti posti a disposizione dell'ordinamento sono ormai codificati, può considerarsi pacifico che tanto il radicale inadempimento quanto l'inesatto adempimento di tali specifiche obbligazioni costituiscano potenziali fonti di responsabilità per gli amministratori. 
Anzi, si può ipotizzare che saranno forse nel futuro uno dei principali fondamenti delle azioni di responsabilità che il curatore potrà attivare.
In una simile prospettiva non potrà che muoversi dalla conclusione che il modo attraverso cui l'amministratore adempie il dovere di istituire gli adeguati assetti organizzativi, contabili e amministrativi rientra nell'alveo della business judgment rule e che quindi allo stesso dovrà riconoscersi un'ampia discrezionalità.
Essa però non sarà certo insindacabile da parte del giudice, tutte le volte in cui sia stata esercitata in modo irragionevole e manifestamente imprudente e quando le decisioni assunte difettino di sufficienti verifiche istruttorie.
Perciò la giurisprudenza, con tutto quello che ho detto facendo riferimento all’uso delle clausole generali, svolgerà un ruolo decisivo e potenzialmente non rassicurante: judgment rule giurisprudenziale, di fatto ? 
Precisamente in questo senso, seppure al diverso fine di giustificare l'assunzione dei provvedimenti previsti dall'art. 2409 c.c., si veda Tribunale di Roma, 15.9.2020 in www.ilsole24ore.it e www.giurisprudenzadelleimprese.it, ove si nota:” mentre da un lato appare certo che la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporti di per sé una responsabilità dell’organo gestorio, dall’altra, si ritiene possibile assoggettare a sindacato giudiziale la struttura organizzativa predisposta dall’amministratore nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza (e, precisamente in questo ambito secondo i criteri della adeguatezza), ciò al fine di verificare se fosse idonea a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo gestorio sia ragionevole e non manifestamente irrazionale. Ed è evidente che tale verifica andrà effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, ed a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati raggiunti “. Non sembrano affermazioni rassicuranti, intrise di giudizi di irrazionalità, proporzionalità, informazioni conosciute o conoscibili(,concetti sui quali da Keynes sino alla moderna economia comportamentale che analizza gli andamenti di borsa e come si formano e i loro effetti sugli equilibri finanziari, si potrebbero scrivere volumi e ai quali, sommariamente, si farà cenno).
Per gli amministratori convenuti l'onere probatorio rischierà di essere particolarmente gravoso. E' certo che dinnanzi ad una allegazione di inadempimento o di inesatto adempimento da parte del curatore, sarà onere dell'amministratore provare di avere adempiuto in modo soddisfacente ai doveri. 
Recente giurisprudenza [11] mette in evidenza il ruolo fondamentale dell’art 2086, comma 2, c.c. e ritiene che sia una grave irregolarità, che impone la nomina di un amministratore giudiziario, la mancata adozione di adeguati assetti da parte dell’organo amministrativo, ma altrettanto grave, se non addirittura più grave, è la mancata adozione di adeguati assetti da parte di un’impresa in una situazione di equilibrio economico finanziario.
Vi è la necessità di istituire adeguati assetti indipendentemente dalle circostanze e senza che l’eventuale condizione di sostenibilità economica dell’impresa possa costituire da discrimine, anche tacito.
Si afferma che gli assetti adeguati sono funzionali ad evitare che l’impresa “scivoli inconsapevolmente verso una situazione di crisi o di perdita della continuità“ e hanno lo scopo di consentire all’organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali di crisi, dando la possibilità di predisporre le opportune iniziative. Da una parte si attribuisce agli adeguati assetti una funzione salvifica, come se avessero un’onnipotenza, che in economia non esiste. La letteratura economica, parliamo di quella che si occupa di macroeconomia per non interferire troppo sull’attività di impresa, è piena di esempi persino di Stati che se a un certo punto hanno squilibri o shock economici e hanno, come Stati, vari sistemi di prevenzione o previsione, non si può certo parlare di “colpa” e come gli shock possano essere improvvisi. Dall’altra parte sembra quasi ci sia una presunzione di colpa o responsabilità derivante dalla mancanza o, più subdolamente dalla semplice insufficienza (così ritenuta ) degli adeguati assetti. Per conseguenza l’attenzione è stato detto in sede di commento che, per il Tribunale di Cagliari, ”circa la predisposizione di assetti adeguati deve essere maggiormente intensa proprio quando la società non si trova in crisi, perché in quella fase l’ente ha le risorse per predisporre le misure adeguate ;invece, una volta che la crisi si è manifestata, ciò che risulta maggiormente rilevante non è tanto la (mancata) adozione di adeguati assetti, quanto piuttosto l’omessa o inefficace adozione di uno degli strumenti previsti dalla legge per fronteggiare la crisi “. Perciò ogni società in bonis, quale che sia la dimensione deve formare uffici studi, organismi che facciano previsioni microeconomiche, creditizie, che possano immaginare situazioni di credit crunch, di crisi energetiche (tipo anni 70 o odierne, non dico eventi bellici), non sapendo bene inoltre come si può atteggiare il rapporto causa - effetto in campo (macro)economico. Quelle che sono già in crisi sembrano in “colpa” per altri motivi. Comunque tutte, quasi sempre, di fatto, da “sanzionare“. E arriva l’amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c. [12]. 
Ma la sentenza cagliaritana, come altre e anche diverse esposizioni giuridiche soffrono di una scarsa attinenza e scarsa voglia di interfacciarsi con l’economia: uno dei pregi dell’opera di è stato quello di vedere nei problemi i due aspetti (economico e giuridico). Bisogna tenere conto degli aspetti anche macroeconomici che inevitabilmente hanno una ricaduta sulle imprese e famiglie, sugli individui, sugli aspetti microeconomici, ma anche giuridici. L’inserimento della macroeconomia sugli atteggiamenti concreti di imprese e individui è un punto oramai assodato non solo da Keynes in poi ma da quando come si dice “macroeconomia: il tutto è maggiore della somma delle parti” e nel 1933 l’economista norvegese Ragnar Frisch coniò il termine macroeconomia. Vediamo con una piccola digressione di far comprendere il concetto sull’incertezza e sulle decisioni e anche sui conseguenti “adeguati assetti “e su certe pretese di marca solo giuridica ma che sono monche della parte economica. 
Perché una cosa sono i sistemi di allerta, i segnali di un disequilibrio che inizia, altro è applicare certi principi e obblighi generali in altre situazioni. 
L’incertezza in economia e nelle decisioni economiche è il tema ineludibile. Del quale la giurisprudenza non tiene forse a sufficienza conto 
Si può cominciare con le classiche opere di Knight Frank, Risk, uncertainty, and profit (1921; trad it. 1960); Capital, time and interest rate (1934); The ethics of competition and other essays (1935); Freedom and reform (1948); The economic organization (1951); Essays on history and method of economics (1956); Intelligence and democratic action (1960), per arrivare a John Maynard Keynes (che per quanto ne sappia non ha riconosciuto il merito a Knight) nel Capitolo 12 della sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936). 
Per Keynes "Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile” e nel 1936 affermava, a proposito della borsa di Wall Street, che quando era aperta almeno la metà' degli acquisti o delle vendite degli investimenti era intrapresa nella prospettiva, da parte dello speculatore (che per lui era semplicemente di svolgeva un'attività che cercava di prevedere la psicologia del mercato mentre faceva attività di impresa di cercava di prevedere il rendimento futuro di un investimento nel corso della sua vita), di fare l'operazione inversa in giornata. E questo, aggiungeva, valeva anche per il mercato delle materie prime, non solo per i prodotti finanziari.
Perciò tutto il mondo è paese e da secoli...
Esistono i cattivi o spesso le condizioni economiche cambiano senza che un imprenditore non solo possa farci nulla ma neanche prevederlo?
Persino gli Stati in deficit è dubbio che possano avere patenti di colpa o di cattivi e debbano soffrire come prezzo della loro pigrizia o debolezza.
Facciamo un banale esempio. Ci può essere uno shock esogeno che colpisce un paese (una volta un cattivo raccolto, adesso un improvviso aumento di una materia prima per via di una guerra, o un’inondazione o qualsiasi altro evento che comunque non dipende dalla colpa del paese). 
1-Arriva lo shock esogeno sopra indicato che colpisce il paese A e questo induce una riduzione delle importazioni dal paese B, perché il suo reddito (senza colpe) diminuisce. 
2-Si verifica perciò anche una riduzione delle esportazioni di B. 
Niente è cambiato nelle esportazioni di A verso B (il cui reddito è costante): è noto che se le importazioni dipendono dal reddito di un paese (più aumenta il suo reddito e più possono aumentare, a seguito dell’aumento dei consumi, le sue importazioni, le esportazioni di un paese non dipendono dal suo reddito ma dal reddito degli altri paesi, quelli dove esporta (le esportazioni possono dipendere anche dalla competitività delle merci nazionali, dalla tecnologia, dalla specializzazione ecc., ma non scendiamo in particolari). 
Perciò siamo nella situazione che a seguito dello shock esogeno di A (senza colpa), questi ha ridotto le importazioni da B, ma le esportazioni di A verso B non si sono ridotte perché il reddito di B è invariato. Proseguiamo. 
3-il paese B svilupperà un deficit della bilancia dei pagamenti e A un surplus.
Al paese che ha ridotto il reddito e le importazioni, ma non le esportazioni ha un surplus e B, quello che non ha ridotto il reddito, ha un deficit. Bel paradosso! 
Ma gli effetti continuano.
4-Le esportazioni di B verso A sono una parte importante della domanda aggregata di B:se tale domanda si riduce, il reddito di B si riduce. Non rimane più invariato.
5-Ma se il reddito di B si riduce anche la sua domanda per A si riduce e così il reddito di A (che esporterà di meno verso B) 
6-E così finché, dice la teoria ma è da vedere (dopo successivi aggiustamenti al ribasso) il deficit di B scompare e la bilancia dei commerciale di A torna in pareggio.
7-Ma viene ristabilito un equilibrio a un livello più basso di reddito e di occupazione per entrambi i paesi.
Ma senza che nessuno dei due abbia colpe specifiche o si possa fare, anche alla partenza graduatorie di virtuosità. 
Tutto questo naturalmente influisce sulle imprese e i loro “adeguati assetti”?
L’esempio è astratto e molto semplificato ma rende l’idea.
Keynes diceva, a proposito delle patenti di pigrizia o debolezza da espiare che qualche paese voleva dare ad un altro, quando c’era il sistema del gold standard, con un etica del gold standard che copriva di vergogna certi paesi per aver accumulato debiti, ma a beneficiarne spesso erano altri paesi in eccedenza, che nell’ordine internazionale, come nella vita ordinaria, che i mendicanti erano di rado i veri cattivi. Cioè il sistema del gold standard portava spesso alla deflazione e alla disoccupazione. Con una impostazione tutta morale. Si riteneva che insito nel sistema del gold standard vi fosse la concezione che la sofferenza era un prezzo da pagare perché un paese era pigro, indolente, cicala, debole ecc. Non capendo che se un paese aveva infrastrutture economiche poco efficaci era giusto che vi ponesse rimedio, ma che a volte i deficit della bilancia commerciale non dipendevano da colpe specifiche (aumento di materie prime di cui non si è dotati ad esempio, comunque le nazioni avevano deficit commerciali perché dovevano e non perché erano più o meno avventate rispetto a quelle che avevano un surplus (che spesso non avevano meriti particolari ).Non si dica che queste sono politiche economiche generali e prevedibili. La loro adozione, il loro cambiamento, decisioni all’interno di un’impostazione, cambiano molto le cose. Le modifiche periodiche o continue degli adeguati assetti, anche se fossero possibili, spesso sarebbero inutili. Soprattutto far discendere da un obbligo generale conseguenze giuridiche, persino ex art. 2409 per tornare alle norme. Ma guardiamo al settore finanziario e bancario e se uno shock lo colpisce. Si dice spesso che il settore finanziario e bancario sia come una cipolla. Sfogliando uno strato dopo l’altro, ci si chiede se in definitiva esista un nucleo solido! Ora con la crisi energetica che mette in crisi aziende molto solide che avranno ricevuto finanziamenti e fidi dalle banche, fidi e finanziamenti ritenuti sicuri, non c’è il rischio di una crisi anche nel settore finanziario? Anzi di una doppia crisi:1-nel settore finanziario perché certi finanziamenti e fidi diventano non più sicuri e solvibili. Anche magari quelli dati alle famiglie. Non solo alle imprese;2- una crisi nel settore del credito perché le banche potrebbero diventare riluttanti al prestito avendo problemi di solvibilità. Quando c’è una crisi del credito l’economia si arresta perché non concedendo più prestiti.
A proposito delle interconnessioni e di effetti sfavorevoli ma improvvisi che possono verificarsi su soggetti ma anche su imprese e sono eventi per il singolo o per la singola impresa imprevedibili e comunque improvvisi e non governabili, per mancanza oggettiva di informazioni, che non sono in possesso neanche degli enti preposti e che anche se ognuno le avesse non potrebbe farci nulla, nel 2008 a seguito dei noti fatti si verificò un fenomeno di contagio finanziario che è stato tale da provocare drammi per coloro che ne sono colpiti senza che ne abbiano, quasi responsabilità. Se gli amministratori della Lehman Brothers o della A.I.G, ecc. possono meritare, a certe condizioni, punizioni almeno morali, altri no. Il circolo vizioso del deleveraging fa sì che un'istituzione finanziaria che si trovi sotto pressione cerca di vendere le proprie attività per procurarsi liquidità. Vendendo le attività rapidamente, spesso deve venderle a sconto. Il contagio deriva dal fatto che altre istituzioni finanziarie detengono attività simili, i cui prezzi diminuiscono a causa della vendita "a ogni costo". Il calo dei prezzi innesca una spirale perversa. La diminuzione dei prezzi di queste attività danneggia le altre istituzioni finanziarie, inducendo i rispettivi creditori a bloccare i prestiti. Le istituzioni finanziarie sono a loro volta costrette a vendere a ogni costo le loro attività per avere liquidità ed evitare il fallimento, alimentando la caduta dei prezzi. Nei mesi successivi al tracollo della Lehman questo fenomeno si manifestò in tutta la sua evidenza, mettendo in crisi non solo il sistema, ma dimostrando che lasciar fallire il colpevole, tipo la Lehman, se può essere giusto, non è responsabile.
I prezzi di una vasta gamma di attività detenute dalle istituzioni finanziarie, dalle obbligazioni societarie, ai titoli rappresentativi di cartolarizzazioni di prestiti studenteschi (erano coloro che solamente volevano studiare in una Università prestigiosa a pagare anche per la Lehman!) crollarono sotto la pressione di un'ondata di vendite. Comunque torniamo a certe pratiche che coinvolgono addirittura gli Stati a loro insaputa. Il carry trade è un sistema per il quale si prende a prestito soldi in paesi che applicano bassi tassi di interesse, come la Russia o il Brasile. Dopo il fallimento della Lehman, è avvenuto un fenomeno ben descritto da Krugman che è simile a quello che era avvenuto già in precedenza in Giappone. Dice l'autore "Il travaso di fondi dal Giappone in altri paesi a bassi tassi di interesse si era bloccato....Siccome i capitali non uscivano più dal Giappone, il valore dello yan è aumentato; e siccome i capitali non entravano più nei mercati emergenti, il valore delle loro monete è diminuito. Ciò ha causato grandi perdite sul capitale per tutti coloro che si erano finanziati in una divisa e avevano concesso prestiti in un'altra ...le aziende dei mercati emergenti che si erano finanziate a basso costo all'estero, si trovassero improvvisamente a contabilizzare grosse perdite "(Paul Krugman).
Certi governi come quello russo, ad esempio, che credevano di non dover subire effetti dalle vicende Usa o Lehman, hanno scoperto, quasi a loro insaputa appunto, che i loro tentativi, magari di corretta amministrazione o di isolamento, venivano vanificati dalla ingiustificata propensione al rischio del settore privato. In Russia, le banche o le aziende erano andate a finanziarsi in massa all'estero perché i tassi di interesse erano più bassi di quelli praticati sul rublo. Il governo russo, diciamo formica, aveva riserve estere per 560 miliardi di dollari, ma le banche o le aziende avevano debiti esteri per 460 miliardi di dollari. Improvvisamente queste aziende e banche si sono trovate con le linee di credito bloccate, mentre il valore in rubli dei loro debiti saliva. Egualmente per le banche brasiliane, che magari non avevano loro personalmente forti esposizioni all'estero, anche loro formiche, ma i loro clienti nazionali purtroppo si. 
Per questo ho detto che i controlli e i requisiti devono essere eguali per tutti e che le conseguenze negative possono colpire tutti, dallo studente che ha fatto un prestito per andare all'università e al quale viene revocata una linea di credito, pur pagando puntualmente, ma anche a chi, Stato o altri è stato, persino una formica...Ritornando al diritto, tra l’altro, con l’impostazione, che sembra prevalere in giurisprudenza diventa una conseguenza ritenere gravi irregolarità la mancata predisposizione degli assetti, ma anche l’inadeguatezza degli assetti medesimi, cui è da aggiungere la mancata verifica periodica della loro adeguatezza. Se per gli interessi degli stakeholders questi temi e aspetti possono essere logici con riferimento alle s.p.a, anche senza fare distinzioni, per le altre società diventano oneri notevoli. L’organo di controllo, poi, con questa impostazione che fa propria, come dice il Tribunale di Cagliari la visione che gli assetti adeguati, in società in bonis, sono “funzionali proprio per evitare che l’impresa scivoli inconsapevolmente in una situazione di crisi”, saranno spinti ad essere più realisti del Re? Ma, posto che è legittimo che un organo di controllo non sia stato nominato, quando i soci abbiano deciso, come consente l’art. 2477 cc in tema di S.r.l, di nominare un revisore, sia in caso di nomina facoltativa (art. 2477,comma 1), questa mancanza come viene valutata? Forse il legislatore dovrebbe fare almeno uno sforzo di coordinamento [13]. Il nuovo Codice della crisi d’impresa, che non riguarda solo le imprese in stato di insolvenza o in grave crisi, ma contiene norme dirette a tutte le società, può diventare dirigista? Nel tentativo di prevenire, di tutelare, prevenendo ogni cosa o evento, gli stakeholders, attraverso l’art. 2086 c.c. fa richiamo agli strumenti delineati all’art. 2381 “applicabile anche alle S.r.l., che sono bilancio, budget e cash flow da redigersi e valutarsi almeno a cadenza semestrale ”(Giuseppe Verna ). Questo per tutte le S.r.l., anche quelle unipersonali. Non dovrebbe essere facile sindacare la decisione di intraprendere l'uno piuttosto che l'altro strumento di regolazione. Dovrebbe essere verosimile, infatti, che la scelta sarà stata assunta con l'ausilio di un professionista terzo, al giudizio del quale l'amministratore, attesa la particolare complessità della materia, non potrà che rimettersi in larga misura. Piuttosto si potrà sindacare la tempestività dell'adozione di tali iniziative, ma il tema è inscindibilmente connesso alle modalità di emersione dei segnali della imminente crisi, alla loro gravità ed alla complessità dell'impresa, sì che non pare possibile svolgere in punto di tempestività considerazioni di carattere astratto che abbiano un reale significato e rilievo. Assai più problematico è per l'amministratore dare prova di aver dotato l'impresa di “adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile“. Questo onere lo impegnerà su due fronti distinti, sebbene collegati. Il primo è quello di provare che gli assetti erano stati istituiti ed il secondo che essi erano adeguati, ovvero idonei e funzionali a rilevare le potenziali crisi sopravvenienti. E' perciò evidente che solo qualora gli adeguati assetti siano stati oggetto di procedimentalizzazione per iscritto (e quindi siano state individuate le figure aziendali destinate ad occuparsene, i loro poteri e doveri e le procedure da seguire per appurare il pericolo di crisi, etc.) l'amministratore sarà in grado di fornire prove idonee ad esimerlo da responsabilità. Non pare infatti, credibile che la prova dell'adempimento di tali obbligazioni possa avvenire mediante prove orali. Va invero considerato non soltanto il tempo che spesso intercorre tra i fatti e il loro vaglio giudiziale, ma anche il disgregarsi dell'organizzazione imprenditoriale che segue l'apertura della liquidazione giudiziale, sulla quale quindi l'amministratore non potrà più fare conto quando si troverà chiamato a fornire prova dell'esatto adempimento. Parimenti (atteso che non sarà sufficiente che gli adeguati assetti vengano istituiti, ma si dovrà anche appurare che funzionino) pure l'attività di monitoraggio dell'andamento dell'impresa attuato dagli assetti organizzativi dovrà provarsi per iscritto o comunque in un modo che possa essere a posteriori agevolmente documentato. Non è chi non veda insomma che gli oneri probatori posti a carico dell'amministratore in caso di azione di responsabilità saranno perciò ponderosi ed impegnativi. 
5 . Conclusioni
Di recente (Benazzo) a proposito del codice della crisi d’impresa si è fatto riferimento, guardando le nuove norme che hanno modificato il codice civile, alla crisi del diritto societario più che al diritto societario della crisi.
Molti interventi sono pensati e declinati nell’ambito e in funzione della crisi d’impresa, per attuare la prevenzione, la tempestiva emersione e gestione della crisi e dunque la conservazione della continuità aziendale. 
Però hanno di fatto una ricaduta e un’applicazione strutturalmente eccedenti rispetto alla sola dogmatica dell’allerta, modificando il codice civile e il diritto societario e facendo risaltare le differenze che anche in tema di società c’erano sempre state tra le varie impostazioni (contrattualiste e istituzionaliste). 
Se almeno dagli anni trenta del secolo scorso era emersa la necessità, prima di tutto per motivi economici generali, di dare risposte, sia economiche sia giuridiche alle esigenze poste dalle grandi società, esigenze che le avevano le grandi società per potersi sviluppare e apportare sviluppo ma anche necessità di rispondere alle esigenze che la loro stessa esistenza poneva alla collettività, agli stakeholders, l’intervento normativo italiano sulla crisi d’impresa va oltre questo aspetto e modificando, per tutte le società ed estendendo a tutte una normativa che era propria delle S.P.A, da una parte va in senso contrario alla tendenza di costruire una normativa separata per il tipo S.P.A e inoltre differenziare la normativa in modo ulteriore all’interno del fenomeno S.P.A a seconda se si tratti di una società aperta o chiusa, ma dall’altra parte, prevedendo certi obblighi ex art. 2086 c.c. ritiene quasi che tutte le società siano eguali, possono di fatto essere trattate unitariamente di fronte alla crisi, almeno per le loro inadempienze e che tutte hanno un eguale influenza sugli stakeholders. Tra l’altro, facendo poco, parallelamente perché le società adottino il modello spa che meglio potrebbe rispondere agli obblighi che il codice della crisi d’impresa impone. 
Tralasciamo il problema delle procedure di allerta o i rimedi quando la crisi inizia [14] o altri problemi di coordinamento. L’art. 2086 cc trova applicazione anche nella fase propriamente fisiologica dell’avvio, dello sviluppo e della crescita dell’impresa. 
In tal senso è esemplificativo il dato testuale di quella che costituisce una delle più significative innovazioni del codice della crisi, ossia l’art. 375 CCII, laddove sotto la rubrica “assetti organizzativi dell’impresa”, modifica l’art. 2086 c.c. in un duplice senso. 
Da un lato ne muta la rubrica: viene abbandonata la precedente rubrica di stampo corporativista “direzione e gerarchia dell’impresa” e viene accolta la nuova rubrica, intitolata “gestione dell’impresa.
Dall’altro viene inserito un secondo comma che, nel sancire il dovere per l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, afferma che ciò debba avvenire anche e non solo “in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”. 
La preoccupazione che avverte parte della dottrina è che questi interventi che si occupano degli assetti organizzativi volti alla rilevazione e alla gestione tempestiva e anticipata della crisi d’impresa, possano configurare, in ragione del loro innesto disorganico e singolare, non tanto un diritto dell’impresa societaria adeguato ad una gestione efficiente della crisi, quanto invece a provocare una vera e propria crisi del diritto societario.
Adolf Berle e Gardimer Means, che tra i primi hanno studiato il rapporto di separazione che intercorre tra proprietà e controllo, azionisti e manager, lo hanno studiato nella grande impresa. Le osservazioni di W. Rathenau sempre alla grande impresa facevano riferimento. Tutti mettevano in guardia, al di là della consapevolezza delle varie teorie giuridiche, che in genere vengono denominate e definite dopo che certi autori spiegano la nascita dei nuovi fenomeni, circa i rischi anche politici della grande impresa. Noi abbiamo un articolo, e altri, l’art. 2086 c.c. che non solo si applica a tutte le società ma crea problemi di coordinamento e di rilievo, non da ultimo per esempio quello derivante dalla quantificazione del danno da violazione dello stesso art. 2486 c.c.: il terzo comma dell’art. 2486 c.c. introduce due distinti criteri di quantificazione del danno “quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo “che potrebbe sussistere anche semplicemente perché gli non sono stati redatti a “cadenza semestrale“?
Certe interpretazioni che si applicano, con conseguenze penalizzanti e responsabilità, anche quando le società sono in bonis, saranno conformi alla lettera dell’art 2086 cc. Esso prevede di istituire “un assetto. adeguato… anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi … e di attivarsi senza indugio …”. Perciò con l’ espressione “ anche” si può far riferimento a che l’assetto adeguato possa prescindere da una crisi in atto, nonostante che l’articolo sia orientato, però, a rilevare una crisi o una perdita della continuità aziendale. Ciò nonostante, a parte mi sembra una certa contraddittorietà con la dottrina economica, anche se Renato Rordorf sostiene dire che la dottrina aziendale dà sufficienti soluzioni può dire che la dottrina aziendale dà sufficienti soluzioni [15], non viene meno la sensazione che se crisi e disequilibro economico non ci sono, vuol dire che gli assetti sembrano o dovrebbero sembrare adeguati e se vi è disequilibro allora gli assetti sono non adeguati! Sembra un paradosso?
Gli assetti erano adeguati o sembravano tali non molto tempo prima sino di fallire persino per la Lehman Brothers, se è vero che in un solo giorno e con mirabile tempismo l’agenzia di rating Fitch ha abbassato il rating A+, a D, cioè affidabilità buona, a D cioè fallita e se è vero che lo stesso circuito bancario esponeva le obbligazioni della banca americana all’interno di un elenco di obbligazioni a basso rischio - rendimento le cui caratteristiche principali erano un rischio di credito con inferiore ad un rating A- ed un rischio di mercato molto contenuto pari ad una variazione di prezzo su base settimanale non superiore all’1%, e come la nostra stessa giurisprudenza sembra aver riconosciuto [16]. Quello che voglio dire che non si sfugge all’impressione e che bisognerebbe guardare con forte sospetto, come afferma un esperto di Big Data [17], a “perseguire gli individui prima che un crimine venga commesso “.. La scienza dei dati che verifica gli assetti (scienza aziendale ) può predire il comportamento di un individuo o di una società determinata quando esso non dipende neanche dal soggetto o dalla società ma da decisioni terze tipo, ad esempio Banca Centrale?

Note:

[1] 
Google è un monopolista. Ma l’Antitrust cosa fa? Impiega pochissime persone e quali prodotti offre? Offre informazioni che possano dire quali saranno i comportamenti delle persone attraverso un meccanismo che si articola nella estrazione dei dati, nella incursione nelle vite delle persone, nell’assuefazione, nell’adattamento, nel reindirizzamento, nella capacità di influenzare v. Shoshana Zuboff. Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri. Luiss University Press. 2019; Seth Stephens -Davidowitz. La macchina della verità. Come Google e i Big Data ci mostrano chi siamo veramente. Premessa di Steven Pinker. Prefazione di Gianni Riotta. Luiss University Press. 2018; Daron Acemoglu e James A. Robinson. Perché le nazioni falliscono. Alle origini di prosperità, potenza e povertà. Il Saggiatore, 2013.Particolarmente incisiva sui pericoli che derivano dai colossi di internet è la trattazione della Zuboff.
[2] 
Daron Acemoglu e James A. Robinson. Perché le nazioni falliscono. cit., p.428-429 e pag. 440-443. Adam Smith aveva già individuato i fattori che determinano la crescita della ricchezza di una nazione: l’accumulazione del capitale, l’aumento delle abilità e capacità dei lavoratori, l’introduzione di nuovi metodi produttivi, l’ampliamento del mercato che favorisce la divisione del lavoro e l’impiego di risorse altrimenti inutilizzate. Ma condizione necessaria perché questi fattori possano operare era, per Smith, una struttura istituzionale adeguata o il suo mutamento che consentisse a tali fattori di esistere e operare.
Le decisioni di lavorare, infatti, di risparmiare, di investire, l’invenzione e l’applicazione di innovazioni produttive e organizzative, la ricerca di nuovi mercati sono scelte che presuppongono informazioni, incentivi, regole che stimolino ad agire, diano una ragionevole aspettativa di un risultato favorevole, né garantiscano l’acquisizione. Tali condizioni sono date dalle istituzioni e queste variano da paese a paese, in virtù di fattori sociali e culturali, frutto della storia e, a loro volta, mutevoli al mutate dell’economia e delle istituzioni. I modelli astratti basati su scelte ottimizzanti di soggetti individuali astorici non possono dar conto della complessità di questi processi.
L’importanza delle istituzioni, almeno ma non solo, per il passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo (v. Franco Volpi. Lezioni di economia dello sviluppo. FrancoAngeli.2007.pag.124 e 225-228). In particolare, la Nuova Economia Istituzionale, che ha dato un importante contributo alla reintroduzione dello studio delle istituzioni in economia, studia le istituzioni in rapporto ai loro effetti economici. “La funzione essenziale delle istituzioni è quella di rendere più efficiente il comportamento dei soggetti, permettendo loro di accrescere il proprio benessere “. Al raggiungimento di questo obiettivo non è sempre sufficiente, come ritiene la teoria neoclassica tradizionale, il mercato ma “ il controllo e le azioni volte a sanzionare l’inosservanza e a impedire i comportamenti opportunistici. Ciò spiega la nascita e l’esistenza, accanto al mercato, di numerose istituzioni, tra le quali il soggetto razionale sceglie quella che comporta costi minori”.
Una singola istituzione può raggiungere i suoi obiettivi solo se accompagnata da istituzioni complementari. Per esempio i diritti di proprietà che attribuiscono agli individui la disponibilità dei beni e dei fattori produttivi devono essere integrati da norme legislative e da regole morali che ne assicurino il rispetto. Un esempio del ruolo delle istituzioni in campo agricolo: le istituzioni vigenti nell’ agricoltura cinese negli anni ‘50. Dal 1951 al 1957, quando , accanto alle grandi aziende collettive , erano consentite anche le aziende familiari e la possibilità per il contadino dell’azienda collettiva di abbandonarla se gli altri non avessero mantenuto gli impresi preso, la produttività era notevolmente cresciuta , per crollare negli anni successivi con l’eliminazione di tale possibilità(v. Lin J. Y, Nugent J. B. “Istitutions and Economic Development” in Behrman J. Srinivasan T. N. , Handbook of Development Economics .vol IIIb, North Holland, Amsterdam.1995). L’esempio mostra che nell’ analizzare una istituzione e i suoi effetti è spesso necessario considerare l’insieme delle istituzioni del quale fa parte .
Il premio Nobel per l’ecografia Myrdal (v. Myrdal G. Saggio sulla povertà di undici paesi asiatici ,2 voll. Il Saggiatore. Milano.1971) inserendosi in questo filone , a proposito dei caratteri dello Stato nei paesi asiatici oggetto della sua ricerca , aveva parlato di “Stato debole “, in quanto anche se autoritario , non “ autorevole “ , perché i cittadini cercano di evadere le sue leggi o contrastarle . Quando si verifica questa situazione le istituzioni economiche informali ( anche di tribù o di clan o autorità tradizionali) possono sopravvivere e se quelle politiche crollano a seguito di crisi interne o shocks esterni , riaffiora la rete delle autorità e fedeltà tradizionali( cfr. Franco Volpi. Lezioni.cit.pag.235 che fa l’esempio della recente storia della Somalia).
[3] 
Walter Rathenau. La realtà delle società per azioni. Rivista delle società 1960; Alberto Asquini. Battelli del Reno, 221 e ss, in Scritti, III, Padova, 1961; Alberto Asquini in Rivista delle società, 4, 1959, anche in La Biblioteca Giuridica. Anno III.14 gennaio 2019. Progetto ideato e curato da Rocco Favale e Angelo di Sapio. Alberto Asquini. I battelli su reno. In Studi giuridici in memoria di Filippo Vasalli ,vol. I, Utet.Torino.1960.p 119.Battelli del Reno è un'espressione idiomatica usata nell'ambito del pensiero economico per esprimere la Teoria istituzionalistica in contrapposizione con la teoria contrattualistica :nel dibattito sulle finalità dell'impresa sta per indicare la concezione dove l'interesse dell'impresa in sé è qualche cosa di distinto, e qualche volta contrapposto, all'interesse degli azionisti . La frase è attribuita a Walther Rathenau che avrebbe risposto agli azionisti della Norddeutscher Lloyd, i quali avanzavano lamentele sul fatto di non aver conseguito gli utili sperati dal loro investimento azionario: «la società non esiste per distribuire dividendi a lorsignori, ma per far andare i battelli sul Reno» .In Italia l'espressione è stata ripresa da un celebre articolo dell'Asquini . L’impostazione dell’Asquini parte dal problema dell’autofinanziamento e dei suoi limiti e dal conseguente diritto del socio al dividendo. L’Asquini conclude “dubito che alla frase di quell’anonimo amministratore de Norddeutsscher Lloyd ,che a tanta distanza di tempo alimentato tra noi la recente polemica ,sia stato attribuito da qualche scrittore troppo zelante un significato che forse probabilmente la frase non aveva .Probabilmente cioè l’autore della frase ,come ogni buon amministratore ,non intendeva negare agli azionisti gli utili della società in misura equa ,ma semplicemente frenare le eccessive avidità…per l’oro del Reno di quegli azionisti che , non accontentandosi di un dividendo equo, ostacolavano più o meno consapevolmente il rafforzamento della società, facendo così ,in definitiva, dell’autolesionismo, secondo il vecchio apologo della formica e della cicala”. 
[4] 
Marianna Mazzuccato. Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale. Editori Laterza. 2018 p.63 sul marginalismo e p.190. John Maynard Keynes. Risparmio e Investimento. (a cura di Luca Fantacci). Donzelli editore. 2010 .in particolare Lo stato delle aspettative a lungo termine (1936),pag 78- 81.
[5] 
v. pure Mark Carney. Il valore e i valori. Un manifesto per ripensare il nostro presente. Mondadori.2021.pag.465 e ss., l’ex governatore della Banca Centrale del Canada e poi della Gran Bretagna rievoca il caso Dodge v. Ford .1919,204. Mich 459 e il primato degli azionisti che è stato un principio proprio dei paesi anglosassoni e l’Europa continentale è rimasta più fedele a modelli più orientati agli stakeholder, come dimostra(va) la legge tedesca sulla cogestione, la Mitbestimmung. La vertenza Dodge v. Ford è ancora oggi alla base della concezione secondo cui una società è in primo luogo al servizio degli azionisti. :la Ford dovette secondo la Corte Suprema del Michigan ,che decise a favore degli azionisti distribuire una parte dei dividendi ,anche se Henry Ford intendeva reinvestire i profitti per espandere ulteriormente l’attività e voleva assumere ancora più persone e “aiutarle a migliorare la propria vita e la propria casa :Per questo stiamo reinvestendo la maggior parte dei nostri utili “:una contrapposizione ,ante litteram ,potremmo dire tra scopo pubblico e utile privato che la sentenza in oggetto sciolse discutendo sullo scopo societario ;v. Adolf A. Berle jr e Gardimer C. Means. Società per azioni e proprietà privata. Giulio Einaudi editore.1966. Adolf Berle e Gardimer Means tra i primi hanno studiato il rapporto di separazione che intercorre tra proprietà e controllo, azionisti e manager, nella grande impresa. Già Rathenau aveva definito la grande società (W. Rathenau. Von Kommenden Dingen. Berlin 1918- trad. ingl. In Days to Come. London.pag. 120-121)” Nessuno è permanente proprietario , la composizione del complesso multiforme che funziona come signore dell’impresa è in uno stato fluido … Questo stato di cose significa che la proprietà è stata spersonalizzata … La spersonalizzazione della proprietà simultaneamente significa che l’oggettivazione delle cose possedute. I diritti di proprietà sono suddivisi in tal modo , e sono così mobili , che l’impresa assume una vita indipendente, come se non appartenesse a nessuno ; assume un’esistenza obiettiva quale in tempi precedenti era incorporata solo nello Stato e nella Chiesa , in una corporazione medievale, nella vita di una ghilda o di un ordine religioso…la spersonalizzazione della proprietà, l’oggettivazione dell’impresa , il distacco della proprietà dal possessore, portano a un punto dove l’impresa si trasforma in un’istituzione che rassomiglia allo Stato in carattere” . Berle e Means si associano a questa interpretazione e di qui derivano il concetto di responsabilità dell’impresa (quale istituzione) verso gli azionisti, i lavoratori, i consumatori, la collettività e si ponevano il problema dei rapporti con lo Stato. Le grandi società appaiono esse stesse come veri e propri Stati che devono essere eventualmente controllati dalla nazione per evitare che possano esse a imporle (alla nazione) il loro dominio? 
Berle e Means nel 1932 paventano la diffusione di un potere economico autocratico e irresponsabile, al contrario molti in America , probabilmente anche Friedman vede nella concentrazione economica la realizzazione di una società senza classi , il contenimento degli effetti dannosi dell’ accumulazione della ricchezza , la divisione dei poteri contrapposti, l’avvento di una società giusta e libera cui basterebbero alcune modifiche sul piano della distribuzione per superare i contrasti descritti da Marx: una comunità di uguali attraverso proprio la spersonalizzazione, successiva a quella portata dall’industrialismo - lavoratore, dell’individuo proprietario . 
Ma proprio così, si potrebbe rispondere, l’effettiva partecipazione degli individui alla vita sociale e all’economia si sviluppa? Con la proprietà spersonalizzata e l’attribuzione del potere ai managers? 
Con grandi società dove si sviluppa una tecnocrazia puramente neutrale che equilibri una varia molteplicità di pretese dei vari gruppi della comunità e assegni a ognuno una parte del flusso dei redditi?
È il problema come ha scritto Berle ,nella prefazione alla prima edizione del suo lavoro fatto in collaborazione con Means, del passaggio di circa i due terzi della ricchezza industriale di un paese da proprietà individuale a proprietà delle grandi società commerciali finanziate da un gran numero di azionisti. Che muta radicalmente la vita dei proprietari, dei dipendenti nonché i rapporti con i beni economici e che implica una nuova forma di organizzazione economica della società: che riguarderà il rapporto tra le società di capitali e lo Stato . Le prime non devono dominare lo Stato ma ne saranno disciplinate e secondo Berle, nella prefazione alla prima edizione italiana del suo saggio, nel 1967, senza ricorrere alla ricetta marxista né a quella tipica dell’Eni di Enrico Mattei , alla fine il sistema americano si è rilevato più efficiente e produttivo di quelli socialisti e la moderna società per azioni si è rilevata più efficiente di quella degli enti statali . Grazie ad adeguati controlli finanziari , alla tassazione dei redditi e ad una flessibile pianificazione economica . L’opera di Berle e Means si iscriveva nell’ambito delle riforme del New Deal che Berle rivendica. Bisogna vedere se l’abbandono o lo smantellamento di alcune riforme del periodo di Roosevelt che hanno portato alla crisi del 2008 giustificano ancora il giudizio positivo di Berle che potrebbe essere un po' datato 
The Modern Corporation and Private Property è un libro scritto da Adolf Berle e Gardiner Means pubblicato nel 1932 sui fondamenti del diritto societario degli Stati Uniti ed esplora l'evoluzione delle grandi imprese attraverso una lente legale ed economica e sostiene che nel mondo moderno coloro che detengono legalmente la proprietà delle società sono stati separati dal loro controllo. La seconda edizione riveduta è stata pubblicata nel 1967. Serve come testo fondamentale in corporate governance , diritto societario (diritto societario) ed economia istituzionale . Berle e Means hanno sostenuto che la struttura del diritto societario negli Stati Uniti negli anni '30 imponeva la separazione della proprietà e del controllo perché la persona giuridica possiede formalmente un'entità aziendale anche mentre gli azionisti possiedono azioni dell'entità aziendale ed eleggono amministratori aziendali che controllano la società attività. The Modern Corporation and Private Property, per prima cosa ha portato avanti questioni associate alla proprietà ampiamente dispersa delle società quotate in borsa. Berle e Means hanno mostrato che i mezzi di produzione nell'economia statunitense erano altamente concentrati nelle mani delle 200 più grandi società e, all'interno delle grandi società, i manager controllavano le aziende nonostante la proprietà formale degli azionisti.  Rispetto alla nozione di proprietà privata personale, diciamo come un computer portatile o una bicicletta, il funzionamento del moderno diritto societario “ha distrutto l'unità che comunemente chiamiamo proprietà.” Ciò è avvenuto per una serie di motivi, primo fra tutti la dispersione dell'azionariato nelle grandi società: l'azionista tipo è disinteressato agli affari quotidiani della società, eppure migliaia di persone come lui costituiscono la maggioranza dei proprietari tutta l'economia. Il risultato è che coloro che sono direttamente interessati agli affari quotidiani, il management e gli amministratori , hanno la capacità di gestire le risorse delle aziende a proprio vantaggio senza un effettivo controllo da parte degli azionisti. Con la moderna s.p.a. si trasforma il diritto di proprietà e si realizza un nuovo mezzo di organizzazione della vita economica. “Con lo straordinario sviluppo delle società per azioni sorge un vero e proprio sistema delle società similmente a quanto avvenne nel passato per il sistema feudale …Il modo in cui la proprietà è organizzata ha sempre avuto una funzione importante nell’equilibrio delle forze che determinano l’evoluzione storica delle varie epoche” .Abbiamo ,perciò un radicale mutamento nell’esercizio del diritto di proprietà o nell’organizzazione dell’attività economica e sorge un sistema paragonabile alle istituzioni del feudalesimo” .Il sistema della società ha fatto la sua apparizione solamente quando la società anonima privata o ristretta ha ceduto il passo ad un tipo sostanzialmente diverso ,la società per azioni quasi-pubblica ;quella cioè in cui ,a causa della moltiplicazione dei proprietari ha luogo in misura rilevante la scissione fra proprietà e controllo ….Con l’impiego del mercato pubblico per i suoi titoli ,ognuna di queste società [quelle quasi pubbliche]viene ad assumere ,nei riguardi del pubblico dei risparmiatori ,obblighi tali che la trasformano da semplice strumento per dar veste giuridica ai rapporti tra pochi individui ,in un ente posto ,almeno nominalmente ,al servizio degli investitori che hanno conferito i loro beni nell’impresa. Nuove responsabilità nei riguardi degli azionisti, dei dipendenti, dei consumatori e dello Stato vengono così a pesare su coloro che hanno il controllo delle imprese. Nella creazione di questi nuovi rapporti ,le società quasi-pubbliche ben possono essere considerate come portatrici di una vera rivoluzione. Esse hanno distrutto il concetto unitario di proprietà distinguendo tra la titolarità del diritto di proprietà e il potere economico che ne conseguiva .L’istituto della società per azioni ha così cambiato la natura stessa dell’impresa economica privata “(pag.5-8- 10). Il nostro legislatore ,perciò , ha differenziato la disciplina e essendo consapevole dell’esistenza dele società per azioni quasi-pubbliche come le chiamano  Adolf Berle e Gardiner Means ,ha disciplinato in modo diverso le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio da quelle che non vi fanno ricorso.
[6] 
v. Lynn A. Stout. The Shareholder Value Myth, Cornell Law Faculty ,Publications .Paper 771,2013;Milton Friedman .La responsabilità sociale delle imprese consiste nell’aumentare i profitti Istituto Bruno Leoni.20 agosto 2008.IBL Occasional Paper.n. 59;Peoples Department Stores Inc. (Trustee of) v .Wise ,2004,SCC 68;BCE Inc. v. 1976 Debentureholders,2008,SCC 69;UK Companies Act 2006,art 172,c.1 e art 112;eBay Domestic Holdings ,Inc v. Newmark ,16 A.3d 1, 34(Del.Ch.2010),in cui si afferma che un direttore ha il dovere di promuovere il valore della società a beneficio degli azionisti; William T.Allen .Our Schizophrenic Conception of the Business Corporation ,in “Cardozo Law Review”,14,2, 1992,pag. 281;il rapporto pubblicato dalla British Academy nel 2019 ,Principles for Purposeful Business sostiene la necessità di modificare il diritto societario del Regno Unito riguardo al dovere dei direttori di una società e la senatrice Elisabeth Warren nel 2018 ha proposto l’Accountable Capitalism Act che cerca di imporre ai direttori di società statunitensi con ricavi superiori a un miliardo di dollari di tener conto di tutti gli stakeholder rilevanti e cercare di ottenere un vantaggio generale per la comunità :questo sottolinea un inizio almeno di evoluzione. Gli economisti, in modo teorico ,a differenza dei giuristi ,spesso continuano nell’impostazione ,diciamo ,alla Friedman .Un esempio è Ronald Coase ,altro premio Nobel per l’economia, nel suo libro La natura dell’impresa ,anche se ha un impronta meno marcata e meno polemica di Friedman che in molte sue opere ha anche ,a mio parere, intenti politici evidenti. Per Coase una società è una rete di contratti nel cui ambito tutti, proprietari, manager e lavoratori, reagiscono razionalmente ad incentivi. Le differenze di costo nella fornitura di un determinato bene o servizio determinano se esse avvengano attraverso il mercato o all’interno dell’azienda .Le transazioni si mercato comportano costi di ricerca e raccolta informazioni ,di negoziazione e di vigilanza e sanzione. Gestire queste operazioni all’interno dell’azienda può aiuta a ridurre i costi ma può comportare controllo, complessità. I confini dell’azienda sono determinati dall’equilibrio tra questi diversi fattori. Le attività che si possono realizzare meglio e in modo più efficiente tramite comando e controllo restano all’interno, le altre vengono realizzate attraverso i mercati. L’assunto secondo cui le condizioni contrattuali sono l’unica cosa che incentiva le persone è smentito ,però, dalla realtà dei fatti in molte situazioni .Inoltre una parte dell’incompletezza dei contratti o dell’imperfezione degli incentivi può venire da una certa cultura aziendale .Una forte cultura aziendale può incoraggiare gli stakeholder a tenere comportamenti che le aziende vogliono creare :ad esempio lo scopo è ,si afferma, necessario per una cultura dell’integrità ,la fiducia non si raggiunge semplicemente proclamando regole o osservando protocolli ma attraverso tanti comportamenti ed iterazioni sociali che rafforzano valori e comportamenti .Lo scopo agisce a vari livelli e all’interno di un’azienda crea il capitale sociale per creare valore ,crea team molto uniti ,grande impegno e partecipazione dei dipendenti e all’esterno crea e concentra l’attenzione sul servizio per il cliente e questa attenzione per l’esterno si collega al tradizionale scopo di un’azienda che è quello di servire i clienti .Se un’azienda lo fa bene ,fidelizza il cliente che con il tempo ,da consumatore, diventerà stakeholder ,rinsaldando la fiducia e la correttezza reciproca. L’economia non è fatta da isole, di individui, intenti a massimizzare il profitto che si associano temporaneamente mediante una rete di contratti, ma nell’economia di oggi le aziende creano valore. Lo scopo di un’azienda (cfr. Mark Carney. Il valore e i valori. Un manifesto per ripensare il nostro presente. cit .pag. 475) non è semplicemente la massimizzazione del valore di un solo gruppo di stakeholder ,cioè gli azionisti, ma ,posto che il profitto è essenziale, esso va ottenuto in modo da creare un valore condiviso da tutti gli stakeholder e lo scopo dell’azienda non è nemmeno quello di massimizzare i ritorni di un particolare gruppo come possono essere i dipendenti ,ma di offrire soluzioni per migliorare la società e deve bilanciare gli interessi rivali dei diversi stakeholder: l’azienda più che un nesso di contratti ha una corporate personality , una personalità di impresa ,è più della somma delle parti che la compongono.
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Mark Carney. Il valore e i valori. Un manifesto per ripensare il nostro presente. cit.pag. 478-479.v sull’impatto degli ESG, ricordati da Mark Carney , Milena Prisco .L'impatto ESG sugli assetti societari del Codice della crisi di impresa .Il Sole 24 Ore 20 ottobre 2022 ;Mark Zuckemberg . Bringing the World Closer Togheter .Facebook 22 giugno 2017;Eleventh Amended and Restated Certificate of Incorporation of Facebook Inc, disponibile tramite EDGAR,US Securities and Exchange Commission; Patagonia Works . Annual Benefit Corporation Report ,Fiscal Year 2013 pag. 7-11.L’ex presidente della Corte Suprema del Delaware ,Leo E .Stringe, jr, ha raccomandato di ridurre il requisito della supermaggioranza e altri ostacoli irragionevoli alla trasformazione di una società in B Corp ,come modo per facilitare un miglior governo di impresa negli Stati Uniti. Cfr : ,Leo E .Stringe, jr .Toward Fair and Sustainable Capitalism.Roosevelt Institute, 2020, pag. 13. Personalmente sono piuttosto pessimista. 
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Mark Carney. Il valore e i valori. Un manifesto per ripensare il nostro presente. cit .pag. 484-485 ,490-493, ex governatore della Banca Centrale del Canada e poi della Gran Bretagna, che oltre che fare l’esempio della Toyota degli anni ottanta, propone che i manager di un’azienda siano responsabili personalmente per gli effetti dell’azienda sui suoi stakeholder, dovendo integrare nella gestione del rischio aziendale i fattori ESG rilevanti, i rischi reputazionali, finanziari cui l’azienda può essere esposta.
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In linea generale, le Norme di comportamento del CNDCEC prevedono che un sistema amministrativo-contabile risulta adeguato se permette: la completa, tempestiva e attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione ;la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale; la produzione di dati attendibili per la formazione del bilancio d’esercizio. Secondo le Norme di comportamento del CNDCEC, un assetto organizzativo adeguato deve basarsi essenzialmente sui seguenti elementi: un’organizzazione gerarchica; un organigramma aziendale che definisca in modo chiaro le funzioni, i compiti e le linee di responsabilità ;l’effettivo esercizio dell’attività decisionale e direttiva della società da parte dell’amministratore delegato e dai soggetti ai quali sono attribuiti specifici poteri; procedure che assicurino: (i) l’efficacia e l’efficienza della gestione dei rischi aziendali; (ii) l’efficacia e l’efficienza del sistema di controllo interno; (iii) la completezza, la tempestività e l’attendibilità dei flussi informativi, inclusi quelli inerenti alle società controllate; procedure in grado di assicurare la presenza di personale in possesso dell’adeguata professionalità e competenza necessarie allo svolgimento delle funzioni assegnate; direttive e procedure aziendali, periodicamente aggiornate e diffuse ai vari livelli della struttura organizzativa, con particolare riferimento al sistema dei processi aziendali, al sistema di definizione degli obiettivi strategici (pianificazione strategica e programmazione), al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi aziendali, al sistema di gestione del personale, al sistema di autoregolamentazione e al sistema informativo. Sia le Norme di comportamento del CNDCEC che il Codice di Corporate Governance prevedono quale elemento essenziale di un adeguato assetto organizzativo il sistema di controllo interno, inteso quale “insieme delle regole, delle strutture organizzative e delle procedure volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati”. Francamente ,però ,pur con tutto il richiamo alle norme di comportamento CNDCEC ,siamo in presenza di un ‘ampia discrezionalità che può ,di fatto limitare il principio del .Anche perché se organi competenti a predisporre gli adeguati assetti organizzativi sono, ai sensi e dell’art. 2381, comma 5 c.c., gli organi delegati, mentre organo competente a valutarne l’adeguatezza è, ai sensi e dell’art. 2381, comma 3 c.c., l’organo delegante, e in assenza di organi delegati, gli obblighi di cui sopra gravano sull’amministratore unico o sul CdA nel suo complesso, in pratica il sistema che si dovrebbe applicare ad ogni società , fa sì che gli amministratori non siano gli unici soggetti coinvolti nella pre­disposizione e nel corretto funzionamento di un adeguato sistema organizzativo. Infatti, ai sensi dell’art. 2403, comma 1 c.c., il collegio sindacale vigila sull’adeguatezza del sistema organizzativo :la realizzazione di un adeguato assetto organizzativo si rea­lizza, dunque, attraverso due fasi, una prima, statica, di competenza degli amministratori (deleganti e delegati), e una seconda, dinamica, di competenza dell’organo di controllo .Dunque attraverso il controllo sugli assetti organizzativi non ci vuole molto a controllare le scelte di organizzazione che formalmente rimangono libere . Soprattutto perché si può trattare anche di società non grandi e i due aspetti diventano facilmente poco distinguibili .Una corrispondente ripartizione di competenze viene mantenuta nell’ambito del gruppo di società, in cui gli organi delegati della capogruppo sono tenuti alla predisposizione di assetti adeguati rispetto alla natura e alla dimensione del gruppo complessivamente considerato, anche in funzione di tempestiva rilevazione di indicatori di crisi ovvero segnali di discontinuità delle imprese eterodirette. A questo fine, gli organi delegati della società capogruppo curano la formalizzazione di procedure che garantiscano adeguati flussi informativi dalle società controllate alla holding, come prevede l’art. 2381, quinto comma, c.c., e dalla holding alle società controllate .In realtà su “Assetto organizzativo adeguato…e … e gestione dei rischi aziendali” ,la discrezionalità è ampia .Gli elementi che l’imprenditore deve attenzionare nello sviluppo della propria gestione, da sempre noti nella prassi aziendale, oggi diventano strumento operante ex Lege, ma su quali aspetti, concretamente, l’impresa deve concentrare la propria attenzione? Quali sono gli elementi chiave di un’organizzazione? I concetti sono chiaramente espressi dal documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili “Norme di comportamento del collegio sindacale di società quotate” (aprile 2018, norma Q.3.4) che definisce l’assetto organizzativo “il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità”. Ma a parte che appare esplicitata la necessità di procedere con la redazione di un organigramma aziendale in grado di esprimere funzioni, linee di responsabilità e conseguenti compiti e tale organigramma deve essere la reale esplicitazione dell’esercizio dell’attività decisionale e direttiva da parte dei soggetti ai quali sono attribuiti i poteri e le responsabilità, il resto è abbastanza impreciso. Comunque l’aspetto dell’organigramma, di particolare importanza, per quanto riguarda le realtà di piccole dimensioni, già è un elemento che nelle piccole società costituisce un requisito non sono pienamente rispettato, difficile da rispettare. Pertanto, con confusione tra scelte organizzative e assetti organizzativi adeguati tali da creare difficoltà notevoli. Per esempio, ai fini dell’adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili, così come richiesta dal legislatore ai fini dell’accertamento preventivo della crisi d’impresa, si può far riferimento e fare un collegamento con l’eventuale presenza in azienda di un applicato sistema di pianificazione, programmazione e controllo, quale componente del più ampio sistema amministrativo-contabile? Rappresentato magari da un insieme di strumenti, processi e ruoli, finalizzati a favorire comportamenti che siano in linea con il raggiungimento degli obiettivi aziendali, il sistema di pianificazione, programmazione e controllo agevola la produzione di informazioni necessarie per effettuare le scelte gestionali? Si può far riferimento e un collegamento alla possibilità di produrre situazioni economico, finanziarie e patrimoniali infrannuali, ottenute partendo dai saldi contabili opportunamente integrati con le scritture di assestamento, consente l’adozione di un approccio interno-consuntivo che fornisce indicazione sullo stato di salute dell’impresa ad un determinato istante? Ma se fosse così, pur in un’ottica aziendalista, la differenza tra scelte organizzative e assetti organizzativi diventa indistinguibile e svapora. Comunque, per le piccole società questa ricerca e assetto che mira a obiettivi generali, di tutela degli stakeholders, diventa diabolica. Per una panoramica sulle novità introdotte al Codice della Crisi si veda: CIAN. Crisi dell’impresa e doveri degli amministratori: i principi riformati e il loro possibile impatto. in Nuove leggi civ. comm., 2019, 1160 ss.; S. Fortunato. Codice della crisi e Codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità. Riv. Società, 952 ss.; P. Montalenti. Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e-business judgment rule: una questione di sistema. in Nuovo dir. soc., 2021, I, 11 ss.; V. Calandra Bonaura. Corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti organizzativi nella società per azioni. in Giur. comm., 2020, I, 439 ss.; M. Fabiani, Dai finanziamenti alla adeguatezza dell’assetto finanziario della società. in Fallimento, 2021, 1312 ss.; S. Leuzzi. La scommessa dell’allerta: inquadramento, regole, criticità. in M. Fabiani e S. Leuzzi. La tutela dei creditori tra allerta precoce e responsabilità. in Foro italiano, Speciali 2/2021, 27 ss.; F. Macario. La riforma dell’art. 2086 nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali. in Dirittodellacrisi.it. Adeguati assetti e-business judgment rule in Dirittodellacrisi.it; per un differente tentativo di delineare il possibile contenuto degli adeguati assetti si veda Biancozzi. Adeguati assetti societari, obblighi e opportunità , in La settimana fiscale Il Sole24Ore, 2021, n. 39 che suggerisce l'adozione di un sistema denominato balance scorecard che attribuisce, in un approccio prospettico, importanza determinante ai cosiddetti intangibles ovvero ai marchi ,le relazioni fra clienti ,la formazione e la motivazione del personale ,i progetti di innovazione che “concorrono di fatto a determinare il valore di un’azienda e anzi rappresentano ciò che fa di un’azienda sana un valore culturale all’interno della società “ La prospettiva interessante, per alcuni troppo avanzata per rappresentare un valido paradigma per un sistema imprenditoriale generalmente di piccole dimensioni e, sul punto, inevitabilmente arretrato quale quello odierno. Per me francamente anche nebulosa. Ma non sono un aziendalista.
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Ai fini del configurarsi della responsabilità in capo agli amministratori (e ai sindaci), occorrerà inoltre non solo l’esistenza di un danno, ma altresì la prova che esso non si sarebbe prodotto in presenza di assetti adeguati .In questo senso, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 11105/2019, ha ritenuto non responsabile l’amministratore di una società con riferimento ad un’operazione di affitto di azienda rivelatasi “fallimentare” per l’incapacità patrimoniale e finanziaria dell’affittuaria, in quanto :vi era un adeguato assetto di trasmissione delle fatture e della contabilità e degli incassi ;si trattava di un punto vendita chiuso da tempo e quindi con difficoltà ad essere riavviato; l’amministratore si era attivato senza indugio nel momento in cui era emersa la perdita rilevante del capitale. Varie sono le pronunzie che applicano l'art. 2086, comma 2 c.c., per giustificare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 2409 c.c. Si segnalano: Tribunale Milano 18.10.2009 in www.giurisprudenzadelleimprese.it .Tribunale di Roma 8.4.2020 in Società 2020, 988 con nota di Capelli ed in Giur. It., 2020, 363 con nota di Cagnasso, Tribunale di Roma, 15.9.2020 per cui vedi infra, nonché Tribunale di Cagliari 19.1.2022 in Dirittodellacrisi.it; G. Bianchi. Assetti organizzativi, amministrativi e contabili in Assetti adeguati e modelli organizzativi, opera diretta da M. Irrera. Zanichelli. Bologna. 2020; Correttezza dell’amministrazione sociale e adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili sono diventati clausole generali del moderno diritto societario e già dopo la riforma del diritto societario il catalogo degli obblighi degli amministratori si era ampliato, almeno quello riguardante obblighi di carattere generale come il dovere di agire in modo informato ex ultimo comma art 2381 cc e quello di riservatezza ex ultimo comma dell’art 2391 (cfr. M. Irrera Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali. Milano .2005). “La riforma del diritto societario ha elevato i principi di corretta amministrazione a clausola generale del comportamento degli amministratori” e non si tratta di “mera esplicitazione di compiti già implicitamente è indiscutibilmente ricompresi nella funzione amministrativa o come meccanica traslazione di prassi aziendali consolidate “quanto di una “innovativa regolamentazione del ruolo dei gestori” ( N. Abriani e P. Montalenti. L’amministrazione: vicende del rapporto, poteri, deleghe e invalidità delle deliberazioni. in A. Abriani-S. Ambrosini- O. Cagnasso- P. Montalenti. Le società per azioni .in Tratt .di dir. comm, diretto da G. Cottino . Padova ,4,2010; I. Kutufà. Adeguatezza degli assetti e responsabilità in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras. Torino .2010; P. Montalenti. Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali sulla responsabilità degli amministratori di società per azioni .in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale ,2, Assemblea- Amministrazione. Torino 2006.
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v. I. Capelli. Gli assetti organizzativi adeguati e la prevenzione della crisi. Nota a commento della sentenza del Tribunale Cagliari, Sez. impr.19 gennaio 2022,in Le Società Ipsoa.n.12/2022 .pag.1430 .La sentenza della Corte cagliaritana risulta particolare perché si riferisce al caso non di una società in una situazione critica ,come i provvedimenti contenuti in altre sentenze di altri tribunali ma perché esamina la situazione in un contesto in cui l’impresa non si trova (ancora ) in uno stato di crisi. Sulla gestione nella c.d. zona grigia c’è ampia letteratura ma ,a parte che certe ricostruzioni possono essere viziate dagli esiti ex post di certe iniziative che ex ante è difficile classificare come rischiose o avventate ,ma comunque il rischio è anche una componente economica e le condizioni in cui sono prese certe decisioni cambiano velocemente e per eventi indipendenti da ogni volontà, ma sembra che le argomentazioni giuridiche siano spesso in ritardo su osservazioni economiche oramai risalenti. Infatti, è necessario su questo argomento “mischiare” considerazioni giuridiche e considerazioni economiche sull’incertezza: l’andamento ciclico dell’economia, ad esempio per Keynes, è da ascriversi al mutevole atteggiamento degli investitori all’alternarsi di fasi di ottimismo o di spirito vitale a fasi di pessimismo stagnazionista. Tutto per dire che lo stato dell’aspettativa a lungo termine ,che determina l’efficienza marginale del capitale e il volume dell’investimento corrente, è legata ,secondo Keynes ,più che a un calcolo razionale ,alle attese soggettive degli imprenditori ,come elemento di lungo periodo ,e alla mutevole indole degli speculatori sui mercati borsistici ,come elemento di breve periodo .Entrambi i soggetti hanno in comune il fatto che cercano di infrangere “il velo di ignoranza” che li separa dal futuro ,nonostante agiscano avente in mente prospettive temporali e obiettivi diversi. cfr. Stanic M. La riforma Keynesiana. Analisi della Teoria Generale di J. M. Keynes. Edizioni del Faro.2015.pag. 25 e ss,70; Arrow K., (1974), The Limits of Organizations, Norton, New York, NY.; Cyert R. M., March J. G., (1963), A Behavioral Theory of The Firm, Prentice Hall, Englewood Cliffs, NJ.; Cyert R. M., March J. G., (1963), A Behavioral Theory of The Firm, Prentice Hall, Englewood Cliffs, NJ.; Daft R. L., Lengel R. H., (1984), “Information Richness: A New Approach to Managerial Behaviour and Organizational Design”, in Staw B. M., Cummings L. L., (eds.), Research in Organizational Behaviour, 6, JAI Press, CO.; Daft R. L., Lengel R. H., (1986), “Organizational Information Requirements, Media Richness and Structural Design”, Management Science, vol. 32, n. 5; Daft R. L., Lengel R. H., Trevino L. K., (1987), “Message Equivocality, Media Selection, and Manager Performance: Implications for Information Systems”, MIS Quarterly, September; Daft R. L., Macintosh N. 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D., (1967), Organizations in Action, McGraw-Hill, New York .Finché si regola specifici comportamenti ,per esempio dei soci ex art 2467 cc, la questione giuridica può essere impostata ma per l’ipotesi prevista dall’art 2086 ,comma 2, quando l’impresa si trova in condizione di “equilibrio economico finanziario “?. Non vorrebbe dire ,quasi che gli assetti sono adeguati ?No ,perché ,si risponde spesso ex post ,gli assetti ,quasi per petizione di principio devono consentire la rilevazione di squilibri (ma se c’è equilibrio ,si potrebbe replicare ) di carattere patrimoniale o economico finanziario e la prospettiva di continuità aziendale nei 12 mesi (!)”,nonché permettere il reperimento delle informazioni necessarie ad utilizzare la lista di controllo e ad effettuare il test pratico di cui all’art 13,comme 2, CCII, unitamente alla rilevazione di alcuni segnali ,tra i quali i ritardi nei pagamenti delle retribuzioni e la presenza di debiti scaduti verso i fornitori ,le banche, gli altri intermediari finanziari e i creditori pubblici qualificati oltre una determinata soglia (art. 3,comma 4, CCII” che ha prodotto l’osservazione (con un diverso assetto normativo cfr. M. Cataldo. La soggezione dell’impresa in crisi al regime di allerta e di composizione assistita .in Fall. 2016.pag. 1023) che l’attenzione risulta concentrata sui prodromi della crisi, quando l’equilibrio non c’è, e non sulle ragioni della futura crisi. Ma il problema è ,ripeto ,quando esiste l’equilibrio e non vi sono fatti specifici . Quella è la vera c.d. zona grigia che può esserci prima della crisi dove si può arrivare a ritenere che certe iniziative, legittime e anche economicamente convenienti o usuali e normali, adatte cioè alle circostanze, possono mettere a rischio gli interessi degli stakeholders, primi tra tutti i creditori. cfr. L. Stanghellini . Director’s Duties and the Optimal Timing of Insolvency. A Reassessment of the “Recapitalize or Liquidate “Rule .in Il diritto delle società oggi .Innovazioni e persistenze .a cura di P. Benazzo- M. Cera -S. Patriarca .Torino .2011.pag.733;MS Spolidoro .Note critiche sulla “gestione di impresa “nel nuovo art.2086(con una postilla sul ruolo dei soci ).in Riv. Società 2019 pag. 253 e ss; P. Benazzo. Il Codice della crisi di impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta :diritto societario della crisi o crisi del diritto societario ?.in Riv. Società.2019.pag.287 e ss. per le influenze dell’economia, macro, sulla economia, micro, sui comportamenti individuali, per tutti: R. Dornbusch, S. Fischer, R. Startz, G. Canullo, P. Pettenati. Macroeconomia. McGraw Hill.2014.pag. 348; Paul Krugman, Robin Wells, Kathryn Graddy. L'essenziale di economia. Zanichelli, seconda edizione. 2012; Paul Krugman e Robin Wells. Macroeconomia. Zanichelli. Seconda edizione italiana condotta sullaterza edizione americana 2013.pag 508 circa la nascita del termine macroeconomia; Paul Krugman e Robin Wells. Microeconomia. Zanichelli. Seconda edizione italiana condotta sulla terza edizione ameircana. 2013. Paul Samuelson, William D. Nordhaus, Carlo A. Bollino. Economia. McGraw-Hill. 2009, D. Ariely. Prevedibilmente irrazionale. Rizzoli 2008.Kennet Arrow. Scelte sociali e valori individuali. Milano. Etas. 2003.George A. Akerlof e Robert J. Shiller. Ci prendono per fessi. L'economia della manipolazione e dell'inganno. Mondadori. 2016. Robert J. Shiller. Economia e narrazioni. Come le storie diventano virali e guidano i grandi eventi economici. Franco Angeli editore .2020. Robert J. Shiller. Euforia irrazionale. Alti e bassi in Borsa. Il Mulino. 2020.R Luigi Pasinetti. Alcune ipotesi contro-fattuali sulla presente crisi. Investimenti, profitti, crescita e distribuzione dei redditi su Alfabeta 2 del 31 marzo 2011, stralcio dell’intervento al convegno «Gli economisti post-keynesiani di Cambridge e l’Italia», Accademia nazionale dei Lincei, 11-12 marzo 2009. Testo abbreviato (con omissione dei passi più circostanziati) per un pubblico non accademico...; Luigi. Pasinetti, Keynes e i Keynesiani di Cambridge. Una ‘rivoluzione in economia’ da portare a compimento, Laterza, Roma 2010; L. Pasinetti. Keynes e i Keynesiani di Cambridge. Laterza. 2010.Mancur Olson. The Rise and Decline of Nations. Economic Growth, Stagflation and Social Rigidities. New Haven – London [Ascesa e declino delle nazioni. Crescita economica, stagflazione e rigidità sociale. Il Mulino .1984] P. De Grauwe. Economia dell’unione monetaria. nona edizione. Il Mulino.2012. N. Wapshott. Keynes o Hayek. Lo scontro che ha definito l'economia moderna. Feltrinelli. 2011. Nurkse.International Investement to -day in the light of nineteenth- century Experience. Economic Journal 64, dicembre 1954; Zachary D. Carter. Il prezzo della pace. Economia, democrazia e la vita di John Maynard Keynes. Neri Pozza 2022. p.363 John Maynard Keynes. A Treatise on Money: The Pure Theory and the Applied Theory of Money. Complete Set. Martino Fine Books (1930) 201p.399-402. Trattato sulla Moneta. In due volumi. Feltrinelli 1979. Quello che era sbagliato nel sistema del gold standard era anche un’ implicita concezione per la quale ci fossero paesi peccatori e paesi non peccatori ,che i paesi in deficit ,o peggio con debiti ,avessero delle colpe ,fossero cattivi ,che dovessero soffrire come prezzo della loro pigrizia o debolezza .Ma in economia non è mai stato così. Rispetto all’esempio citato nel testo facciamone un altro legato ad una specifica manovra di politica economica che ha effetti sulle imprese, così come non solo la sua adozione ma anche il suo cambiamento magari entrambi repentini. Basta pensare alla “Treasury view” degli anni 20. Essa parte dall’assunto che il tasso di interesse (quello che le banche applicano ai prestiti alle imprese) sia il punto di equilibrio tra gli investimenti e i risparmi poiché, come afferma la teoria neoclassica, il tasso di interesse altro non è che un “prezzo” al quale la domanda (prestiti) e l’offerta (risparmi) si equilibrano. Partendo da una situazione di equilibrio, se si provasse ad aumentare la spesa pubblica (G) si determinerebbe un tasso di interesse ( i’) maggiore di quello di equilibrio (“i). Ciò però avrebbe effetti negativi sull’investimento (privato) I, poiché gli imprenditori subirebbero maggiori costi per finanziarsi. Inoltre, l’aumento del tasso di interesse avrebbe conseguenze negative anche sui consumi come riflesso dell’aumento del risparmio. La maggiore spesa pubblica G, quindi, provocherebbe una minore spesa privata (in investimenti e consumi) pari al suo ammontare. Per usare il linguaggio neoclassico, la spesa pubblica “spiazza” quella privata e fa aumentare il tasso di interesse. Viceversa, una riduzione della spesa pubblica non potrebbe che avere effetti positivi! Difatti le maggiori risorse a disposizione del sistema privato e la riduzione del tasso di interesse favorirebbero gli investimenti. Cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento? In primo luogo, è abbastanza difficile stabilire un nesso causale che porta dagli investimenti e dai risparmi al tasso di interesse. Le decisioni di investimento sono prese dagli imprenditori in base alle aspettative e solo secondariamente rispetto al tasso di interesse. Le decisioni di risparmio invece sono prese dalle famiglie e dipendono dal reddito disponibile: più si guadagna più sarà facile risparmiare. Nulla assicura quindi che il tasso di interesse sia davvero quel prezzo che equilibra investimenti e risparmi. Nel capitalismo attuale, poi, le cose sono molto più complesse, considerando che una parte rilevante del risparmio delle famiglie finisce nel calderone dei mercati finanziari (“Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile”, diceva Keynes)”. Infine, il tasso di interesse applicato dalle banche ai propri clienti è legato alla politica monetaria della banca centrale. Per tutte queste ragioni, come detto, e anche altre, è bene considerare il tasso di interesse come una variabile non determinata dall’equilibrio tra investimenti e risparmi. Che è una vecchia idea superata. Il tasso di interesse è determinato dalla Banca centrale che magari alza i tassi per combattere l’inflazione. Non comunque è determinato dall'incrocio tra investimenti e risparmi. Emerge quindi chiaramente la prima falla nel punto di vista del Tesoro: la pretesa che l’aumento di spesa pubblica determini un aumento del tasso di interesse. In effetti non c’è giustificazione alla relazione tra queste variabili nel modo descritto dalla “Treasury view”.Che è stata in auge nell'U.E. provocando gli stessi danni degli anni 20.La seconda falla del punto di vista del Tesoro è conseguente: l’aumento della spesa pubblica non spiazza la spesa privata, se non in condizioni particolari (piena occupazione delle risorse produttive).Ma questa politica economica o l’adozione di una diversa politica ha influenza sulle imprese e i loro adeguati assetti ?Certo ,a meno che non si pensa che ogni impresa ,grande e piccola possa prevedere tutti i cambiamenti ,anche questi ed adeguarsi :una sorta di Ercole .In economia forse oramai solo oramai Robert Lucas pensa qualcosa di simile. Ma al di là di Keynes e dei keynesiani ,di vecchie situazioni ,circa l’incertezza ed eventuali colpe o responsabilità in economia possiamo giungere all’attuale Lord Mervyn King ,ex governatore della Banca d'Inghilterra ,che con il libro The End of Alchemy ,parla di incertezza radicale che ' si intende un'incertezza talmente profonda da impedire di fare delle previsioni esaustive sul futuro”: "accade di tutto": si pensi a Lehman, alla Grecia, alla Brexit e a Trump, tutti eventi che possono condurre o condurranno a cambiamenti di regime che renderanno obsolete le vecchie relazioni empiriche. Negli Studi di organizzazione, una prima definizione di incertezza deriva dagli studi condotti nell’ambito delle teorie delle decisioni (March, Simon, 1958; March, 1994). In conformità a questa concezione occorre distinguere fra: situazioni di certezza; situazioni di rischio; situazioni di incertezza. Una classica definizione di incertezza (Thompson, 1967) distingue fra incertezza nei fini ed incertezza nei mezzi: nel primo caso non sono chiari gli obiettivi da conseguire, mentre nel secondo non sono chiare le soluzioni da adottare per raggiungere quei risultati. Tale concezione di incertezza può essere comunque ampliata, considerando anche ulteriori situazioni che un individuo si trova a dover gestire: incertezza nelle preferenze; incertezza nella valutazione delle azioni e degli effetti; incertezza nelle relazioni causa effetto; incertezza nelle alternative di comportamento. In molti casi, potrebbe essere difficile valutare ex post le azioni messe in atto o le conseguenze delle proprie scelte o di eventi di contesto. Potrebbe, ad esempio, essere tecnicamente difficile osservare e misurare le risorse consumate per eseguire un’attività, i risultati raggiunti, il modo con cui l’attività è stata eseguita, il comportamento nei fatti seguito. Non si possono, poi, trascurare gli insegnamenti di Keynes, in qualche modo oggi ripresi anche da Robert Shiller. Keynes, nel capitolo 15 della Teoria Generale, metteva in evidenza a proposito del tasso di interesse e della moneta che esistevano tre modalità per le quali la moneta poteva essere domandata. Metteva in evidenza come il tasso di interesse, che è una determinante delle condizioni economiche, che consente o influisce sulle decisioni di investire è soggetto a incertezza, a decisioni altamente discrezionali, poco razionali e prevedibili a convenzioni.
Il primo motivo per le quali la moneta poteva essere domandata era per effettuare pagamenti per acquistare beni e servizi (motivo transazionale).
Il secondo motivo era per far fronte a eventi imprevedibili, che richiedono pagamenti non differibili, come il guasto di un’automobile o una malattia, (motivo precauzionale). 
Il terzo motivo è quello speculativo, perché gli individui, almeno alcuni di loro desiderano detenere scorte liquide per poterle investire prontamente sul mercato finanziario lucrando le migliori opportunità di profitto.
La moneta speculativa si esprime sul mercato dei titoli dove gli operatori scambiano moneta con titoli. I titoli comportano un immobilizzo, ma fruttano un interesse.
Immobilizzare una parte delle proprie scorte liquide in titoli comporta una rinuncia alla possibilità di investire in altre attività. Da qui l’esigenza di essere compensato per questa perdita di liquità del proprio portafoglio.
Il tasso di interesse è esattamente definito il premio che ricompensa per la rinuncia alla liquidità necessaria a investire in un determinato asset. Tanto più gli individui desiderano detenere moneta liquida, più dovrà salire il tasso di rendimento dei titoli per convincerli a rinunciarvi. Il tasso di interesse, si dice si può definire come il “costo opportunità “di detenere moneta in forma liquida.
Ma mentre i primi due motivi (transazionale e precauzionale) dipendono e fanno dipendere la domanda di moneta dal reddito, il terzo motivo (speculativo) è in gran parte indipendente dal reddito.
La domanda di moneta speculativa è molto instabile, dipende dalle aspettative su una serie di variabili non solo economiche, che è difficile prevedere e conoscere con certezza.
La preferenza per la liquidità degli individui dipende non solo dal tasso di interesse ma anche dalle aspettative sul valore dei titoli e dei rendimenti a lungo termine, varia molto rapidamente e tende ad essere molto alta in periodi di forte incertezza nella quale gli operatori percepiscono un forte aumento del rischio di insolvenza o perdite sui titoli.
Essa è basata, dice Keynes, con osservazioni che più di recente anche Robert Shiller ha ripreso ed approfondito, su giudizi e valutazioni che Keynes descrive come “psicologici “ma soprattutto “convenzionali “, basati cioè sulle opinioni prevalenti tra gli operatori ,le quali spesso poco hanno a che fare con l’analisi dei valori fondamentali dell’economia o delle aziende e sono soggette ad ondate di pessimismo e ottimismo e possono rimanere stabili per molto tempo. 
Da qui, tra l’altro, una serie di motivi per i quali il tasso di interesse può rimanere a livello elevato per un lungo periodo di tempo, in rapporto alla reddittività attesa degli investimenti, franando le decisioni di investimento.
Questa originaria osservazione di Keynes, ripresa oggi da Robert Shiller, Daniel Kahneman e Amos Tversky, rendono molto incerto l’investimento azionario ed obbligazionario, comunque il rapporto (esclusivo) con i mercati. Soprattutto in relazione all’impiego per esempio del risparmio pensionistico.
Il tasso di interesse, inoltre, può essere mantenuto a livelli elevati anche per motivi macroeconomici, tipo lotta all’inflazione, cioè per decisioni di politica economica o dettate da motivazioni macroeconomiche, che prescindono da una valutazione dei fondamentali delle aziende.
Esso influisce sul sistema di finanziamento delle imprese. Influisce sulla crescita, la piena occupazione e il sistema economico.
In Italia (ma non solo) se il tasso di si alza o si abbassa, questo provoca effetti sull’attività bancaria e di finanziamento alle imprese, deprimendo o alzando in modo anche indiretto, il loro valore e reddittività e perciò influendo sul mercato azionario e obbligazionario. 
Ma anche nei paesi anglosassosi (o meno banco centrici) le variazioni del tasso di interesse influenzano comunque il sistema di finanziamento alle imprese, alzando o diminuendo i loro valori. Perciò, in connessione all’impiego del risparmio pensionistico, un sistema a capitalizzazione subisce molto di più di uno a ripartizione le conseguenze di variazioni di parametri economici (tasso di interesse), variazioni che spesso avvengono per considerazioni macroeconomiche di tipo generale. Ma che hanno conseguenze sul sistema di finanziamento delle imprese, sia esso più bancocentrico sia esso più basato sul ricorso al mercato azionario. cfr. Francesco Saraceno .La scienza inutile. Luiss University Press.2019.pag.88- 90 e 133 e ss sulla teoria delle aspettative razionali di Lucas e sulla razionalità degli agenti e la loro propensione a effettuare scelte anche solo soddisfacenti e definire i piani d’azione ,per limiti cognitivi o altre motivazioni ,che escludono le opzioni che comportano costi eccessivi o costi per cui raccogliere informazioni non massimizzano l’utilità nonché sul dibattito circa l’effetto dei moltiplicatori ,dibattito nato dal lavoro di O. Blanchard e D. Leigh. "Growth forecast errors and fiscal multipliers". International Monetary Fund Working Papers13/1.Pensiamo ad esempio agli i errori di previsione circa gli effetti dei moltiplicatori: possono determinare provvedimenti o conseguenze immediate che influiscono sulle imprese, determinano recessione, conseguente credit crunch ecc. Quali sono, questa la domanda in termini più tecnici, i moltiplicatori di tassazione e spesa pubblica? Cosa vuol dire? Queste sono state le domande di un recente dibattito. Si riteneva prima della crisi che fossero pari a 0,5. Durante la crisi si è visto che i moltiplicatori possono essere superiori a 1, addirittura fino a 2. Cosa vuol dire? Che ad esempio un taglio della spesa pubblica (ugualmente per la tassazione) provoca una conseguenza sul PIL (come diminuzione) non di 0,5 euro, ma più dell’1 euro. Questo cambia moltissimo tutto. Come ripercussione su tutti noi, su tutto. Se l’incidenza immediata sul Pil e sui redditi in periodo di crisi da tagli alla spesa pubblica ha un effetto maggiore di 1 euro anziché di 0,5 euro, l’incidenza raddoppia. Vuol dire che certe politiche di tagli non sono sostenibili. Se il Pil si riduce con questo moltiplicatore (la riduzione della spesa incide sul Pil per più dell1%) certe politiche sull’immediato peggiorano (e di molto) la situazione. Ma questi effetti che prima di questi studi si stimava non ci fossero o fossero trascurabili; invece, si è scoperto che sono rilevanti. Ogni istituto di previsione, pubblico o privato, di aziende o di Stati stimava che tagli di spesa pubblica o modifiche alla tassazione avessero un’incidenza minore, lieve e invece si scopre che non è così (cfr. C. Glocker. G. Sestieri e P.Towbin “Time -varyng fiscal spending multipliers in the UK”.Banque de France Working Paper 643,Settembre 2017). Sulla crisi del 2008 e sugli effetti collaterali, senza colpe specifiche degli Stati, cfr. Paul Krugman. Il ritorno dell'economia della depressione e la crisi del 2008. Garzanti. 2009. pag. 198-200).
[12] 
Trib. Milano 21 ottobre 2019.in Le Società Ipsoa .2020.988 con nota di I. Capelli. Assetti adeguati, controllo dei sindaci e denuncia al tribunale ex art. 2409; Trib. Roma 15 settembre 2020, in Giur. comm. II,2021, pag. 1358, con nota di S. Fortunato. Atti di organizzazione, principi di correttezza amministrativa e Business Judgment Rule.
[13] 
M. Bini. Procedura di allerta: indicatori della crisi ed obbligo di segnalazione da parte degli organi di controllo .in Le Società.n.4/2019.pag.430; N. Abriani e A. Rossi .Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile :prime letture .in Le Società.n.4/2019.pag. 393; L. Calvosa. Gestione dell’impresa e della società alla luce dei nuovi art. 2086 e 2475 c.c. in Le Società.n.7/2019.pag. 799; G. Verna. Strumenti per il nuovo assetto organizzativo delle società .in Le Società n. 8-9/2019. pag. 929.
[14] 
F. Brizzi .Procedure di allerta e doveri degli organi di gestione e controllo: tra nuovo diritto della crisi e diritto societario in Orizzonti del Diritto Commerciale 345 Fascicolo 2|2019.pag 345 e per esempio sui rapporti tra l’art .2086 e l’art. 2475 v. Massima n. 183 del 17 settembre 2019 del Consiglio Notarile di Milano ,che ritiene che sono legittime le clausole statutarie che attribuiscano a soci non amministratori, come diritto collettivo ai sensi dell’articolo 2479 c.c. o come diritto particolare ai sensi dell’articolo 2468, comma 3, c.c., poteri decisionali inerenti la gestione dell’impresa, devono considerarsi invece incompatibili con il disposto di legge le clausole statutarie che attribuiscano a soci non amministratori il diritto o il potere di dare diretta esecuzione alle decisioni gestionali assunte dagli aventi diritto…… e si osserva “Tuttavia, ciò che suscita perplessità, in questa tesi, è che essa introduce una distinzione all’interno del concetto di gestione che non sembra fondata su alcun dato normativo né su alcuna considerazione sistematica. La “gestione” della società, intesa come svolgimento dell’attività di impresa organizzata in forma societaria, comprende infatti pacificamente tanto i profili organizzativi quanto i profili più propriamente operativi, ed ipotizzare una cesura tra questi due aspetti della gestione appare una forzatura sia dal punto di vista letterale sia dal punto di vista logico. È vero che il nuovo articolo 2475 c.c. contiene il richiamo all’art. 2086 c.c. e dunque ai doveri di istituire adeguati assetti organizzativi: ma la nuova formulazione dell’art. 2086 c.c. semplicemente implica (o chiarisce) che la gestione, complessivamente intesa e dunque comprensiva di tutti i profili coinvolti nello svolgimento dell’attività di impresa, deve anche darsi carico, appunto, di istituire una adeguata organizzazione interna. Non vi è alcun elemento letterale che consente di riscrivere la nozione di “gestione” nel senso di comprendevi solamente i profili organizzativi e non quelli operativi…”. cfr .P. BENAZZO, Il Codice della crisi di impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta: diritto societario della crisi o crisi del diritto societario?, in Riv. soc., 2019, 274 e ss. ed ivi 303 e s. secondo cui la gestione dell’impresa riservata ora in via esclusiva agli amministratori può essere fatta coincidere con la “sola” predisposizione di idonei assetti organizzativi; nonché N. RICCARDELLI, Il sistema di amministrazione nelle s.r.l. dopo il codice della crisi e dell’insolvenza, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2019, 1002 e ss., secondo il quale tale interpretazione si lascia preferire; O. CAGNASSO, Diritto societario e mercati finanziari, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2018, fascicolo 5;; G.A. TRIMARCHI, Codice della crisi: riflessioni sulle prime norme, in Not., 2019, 115 e ss.; D. LATELLA, Nuovi assetti organizzativi societari e Codice della crisi d’impresa, in Federnotizie 2019, reperibile su www.federnotizie.it; V. CALANDRA BONAURA, Amministratori e gestione dell’impresa nel Codice della crisi, intervento nel corso del XXXIII Convegno di studio su Crisi d’impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo Codice e nuova cultura (Courmayeur, 20 – 21 settembre 2019). Una particolare proposta interpretativa viene avanzata da G.A. RESCIO, Brevi note sulla “gestione esclusiva dell’impresa” da parte degli amministratori di s.r.l.: distribuzione del potere decisionale e doveri gestori, contributo pubblicato sul portale online di Giuffrè Editore http://ilsocietario.it/, il quale avanza una ricostruzione che non si basa su una distinzione delle “diverse sfere” del potere decisionale, bensì sul piano del “dovere di gestione”. Secondo l’Autore, in particolare: “ne deriva che in questi casi – casi di potere decisionale in materia gestoria riservato ai soci – il dovere di gestione spettante in via esclusiva agli amministratori consiste nello stimolare le decisioni dei soci più appropriate, nel monitorarne gli esiti e l’impatto sull’organizzazione d’impresa e sulla gestione operativa, nel rifiutarne l’attuazione nelle ipotesi in cui attuare quelle decisioni sarebbe fonte o pericolo di danno per la società, i creditori, i singoli soci o i terzi . Nei casi di non adozione da parte dei soci di decisioni ritenute imprescindibili dagli amministratori ai fini di un assetto organizzativo adeguato e di una gestione dell’impresa coerente con i principi e gli obblighi derivanti da una gestione diligente e corretta, gli amministratori – dopo averne invano invocato l’assunzione – devono attivare tutti i mezzi che il sistema metta a loro disposizione per rimediare all’inerzia dei soci e, se del caso, abbandonare la carica”. In senso contrario rispetto ad ogni ricostruzione cd. “riduzionista”, v. L. CALVOSA, Gestione dell’impresa e della società alla luce dei nuovi artt. 2086 e 2475 c.c., in Soc., 2019, 799 e ss. ed ivi 800 secondo la quale: “la norma – in ordine alla quale a mio avviso non può essere ignorata la rilevanza della totale coincidenza (anche lessicale) con il principio dettato per le S.p.a. dall’art. 2380-bis c.c. – non può che avere nella S.r.l. il significato che ad essa è attribuito nella S.p.a.”. Detta interpretazione, secondo l’Autrice, implica che anche nella S.r.l., nonostante il riconoscimento dell’esclusività della gestione degli amministratori, rimangono ferme le competenze legali previste in capo ai soci, quali quelle di cui all’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c. Negli altri casi, quali quelli di cui all’art. 2468, comma 3, c.c. il sistema sarà quello delle autorizzazioni di cui all’art. 2364, comma 1, n. 5, c.c. 
[15] 
R. Rordorf Gli assetti organizzativi dell’impresa ed i doveri degli amministratori di società delineati dal novellato art. 2086, comma 2, c.c. in Riv. Le Società n. 12/ 2021.pag.1325 ss, secondo il quale la dottrina aziendale dà sufficienti soluzioni. Sull’ideologia illiberale sottesa all’originaria formulazione del titolo dell’art. 2086 c.c., si veda M.S. Spolidoro, Note critiche sulla “gestione dell’impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. Società, 2019, 253 ss., a parere del quale il primo comma di tale articolo, nel nuovo contesto storico dell’Italia repubblicana, sarebbe ormai privo di qualsiasi valore; il nuovo titolo, riferito alla gestione dell’impresa, sarebbe invece viziato da un eccesso di ambizione ;sui doveri dei sindaci, quando si manifesti una crisi d’impresa, si veda la recente monografia di R. Russo, Collegio sindacale e impresa in crisi, Milano, 2021; P. Montalenti ,Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: assetti adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta nel quadro generale della riforma, in Crisi d’impresa, prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, a cura di P  Montalenti e M .Notari ,Milano, 2021, 13 ss.;; S. Fortunato, Codice della crisi e codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, in Riv. Società, 2019, 952 ss; V. De Sensi, Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Riv. Società, 2017, 311 ss. S. Ambrosini, Doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del Codice della crisi e della “miniriforma” del 2021, in www. Diritto bancario, 2021;Il Tribunale di Cagliari nella sentenza citata entra nel merito delle carenze riscontrate e fornisce spunti operativi ma che da una parte non superano il test di genericità ,dall’altra diventerebbero ,in pratica ,concreta amministrazione della società ,sotto forma di controllo sugli assetti .Afferma il Tribunale che per quanto “concerne l’assetto organizzativo, sono state riscontrate le seguenti carenze: -organigramma non aggiornato e difetta dei suoi elementi essenziali;-assenza di mansionario ;-inadeguata progettazione della struttura organizzativa e polarizzazione in capo a una o poche risorse umane di informazioni vitali per l’ordinaria gestione dell’impresa (ufficio amministrativo ); -assenza di un sistema di gestione e monitoraggio dei principali rischi aziendali “. Con riferimento all’assetto amministrativo: “mancata redazione di un budget di tesoreria;-mancata redazione di strumenti di natura previsionale ;-mancata redazione di una situazione finanziaria giornaliera ;-assenza di strumenti di reporting;-mancata redazione di un piano industriale “[Chissà se le agenzie di rating hanno chiesto tutto questo a Lehman e se posto che ci fosse che rilievo ha avuto per le note vicende.].In ultimo, per quanto attiene all’assetto contabile, l’ispettore rileva le seguenti carenze: la contabilità generale non consente di rispettare i termini per la formazione del progetto di bilancio e per garantire l’informativa ai sindaci [che mi sembra uno dei pochi rilievi giusti];-assenza di una procedura formalizzata di gestione e monitoraggio dei crediti da incassare;-analisi di bilancio unicamente finalizzata alla redazione della relazione sulla gestione ;-mancata redazione del rendiconto finanziario “cfr. Francesco Aliprandi e Alessandro Turchi .Spunti operativi sugli adeguati assetti alla luce della recente pronuncia del Tribunale di Cagliari .in Diritto della crisi del 12 aprile 2022; Massimo Billi Codice della Crisi d’Impresa : Adeguati assetti organizzativi e ruolo degli Amministratori ,in Riv. Diritto e Processo .2020; per la scienza aziendale v. Paolo Bastia. Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese a struttura complessa e nei gruppi societari .Fascicolo N.1/2022 in LA MAGISTRATURA del 3 marzo 2022; Paolo Bastia, Edgardo Ricciardiello. Gli adeguati assetti organizzativi funzionali alla tempestiva rilevazione e gestione della crisi: tra principi generali e scienza aziendale .in Banca. Impresa. Società n.3/2020, dicembre. Il Mulino
[16] 
v. Consorzio Pattichiari “Elenco obbligazioni basso rischio/ rendimento; Tribunale di Venezia del 5 novembre 2009 con nota di Francesco Guariniello. L’evento imprevedibile e gli obblighi informativi dell’ intermediario: il fallimento Lehman Brothers, un caso al limite dell’ordinaria diligenza in Diritto Bancario 10 marzo 2010; Tribunale di Roma ,III sezione Civile 12 giugno 2013 n. 12766 che ha statuito che l’acquisto di obbligazioni Lehman Brothers era classificato come investimento affidabile fino al 15/09/2008; Tribunale di Pordenone dell’8 novembre 2013 n. 898 che si allinea all’orientamento giurisprudenziale che ritiene non prevedibile il fallimento e fa riferimento alle principali agenzie di rating che consideravano la banca come molto affidabile assegnandole in complesso una categoria di rating A caratterizzata da basso rischio e affidabilità alta per il pagamento delle cedole. cfr. Ray Dalio. principi per capire le grandi crisi del debito. Hoepli. 2020.pag. sulle crisi degli anni venti , degli anni trenta e del 2008 e come le previsioni ,anche di illustri personaggi e istituzioni fossero fallaci e su come certi assetti ,ad esempio gold standard ,possano influire negativamente nel risolvere la crisi ,aggravandola v. pag.,117 e 118 sulle parole di Thomas Lamont di J.P Morgan e del famoso economista Irving Fisher alla vigilia della crisi degli anni trenta e pag. 126-127 sul glod standard e il freno che costituiva per l’azione della Fed ,pag. 179 su quello che scriveva in modo irreale o irresponsabile o non informato oppure perché semplicemente non era prevedibile , la Fed, l’equivalente della nostra Bce , il 7 agosto 2007 quando già il mercato dei mutui stava collassando come attestano le vicende del 9 agosto di BNP Paribas ,la prima banca di Francia.
[17] 
Seth Stephens - Davidowitz. La macchina della verità. Come Google e i Big Data ci mostrano chi siamo veramente. cit. pag. 224.

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Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

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Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
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  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

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