È noto che vi è una differenza strutturale tra l’accertamento in sede di liquidazione giudiziale del passivo rispetto al concordato preventivo.
In caso di liquidazione giudiziale, chiunque intenda partecipare al concorso, ha l’onere di chiedere l’accertamento della propria pretesa, secondo il dettame degli artt. 200 e seguenti del CCII; di converso, per quanto attiene al concordato preventivo, non si riscontra alcun passaggio di tale procedimento che sia finalizzato alla verifica dei crediti. Dunque, il creditore che voglia vedere accertata la propria pretesa, dovrà ricorrere «agli ordinari mezzi di tutela processuale cognitoria, tanto in pendenza della procedura quanto successivamente all’omologazione»[1].
Insegna la giurisprudenza: «in tema di concordato preventivo, il creditore contestato ha diritto ad ottenere il pagamento del proprio credito solo al verificarsi della definitività del provvedimento giudiziale che consacra il suo diritto di credito; dall'altro, il creditore contestato, pur munito di titolo provvisoriamente esecutivo, non può neppure procedere ad esecuzione forzata sui beni del debitore concordatario nonostante la definitività del decreto di omologa del concordato»[2].
«Nell'ambito del concordato preventivo non ha luogo una verifica sostanziale e giudiziale dei crediti, contrariamente a quanto accade per l'ammissione al passivo nella procedura fallimentare, bensì una ricognizione di natura sostanzialmente “gestionale-amministrativa”, diretta non già ad accertare l'esistenza e la misura di ciascun credito, ma a determinare quali creditori abbiano diritto a partecipare alla deliberazione sulla proposta concordataria , restando impregiudicata ogni decisione sull'an, sul quantum e sul rango del credito, da pronunciarsi in sede di cognizione ordinaria nel giudizio che, eventualmente, il creditore rimane libero di proporre nei confronti del debitore.»[3]
«Questo tipo di “accertamento” concordatario prende le mosse dall'elenco dei creditori che il debitore, con tutte le limitazioni, ha l'obbligo di depositare senza che tale comportamento possa assurgere a riconoscimento del debito.
Ciò avviene alla luce dell’art. 104 CCII. Il commissario giudiziale, sulla scorta delle scritture contabili dell'imprenditore proponente, procede all'esame delle varie ragioni creditorie (art. 104 CCII), apportandovi le necessarie “rettifiche”, generalmente intese come correzioni di eventuali errori materiali o aggiornamenti dell'elenco dei creditori in base alle risultanze della contabilità, al fine di stabilire, quantomeno in prima approssimazione, quali soggetti abbiano il potere di partecipare alla deliberazione di concordato»[4].
Recente pronuncia della Corte Suprema impone che il debitore proponente all’atto della presentazione del ricorso con l’annesso piano, deve, in ordine ai crediti contestati, fare una apposita classe e spiegare le ragioni e le motivazioni della confutazione: «In tema di concordato preventivo, la sussistenza di crediti oggetto di contestazione giudiziale non preclude il loro doveroso inserimento in una delle classi omogenee previste dalla proposta, ovvero in apposita classe ad essi riservata; assolvendo tale adempimento-ricadente sul debitore ed oggetto di controllo critico sulla regolarità della procedura che il tribunale deve assolvere direttamente,- si obbedisce ad una fondamentale esigenza di informazione dell'intero ceto creditorio: da un lato, infatti, tale omissione pregiudicherebbe gli interessi di coloro che al momento non dispongono ancora dell'accertamento definitivo dei propri diritti (ma che possono essere ammessi al voto, ex art. 176 L. fall con previsione di specifico trattamento per l'ipotesi che le pretese siano confermate o modificate in sede giurisdizionale); dall'altro, essa altererebbe le previsioni del piano di soddisfacimento degli altri creditori certi, non consentendo loro di esprimere valutazioni prognostiche corrette e di atteggiarsi in modo pienamente informato circa il proprio voto»[5].
Sempre nella fase genetica ed embrionale la Cassazione ritiene ammissibile la proposta di concordato, nella quale il proponente indica l’incisività variabile della contestazione del credito: «è ammissibile la domanda di concordato che, ferme restando la proposta e le modalità di attuazione della stessa previste nel piano, prospetti la possibilità di diverse percentuali di soddisfacimento dei creditori, ricomprese entro una forbice variabile tra una soglia minima ed una massima, a seconda dell'esito dell'accertamento dei crediti in contestazione vantati da terzi»[6].
Se, dunque, la proposta concordataria è reputata ammissibile e fattibile per il collegio decisorio, sarà il giudice delegato a delibare il regime dei crediti contestati.
Dopo questo controllo iniziale di carattere preliminare, un altro più approfondito - superata la fase dell’ammissibilità della proposta perché il piano è fattibile - veniva attuato nel corso dell'adunanza prevista dall’art. 174 L. fall. per la deliberazione sulla proposta di concordato, dove il giudice delegato, alla presenza del debitore, del commissario giudiziale e dei creditori concorrenti, procedeva all'accertamento della sussistenza, dell'entità e della natura di crediti ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze. Ora con il codice della crisi ai sensi dell’art. 107 l’adunanza dei creditori non è più prevista ma anche ora lo scrutinio dei crediti condotto dal Giudice Delegato ha quindi natura esclusivamente amministrativa e non sostanziale, in quanto viene attuato all'unico scopo di ammettere un creditore al voto e di computare il raggiungimento delle maggioranze, senza che esso possa in alcun modo pregiudicare le pronunce definitive sulla sussistenza dei crediti stessi.
«Si tratta, infatti, di una delibazione meramente incidentale e sommaria, basata su un'istruttoria di natura esclusivamente documentale inidonea alla formazione di un giudicato, dove il potere del giudice delegato in ordine all'ammissione o all'esclusione di uno o più crediti, secondo l'opinione predominante, può venire esercitato d'ufficio, e non solo dietro la sollecitazione o la contestazione di una parte (debitore, creditore), come spesso accade ogniqualvolta il commissario giudiziale giunga a prospettare questioni problematiche in ordine all'esistenza o all'ammontare del credito, oltreché alla ricorrenza di cause di prelazione»[7].
In caso di contestazione di un credito, quindi, l'eventuale sua ammissione totale o parziale alla votazione, previa verifica della legittimazione del titolare, ha natura rigorosamente provvisoria, così come la sua esclusione, tanto che il relativo provvedimento reiettivo emesso dal giudice delegato, modificabile o revocabile da quest'ultimo sino alla chiusura delle operazioni di voto, non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto privo dei caratteri di decisorietà e della definitività[8].
Se è vero, quindi, che sono le operazioni affidate al giudice delegato a rappresentare il momento cruciale per individuare i soggetti legittimati a votare, e quindi determinare l'entità delle maggioranze necessarie per l'approvazione della proposta, è altrettanto evidente che «l''attività demandata al giudice delegato alla procedura rispetto all'ammissione al voto si risolva in un mero accertamento ricognitivo, in senso favorevole o sfavorevole, privo di incidenza su diritti soggettivi, precario e prodromico all'ulteriore sviluppo della procedura, nel corso della quale la parte eventualmente pregiudicata (sia essa il creditore escluso o il debitore che abbia visto disattese le proprie contestazioni sull'ammissione al voto del creditore) potrà far valere le proprie doglianze in merito alla decisione che ha segnato in maniera rilevante le sorti del concordato (il primo tramite l'opposizione, se il suo voto ha assunto rilievo ai fini dell'omologa, il secondo tramite le impugnazioni esperibili avverso la statuizione assunta a conclusione del giudizio)»[9].
Le decisioni adottate dal giudice delegato e, più in generale, le modalità di svolgimento delle operazioni di voto, sono soggette ad un riesame da parte del tribunale in sede di verifica dell'esito della votazione, che costituisce un accertamento preliminare indispensabile rispetto all'omologazione, indipendentemente dall'esistenza o meno di opposizioni. A tal uopo, fanno riferimenti i disposti normativi ex artt. 48 e 112 CCII.
Ovviamente, i creditori non ammessi al voto in occasione dell'adunanza possono opporsi tout court all'esclusione, costituendosi nel giudizio di omologazione del concordato ai sensi dell'art. 108 CCII.
Correlativamente, e sotto un distinto profilo, non è precluso ai creditori esclusi dal voto l'esercizio delle azioni di accertamento e di condanna in sede ordinaria, e ciò anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione[10].
In estrema sintesi, la progressione che caratterizza l'iter accertativo dei crediti nell'ambito del procedimento concordatario può venire efficacemente riassunta attraverso la scansione che ne ha di recente puntualizzato la Corte di Cassazione: «ai fini del voto i crediti restano accertati così come indicati dal debitore; ovvero così come rettificati dal commissario giudiziale, in caso di mancanza di contestazioni; ovvero, infine, così come accertati dal giudice delegato, risolvendo le contestazioni sorte in sede di adunanza»[11].
Ai fini del valore del credito contestato da ammettere al voto e dunque anche da soddisfare, corre l’applicazione dell’art. 107 e 108 CCII, disposti normativi obiettivamente fondamentali.
Anzitutto, proprio quando si discute della proposta del concordato, ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non la ritiene ammissibile o accettabile e sollevare contestazione sui crediti concorrenti; è il debitore, tuttavia, che ha la facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti fornendo al giudice gli opportuni chiarimenti.
A tenore dell’art. 108 CCII è, dunque, il giudice delegato che può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati, ai soli fini del voto o del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi.
Decisivo, in proposito, è l’iniziale elenco del debitore dei crediti contestati, ai fini della fattibilità giuridica economica superata in sede di ammissione, ma tutta la dottrina rimette al giudice delegato la decisione in ordine a:
- legittimazione;
- sussistenza e causale;
- ammissione.
Si tratta di un giudizio sommario ex art. 108 CCII sulle singole posizioni creditorie da parte del giudice delegato, con conseguente potere di contestazione attribuito alle parti.
Ma tale fase non può essere assimilata a quella di una verifica vera e propria.
Se il giudice ammette al voto il credito contestato, implicitamente riconosce la validità ed efficacia della sussistenza del credito, ma ciò non impedisce né preclude l’accertamento dell’esistenza effettiva nelle competenti sedi giurisdizionali.
Dunque, in sede concordataria non esiste un regime paradigmatico come avviene di converso in sede di liquidazione giudiziale; tuttavia nella prassi ci si avvale dell’istituto dell’accantonamento, mutuabile dal regime di contabilità.
È necessario iscrivere nel passivo dello stato patrimoniale un ‘‘fondo’’, se sia ‘‘certo’’ o anche solo ‘‘probabile’’ poiché in futuro, si appurerà una perdita o maturerà un debito allo stato non agevolmente determinabile nell’ammontare e/o nella data d’insorgenza: ne discende che, qualora il rischio d’insorgenza sia solo ‘‘possibile’’ o, addirittura, ‘‘remoto’’, nulla dovrà esser iscritto.
Bisogna, a tal uopo, definire adamantinamente cosa si intende con tali aggettivi: secondo il principio contabile OIC 31, fondi per rischi ed oneri, del dicembre 2016,
- «un evento è probabile quando il suo accadimento è ritenuto verosimile»: supera cioè la soglia del 50% di probabilità.
- «Un evento è possibile quando dipende da una circostanza che può o meno verificarsi»; quindi, il grado di accadimento dell’evento futuro è inferiore al probabile.
- «Un evento è remoto quando ha scarsissime probabilità di verificarsi, ovvero potrà accadere in casi eccezionali»[12].
- Sulla stessa scia si pone il principio internazionale IFRS n. 37, Accantonamenti, passività ed attività potenziali (Provisions, Contingent Liabilities and Contingent Activities), che cristallizza la differenza che intercorre tra passività, fondi di accantonamento e passività potenziali: in special modo,
· le prime costituirebbero un’obbligazione attuale derivante da eventi passati, in ordine alle quali l’impresa non ha altra alternativa se non l’adempimento;
· il fondo accantonamento include, invece, una passività di scadenza ed ammontare incerti;
· la passività potenziale è un’obbligazione il cui adempimento non è probabile o l’importo da adempiere non può essere determinato con sufficiente attendibilità.
In altri termini,
- «i debiti accolgono obbligazioni certe, il cui ammontare e la cui scadenza sono determinati o determinabili, normalmente estinguibili col pagamento di una somma di denaro,
- mentre i fondi rischi accolgono accantonamenti per obbligazioni di natura determinata, sorte in relazione a situazioni pregresse, di esistenza incerta ma probabile, in quanto tale esistenza dipende dal verificarsi di uno o più eventi futuri, la cui probabilità di verifica è stimata superiore al 50%.
- Le passività potenziali rappresentano, invece, obbligazioni di esistenza possibile, che non danno luogo ad accantonamenti a fondo rischi in quanto la probabilità del verificarsi degli eventi che ne condizionano l’esistenza è inferiore al 50%, e quindi non sono iscritte in bilancio, ma sono oggetto di obbligatoria ed adeguata informativa»[13].
Tale classificazione risponde a ciò che la dottrina consolidata ha denominato come «principio di prudenza, in applicazione del quale si impone l’iscrizione del certo e del probabile, ma non anche del remoto: vale a dire che il debitore non può certamente essere costretto «ad elaborare un piano ed a formulare una proposta che contempli il soddisfacimento (seppure eventuale e subordinato al successivo accertamento) di qualsiasi pretesa, da chiunque avanzata ed a prescindere da qualunque valutazione in ordine alla sua presumibile fondatezza»[14].
Ma tale è il pensiero condiviso anche dalla Suprema Corte, quando asserisce che se è vero che «il tribunale, nell’omologare il concordato, ha il potere di disporre e di quantificare gli accantonamenti», esso è altrettanto titolare del potere di «non prescriverli, ove reputi, all’esito di una valutazione di natura incidentale, che il credito o i crediti contestati non siano esistenti »; ancor di più, «ove si reputasse, al contrario, la necessità di disporre sempre e comunque l’accantonamento, le conseguenze sarebbero inaccettabili, poiché qualunque pretesa di un qualsivoglia soggetto, anche la più sconclusionata, potrebbe paralizzare l’omologazione di un concordato»[15].
Ecco allora che sovviene in aiuto l’istituto dell’accantonamento come disciplinato dall’art. 112 comma 6 del CCII: «le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo».
Ne consegue che un’impostazione rigorosa della dottrina suggerisce che non può essere ricondotto a fondamento l’obbligo di immettere le posizioni creditorie contestate nel piano e nella proposta concordataria: sicché la norma anzidetta- 112 sesto comma CCII- concerne solo «l’eventuale deposito delle somme che il concordato approvato preveda di destinare ai creditori contestati, per l’eventualità che le loro pretese siano accertate».
Scandagliando nel dettaglio tale espressione, il termine “accertate” significherebbe “riconosciute da una sentenza passata in giudicato”[16].
Gli è dunque che «al solo debitore è attribuito il potere di determinare il ‘‘perimetro’’ della proposta concordataria. L’esistenza della contestazione non può essere sottaciuta ai creditori, ma non impone al debitore di offrire un pagamento/soddisfacimento che non ritiene dovuto»: si vuole, in tal modo, scongiurare che l’eventualità che il debitore risulti soccombente non possa essere, ‘‘per prudenza’’, trasformata in un dovere di pagamento dal giudice delegato[17].
Per essi la legge fallimentare ed il Codice della crisi e dell’insolvenza ammettono come abbiamo visto fondi di accantonamento, fermo restando la determinazione del diritto di voto per insindacabile valutazione del giudice.
Anzi, rispetto alla scelta del giudice delegato, l’accantonamento sarà deliberato, perché l’ammissione al voto implica anche un giudizio sulla valenza della sottesa sussistenza.
Ma è necessario sindacare e delibare la tipologia dei crediti contestati e consentire al Collegio, ai fini della fattibilità giuridica ed economica del piano, verificare se la contestazione della proponente possa ritenersi o meno fondata.