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Saggio

La procedura di liquidazione controllata dopo il correttivo*

Alessandro Farolfi, Giudice addetto all'Ufficio del Massimario e del Ruolo presso la Corte di Cassazione

12 Novembre 2025

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il passaggio dalla liquidazione del patrimonio alla liquidazione controllata, dovuta all’entrata in vigore del Codice della crisi, non rappresenta soltanto una mera variazione lessicale, ma una profonda modifica sistematica della procedura liquidatoria prevista per i soggetti sovraindebitati. Quella che prima era una sorta di misura premiale, richiedibile dal solo debitore è, oggi, una procedura in larga misura modellata sulla fisionomia della sorella “maggiore”: la liquidazione giudiziale. Tale vicinanza, anzi, pare accentuata dall’entrata in vigore dell’ultimo Correttivo, rappresentato dal D.Lgs. n. 136/2024. Si pongono oggi all’interprete problemi nuovi, di integrazione della disciplina specifica con norme dedicate alla liquidazione maggiore o in tema di procedimento unitario. Problemi ai quali l’Autore cerca, con il presente saggio, di dare risposte non solo teoriche ma di contenuto operativo: è utilizzabile un esercizio provvisorio dell’impresa nella liquidazione controllata? È compatibile con questo istituto una chiusura mediante concordato nella liquidazione? Quali sono le nuove regole in tema di formazione dello stato passivo? Si tratta di domande concrete, qui indicate in via esemplificativa, che nel testo cercano una risposta calata in una visione sistematica della procedura di liquidazione controllata, non dimenticando i profili problematici e intertemporali collegati allo stratificarsi di norme, spesso fra loro eterogenee.
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1 . La liquidazione controllata nel Codice della crisi dopo il D.Lgs. n. 136/2024
Interrogarsi circa l’ammissibilità di una procedura concorsuale a carico del debitore civile è stato per molto tempo un quesito di interesse eminentemente accademico e scolastico, privo di applicazioni pratiche[1]. 
Già all’inizio dello scorso secolo si era posto il tema del “fallimento civile”, sia pure riconducendo il problema nei termini di una razionalizzazione dell’efficienza complessiva delle altrimenti estemporanee esecuzioni individuali: “finché l’attivo di un patrimonio eccede il passivo, il legislatore può lasciare che ogni creditore eserciti spontaneamente il proprio diritto. Ma quando quel patrimonio non basta per tutti, la libertà delle esecuzioni individuali costituisce un premio ai creditori più pronti, più vicini, meno scrupolosi, a scapito dei più benevoli, dei più lontani, che per lo più giungeranno dopo che il patrimonio del debitore esaurito”. Da qui l’idea della costituzione di una “massa comune” che similmente alla procedura fallimentare consentisse la ripartizione dei beni insufficienti fra tutti i creditori in egual misura, così che “questi siano compagni nelle perdite come furono compagni nella fiducia verso il debitore comune”[2]. 
L’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non aveva colto tali sollecitazioni rimanendo, piuttosto, nel solco dell’impostazione tradizionale secondo cui sono soggetti a fallimento soltanto gli imprenditori commerciali. Tale norma, infatti, aveva stabilito che “sono soggetti alle disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo e sull’amministrazione controllata gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori”[3]. 
Soltanto dopo molti anni, a seguito da un lato dell’introduzione dell’esdebitazione delle persone fisiche fallite (art. 142 e ss. L. fall.) e, dall’altro, della concessa possibilità agli imprenditori agricoli di utilizzare l’accordo di ristrutturazione dei debiti, il tema ha riacquistato tutto il suo interesse pratico. 
Nello stesso tempo si è assistito ad un processo di transizione della nostra economia, fondata prevalentemente sulla presenza di piccole e medie imprese, nonché su una popolazione composta tradizionalmente da cassettisti e risparmiatori, ad un sistema caratterizzato da una sempre più spinta globalizzazione e dalla presenza di vasti strati sociali che, complici le crisi di liquidità e la trasformazione dei rapporti, ha visto accumularsi un crescente indebitamento derivante da un ricorso sempre più ampio e non più specializzato a strumenti di finanziamento[4]. 
Questo secondo fattore ha reso intollerabile anche sul piano economico – sociale quella differenza tradizionale fra imprenditore commerciale e non imprenditore (o imprenditore “sotto soglia”), per cui soltanto a quest’ultimo era destinata ad applicarsi ormai, in modo illimitato e permanente, quella regola della responsabilità patrimoniale scolpita dall’art. 2740 c.c. 
Da qui l’introduzione della disciplina in tema di sovraindebitamento, con la L. 27 gennaio 2012, n. 3, non a caso dedicata nei suoi primi articoli al contrasto nei confronti dell’usura e dell’estorsione economica e solo negli artt. da 6 in avanti alla composizione della crisi da sovraindebitamento. Da qui, ancora, la necessità di disporre, accanto ad istituti “conservativi” come l’accordo e il piano previsto per il consumatore, di una procedura residuale assimilabile in gran parte al fallimento del debitore civile, cioè la procedura di liquidazione del patrimonio, disciplinata agli artt. 14 ter e ss., in ossequio alla modifica apportata con il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modd. nella L. 17 dicembre 2012, n. 221[5]. 
Le regole introdotte per tale procedura liquidatoria sono ancora alla base, pur se con importanti modifiche ed innovazioni, del nuovo procedimento di liquidazione controllata per i soggetti sovraindebitati, di cui agli artt. 268 e ss. del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, approvato con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (pubblicato sulla G.U. n. 38 del 14 febbraio 2019) ed entrato effettivamente in vigore dal 15 luglio 2022, dopo l’attuazione della Direttiva n. 1023/2019 (c.d. Insolvency) ad opera del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (pubblicato sulla G.U. n. 152 del 1° luglio 2022).
1.1 . Il regime transitorio e le linee di fondo
Occorre subito aggiungere che il Codice della crisi è stato oggetto di un più recente intervento normativo, operato con il D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136, il quale ha così comportato l’assoggettamento di questa procedura ad una disciplina giuridica stratificata ed alquanto complessa: 
1) le procedure di liquidazione controllata pendenti al 15 luglio 2022 o per le quali era stato presentato ricorso per l’apertura prima di tale data (naturalmente ad opera del solo debitore, secondo le regole di legittimazione ratione temporis vigenti) sono regolate dalla L. n. 3 del 2012 e succ. modd., alla luce della norma transitoria contenuta nell’art. 390 CCII; 
2) le procedure di liquidazione del patrimonio per cui è stata presentata domanda di apertura dopo il 15 luglio 2022 sono disciplinate dal Codice della crisi, con le ulteriori precisazioni che seguono: 
- l’art. 56, comma 4 del D.Lgs. n. 136/2024 prevede che “salva diversa disposizione, il presente decreto si applica alle […] procedure di liquidazione giudiziale, liquidazione controllata e liquidazione coatta amministrativa nonché ai procedimenti di esdebitazione di cui al medesimo decreto legislativo n. 14 del 2019 e alle procedure di amministrazione straordinaria pendenti alla data della sua entrata in vigore e a quelli instaurati o aperti successivamente” (la data di entrata in vigore del Correttivo ter è il 28 settembre 2024); 
- tale norma, solo apparentemente piana, ma in realtà non priva di criticità, è stata oggetto di un intervento di interpretazione autentica con l’art. 8 del D.L. 29 novembre 2024, n. 178, secondo cui “l'articolo 56, comma 4, del decreto legislativo 13 settembre 2024, n. 136, si interpreta nel senso che l'applicabilità delle disposizioni introdotte dallo stesso decreto legislativo n. 136 del 2024 alle composizioni negoziate, ai procedimenti di cui all'articolo 40 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, ai procedimenti di esdebitazione e alle procedure pendenti non richiede il rinnovo, la modifica o l'integrazione degli atti compiuti prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 136 del 2024 e sono fatti salvi i provvedimenti adottati”; la norma interpretativa, non fa testuale riferimento (come invece l’art. 390 CCII cit.) alla liquidazione controllata e alle domande in tema di sovraindebitamento, ma deve ritenersi, tenuto conto dell’evidente similitudine fra liquidazione controllata e liquidazione giudiziale, nonché dello scopo di chiarezza generale perseguito, che essa sia applicabile anche alla liquidazione controllata; ne deriva, ulteriormente, che gli atti delle procedure compiuti prima dell'entrata in vigore del c.d. Correttivo ter sopravvivono a quest'ultimo e non devono essere ripetuti, modificati o integrati, secondo una regola ispirata al brocardo tempus regit actum: si potranno perciò avere delle liquidazione controllate i cui atti o provvedimenti possono, volta a volta, essere disciplinati dal Codice della crisi nella formulazione anteriore, oppure successiva all’entrata in vigore del Correttivo ter, mentre solo per le procedure instaurate successivamente al 28 settembre 2024 non si pongono problemi e la disciplina applicabile è unicamente quella del Codice novellato dal D.Lgs. n. 136/2024[6]. 
Ciò posto, le linee di fondo dell’intervento correttivo riguardante la liquidazione controllata possono così sintetizzarsi: 
a) la liquidazione controllata è stata avvicinata maggiormente, anche a livello sistematico, alla sorella “maggiore” rappresentata dalla liquidazione giudiziale; 
b) si è chiarita definitivamente l’applicabilità a questo istituto della disciplina relativa al c.d. procedimento unitario; 
c) si è intervenuto al fine di coordinare in modo più preciso e distinguere la liquidazione controllata dall’esdebitazione del soggetto incapiente, pur se – va subito anticipato – la formulazione di talune norme al riguardo non risolve ogni problema interpretativo, mentre certamente positivo è l’allineamento della durata triennale per entrambi gli istituti, come meglio si vedrà, in modo da evitare scelte opportunistiche da parte dei debitori interessati in situazione di dubbia incapienza; 
d) si è riscritta in gran parte la fase di accertamento del passivo. 
Anche al di là del Correttivo, si può affermare che il passaggio dalla liquidazione del patrimonio alla liquidazione controllata è segnato da una novità essenziale rispetto all’impianto della L. n. 3/2012, posto che la legittimazione attiva non è più esclusivamente assegnata al debitore, ma spetta anche ad uno qualsiasi dei suoi creditori, “anche in pendenza di procedure esecutive individuali”. 
Peraltro, nessun dubbio può sorgere circa la natura concorsuale che caratterizza questa procedura liquidatoria. Già nella previgente normativa in tema di sovraindebitamento si rinvenivano inequivoci dati letterali in tal senso, all’art. 6, comma 1, della L. n. 3/2012 (dove si parlava di porre rimedio “alle situazioni di indebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo”, fra le quali rientrava per l’appunto anche la liquidazione del patrimonio, oltre all’accordo di composizione della crisi ed al piano del consumatore), ovvero al successivo art. 7, comma 2, lett. a), nella parte in cui si affermava che la proposta è inammissibile quando il debitore, anche se consumatore, “è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo”. 
Ma, soprattutto, l’attuale procedura liquidatoria possiede interamente quei tratti sintomatici della concorsualità, che in dottrina[7] sono stati delineati sinteticamente come segue: 
a) accertamento giudiziale di una situazione di crisi o insolvenza del debitore ai fini della formale apertura del procedimento; 
b) affidamento della gestione patrimoniale ad un soggetto esterno al debitore e nominato da una pubblica autorità, o quantomeno presenza di un’attività di vigilanza da parte di un organo esterno sulla gestione patrimoniale (quando lasciata allo stesso debitore); 
c) coinvolgimento tendenziale dell’intero patrimonio del debitore nella procedura; 
d) natura collettiva delle tutele e “blocco” delle azioni individuali esecutive o dell’assunzione di posizioni di preferenza in capo a singoli creditori; 
e) applicazione tendenziale della par condicio creditorum e della destinazione satisfattiva impressa sui beni rientranti nella procedura. 
Detti indici sono certamente sono presenti nella liquidazione controllata: si pensi solo al fatto che tale procedura liquidatoria è aperta con sentenza dell’autorità giudiziaria (art. 270 CCII), che un liquidatore di nomina giudiziale predispone un inventario dei beni da liquidare secondo un programma specifico per poi destinare il ricavato al soddisfacimento dei creditori inseriti in un vero e proprio stato passivo (artt. 272 e 273 CCII), che la sentenza di apertura della liquidazione detta forme di pubblicità e di essa è prevista l’annotazione sul registro delle imprese (quando il debitore è anche imprenditore) e la trascrizione sugli immobili e beni mobili registrati ricompresi nell’attivo della procedura, con un effetto protettivo da procedure esecutive individuali o cautelari, attuato attraverso il rinvio agli artt. 142, 143, 150 e 151, dettati dal Codice per la liquidazione giudiziale. 
Si può anzi affermare che a seguito del D.Lgs. n. 136/2024 le affinità con la procedura liquidatoria giudiziale ne escono certamente rafforzate, presentando la liquidazione controllata del sovraindebitato nel disegno del nuovo Codice della crisi (capo IX del Titolo V del Codice, a sua volta oggi significativamente intitolato alla “Liquidazione giudiziale e liquidazione controllata”) una sorta di species del più ampio genus rappresentato dalla procedura liquidatoria per eccellenza[8]. 
Tale conclusione non ha una valenza puramente tassonomica o teorica, ma possiede un precipitato pratico non indifferente. Infatti, permette di ritenere che, di fronte alle (invero non rare) lacune normative che presenta l’ordito testuale espressamente dedicato alla liquidazione controllata, sia alle norme ed ai principi della liquidazione giudiziale che si dovrà fare affidamento per individuare la disciplina del caso concreto. Un po' come già in precedenza si doveva concludere – sia pure con un più attento vaglio di compatibilità - nel rapporto fra gli artt. 14 ter e ss. e norme dedicate al fallimento[9]. 
Occorre rilevare, a sostegno di quanto si sta affermando, che oltre al rinvio espresso a norme della liquidazione giudiziale come gli artt. 142, 143, 150 e 151 da parte del nuovo art 270, comma 5 CCII, in termini più generali il successivo art. 275 CCII precisa che, per quanto riguarda la disciplina della fase esecutiva del programma di liquidazione, “si applicano le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale in quanto compatibili”, rimarcando così, ulteriormente, la riconducibilità di entrambe le procedure liquidatorie ad uno stesso genus fondato sulla concorsualità e sulla necessaria liquidazione dei beni mediante procedure competitive[10]. 
Nel chiudere queste osservazioni introduttive, occorre tuttavia attentamente considerare che, dopo il D.Lgs. n. 136/2024, probabilmente, la questione qualificatoria ha in parte perso di significato, posto che le nuove disposizioni preferiscono distinguere fra strumenti di regolazione della crisi e procedure di insolvenza, dovendosi ricomprendere fra queste ultime anche la liquidazione controllata; del resto, anche una norma chiave come l’art. 6 – in tema di prededuzione – alla lett. d) ricollega l’insorgenza di tale titolo di preferenza ai “crediti legalmente sorti durante la procedura di liquidazione giudiziale o controllata oppure successivamente alla domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza”, senza più fare cenno al concetto di “procedura concorsuale”.
2 . La domanda e i suoi effetti
L’ultimo comma dell’art. 268 CCII afferma che “il deposito della domanda sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali fino alla chiusura della liquidazione, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio e salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, secondo e terzo comma, del Codice civile”. La relazione di accompagnamento ribadisce che si tratta di regola già prevista anche per la liquidazione giudiziale e, in effetti, la c.d. “cristallizzazione” del passivo è stata tradizionalmente prevista in materia fallimentare, già con gli artt. 55, comma 1, e 54, ult. comma, L. fall., a loro volta trasfusi negli artt. 154 e 153, comma 3, CCII, ma con una importante differenza: mentre nel sovraindebitamento è il semplice deposito della domanda a produrre tale “cristallizzazione”, in caso di liquidazione giudiziale un simile effetto è prodotto soltanto dalla sentenza che dichiara l’apertura della procedura concorsuale. 
Si può ritenere, pertanto, che il deposito della domanda di apertura della liquidazione controllata – provenga dallo stesso debitore o da un terzo - determini in primo luogo una sospensione del decorso degli interessi convenzionali o legali per i crediti chirografari, sino alla chiusura della procedura. Tale sospensione opera, tuttavia, “ai soli effetti del concorso”, con disposizione che nuovamente ed in termini espliciti rimarca la natura concorsuale della procedura in commento. La norma sta a significare che questo fenomeno di “cristallizzazione” delle posizioni passive è limitato alla sola procedura liquidatoria, mentre su di un piano più generale ed extra concorsuale gli interessi continuano in realtà a decorrere e potranno essere fatti valere nei confronti del debitore una volta ritornato in bonis[11](sempre che non operi l’esdebitazione, in termini non dissimili rispetto alla procedura maggiore, come previsto dall’art. 282 CCII). 
V’è da dire che, pur mancando nella liquidazione controllata del sovraindebitato una norma come l’art. 202 CCII, riproduttiva dell’art. 94 L. fall., anche la domanda di ammissione allo stato passivo prevista dagli artt. 270 comma 2, lett. d) e 273, deve ritenersi atta a produrre gli effetti di una domanda giudiziale e, quindi, idonea ad interrompere il corso della prescrizione con effetti permanenti, fino alla chiusura della procedura. Va anzi prevista con favore la nuova disposizione che assegna alla stessa sentenza di apertura della liquidazione controllata la fissazione di un termine perentorio per la proposizione delle domande di ammissione al passivo o di rivendicazione o restituzione di beni, venendo con ciò a chiarirsi maggiormente la delicata fase di formazione dello stato passivo che in precedenza era lasciata all’iniziativa dello stesso liquidatore (cfr. art. 14 sexies lett. b, lasciato invariato dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176). La nuova disposizione non solo dà maggiore chiarezza e pubblicità al termine - non più contenuto in una mera comunicazione stragiudiziale, bensì enunciato nella stessa sentenza che procederà all’apertura della procedura di liquidazione controllata - ma sottolinea come si tratti di un termine processuale, previsto a pena di inammissibilità, dovendosi tutt’al più consentire quelle insinuazioni la cui tardività non sia imputabile allo stesso creditore, secondo un principio ricavabile dall’art. 153, comma 2, c.p.c., che appare certamente compatibile con la maggiormente ribadita natura processuale del termine[12]. 
Quanto appena ricordato in tema di “cristallizzazione” degli interessi riguarda i crediti chirografari. Infatti, è prevista una eccezione a tale regola per quanto riguarda i crediti garantiti da privilegio, pegno o ipoteca, per i quali il trattamento degli interessi continua a rimandare rispettivamente agli artt. 2749, 2788 e 2855 c.c. La disciplina risente della pronuncia della Corte Cost. 28 maggio 2001, n. 162, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato comma dell’art. 54 L. fall., nella parte in cui non richiamava fra i crediti eccettuati dalla sospensione anche i crediti privilegiati, secondo quanto previsto dall’art. 2749 c.c., oltre a quelli pignoratizi ed ipotecari. 
Ne deriva che per i crediti privilegiati la prelazione si estende agli interessi maturati nell’anno in corso alla data dell’apertura della procedura e a quelli dell’anno precedente; per i crediti pignoratizi l’estensione opera per i soli interessi dell’anno in corso alla data del concorso, mentre per gli ipotecari si applica per quelli dell’anno in corso e delle due annate precedenti. 
Da notare, ancora, che il carattere satisfattivo della procedura concorsuale è ritenuto incompatibile con la mora nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie (Cass. 02/04/2010, n. 8185). Non appare invece ulteriormente applicabile, di fatto, il principio espresso da Cass. 16 marzo 2018, n. 6587[13], secondo cui “dopo l'apertura del fallimento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2749 c.c. e dell'art. 54, comma terzo, L. fall., nel testo vigente prima della novella introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, il credito assistito da privilegio generale, continua a produrre interessi fino a quando sia stata liquidata una massa attiva sufficiente al soddisfacimento integrale del medesimo credito privilegiato". Si deve in fatti ritenere applicabile, in forza del rinvio contenuto nell’art. 270, comma 5, la regola posta dall’ art. 153, comma terzo CCII) secondo cui “per i creditori assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente”. Regola ancora diversa vale, deve infine ritenersi, per i crediti prededuttivi, che essendo destinati ad essere soddisfatti per definizione extra concorso – impregiudicata la necessità di una loro insinuazione al passivo ove contestati dal liquidatore – produrranno interessi regolarmente[14]. 
Deve evidenziarsi una possibile lacuna nella disciplina della liquidazione controllata. L’art. 270, comma 5, CCII omette di compiere un rinvio agli artt. 154 e 155, ma anche i principi ivi stabiliti devono ritenersi applicabili, secondo compatibilità, alla procedura liquidatoria minore, attesa la ormai riconosciuta natura affine alla liquidazione giudiziale. Del resto, se operano, come si è visto, i principi in tema di cristallizzazione del debito, deve pure ritenersi operante la regola della “scadenza” alla data di apertura del concorso dei crediti pecuniari, come pure l’operatività della compensazione, purché fra crediti aventi la medesima natura (quindi entrambi reciprocamente aventi causa ante oppure post apertura della procedura). 
Ritornando conclusivamente al tema oggetto del presente paragrafo, deve osservarsi che, se il semplice deposito della domanda produce effetti sostanziali sul decorso degli interessi, nei termini di cui si è detto, altrettanto non può dirsi per i c.d. “effetti protettivi”. Il successivo art. 270 CCII chiarisce, infatti, che (solo) con la sentenza di apertura della liquidazione controllata si applica, fra l’altro, l’art. 150 CCII, cioè il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali. Non esiste del resto nell’idea del nuovo Codice della crisi di impresa un vero e proprio automatic stay, dovendo le c.d. misure protettive essere oggetto di una specifica domanda e di un provvedimento giudiziale concessivo. In questo senso il rinvio, secondo compatibilità, che lo stesso art. 270 compie alle disposizioni sul procedimento unitario contenute nel titolo III rende applicabile – nella misura in cui non vi sia una diversa disciplina più specifica, come ad es. nel novellato art. 271, comma 2 - anche quanto previsto dagli artt. 54 e 55 CCII, in tema di misure cautelari e protettive. Tale conclusione corrisponde, del resto, ad una precisa direttiva della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 (pubblicata sulla G.U. n. 254 del 30/10/2017), il cui art. 9 lett. g) prevede che la normativa di attuazione debba “introdurre misure protettive simili a quelle previste nel concordato preventivo, revocabili su istanza dei creditori, o anche d'ufficio in caso di atti in frode ai creditori”[15]. 
Va peraltro aggiunto che, almeno per le imprese sottosoglia, sussiste altresì la possibilità di avvalersi di misure protettive e cautelari collegate allo svolgimento di una fase anticipatoria di composizione negoziata della crisi, agevolata dalla presenza di un esperto nominato dalla Commissione mista di cui all’art. 13, comma 6, CCII, il che potrà consentire un ulteriore momento di “compensazione” e confronto dei diversi interessi, atto a scongiurare, attraverso il ricorso alle misure protettive pure ivi previste, l’inizio o la protrazione di misure aggressive che potrebbero disgregare - in spregio alle regole della concorsualità - parte del o tutto l’attivo dell’imprenditore minore interessato a promuovere una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, compresa quella liquidatoria, nonché ad accedere – in modo innovativo rispetto al passato – al nuovo istituto del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, di cui l’art. 25 sexies – nel testo modificato dal D.Lgs. n. 136/2024 – consente altresì la proposizione mediante deposito di domanda con riserva.
2.1 . I soggetti legittimati
La novità forse più importante del nuovo Codice della crisi in tema di sovraindebitamento è rappresentata – oltre alla nuova disciplina sull’esdebitazione – da una regola di legittimazione processuale. Pur esistendo delle indubbie affinità fra fallimento e liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, la L. n. 3/2012 aveva sempre mantenuto ferma l’idea che soltanto ad iniziativa del debitore potesse aprirsi una delle procedure ivi previste, sia per quelle in qualche modo riconducibili ad una natura concordataria o para concordataria (accordo con i creditori e piano del consumatore), sia per la procedura liquidatoria in senso stretto, di cui agli artt. 14 ter e ss. Tale scelta non era mutata, nonostante l’emanazione della L. 18 dicembre 2020, n. 176, tanto che la liquidazione del patrimonio, per certi versi, appariva come una sorta di beneficio, attivabile su iniziativa esclusiva del debitore che, in qualche misura, i creditori si trovavano a dover subire. Tale idea, del resto, si ritrova anche in una recentissima decisione del S.C. in tema di compenso spettante all’OCC, di cui è stata esclusa la possibilità di soddisfarsi in danno dei creditori ipotecari[16]. 
Con il nuovo art. 268 CCII, invece, l’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato non avviene più esclusivamente ad istanza del debitore, ma anche dei suoi creditori, purché il debitore si trovi in una situazione di vera e propria insolvenza. 
I soggetti attivi legittimati a richiedere l’apertura di questo procedimento liquidatorio sono, pertanto: 
a) il debitore in stato di sovraindebitamento; 
b) qualsiasi creditore, anche in pendenza di procedure esecutive individuali, nel caso in cui il debitore non sia semplicemente sovraindebitato, ma in stato di insolvenza (sulla differenza fra questa due condizioni vds. infra). 
Va posto in luce che concedere al creditore la possibilità di richiedere la “liquidazione” del debitore civile, significa in realtà consentire, di fatto, una concorsualizzazione – sia pure eventuale ed in sede propriamente processuale – di tutti i rapporti obbligatori anche civili, con riflessi non ancora esplorati persino sul piano della responsabilità[17]. Infatti, se tradizionalmente si collega all’imprenditore commerciale una responsabilità (finanche penale) per non aver tempestivamente affrontato la propria insolvenza e ritardato l’apertura della procedura concorsuale maggiore (cfr. art. 217, comma 1, n. 4 L. fall. riprodotto nell’art. 323 CCII), non si vede perché in prospettiva un’analoga responsabilità non potrebbe configurarsi anche per il debitore sovraindebitato, tenuto altresì conto del carattere generale dei doveri di buona fede previsti dall’art. 4, comma 2, CCII e di una sia pur limitata norma incriminatrice penale come l’art. 344 CCII L’applicazione in questa materia dell’art. 143 CCII, richiamato dall’art. 270, comma 5, unitamente alla legittimazione processuale accordata al liquidatore dall’art. 274, potrebbe anzi rendere questo interrogativo tutt’altro che teorico, considerato che tale rinvio sembra configurare una legittimazione processuale del liquidatore più ampia di quella originariamente prevista dall’art. 14 decies (pur se questa norma comunque già prevedeva la possibilità per lo stesso di esercitare le azioni volte al recupero dei crediti compresi nella liquidazione). 
Affrontare in modo più compiuto i risvolti teorici e pratici di simile quesito ci porterebbe lontano e risulta probabilmente eccentrico rispetto ai temi assegnati. Occorre pertanto ritornare – pur ritenendo le considerazioni preliminari già espresse un primo ed utile tentativo di tracciare alcune ricadute di sistema delle nuove norme – alle condizioni che legittimano la domanda di apertura della procedura di liquidazione del patrimonio. 
La relazione di accompagnamento al nuovo Codice afferma che “La liquidazione controllata è il procedimento, equivalente alla liquidazione giudiziale, finalizzato alla liquidazione del patrimonio del consumatore, del professionista, dell’imprenditore agricolo, dell’imprenditore minore e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza. La disciplina trova il suo antecedente in quella contenuta nella sezione seconda del capo secondo della l. 27 gennaio 2012, n. 3 sulla liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato”. 
Tanto premesso, la domanda per l’apertura della liquidazione controllata può essere proposta, in primo luogo, dal “debitore in stato di sovraindebitamento”. Che debba trattarsi di un debitore non fallibile (rectius non sottoponibile alla più complessa liquidazione giudiziale) non viene detto espressamente dall’art. 268 CCII, ma si ricava implicitamente dalla definizione di “sovraindebitamento” contenuta nell’art. 2, cioè “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start – up innovative di cui al d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”. Non può quindi sorgere dubbio alcuno che una eventuale domanda proposta da un soggetto “liquidabile” (ad es. un imprenditore “sopra soglia”) potrà essere respinta o, meglio, dichiarata inammissibile[18]. Per quanto riguarda invece le modalità di presentazione della domanda si rimanda al paragrafo successivo, essendo sufficiente in questa sede osservare che il debitore deve proporre necessariamente la stessa tramite un ricorso al tribunale territorialmente competente senza il necessario ausilio di un difensore, ma tramite e con l’assistenza dell’Organismo di composizione della crisi[19]. 
La legittimazione attiva è stata poi estesa a ciascun creditore, il quale, trattandosi di ricorso giudiziale proposto avanti al tribunale, in assenza di diversa previsione specifica, dovrà munirsi invece di difensore (cfr. art. 82 c.p.c.). 
La possibilità di domandare l’apertura della liquidazione controllata da parte di “un creditore” rappresenta, come detto, una novità evidente ed una forma di legittimazione tendenzialmente amplissima, considerato che il testo consente anche ad un creditore per un importo modesto e privo di cause legittime di prelazione di poter richiedere l’apertura della procedura di liquidazione controllata, pur quando sia già pendente un’azione esecutiva intrapresa da un creditore privilegiato od ipotecario. La norma afferma, infatti, che tale possibilità sussiste “anche in pendenza di procedure esecutive individuali”. L’interpretazione di tale espressione, che a chi scrive appare più convincente, porta a ritenere che un’azione esecutiva possa ma non debba essere necessariamente pendente al momento in cui il creditore avanza domanda di apertura della procedura concorsuale liquidatoria e che, conseguentemente, il creditore istante non debba essere necessariamente l’esecutante, ma anche uno qualsiasi degli altri creditori del debitore eventualmente sottoposto ad esecuzione forzata individuale. Per converso, non è neppure necessario, ad avviso di chi scrive, che il creditore istante per l’apertura della liquidazione controllata debba essere necessariamente munito di un titolo esecutivo, spesso di dispendiosa formazione, si tratterà piuttosto – come da tempo affermato per il procedimento pre-fallimentare – di consentire al tribunale una valutazione incidentale dell’esistenza del credito affermato, al fine di verificare la legittimazione del ricorrente e soltanto in caso di contestazione si aprirà un più penetrante controllo sulla effettiva sussistenza del credito o sulla situazione di sovraindebitamento che, peraltro, in quanto presupposti di apertura della procedura concorsuale dovranno comunque essere vagliati anche d’ufficio dall’organo giudiziario[20]. 
Con il dichiarato fine di “controbilanciare” in qualche misura l’amplissima legittimazione del creditore inizialmente concessa dall’art. 268 CCII, occorre notare come – da un lato – si sia richiesto che il debitore si trovi in una situazione di insolvenza e non più semplicemente sovraindebitato: occorre cioè che la situazione di incapacità a far fronte regolarmente alle obbligazioni sia già attuale e non semplicemente probabile (come in effetti consente la definizione di crisi, a sua volta interamente “abbracciata” dalla nozione di sovraindebitamento di cui all’art. 2, comma 1, lett. c). Pertanto, mentre il debitore può richiedere la propria liquidazione controllata versando in uno stato di sovraindebitamento limitato anche alla sola “crisi”, il creditore potrà agire giudizialmente soltanto a patto che il debitore sia insolvente: non è una differenza di poco conto ed è da notare che questa distinzione fra crisi ed insolvenza era sconosciuta nell’impianto della L. n. 3/2012, che definiva in modo “autonomo” il concetto di “sovraindebitamento” all’art. 6, comma 2, lett. a). 
Sempre al fine di porre un argine ad iniziative di creditori che potrebbero risultare eccessive e fonte di sovraccarico per gli uffici giudiziari, senza un reale vantaggio in termini economici per i creditori del soggetto sovraindebitato, il “correttivo” ha inoltre inserito nel nuovo Codice una sorta di “esimente”: anche se il debitore – purché persona fisica - fosse insolvente “non si fa luogo all'apertura della liquidazione controllata” se l’OCC attesta che non è possibile acquisire attivo da destinare ai creditori, neppure attraverso l’esercizio di azioni giudiziarie. Si tratta di una causa di esclusione, sconosciuta al diritto concorsuale tradizionale, in cui piuttosto si ha riguardo ad una dimensione almeno minimale dell’impresa coinvolta dal dissesto. Proprio per tale motivo, l’esimente in parola costituisce – nel caso di domanda di un creditore – il contenuto di una eccezione in senso stretto, nella disponibilità del debitore persona fisica, non rilevabile d’ufficio e che occorre eccepire entro la prima udienza, allegando apposita attestazione dell’OCC o, almeno, la richiesta di rilascio di detta attestazione. Il Correttivo ter (D.Lgs. n. 136/2024) è intervenuto al riguardo per meglio specificare i passaggi processuali con cui far valere detta eccezione; inoltre, nel caso di domanda di apertura della procedura su richiesta del debitore persona fisica, si è richiesto che la relazione redatta dall’OCC contenga l’attestazione inversa (ma logicamente coerente) circa la situazione di possidenza, ovvero che sussiste attivo, eventualmente ricavabile dall’esercizio di azioni, che è distribuibile a favore dei creditori. 
La relazione illustrativa all’ultima novella specifica che richiedere una certa capienza in capo al debitore vale a distinguere la procedura de qua dall’esdebitazione del soggetto incapiente, evitando peraltro l’apertura di procedura inutili: “L’intervento intende risolvere, in senso negativo, il dubbio sorto sulla utilizzabilità della procedura di liquidazione controllata nei confronti dell’imprenditore persona fisica nei casi in cui non vi sia attivo da liquidare, al fine di evitare l’apertura di procedure inutili per i creditori e costose per l’erario. L’ipotesi viene quindi disciplinata dettando le disposizioni processuali necessarie affinché il debitore possa eccepire l’assenza di attivo prima dell’apertura della procedura, in caso di domanda proposta dal creditore. Si prevede inoltre che, quando è il debitore a chiedere la liquidazione controllata, l’OCC debba attestare la possibilità di acquisire attivo. La norma non limita il diritto del debitore all’esdebitazione in quanto è controbilanciata dalle norme relative al debitore incapiente”[21]. 
Sempre al fine di delimitare l’apertura di procedure a casi in cui vi sia un interesse sostanziale effettivo sotteso, la norma, prevede inoltre che nell’ipotesi di domanda giudiziale proposta da un creditore “non si fa luogo all'apertura della liquidazione controllata se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria è inferiore a euro cinquantamila”. Si tratta di una soglia di esenzione che ripropone, mutatis mutandis, le stesse problematiche interpretative e soluzioni giurisprudenziali che erano state avanzate rispetto all’esenzione di cui all’art. 15 ult. comma L. fall.[22] Deve comunque sottolinearsi la particolarità di una soglia minima quantitativa destinata ad operare soltanto nell’ipotesi in cui la domanda di apertura della procedura liquidatoria provenga da terzi, mentre di essa (a differenza della liquidazione giudiziale) sembra non doversi tenere conto nel caso di domanda “in proprio” da parte del debitore. 
La legittimazione era inizialmente prevista dal Codice della crisi anche in capo al pubblico ministero, ma nel testo definitivamente entrato in vigore è stata esclusa, probabilmente al fine di non sobbarcare tale organo da compiti relativi ad indebitamenti di scarsa rilevanza sul piano pubblicistico. Appare peraltro evidente che laddove l’istruttoria portasse ad evidenziare seri dubbi circa l’effettiva dimensione dell’indebitamento o circa la possibile sottoposizione del debitore alle procedure concorsuali “maggiori”, il giudice potrebbe operare la segnalazione del caso alla Procura, al fine di ottenerne un coinvolgimento, nel quadro di quanto previsto dall’art. 38 CCII Deve peraltro ritenersi che quest’ultima disposizione si ponga in linea con l’elaborazione giurisprudenziale riguardante il previgente art. 7 L. fall. e che resti comunque possibile instaurare – possibilmente nel quadro di protocolli condivisi – un utile collegamento fra ufficio giudiziario e ufficio requirente, quantomeno nei casi in cui si evidenzino casi di frodi o livelli di indebitamento effettivo superiore a quello formalmente dichiarato e tali da destare “allarme” o, comunque, nel caso di sforamento delle soglie cui è ancorata la distinzione fra imprese minori e maggiori di cui all’art. 2, lett. d) CCII o laddove, ancora, emergano fondati indizi di sussistenza di una delle ipotesi penalmente rilevanti previste dall’art. 344 CCII.
2.2 . La forma, il contenuto e gli allegati della domanda
La domanda rivolta all’apertura della liquidazione controllata del debitore sovraindebitato va proposta con ricorso avanti al tribunale competente ai sensi dell’art. 27 comma 2 CCII, quindi al tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali (c.d. COMI), che si presume coincidere: 
a) per le persone fisiche esercenti l’attività di impresa, ma anche per le persone giuridiche ed altri enti anche non esercitanti l’attività di impresa, con la sede legale o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale; 
b) per le persone fisiche non esercenti l’attività d’impresa, con la residenza, il domicilio o – se sconosciuti – con l’ultima dimora nota o, in mancanza, con il luogo di nascita che, laddove situato all’estero, porta alla competenza residuale del Tribunale di Roma[23]; 
c) specifica competenza per attrazione è invece prevista per le procedure familiari, fra le quali si è espressamente inclusa anche la liquidazione controllata (vds. art. 66, comma 1), così recependo un orientamento della giurisprudenza di merito che si era già consolidato[24]. 
La forma del ricorso, prevista testualmente dall’art. 268 CCII per la domanda dello stesso debitore in stato di sovraindebitamento, si ritiene debba valere anche per il creditore. Si tratterà quindi di un atto processuale rispetto al quale può richiamarsi analogicamente la disposizione dell’art. 125 c.p.c., secondo cui gli atti processuali di parte – fra cui appunto il ricorso – debbono “indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore”. 
Si deve subito aggiungere, a quest’ultimo proposito, che l’art. 269, comma 1, CCII precisa che il ricorso “può essere presentato personalmente dal debitore, con l’assistenza dell’OCC”. La relazione di accompagnamento precisa che tale scelta è stata compiuta “al fine di contenere i costi della procedura”. Deve tuttavia aggiungersi che tale opzione appare coerente con quanto già affermato dalla prevalente giurisprudenza in tema di istanza di fallimento in proprio, che non richiede – secondo un indirizzo pressoché costante – la necessaria assistenza tecnica di un difensore[25]. 
In coerenza con tale elaborazione, e stante la necessità di un’interpretazione letterale e restrittiva delle deroghe alla necessaria difesa tecnica per i procedimenti dinanzi al tribunale (vds. al riguardo l’art. 82 ult. comma c.p.c. che richiede la necessità di avvalersi del patrocinio legale “salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti”), chi scrive ritiene che l’istanza fatta da un creditore debba invece essere proposta attraverso il ministero di un difensore[26]. 
Soltanto per la domanda in proprio, fatta dallo stesso debitore, vale perciò la regola della proposizione personale: il ricorso andrà quindi sottoscritto dalla parte istante ammessa a stare in giudizio personalmente, con l’assistenza dell’OCC. Inoltre, tale domanda deve essere accompagnata da una relazione dell’OCC, destinata ad illustrare la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore, nonché esporre la propria valutazione sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a sostegno della domanda. La relazione ha, quindi, un duplice contenuto: 
a) descrittivo/informativo sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale del debitore, sui dati relativi all’attivo e al passivo della possibile procedura liquidatoria, con un allargamento – dovuto al più recente correttivo – all’individuazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza del debitore nell’assumere le obbligazioni; 
b) valutativo, in ordine alla completezza ed attendibilità dei documenti che si allegano al fine di dimostrare la fondatezza della domanda (ad es. la sussistenza della situazione di sovraindebitamento, la qualità di impresa minore non assoggettabile a liquidazione giudiziale, altri presupposti soggettivi, ecc…); in questa parte valutativa assume un nuovo rilievo anche l’attestazione di capienza, di cui si è detto al paragrafo procedente. 
Per ulteriori spunti di riflessione sui contenuti di tale relazione, vds. paragrafo successivo. Fin da ora è tuttavia possibile sottolineare che una relazione di tal guisa non è invece richiesta quando la domanda sia svolta da un creditore. In questo caso il ricorso sarà tuttavia corredato dalla documentazione necessaria a dimostrare la fondatezza dell’istanza, al fine di evitare domande che (soprattutto quando sia in gioco la legittimazione di un creditore) abbiano un contenuto puramente esplorativo o siano in realtà rivolte, secondo un fenomeno già oggi abbastanza diffuso per le imprese “maggiori”, non già a perseguire il fine pubblico che sta alla base della declaratoria giudiziale, ma a stravolgere la funzione del ricorso in una forma di pressione indiretta atta a conseguire l’incasso di una somma. In questi casi - se la domanda proviene da un creditore non legittimato o che avanza l’istanza in una situazione di carenza di sovraindebitamento, al solo fine di costringere il debitore a pagare il proprio debito – si potrà pervenire ad una condanna alle spese, se del caso anche per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.[27] 
Pertanto, si deve ritenere che la domanda avanzata dal creditore debba illustrare (e documentare) i seguenti presupposti: criterio di radicamento della competenza; esistenza del credito del soggetto che agisce nei confronti del debitore; situazione di sovraindebitamento di quest’ultimo; non sottoponibilità del debitore alle procedure maggiori quando si tratti di un imprenditore. In questo caso, infatti, si può ritenere che il mancato superamento dei limiti dimensionali non rilevi quale eccezione impeditiva della domanda giudiziale, ma quale fatto costitutivo o comunque presupposto di accoglimento della stessa. 
Una conferma di tale conclusione si può trarre anche dal fatto che l’art. 121 CCII, parlando dei presupposti della liquidazione giudiziale, espressamente pone a carico dell’imprenditore l’onere di dimostrare quale prova liberatoria il mancato superamento congiunto dei requisiti dimensionali di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), che a sua volta definisce la “impresa minore”, mentre simile indicazione non è contenuta nella liquidazione controllata, dove l’art. 268 parla semplicemente di domanda del creditore “anche in pendenza di procedure esecutive individuali”, dovendo perciò concludersi che la dimostrazione dei presupposti soggettivi (ossia che si tratta di un soggetto sovraindebitato “non fallibile”) sia in questo diverso caso addossato allo stesso ricorrente. Naturalmente tale onere ricade sul debitore in caso di domanda “in proprio”. 
È infine importante sottolineare nuovamente come al procedimento di apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni sul procedimento unitario di cui al titolo III (così il rinvio contenuto nell’art. 270, comma 5, CCII). Tale rinvio rende possibile applicare a questo procedimento le regole in tema di notifica del ricorso introduttivo proposto da un creditore (cfr. art. 40 CCII), in tema di termine a comparire a difesa del debitore (cfr. art. 41, comma 2, CCII), di difesa personale del debitore (art. 40, comma 4, CCII), nonché esistenza ed esercizio di poteri istruttori officiosi da parte del giudice (artt. 41, ult. comma, e 42 CCII). Soprattutto, tale rinvio rende possibile applicare, a parere di chi scrive, anche il corredo di misure protettive e cautelari previste dagli artt. 54 e 55 (naturalmente secondo compatibilità e nella misura in cui si riscontri una effettiva lacuna normativa), tenuto altresì conto che – nelle giurisprudenza di merito – si va diffondendo la tesi favorevole ad ammettere in un unico procedimento il cumulo di domande di apertura della liquidazione giudiziale e in subordine, spesso a fronte di eccezione del debitore convenuto, di liquidazione controllata[28].
3 . Gli adempimenti dell’OCC nel caso di domanda presentata dal debitore
Nel caso di domanda presentata dallo stesso debitore appare subito evidente il ruolo centrale che spetta all’OCC, cioè all’organismo di composizione della crisi di cui al D.M. 24 settembre 2014, n. 202. Come è noto, tale regolamento ministeriale prevede e disciplina l'istituzione presso il Ministero della giustizia del registro degli organismi costituiti da parte di enti pubblici, deputati alla gestione della crisi da sovraindebitamento a norma dell'articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (oggi art. 2 lett. t), art. 65, comma 3, nonché per quanto qui interessa artt. 268 e ss. CCI) [29]. 
Si tratta di organismi destinati a compiere attività variegate e di particolare responsabilità[30]. Essi individuano al loro interno il “gestore” della crisi, cioè la persona o le persone fisiche che in concreto sono chiamate a svolgere le prestazioni relative al procedimento di soluzione della crisi da sovraindebitamento e, quindi, pregiudizialmente, ad operare in accordo con il debitore la scelta fondamentale fra strumenti in senso lato di ristrutturazione e conservativi (concordato minore e ristrutturazione dei debiti del consumatore) e procedura tipicamente liquidatoria. Funzionale al corretto svolgimento dell’incarico appare l’obbligo sancito dall’art. 10, comma 3, del citato D.M. n. 202/2014, secondo cui “al momento del conferimento dell'incarico l'organismo deve comunicare al debitore il grado di complessità dell'opera, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa”. 
Risultano altresì obblighi prodromici al corretto svolgimento dell’incarico, questa volta gravanti sul singolo gestore, quelli previsti dall’art. 11 dello stesso decreto, che in sintesi si possono così compendiare:
a) obbligo di riservatezza;
b) rispetto degli obblighi discendenti dal rapporto (tipicamente di collaborazione professionale) instaurati con l’organismo di composizione della crisi di appartenenza; 
c) divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati (salvo quelli relativi alla prestazione da eseguire) e divieto di ricevere utilità o denaro direttamente dal debitore;
d) dovere di assicurare la propria indipendenza anche attraverso la sottoscrizione di una dichiarazione che dovrà poi essere comunicata anche al Tribunale. 
L’art. 12 del D.M. cit. prevede, ancora, che il gestore della crisi designato deve eseguire personalmente la sua prestazione. Si ritiene che tale norma non impedisca al gestore di servirsi di eventuali ausiliari nello svolgimento dell’incarico, purché ne segua l’operato e se ne assuma comunque una personale e diretta responsabilità verso il debitore, l’OCC di appartenenza e l’autorità giudiziaria (si pensi, ad es. al ricorso all’ausilio di un perito per la stima di un immobile o di partecipazioni in società non quotate o alla verifica del contenzioso pendente demandata ad un legale: in tutti i casi il gestore dovrà documentare tali attività e farne propri in maniera non acritica i risultati o le conclusioni).
Secondo l’interpretazione che si è affermata sul previgente art. 15, comma 9 della L. n. 3/2012, a partire da una nota pronuncia della S.C., il potere di nomina giudiziale del gestore va visto in surroga rispetto ai casi di mancata costituzione dell’O.C.C. nel circondario del Tribunale e non può essere esercitato quanto l’Organismo sia esistente ed operativo[31]. Tale soluzione è accolta anche dal nuovo Codice, all’art. 68, comma 1, che, pur riguardando espressamente il piano del consumatore, deve in realtà ritenersi soluzione di ordine generale. 
Gli adempimenti affidati all’O.C.C. sono strettamente connessi, per quanto qui rileva, alla redazione di una completa ed esaustiva relazione di accompagnamento della domanda del debitore, secondo quanto prevede l’art. 269, comma 2, CCI. Tale documento, come si è anticipato al par. precedente, deve avere un contenuto sia informativo, che valutativo. In primo luogo, infatti, la relazione deve illustrare compiutamente la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore. Particolare attenzione si dovrà perciò avere nella individuazione dei beni e dei redditi che compongono il patrimonio attivo del debitore, nonché la sua esposizione debitoria, precisando altresì le garanzie e gli eventuali diritti di prelazione. A tal fine si deve ricordare che il più recente Correttivo, al fine di sopire eventuali dubbi sulla perdurante possibilità di applicare l’art. 15, comma. 10, della L. n. 3/2012, ha aggiunto un nuovo comma 4 bis alla norma generale dell’art. 65, prevedendo che “ai fini della redazione delle relazioni da allegare alla domanda gli OCC possono accedere ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria, compresa la sezione prevista dall'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, ivi compreso l'archivio centrale informatizzato di cui all'articolo 30 ter, comma 2, del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, approvato dal Garante per la protezione dei dati personali ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101”.
Non a caso si è parlato di dovere, piuttosto che di semplice facoltà, in quanto molto spesso il soggetto sovraindebitato non ha delle scritture contabili vere e proprie e comunque sconta difficoltà di carattere culturale o professionale nel ricostruire con completezza tutta la propria situazione debitoria e creditoria, diritti e proprietà che lo riguardano, non potendo chi svolge invece i compiti di gestore della crisi in modo diligente ed adeguato alle connesse responsabilità semplicemente “fidarsi” di quanto gli venga riferito dal debitore[32].
La relazione dovrà illustrare anche la sussistenza della situazione di sovraindebitamento nonché le cause che l’hanno generata e la diligenza al riguardo impiegata dal debitore (così a seguito delle modifiche operate dal D.Lgs. n. 136 cit. ma recependo una prassi comunque già diffusa). Chi scrive ritiene infatti che seppur la liquidazione controllata non ha delle vere e proprie cause soggettive ostative (come ad es. l’art. 69 CCII per la ristrutturazione dei debiti del debitore), non di meno resti un limite ontologico all’accesso alla procedura nell’abuso ai creditori[33]. Non si vede peraltro perché, ove condotte depauperatorie del debitore emergessero già in sede di redazione della relazione di accompagnamento alla domanda, queste non dovrebbero essere messe in luce dal gestore, secondo un dovere di diligenza e di informazione corretta dei creditori (oltre che dell’autorità giudiziaria investita del ricorso), corrispondente del resto ai più generali doveri del debitore previsti dall’art. 4, comma 2, lett. a) o dall’art. 39 CCII Peraltro, una recentissima decisione del S.C. ha escluso che la “meritevolezza” funga da requisito d’accesso alla procedura, essendo invece destinata ad operare nella sede esdebitatoria[34].
La relazione deve altresì integrare un contenuto valutativo, in ordine alla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda. La norma di cui all’art. 269 CCII non prevede più (diversamente dal precedente art. 14 ter, comma 5, della L. n. 3/2012) che la domanda sia inammissibile “se la documentazione prodotta non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore”. Tale omissione, se certamente impone di valutare con minor rigore la regolarità formale della domanda e dei suoi allegati, tuttavia non impedisce, si deve ritenere, di poter dichiarare anche in futuro l’inammissibilità di domande oscure, che non chiariscono in modo sufficiente l’esistenza dei presupposti per poter accedere alla procedura, che evidenziano delle contraddizioni palesi non risolvibili neppure a seguito di una eventuale richiesta di integrazioni. Del resto, se non residuasse uno spazio valutativo e la decisione del tribunale fosse per così dire “vincolata”, non si spiegherebbe perché l’art. 270 preveda che l’apertura della liquidazione controllata avvenga con sentenza, ma solo in assenza di domande di accesso a procedure del titolo IV (cioè inesistenza di richieste accesso ad altri strumenti di regolazione della crisi) ed una volta valutata la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 268 e 269 (con un vaglio che, quindi, può anche concludersi negativamente). 
Al fine di poter rendere un tale giudizio di completezza si pone un dovere ulteriore in capo all’OCC, quello di dare notizia entro sette giorni dal ricevimento dell’incarico da parte del debitore, all’agente della riscossione ed agli uffici fiscali, anche locali, competenti in base all’ultimo domicilio fiscale dell’istante. Questo, infatti, permetterà non soltanto agli uffici di partecipare quali creditori al procedimento di liquidazione, ma, ancor prima, di effettuare le verifiche idonee ad accertare l’esistenza di debiti e pendenze di cui il gestore dovrà tenere conto nella propria relazione. Tale termine è stato portato a sette giorni (dai precedenti tre giorni), al fine di allinearlo a quello previsto per il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e per il concordato minore. 
Inoltre, come già ricordato, la relazione deve contenere l’attestazione di “capienza” prevista dall’art. 268, comma 3, CCII.
Dopo l’apertura della procedura, invece, l’attività dell’OCC (o meglio, del gestore) può proseguire per tutti gli ulteriori adempimenti, nell’ipotesi in cui coincida nella stessa persona la nomina giudiziale del liquidatore. Al riguardo occorre sottolineare la recente modifica dell’art. 270, comma 2, lett. b) che pone sullo stesso piano la scelta anche di un diverso professionista da parte del tribunale, mentre in precedenza per non confermare il gestore occorrevano “giustificati motivi”, espressione che il più recente Correttivo ter ha soppresso. La nomina del liquidatore, pertanto, oggi deve ritenersi pienamente discrezionale, forse anche per allineare il caso della richiesta in proprio di apertura della procedura rispetto a quella proveniente da un terzo creditore, nella quale l’OCC – a meno che il debitore non abbia eccepito la propria incapienza - neppure risulta coinvolto.
4 . Il procedimento di apertura della liquidazione controllata
Il procedimento di apertura della liquidazione controllata assume caratteristiche in parte diverse a seconda che la domanda giudiziale sia avanzata dallo stesso debitore, piuttosto che da un creditore.
Nel caso di domanda proposta dallo stesso debitore, come già si è visto, questi può stare in giudizio personalmente e può quindi direttamente sottoscrivere il ricorso introduttivo; la sua iniziativa processuale tuttavia richiede la necessaria ed indispensabile assistenza dell’OCC (organismo di composizione della crisi), nonché del gestore da questi nominato, cui spetta in effetti (nonostante la norma parli di redazione da parte dell’OCC) redigere ed assumere la paternità della relazione che va allegata al ricorso, quale atto indispensabile per la promozione di questo procedimento. 
La norma dell’art. 269 CCII si occupa unicamente della legittimazione del debitore, della possibilità dello stesso di non avvalersi di un difensore, e della citata relazione dell’OCC. Quanto alle norme procedurali si nota, invece, un sintetico svolgimento dell’iter decisionale al successivo art. 270, comma 1, CCII, ove si afferma che “il Tribunale, in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV e verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata”. 
Pur se di contenuto laconico, la norma contiene molti aspetti di novità in tema di disciplina processuale dell’apertura della liquidazione controllata, rispetto a quanto tratteggiato per la liquidazione del patrimonio dagli artt. 14 ter e ss. L. n. 3/2012. In primo luogo, ricordato che la competenza territoriale è disciplinata dall’art. 27 CCII, cui rinvia l’art. 268, comma 1, (vds. retro), cambia l’organo decidente: non si tratta più di una trattazione e di un provvedimento monocratico, ma la decisione appartiene al tribunale in composizione collegiale. Da questo punto di vista la riforma avvicina ancora di più l’apertura della liquidazione controllata a quella relativa alla liquidazione giudiziale. Se, peraltro, il provvedimento decisorio appare collegiale, può certamente ammettersi – così come avviene correntemente nella prassi – che la trattazione del procedimento avvenga di fronte ad un giudice delegato dal collegio, anche in via permanente, in forza delle tabelle di organizzazione di ciascun tribunale[35]. Resta però salva l’esigenza che egli si riservi di riferire successivamente in camera di consiglio al collegio, di cui farà perciò parte quale relatore e poi, di regola, anche estensore del provvedimento. 
In secondo luogo, si avverte la presenza della frase “in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV”. Ciò significa, se si vuole dare un senso pratico a tale espressione, che la trattazione e decisione di eventuali diverse procedure di regolazione della crisi hanno carattere pregiudiziale rispetto alla liquidazione controllata, che assume perciò anche nel nuovo Codice una valenza per così dire residuale[36]. È da dire, peraltro, che il titolo IV, cui rimanda la norma, disciplina sia procedure maggiori (normalmente destinate all’imprenditore commerciale sopra soglia), che procedure previste per l’imprenditore minore (concordato minore di cui agli artt. 74 e ss. CCII e piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, di cui agli artt. 67 e ss. CCII). La norma vuole così riprendere quella regola della pregiudizialità logica (o continenza impropria) che la Cassazione negli ultimi anni ha ripetutamente affermato con riferimento al rapporto fra concordato e fallimento stabilendo che la pendenza di una procedura concorsuale diversa a carico dello stesso debitore non consente l’apertura della liquidazione[37]. 
In terzo luogo, l’art. 270, comma 1, afferma che l’apertura della liquidazione controllata avviene una volta che il tribunale abbia “verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269”. La comprensione esatta di tale affermazione richiede ancora una volta di ribadire come la riforma abbia voluto avvicinare questo procedimento a quello rivolto all’apertura della liquidazione giudiziale, applicando in quanto compatibili le disposizioni sul procedimento unitario di cui al titolo III (così il rinvio operato dall’art. 270, comma 5)[38]. 
Nella relazione di accompagnamento si legge, infatti, che “a differenza di quanto previsto dalla vigente disciplina dettata dalla l. n. 3 del 2012, che prevede un procedimento del tutto autonomo rispetto a quello fallimentare, l’articolo illustrato innesta anche la liquidazione controllata del sovraindebitato nel procedimento unitario regolato dagli art. 44 e seguenti, in quanto applicabili, e disciplina la procedura di liquidazione controllata sul modello della liquidazione giudiziale, adattandola alle caratteristiche dei soggetti sovraindebitati”. 
Se è così, molti principi propri del “procedimento unitario” appaiono applicabili in fase di trattazione della domanda di apertura della procedura, come ad es. la possibilità di esercitare poteri istruttori officiosi da parte del giudice. Anche su tale aspetto ci sarà comunque modo di svolgere un approfondimento specifico (vds. infra par. successivo), mentre in questa sede si vuole rilevare come alla domanda svolta in proprio dal debitore sovraindebitato possano senz’altro estendersi i principi giurisprudenziali che si sono via via affermati, anche in tema di riparto dell’onere della prova a carico dello stesso istante, con riguardo alla domanda di “autofallimento”. Si è infatti rilevato che in tal caso – contrariamente all’ipotesi di iniziativa da parte di un creditore o del p.m. – spetta allo stesso debitore dimostrare i presupposti di accoglimento della propria domanda e, quindi, non solo di trovarsi in una situazione effettiva di insolvenza, ma anche il relativo presupposto dimensionale[39]. Ovviamente, nel caso di sovraindebitamento, il debitore che richiede l’apertura della procedura concorsuale minore liquidatoria, se imprenditore, dovrà dimostrare più semplicemente di trovarsi sovraindebitato (situazione che ricomprende anche la crisi) e di non superare i limiti dimensionali che configurano l’impresa minore di cui all’art. 2 lett. d) CCII Si tratta di limiti identici a quelli già previsti dall’art. 1, comma 2, L. fall. e fra loro concorrenti, nel senso che è sufficiente superare uno dei tre previsti per perdere la qualifica di imprenditore minore e, con essa, la possibilità di accedere alle procedure di sovraindebitamento[40]. L’art. 2, comma 1, lett. d) afferma, infatti, che può definirsi “impresa minore”: l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila. 
Infine, la norma dispone che l’apertura della procedura di liquidazione controllata viene effettuata dal tribunale, con sentenza. Anche qui la forma dell’atto appare una novità volta ad uniformare maggiormente la disciplina della liquidazione controllata con quella giudiziale, mentre il sistema previsto dalla L. n. 3/2012 restava fondato sull’utilizzo di decreti monocratici reclamabili, ex art. 737 c.p.c. al collegio dello stesso tribunale. L’adozione della forma di sentenza rende perciò nel sistema del nuovo Codice tale provvedimento reclamabile, ma alla Corte d’appello, come si può desumere anche dall’art. 51 CCII[41]. 
Non vi è una norma espressa sulla forma dell’atto da seguire nel caso di rigetto dell’istanza o altro provvedimento ostativo all’apertura della liquidazione controllata, ma si può ritenere che in tal caso sia sufficiente l’adozione di un decreto motivato, come anche qui si può desumere dal richiamo ad una norma – in questo caso l’art. 50 CCII – del procedimento unitario uniforme[42]. 
Nel caso di procedimento aperto su iniziativa di un creditore valgono, a grandi linee, le regole che si sono appena richiamate, ma con qualche differenza. In primo luogo, vi è l’esigenza di consentire il contraddittorio sulla domanda del terzo da parte del debitore, che dovrà quindi ricevere la notifica dell’atto introduttivo. Atto introduttivo che, come già si è affermato, necessita per il creditore del patrocinio legale obbligatorio. In secundis, l’atto dovrà essere notificato al debitore secondo le forme desumibili dagli artt. 40 e 41 CCII Deve ritenersi che anche in questo caso il debitore possa stare in giudizio personalmente, pur se l’art. 269, comma 1, letteralmente afferma che il ricorso può essere presentato dal debitore personalmente, con l’assistenza dell’OCC, ma non regola l’ipotesi del debitore costituito come convenuto. Nulla vieta comunque che per esigenze difensive il debitore possa ricorrere al ministero di un difensore legale. 
L’onere di dimostrare i fatti costitutivi della domanda ed i presupposti per il suo accoglimento spettano in questo caso al creditore, pur se – come meglio si vedrà successivamente – sussistono certamente poteri istruttori officiosi in capo al tribunale.
4.1 . Il concorso di procedure
Come si è anticipato, l’art. 270 CCII stabilisce che il tribunale, nel concorso dei presupposti necessari, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata “in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV”. In questo modo la norma sembra riaffermare quel principio di pregiudizialità logica che la Cassazione ha affermato sussistere fra la valutazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo e giudizio di apertura della procedura concorsuale maggiore fallimentare. 
Va ricordato che già la Cass. S.U. n. 1521/2013[43] aveva, in motivazione, affrontato tale questione e, dopo avere dato rilievo alla eliminazione nel corpo dell’art. 160, comma 1, L. fall. dell’inciso “fino a che il suo fallimento non è dichiarato”, cui tradizionalmente si ancorava l’affermazione del criterio della prevenzione, aveva precisato che “non ricorre certamente nella specie un’ipotesi di pregiudizialità necessaria, atteso che: non sono sovrapponibili le situazioni esaminate nelle due distinte procedure di fallimento e di concordato (C. 11/3059); ancora, la sospensione è istituto eccezionale che incide in termini limitativi rispetto all’esercizio del diritto di azione, e che pertanto può trovare applicazione soltanto quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata (C. 03/14670)”. 
Il tema è poi stato affrontato funditus, dalla successiva Cass. S.U. 15 maggio 2015, n. 9936[44], secondo cui anche se dopo la riforma è necessaria l’istanza dei creditori o la richiesta del pubblico ministero a causa del venir meno della dichiarazione di fallimento d’ufficio, resta fermo che detta dichiarazione, nelle ipotesi previste dagli artt. 162, 173, 169 e 180 L. fall., presuppone rispettivamente l’inammissibilità della domanda di concordato, la revoca dell’ammissione alla procedura, la mancata approvazione della proposta o la mancata omologazione e pertanto, comunque, il previo esaurimento del procedimento di concordato. Secondo la S.C. assume rilievo decisivo l’art. 161, comma 10, L. fall. ove disciplina l’ipotesi della presentazione di una domanda di concordato con riserva (art. 161, comma 6, L. fall.), nel caso in cui penda il procedimento per la dichiarazione di fallimento, dettando due disposizioni. Per la prima resta fermo “quanto disposto dall’art. 22, comma 1”, e cioè il fatto che “il tribunale, che respinge il ricorso per la dichiarazione di fallimento, provvede con decreto motivato”. Ne consegue che la presentazione della domanda di concordato con riserva non esclude la possibilità di respingere il ricorso eventualmente pendente per la dichiarazione di fallimento; per la seconda, a contrario, si deve escludere che sia possibile la dichiarazione di fallimento: infatti la norma prevede che il termine per la presentazione della proposta sia quello minimo di sessanta giorni, senza possibilità per il tribunale di stabilirlo modulandolo in concreto tra un minimo di sessanta ed un massimo di centoventi. Ne deriva che la presentazione della domanda di concordato in pendenza di procedimento per la dichiarazione di fallimento non sospende e neppure rende improcedibile la procedura prefallimentare, che può proseguire nella sua istruttoria e può concludersi con una pronunzia di rigetto; non è possibile, invece, la dichiarazione di fallimento senza il previo esaurimento della procedura di concordato preventivo (come può trarsi anche dalla disciplina dell’art. 69 bis, comma 2, L. fall. o dalla Raccomandazione UE del 12 marzo 2014, intitolata “su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza”. La S.C. ha inoltre precisato che la temporanea non dichiarabilità del fallimento non riguarda però le fasi d’impugnazione dei provvedimenti che pongono fine – nelle fattispecie previste dagli artt. 162, 173, 179 e 180 L. fall. – alla prospettiva concordataria e perciò, per dichiarare il fallimento, non è necessario attendere l’esito di dette impugnazioni: si tratta perciò di una pregiudizialità logica e non strettamente giuridica, determinata da un rapporto di continenza fra i due procedimenti che, quando pendano innanzi al medesimo tribunale, deve portare alla loro riunione. 
Nel rapporto fra procedura di liquidazione controllata ed altre misure di regolamentazione della crisi vi è, quindi, in primo luogo, una pregiudizialità di queste seconde, per cui – alla stregua del dato letterale dell’art. 270 CCII – il tribunale non può dichiarare l’apertura della procedura liquidatoria sol che vi sia domanda di accesso alle seconde. 
Ma vi è di più. L’art. 271 CCII disciplina più nello specifico – rispetto all’ambito delle procedure maggiori – questo rapporto di pregiudizialità, prevedendo che quando la domanda di apertura della liquidazione controllata è proposta da un creditore, allora il debitore può – entro la prima udienza – presentare domanda di accesso ad una procedura di cui al capo II del titolo IV (id est: ristrutturazione dei debiti del consumatore e concordato minore), oppure la concessione di un termine per presentare tale domanda. In quest’ultimo caso, che appare invero il più frequente, il giudice concede un termine per l’integrazione della domanda che – a seguito del D.Lgs. n. 136/2024 – è stato fissato in 60 giorni, prorogabili su istanza del debitore ed a fronte di giustificati motivi fino a ulteriori 60 giorni. Nella pendenza di tale termine la liquidazione controllata non può essere dichiarata aperta. 
Solo se nel termine assegnato dal giudice la domanda non venga integrata, o in ogni caso in cui manchi l’apertura o vi sia la cessazione di una delle procedure alternative, allora è possibile pervenire alla sentenza di apertura della liquidazione controllata[45].
4.2 . Il rinvio agli articoli da 21 a 55 CCI in quanto compatibili
Nella riscrittura della norma il legislatore ha soppresso il rinvio che l’art. 271 operava rispetto all’art. 54 CCII e preferito ricorrere al rinvio esplicito alle misure previste dall’art. 70, comma 4 o dall’art. 78, comma 2, lett. d): si tratta cioè delle misure protettive specificamente previste in tema di piano del consumatore (sospensione delle procedure esecutive che potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano, da intendersi qui, come in grado di pregiudicare un’armonica ed efficiente liquidazione del patrimonio del debitore nell’interesse dei creditori concorsuali, nonché divieto di azioni esecutive e cautelari o altre misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio) e in tema di concordato minore (che riguardano una protezione “a raggiera”, più ampia e non volta ad inibire singole procedure esecutive, nonché ad impedire l’acquisto di diritti di prelazione sul patrimonio del debitore da parte di creditori concorsuali; questa norma precisa altresì che le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano).
La relazione di accompagnamento, inoltre, dopo aver collegato le modifiche all’art. 271 ad una maggiore consonanza con l’art. 7 CCII già ricordato, afferma che “viene eliminato l’ultimo periodo del comma 2 in un’ottica di semplificazione del testo. Il richiamo alle sezioni II e III del titolo III compiuto nell’articolo 65, comma 3, e nell’articolo 270, comma 5, già rende applicabili alla liquidazione controllata le disposizioni di cui agli articoli da 51 a 55”. Con il che si ha una conferma, se pure ve ne fosse bisogno, della necessità di integrare queste disposizioni processuali con le norme in tema di procedimento unitario (ove non derogate per specialità da una diversa disciplina ad hoc per la liquidazione controllata). Si può ritenere, ad avviso di chi scrive, che la disciplina delle misure protettive in questa particolare fase processuale – pendente termine ex art. 271 CCII – sia quella specificamente ed espressamente richiamata, mentre, per quanto non previsto, la stessa possa comunque essere integrata dalle più generali disposizioni di cui agli artt. 54 e 55, in quanto compatibili (ad esempio, a favore del debitore, la possibilità di svolgere una istanza successiva ex art. 54, comma 2, ma anche – questa volta a favore dei creditori – la possibile nomina di un custode in via cautelare; sul piano processuale invece, sembra doversi ammettere la reclamabilità ex art. 669 terdecies c.p.c. del provvedimento di concessione o rigetto della misura protettiva, così come previsto per le misure protettive e cautelari in genere, pena un ingiustificato minor livello di tutela della parte destinataria di dette misure).
5 . Effetti della dichiarazione di apertura della procedura
La liquidazione controllata disegnata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza è, innanzitutto, come inizialmente rilevato, una procedura di carattere concorsuale. In questo paragrafo (e nel successivo) ci si occupa di tre corollari di tale qualificazione: a) il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali sull’attivo della procedura; b) l’apertura del concorso fra i creditori del soggetto sovraindebitato ammesso alla procedura liquidatoria; c) l’esigenza – connaturata a quanto precede – di distinguere fra creditori anteriori e creditori posteriori.
Con riferimento al primo ordine di implicazioni, il modello di riferimento è certamente la procedura della liquidazione giudiziale (vds. art. 150 CCII)[46]. Qui tradizionalmente si afferma che l’apertura della procedura concorsuale determina la sottoposizione al concorso sostanziale di tutte le posizioni creditorie verso il debitore, con la conseguente partecipazione proporzionale dei creditori, nel rispetto delle cause legittime di prelazione, alla distribuzione di quanto ricavato attraverso la liquidazione, nonché al concorso formale, determinandosi cioè l’esigenza di una verifica unitaria dei crediti. Questo profilo non può che determinare la perdita per i creditori delle facoltà individuali di azione confliggenti con l’esecuzione collettiva originata dal concorso, con la conseguente impossibilità di agire esecutivamente sui beni della procedura. Il divieto di azioni esecutive manifesta, pertanto, una valenza strumentale e necessitata al fine di realizzare il concorso, sostituendosi al principio fondamentale del prior in tempore potior in iure, quello altrettanto rilevante in questa materia della par condicio creditorum. Ciò spiega, altresì, l’attribuzione agli organi della procedura di facoltà processuali sostitutive sia di quelle spettanti al debitore “liquidato”, sia di quelle spettanti ai suoi debitori. Come meglio si vedrà (vds. infra), mentre nella L. n. 3/2012 la realizzazione del concorso è stata fino almeno alla riforma della L. n. 176/2000 solo imperfetta, il nuovo Codice avvicina ancora maggiormente la liquidazione controllata alla sua “sorella maggiore”, costituita dalla liquidazione giudiziale (ex procedura fallimentare). 
Il nuovo art. 270, comma 5, afferma infatti, dopo il D.Lgs. n. 136/2024, che con l’apertura della liquidazione controllata si applicano secondo compatibilità l’art. 142 CCII (che comporta il c.d. spossessamento, l’inclusione nell’attivo dei beni sopravvenuti e la facoltà di rinunciare alla liquidazione di beni quando ciò appare antieconomico); l’art. 143 CCII (in tema di perdita della capacità processuale del debitore, interruzione dei processi pendenti e legittimazione del curatore, da intendersi qui riferita al liquidatore); si applicano invece in modo diretto e necessario – senza alcuna esigenza di valutarne la compatibilità – gli artt. 150 e 151 CCII La prima di queste due norme, riprendendo quanto già previsto dall’art. 51 L. fall., afferma che “salvo diversa disposizione di legge, dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (leggasi per il sovraindebitamento liquidazione controllata, n.d.a.) nessuna azione individuale esecutiva o cautelare anche per i crediti maturati durante la liquidazione giudiziale, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura”. La protezione dalle iniziative aggressive individuali vale, quindi, anche per i crediti sorti nel corso della procedura (crediti posteriori), portando con ciò a rafforzare la destinazione integrale dell’attivo della liquidazione alla realizzazione del concorso fra i creditori e ad impedire che la destinazione satisfattiva concorsuale del patrimonio del sovraindebitato/liquidato possa essere sviata o intaccata da esecuzioni individuali. L’eccezione “salvo diversa disposizione di legge” rappresenta una valvola di sfogo per alcune peculiari categorie di crediti (essenzialmente i crediti fondiari e quelli garantiti da pegno mobiliare) la cui individuazione è tassativa e soggetta, appunto, a riserva di legge. Vale la pena notare, al riguardo, che nel vigore della L. n. 3/2012 generalmente si è ritenuto che il privilegio processuale del creditore fondiario di cui all’art. 41 T.u.b. non fosse destinato a realizzarsi nelle procedure di sovraindebitamento[47], per l’interpretazione necessariamente restrittiva di una norma che eccettua il divieto di esecuzione individuale nel solo “fallimento” e per la presenza di una disposizione come l’art. 14 quinquies, comma 2, lett. b) che non prevedeva eccezioni di sorta. Con l’entrata in vigore del nuovo Codice si è però dubitato della validità della stessa conclusione, in quanto proprio il rinvio dell’art. 270, comma 5, al precedente art. 150 potrebbe giustificare una diversa interpretazione, consentendo la realizzazione del privilegio processuale del creditore fondiario anche nel caso di liquidazione controllata, posto che la norma a cui si rinvia, in effetti, un tale privilegio processuale consente in via di eccezione. Questa tesi è sembrata più corretta anche in virtù della maggiore vicinanza della liquidazione controllata rispetto a quella giudiziale, mentre nel precedente regime normativo la disciplina della liquidazione del patrimonio presentava tratti distintivi più distanti rispetto al fallimento[48]. Il S.C. è intervenuto recentemente, sancendo la preferibilità di questa seconda opzione interpretativa, con una pronuncia che si segnala altresì per aver ribadito come la liquidazione controllata abbia la medesima natura di quella “maggiore” giudiziale[49]. 
Si è già rilevato come l’apertura della liquidazione controllata determini il concorso fra i creditori. In questo senso netto è, ancora una volta, il rinvio senza alcuna preliminare valutazione di compatibilità, quindi in modo necessitato, all’art. 151 CCII che, riprendendo quanto già affermava l’art. 52 L. fall., dispone che ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato in modo unitario e concorrente (sul punto l’art. 273 CCII deroga parzialmente alle disposizioni in tema di formazione del passivo nella procedura maggiore). La norma richiamata precisa altresì che tale regola si applica anche ai crediti esentati dal divieto di azioni esecutive (ciò che sembra ribadire fra l’altro la conclusione appena raggiunta circa il fatto che la disciplina della liquidazione controllata può garantire una corsia preferenziale ai crediti fondiari a patto che, beninteso, gli stessi siano tempestivamente insinuati ed ammessi allo stato passivo).
5.1 . I creditori posteriori
Distinzione rilevante è quella che permette di differenziare i creditori anteriori da quelli posteriori. In passato, tale distinzione si è fondata ex art. 14 duodecies L. n. 3/2012 sul momento in cui viene eseguita la pubblicità già prevista dall’art. 14 quinquies, comma 2, lettere c) e d). In questo modo il legislatore del 2012 aveva evitato di ancorare l’actio finium regundorum al momento della presentazione della domanda giudiziale, come pure al momento dell’emissione del provvedimento di apertura della procedura, valorizzando invece – a tutela dell’affidamento dei terzi – il momento in cui tale provvedimento fosse stato pubblicizzato con le formalità legalmente previste[50]. Si noti che lo stesso art. 14 duodecies faceva discendere da tale distinzione una importantissima conseguenza: e cioè che il patrimonio della procedura è destinato alla soddisfazione dei soli creditori anteriori, in quanto i creditori posteriori non possono agire esecutivamente su tali beni (con l’eccezione dei crediti sorti in occasione o in funzione della procedura concorsuale che, tuttavia, soggiacciono allo stesso divieto di azioni esecutive individuali, pur fruendo del vantaggio di essere preferiti nella soddisfazione rispetto agli altri crediti). Va detto, tuttavia, che la precedente disciplina manteneva un margine di incertezza interpretativa nella parte in cui rinviava alla pubblicità della lettera c) dell’art. 14 quinquies, ma anche a quella della lettera d), ponendo il dubbio se la mancanza di trascrizione del decreto sui beni immobili o mobili registrati consentisse o meno l’azione individuale esecutiva dei creditori posteriori. 
Più opportunamente, perciò, la disposizione dell’art. 277 CCII collega la distinzione fra creditori anteriori e posteriori alla sola pubblicità del decreto di cui all’art. 270, comma 2, lett. f), consistente nell’inserimento del provvedimento sul sito internet del Tribunale o del Ministero della giustizia o, nel caso in cui il sovraindebitato sia anche un imprenditore, con la pubblicazione presso il registro delle imprese, senza rinviare altresì alla ulteriore trascrizione della sentenza nei registri relativi ai beni immobili e mobili registrati (che naturalmente resta rilevante sul diverso versante della legge di circolazione di tali beni). 
Una importante novità in punto di effetti della sentenza era stata inserita già con il primo Correttivo (D.Lgs. n. 147/2020). Si è infatti stabilito che la sentenza produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, rinviando inoltre all’art. 256 CCII in tema di estensione ai soci illimitatamente responsabili, anche se non persone fisiche, degli effetti della dichiarazione della liquidazione giudiziale, da applicarsi secondo principio di compatibilità (certamente applicabile, ad esempio, appare il termine annuale dalla cessazione del rapporto societario o della illimitata responsabilità, come pure l’esigenza di convocazione personale del socio prima di disporre “l’estensione” degli effetti o la regola di possibile estensione successiva, in caso di scoperta di ulteriori soci illimitatamente responsabili, come nel caso di amministratore di fatto di una società in nome collettiva di minori dimensioni)[51]. 
Non è un caso, del resto, che anche rispetto al concordato minore l’art. 79, comma 4 CCII affermi ugualmente che lo stesso “produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”. È abbastanza evidente notare, in questo caso, che l’efficacia riflessa riguarda l’effetto esdebitativo sui soli debiti societari di cui, altrimenti, il socio potrebbe essere chiamato a rispondere in via solidale. Peraltro, nel concordato minore si fa salvo il patto contrario (che ad esempio le banche potrebbero imporre condizionando altrimenti l’approvazione dell’operazione di ristrutturazione), cosa che non è evidentemente possibile nella liquidazione controllata, che si estende integralmente ai singoli soci illimitatamente responsabili, attraendo nel concorso anche i debiti personali di questi ultimi ma, in compenso, garantendo anche per questi ultimi l’esdebitazione ex art. 282 CCII.
6 . Il sindacato del tribunale
Si è già avvertito che nella sistematica del Codice il procedimento di apertura della liquidazione controllata assume caratteristiche in parte diverse, a seconda che la domanda di apertura della procedura sia avanzata dallo stesso debitore, piuttosto che da un creditore terzo. 
Non cambia, invece, ad avviso dello scrivente la tipologia di vaglio operata dal tribunale, ferma restando una diversa ripartizione dell’onere probatorio. 
Tanto premesso, il sindacato del Tribunale dovrà riguardare l’esistenza dei presupposti per poter fare luogo all’apertura della procedura, nonché censire l’assenza di circostanze ostative (ad es. la pendenza di una domanda di risoluzione della crisi alternativa alla liquidazione), oltre che naturalmente estendersi alla valutazione della propria competenza. 
Non sembra invece più consentita una valutazione circa l’assenza di atti di frode negli ultimi cinque anni, che invece era imposta dall’art. 14 quinquies L. n. 3/2012. La possibilità di essere sottoposti alla liquidazione controllata sembra infatti divenuto un vero e proprio diritto del debitore capiente (sia pure ove ricorrano i presupposti di legge), senza alcuno spazio di valutazione sul compimento di atti dispositivi o frodatori delle ragioni dei creditori che, al più, dovranno essere piuttosto valutati in sede di concessione dell’esdebitazione a fronte dell’opposizione dei creditori interessati o, ancora, nel caso di esdebitazione del debitore incapiente (vds. artt. 282 e 283 CCII). Del pari, è venuta meno una disposizione come l’art. 14 ter, comma 5, della L. n. 3/2012, secondo cui la domanda di liquidazione “è inammissibile se la documentazione prodotta non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore”. Come già si è anticipato, la nuova liquidazione controllata è destinata ad avvicinarsi quasi completamente alla liquidazione giudiziale “maggiore” e l’assenza di barriere in ingresso spiega anche perché al nuovo liquidatore giudiziale sono state attribuite facoltà processuali ben più penetranti di quelle precedenti, potendo egli agire per la reintegrazione dell’attivo della procedura, sia attraverso la proposizione dell’azione revocatoria ordinaria, sia potendo proseguire quella che già fosse pendente al momento dell’apertura del concorso, purché ciò appaia utile per il miglior soddisfacimento dei creditori, nonché azionare i crediti nel patrimonio del debitore e ottenere la disponibilità dei beni facenti parte dell’attivo della procedura (cfr. art. 274 CCII). 
Non si vuole con ciò affermare che la decisione del Tribunale sarà comunque “dovuta”. All’organo giudiziario spetta pur sempre valutare la sussistenza dello stato di sovraindebitamento, nonché il presupposto soggettivo e dimensionale di debitore sottoposto a questo tipo di procedure e non a quelle maggiori; il Collegio, eventualmente tramite il relatore nominato o tabellarmente individuato, potrà altresì chiedere chiarimenti ed integrazioni documentali, posto che il rinvio al procedimento unitario uniforme giustifica, fra l’altro, l’esercizio di poteri istruttori officiosi. 
Viene invece meno ogni forma di valutazione di “meritevolezza” del debitore in sede di apertura della procedura liquidatoria[52], tanto è vero che persino la presenza di condanne penali di cui all’art. 280, comma 1, lett. a) o i motivi soggettivi ostativi ridisegnati dal novellato art. 282, comma 2, CCII (ad opera del D.Lgs. n. 147/2020) – come la frode, la mala fede e la colpa grave - rilevano soltanto in sede di riconoscimento dell’esdebitazione, decorso un triennio dall’apertura della procedura o, se anteriore, con la chiusura della procedura. La lettera di questa norma (vds. art. 282) presuppone, infatti, logicamente e giuridicamente, che la procedura liquidatoria abbia potuto aprirsi nonostante la presenza di circostanze ostative al riconoscimento in concreto del beneficio dell’esdebitazione. Diverso, peraltro, il testo dell’art. 283 CCII, che riserva l’esdebitazione al debitore incapiente “meritevole”, secondo valutazione da compiersi in limine litis, ciò che appare però spiegabile in relazione al carattere di beneficio premiale che questo procedimento riveste, non dando luogo ad alcun soddisfacimento per i creditori, se non in caso di attivo eventualmente sopravvenuto. 
Infine, nella vigenza del nuovo Codice risulta destinata ad uscire dal perimetro valutativo riservato al giudice ogni questione circa la fattibilità della liquidazione[53]. Da un lato, infatti, una tale valutazione è prevista dal nuovo Codice soltanto in sede di omologazione del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 70, comma 7) o di omologazione del concordato minore (art. 80), mentre non è richiamata in sede di apertura della procedura liquidatoria. Dall’altro, proprio la natura di quest’ultima procedura ed il suo completo avvicinamento dal punto di vista strutturale e funzionale alla procedura maggiore della liquidazione giudiziale, implicano l’assenza di una valutazione preventiva di fattibilità, dovendo più semplicemente il liquidatore procedere alla trasformazione in denaro di tutto l’attivo, nonché all’esercizio delle azioni volte a reintegrarlo, senza che sia necessaria una preventiva analisi del possibile gradiente di soddisfacimento riservato ai diversi creditori se non riguardo una generica possibilità di distribuzione di attivo in favore di questi ultimi. Del resto, a parere di chi scrive, la relazione richiesta dall’art. 269, comma 2, è qualcosa di ben diverso dall’attestazione di fattibilità del piano, che manca nella liquidazione (dovendo non a caso il liquidatore redigere un successivo programma di liquidazione) ed è invece presente nel piano del consumatore e nell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento. Si ricorda, comunque, che anche rispetto all’attestazione il Codice è intervenuto rendendola, anche nei casi in cui sarebbe astrattamente esigibile, adempimento facoltativo (così art. 65, comma 3, CCII). 
Nel vigore della legge n. 3/2012 – così come modificata dalla L. n. 186/2020 – si era posto il problema della mancata introduzione della esdebitazione di diritto al momento della chiusura della procedura o, se anteriore, decorso il triennio, invece accolta dall’art. 282 CCII Secondo la tesi che allo scrivente era apparsa preferibile, per il comune soggetto sovraindebitato sottoposto a liquidazione restava perciò ancora in vigore la necessità di affrontare un nuovo ulteriore procedimento di esdebitazione, secondo quanto prevedeva l’art. 14 terdecies. Si era tuttavia dubitato della coerenza di questa scelta legislativa (tale da rendere inapplicabile alle liquidazioni del patrimonio pendenti il nuovo art. 282 CCII), fonte secondo alcune tesi di un vulnus al principio di pari trattamento di cui all’art. 3 Cost. 
La S.C. è intervenuta recentemente anche su questo profilo, osservando che l’esdebitazione era nella legge n. 3/2012 un sub procedimento interno alla liquidazione del patrimonio, con la conseguenza che tale appendice risulta esclusa dalla permeabilità alle nuove disposizioni del Codice, secondo quanto previsto dalla norma transitoria generale di cui all’art. 390 CCII[54].
6.1 . La sentenza di apertura della procedura
Come osservato, una delle novità del nuovo Codice è data dal fatto che il provvedimento che dispone l’apertura della liquidazione controllata è costituito da una sentenza. Nel vigore nelle precedenti disposizioni della L. n. 3/2012, invece, l’articolato normativo era chiaro nel definire tale provvedimento come un decreto (così la stessa rubrica ed il testo dell’art. 14 quinquies). 
Inoltre, come pure già avvertito, la competenza viene attribuita – come tradizionalmente già per la dichiarazione di fallimento (divenuta liquidazione giudiziale) – al collegio e non ad un organo monocratico. Ciò si traduce anche in un mutamento del regime di impugnabilità del provvedimento, posto che nel vigore della L. n. 3/2012 il reclamo andava proposto al collegio dello stesso tribunale e di esso non poteva far parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, mentre con il Codice il reclamo dovrà proporsi alla Corte d’appello territorialmente competente. 
La sentenza deve evidentemente contenere la succinta esposizione delle ragioni di fatto e giuridiche che sostengono la decisione, nonché il richiamo alle norme ritenute pertinenti alla fattispecie decisa (così l’art. 118 disp. att. c.p.c.; vds. anche la norma generale dell’art. 132 c.p.c.). 
Al di là del rispetto di tale prescrizione, l’art. 270 CCII si preoccupa, inoltre, di regolare il contenuto “tipico” della sentenza di apertura della procedura di liquidazione controllata. 
La stessa deve infatti contenere: 
a) la nomina del G.D.; 
b) la nomina del liquidatore; 
c) l’ordine al debitore di depositare entro sette giorni i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché un elenco dei creditori; 
d) la fissazione ai terzi di un termine non superiore a novanta giorni entro il quale, a pena di inammissibilità, dovranno trasmettere al liquidatore, a mezzo posta elettronica certificata, domanda di restituzione o rivendicazione di beni o di ammissione al passivo; 
e) l’ordine di consegnare o rilasciare i beni facenti parte del patrimonio della liquidazione; 
f) l’inserimento della sentenza sul sito internet del Tribunale o del Ministero della giustizia, con l’avvertenza che ove il debitore sia un imprenditore allora sarà altresì effettuata la pubblicazione presso il registro delle imprese; 
g) l’ordine, se vi sono beni immobili o mobili registrati, di procedere alla trascrizione della sentenza presso gli uffici competenti. 
La nomina del G.D. e del liquidatore rappresenta una evidente analogia con la procedura “maggiore” della liquidazione giudiziale, dovendosi unicamente sostituire la figura del liquidatore a quella del curatore. Peraltro, anche il comma 3 dello stesso art. 270 estende le medesime incompatibilità già introdotte in generale per i professionisti chiamati a vario titolo a collaborare con il tribunale ed a fungere da ausiliari dello stesso, modellandole su quelle dell’amministratore giudiziario di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Manca invece, stante la maggiore semplicità di questa procedura, la nomina del comitato dei creditori, dovendo pertanto ritenersi che ciò corrisponda – nella liquidazione controllata – ad una maggiore responsabilizzazione, anche per gli aspetti gestori e meritali, degli organi della procedura, liquidatore e giudice delegato. 
Del tutto nuova rispetto alla liquidazione del patrimonio è la indicazione giudiziale del termine entro il quale i terzi devono avanzare domanda di restituzione o rivendicazione di beni apparentemente rientranti nell’attivo della procedura, ovvero domanda di insinuazione allo stato passivo. Anche qui la scelta è simile a quella già prevista per la sentenza di fallimento (rectius di apertura della liquidazione giudiziale) e distonica, invece, rispetto al regime precedente, che vedeva lo stesso liquidatore assegnare ai terzi un termine con la comunicazione prevista dall’art. 14 sexies L. n. 3/2012 e ss. modd[55]. Distonica è pure la circostanza che il termine assegnato con la sentenza di cui all’art. 270 CCII – oggi elevato fino a 90 gg. - sia espressamente previsto come “a pena di inammissibilità”, mentre nella disciplina di cui alla più volte citata L. n. 3/2021 simile perentorietà non era testualmente prevista, ciò che ha portato la prassi prevalente a interrogarsi sulla ammissibilità delle c.d. domande tardive, che invece il nuovo Codice si preoccupa di superare per evidenti ragioni di certezza dei rapporti[56]. Per risolvere praticamente il tema dell’ammissibilità o meno di domande “tardive” si è infatti previsto che “decorso il termine di cui al comma 1, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo della liquidazione, la domanda tardiva è ammissibile solo se l'istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile e se trasmette la domanda al liquidatore non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo” (così in particolare l’art. 273, comma 5, CCII). Tali aspetti saranno ulteriormente approfonditi infra, nel par. 8. 
Innovativa è anche la possibilità – in presenza di gravi e specifiche ragioni che andranno conseguentemente indicate nella motivazione – di consentire al debitore o ad un terzo l’utilizzo di alcuni beni facenti parte dell’attivo. Si tratta di una norma che consente di configurare un esercizio provvisorio dell’impresa da parte del debitore, purché sia rispettata la complessiva vocazione liquidatoria della procedura. Così, ad esempio, un esercizio provvisorio temporaneo potrebbe servire utilmente per non disperdere alcuni valori dell’attivo e consentire una loro liquidazione più efficiente e remunerativa per i creditori[57]. 
L’ordine di rilascio dei beni costituisce un titolo esecutivo che può essere posto in esecuzione a cura dello stesso liquidatore. Al fine di risolvere il problema delle modalità di esecuzione, in quanto non appariva chiaro se il liquidatore potesse esimersi dalle forme dell’art. 605 e ss. c.p.c., il Correttivo di cui al D.Lgs. n. 136/2024 ha stabilito che l’ordine di rilascio è posto in esecuzione dal liquidatore secondo le previsioni dell’art. 216, comma 2, CCII. 
La pubblicità della sentenza di apertura della liquidazione controllata non è più lasciata, infine, come nella situazione precedente, alle stesse prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziale, ma è stata tipizzata. È così prevista la pubblicazione nel sito internet del Tribunale o del Ministero della giustizia e, quando il debitore sia anche un imprenditore, anche mediante iscrizione nel registro delle imprese. Si deve ritenere che in questo secondo caso sia l’esecuzione della pubblicità nel registro delle imprese, atteso il valore legale di pubblicità notizia delle vicende dell’impresa, a segnare la linea di demarcazione fra creditori anteriori e posteriori. 
Nell’ipotesi in cui l’attivo comprenda beni immobili o mobili registrati, la sentenza è altresì trascritta presso gli uffici competenti. Restano esclusi dall’attivo della procedura i cespiti e diritti indicati dall’art. 268, comma 4, e, in particolare, a) i crediti impignorabili; b) i crediti alimentari e di mantenimento e gli stipendi o pensioni nei limiti – fissati dal giudice - in cui occorre al mantenimento del debitore e della sua famiglia; c) frutti derivanti dall’usufrutto legale su beni dei figli e i beni costituiti in fondo patrimoniale nei limiti di cui all’art. 170 c.c.; d) cose impignorabili per legge. Quanto all’ipotesi sub b), statisticamente più frequente, deve notarsi che la prassi contempla molto spesso relazioni dell’OCC che individuano una somma mensile destinata ai creditori, individuando cioè quale parte del reddito mensile prodotto dal debitore debba rimanere a disposizione sua e della famiglia. Tale indicazione non è vincolante e deve intendersi una mera proposta: la disposizione dell’art. 268 è infatti chiara nell’attribuire al giudice il potere di fissare il limite entro il quale tali introiti possono essere sottratti alla destinazione satisfattive dei creditori e lasciati nella disponibilità del debitore per le esigenze di mantenimento personali e della sua famiglia[58].
6.2 . Il rinvio alle disposizioni sul procedimento unitario nel Codice della crisi
Con una norma di chiusura contenuta nell’art. 270, comma 5, CCII il nuovo Codice prevede che “per i casi non regolati dal presente capo si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al titolo III, sezioni II e III”. 
La disposizione ha un impatto rilevante, valendo a completare l’altrimenti scarna disciplina specifica prevista dagli artt. 268 e ss. CCII. 
Pur non essendo contenuta nelle sezioni espressamente contemplate dalla norma di rinvio, si deve ritenere – come già anche rilevato – che alla liquidazione controllata si applichino le norme relative alla giurisdizione (art. 26) ed alla competenza (artt. 27 e ss.), non potendo del resto ammettersi, stante altrimenti l’irrazionalità complessiva, che solo al piano ed al concordato minore si applichi l’intero titolo III (vds. art. 65 cit.). La disciplina così ricostruita, rappresenta in effetti di una novità rispetto alla regolamentazione contenuta nella L. n. 3/2012, che nulla prevedeva in materia di giurisdizione e che sulla competenza si limitava a stabilire all’art. 9 che la proposta di accordo (ma il principio valeva anche per il piano del consumatore e la domanda di apertura della liquidazione dei beni) si doveva presentare presso il tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore, per il consumatore valendo invece il luogo della residenza. La necessità di una disciplina più specifica si spiega, però, se si considera che la domanda di apertura della liquidazione controllata può essere proposta anche dai creditori, oltre che dallo stesso debitore, ciò che potrà portare ad una maggiore conflittualità sul punto. 
Ecco, pertanto, che la nuova disciplina introduce la regola – invero del tutto analoga alla procedura liquidatoria maggiore – secondo cui la competenza si individua in relazione al c.d. COMI (centre of main interest) del debitore, che deve presumersi coincidente: a) per la persona fisica esercente attività impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale; b) per la persona fisica non esercente attività d’impresa, con la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, con l’ultima dimora nota o, in mancanza, con il luogo di nascita. Se questo non è in Italia, la competenza è del Tribunale di Roma; c) per la persona giuridica e gli enti, anche non esercenti attività impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale o, se sconosciuta, secondo quanto previsto nella lettera b), con riguardo al legale rappresentante. 
Nella relazione di accompagnamento si ricorda che tali indicazioni, per esigenze di semplificazione, sono oggetto di una presunzione assoluta, che quindi non ammette una prova contraria. Si tratterebbe di una novità assai rilevante, posto che nella situazione attuale – così come avviene più in generale per le problematiche di competenza per le procedure maggiori – la sede legale risultante dai registri delle imprese tenuti dalla Camera di commercio vale ad individuare la competenza con una presunzione semplice, che ammette la prova contraria volta a dimostrare che – nonostante tale indicazione – la sede effettiva dell’impresa, quale centro di direzione gestoria della stessa, si trova in altro luogo[59]; e così naturalmente anche per la residenza della persona fisica, rispetto alla quale è consentita la prova che le risultanze anagrafiche sono soltanto apparenti, avendo la persona fisica la propria residenza effettiva altrove. Si dovrà attendere che la giurisprudenza si assesti sul punto, considerato che, se è vero che la relazione è chiara, lo è meno il testo di legge che parla di presunzione senza alcuna ulteriore aggettivazione, tenuto altresì conto che le relazioni di accompagnamento ed i lavori preparatori, pur avendo valore orientativo, non hanno di per sé valore vincolante l’interprete. 
Da sottolineare ancora, come in linea con l’art. 24 L. fall., oggi l’art. 32 CCII prevede che il tribunale che ha aperto le procedure di liquidazione è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore. Trattasi di scelta che appare applicabile anche alla liquidazione controllata, con particolare riguardo per le azioni esperibili dal liquidatore ex art. 274 CCII. 
Alla domanda proposta dal debitore si ritengono applicabili, in forza del rinvio contenuto nell’art. 270 CCII, anche i doveri informativi e gli obblighi di allegazione contenuti nell’art. 39, concernenti la produzione delle scritture contabili e fiscali obbligatorie ed i bilanci e le dichiarazioni dei redditi relativi agli ultimi tre esercizi; la relazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata ed uno stato particolareggiato ed estimativo delle attività, l’elenco dei creditori con indicazione dei rispettivi crediti e cause di prelazione, una idonea certificazione sui debiti fiscali e contributivi; l’indicazione degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio precedente. Naturalmente nulla vieta – ed anzi appare assai opportuno in concreto per la maggiore attendibilità e completezza - che tali produzioni ed indicazioni siano allegate o nella relazione predisposta dall’OCC che deve necessariamente accompagnare la domanda del debitore, ex art. 269 CCII così da rendere sostanzialmente superfluo, sul piano operativo, almeno nella maggior parte dei casi, il richiamo alla norma di cui al citato art. 39. 
Pienamente compatibili con le disposizioni sulla liquidazione controllata appaiono, inoltre, la possibilità per il debitore di stare in giudizio personalmente (cfr. art. 40, comma 4, CCII) e sulla necessità di notificazione quando la domanda sia proposta dal creditore. 
Pure applicabili appaiono anche le norme sul procedimento di apertura della liquidazione giudiziale, ove non diversamente derogate dalla disciplina in tema di liquidazione controllata, potendosi perciò ritenere che anche qui valga un termine a comparire di almeno 15 gg., salvo abbreviazione per particolari ragioni di urgenza (art. 41, comma 2 e comma 3, CCII), come pure la concessione di un termine per memorie e produzione di documenti al debitore, quando la richiesta di apertura della procedura provenga da un terzo (art. 41, comma 4), nonché le disposizioni sui poteri officiosi del giudice delegato alla trattazione del procedimento (art. 41, comma 6 e art. 42 CCII) e in materia di impugnazioni (artt. 50 e ss.). A quest’ultimo proposito si sottolinea nuovamente che il provvedimento di apertura della liquidazione diviene una sentenza in luogo del decreto e che la decisione è affidata dal nuovo Codice al Tribunale in composizione collegiale, con l’ulteriore conseguenza che il reclamo dovrà proporsi alla Corte d’Appello e non più allo stesso tribunale in composizione collegiale, come invece era nel vigore della L. n. 3/2012. 
Si è recentemente posto il quesito della cumulabilità in un unico procedimento della domanda di liquidazione giudiziale e della domanda di apertura liquidazione controllata che, ad esempio, potrebbe scaturire dalle stesse difese del convenuto, il quale eccepisca, ad esempio, di essere imprenditore sottosoglia. La risposta data dalla giurisprudenza di merito appare al momento favorevole[60]. Il S.C., chiamato sul punto a decidere una istanza di rinvio pregiudiziale relativa al cumulo di domande in sede di reclamo, ha invece rilevato l’inammissibilità della questione[61].
7 . Gli organi della procedura
Il percorso di avvicinamento che il nuovo Codice opera per la procedura minore di liquidazione controllata rispetto alla liquidazione giudiziale (ex fallimento) traspare – oltre che per quanto già rilevato in precedenza - anche nella disciplina e nel ruolo degli organi della procedura. Resta però un evidente punto di divergenza, consistente nella mancanza di un comitato dei creditori che, per ragioni di semplificazione e tenuto altresì conto dei minori valori spesso in gioco, si è ritenuto di omettere per la liquidazione controllata.
Non si tratta di un caso del tutto eccezionale, se si considera che anche nella liquidazione giudiziale il nuovo correttivo (D.Lgs. n. 136/2024) ha semplificato il rapporto fra gli organi, istituendo una sorta di silenzio-assenso per i pareri non vincolanti del comitato dei creditori (cfr. art. 140, comma 3, CCII); inoltre, anche nel caso di chiusura anticipata con liti pendenti di cui all’art 234 CCII, restano in carica soltanto il curatore ed il giudice delegato, mentre il comitato dei creditori viene meno.
7.1 . Il tribunale
L’apertura del procedimento di apertura della liquidazione controllata è stato affidato dal nuovo Codice ad una decisione di natura collegiale che chiama in causa il Tribunale, laddove – invece – nella L. n. 3/2021 si era seguito il disegno di affidare l’intera procedura sotto l’egida di un giudice monocratico, non necessariamente il Giudice delegato, tanto è vero che non mancano casi in cui le tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari affidano i compiti relativi al sovraindebitamento al Giudice delle esecuzioni. Si poteva perciò affermare che nella disciplina fondata sulla L. n. 3/2012 e ss. il Tribunale svolgesse un ruolo prevalentemente di controllo, ad esempio in sede di reclamo sulle decisioni del giudice monocratico dello stesso ufficio, in applicazione delle disposizioni sui procedimenti in camera di consiglio (art. 737 e ss. c.p.c.).
Ben più penetrante, invece, è il ruolo del Tribunale nella nuova liquidazione controllata, considerato che la decisione sulla richiesta di apertura della procedura è affidata a tale organo, che provvede in caso positivo con sentenza. Non solo. Al tribunale compete la nomina degli altri organi della procedura, quali il giudice delegato ed il liquidatore, riproponendo quindi in gran parte l‘applicabilità di soluzioni ed equilibri fra gli organi già conosciuti ed esplorati nella procedura liquidatoria maggiore.
Manca nel sovraindebitamento, occorre subito aggiungere, vista la maggior semplicità della procedura e i valori in gioco normalmente assai più limitati, un organo come il comitato dei creditori, ciò che non incide però tanto sul ruolo del tribunale, bensì sulle funzioni del giudice delegato e del liquidatore.
Al tribunale restano inoltre dei compiti di controllo più generali, dovendo ritenersi applicabili analogicamente varie norme della liquidazione giudiziale. In primo luogo, soccorre, ad avviso di chi scrive, l’art. 124 in tema di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato. Se è vero, infatti, che si era dubitato della natura generale di detta disposizione ritenendola ancorata alla procedura liquidatoria maggiore, da un lato si è già rilevato la forte vicinanza della liquidazione controllata alla prima; dall’altro, il più recente correttivo ha ribadito espressamente l’applicazione dell’art. 124 CCII anche al concordato preventivo, sì che tale forma di riesame dei provvedimenti del giudice appare oggi di portata generale (vds. nuovo art. 93 bis CCII). Inoltre, appaiono applicabili analogicamente anche gli artt. 134 e 135 in tema di revoca o sostituzione (non del curatore ma) del liquidatore, essendo comunque ragionevole demandare allo stesso tribunale che provvede alla nomina anche la revoca o sostituzione di tale organo (in ossequio al principio del contrarius actus che individua un parallelismo formale fra provvedimento positivo e quello contrario di revoca). 
Da sottolineare che a seguito del più volte citato Correttivo-ter, non è più previsto alcun intervento del tribunale in sede di formazione dello stato passivo, come più avanti si vedrà, posto che oggi è il liquidatore a formare in prima battuta lo stato passivo ed il giudice delegato a decidere eventuali contestazioni, con provvedimento che è direttamente ricorribile per cassazione. 
L’impianto del nuovo Codice, così come “ritoccato” dal medesimo D.Lgs. n. 136/2024, sembra poi riproporre quel principio di “simmetria” che domina la procedura maggiore, in forza del quale il tribunale fallimentare che apre la procedura e nomina il curatore è anche lo stesso organo che provvede alla chiusura della procedura ed alla liquidazione dei compensi del curatore che egli stesso ha nominato, nonché alla revoca o sostituzione del professionista nominato. 
L’art. 276 CCII prevede infatti, al novellato primo comma, che sia il tribunale a provvedere alla chiusura. Tuttavia, il precedente art. 275 conferma il ruolo del giudice nell’approvazione del rendiconto del liquidatore e nella liquidazione del relativo compenso, nonché a risolvere eventuali contestazioni riguardanti il progetto di riparto. Più dubbia l’interpretazione del successivo art. 276, comma 2, ove si dispone che sia il giudice ad autorizzare altresì il pagamento del compenso già in precedenza liquidato (in altri termini qui si recepisce la prassi di alcuni uffici secondo cui la liquidazione del compenso del curatore avviene subito dopo il rendiconto, in modo che sia possibile predisporre la distribuzione delle somme tenendo conto di tale compenso, ma il materiale pagamento è posticipato all’effettiva chiusura della procedura, al fine di scongiurare contegni dilatori). Infatti, se è vero che il tenore di questo comma non è stato modificato dal Correttivo-ter, è pur vero che è stato modificato il primo comma della medesima disposizione e che, se è indubitabile che il decreto di chiusura sia stato affidato al tribunale deve pure ritenersi che il secondo comma, ove afferma “con il decreto di chiusura, il giudice” deve intendersi organo giudicante – cioè lo stesso collegio – apparendo incongruo che a chiusura disposta dal collegio sia un organo monocratico ad autorizzare il pagamento, quando la stessa autorizzazione – letteralmente – deve comunque essere contenuta nel medesimo provvedimento conclusivo, oggi collegiale. 
Chi scrive ritiene inoltre che l’ultimo comma dell’art. 275 CCII descriva un esempio applicativo di un principio in realtà più generale. Tale norma prevede, infatti, che eventuali contestazioni non sanabili sul progetto di riparto siano rimesse dal liquidatore al giudice, il cui decreto motivato sarà reclamabile al tribunale in composizione collegiale ai sensi dell’art. 124 CCII Viene in altri termini previsto – come si è accennato - un caso tipico di reclamo al collegio previsto nella procedura maggiore ed assimilabile al precedente reclamo ex art. 26 che, per ragioni di regolarità e legittimità della procedura, dovrebbe in realtà trovare applicazione in tutti i casi in cui la disciplina della liquidazione controllata affida al giudice la possibilità di emettere decreti di contenuto decisorio o autorizzativo, i quali dovranno pertanto ritenersi reclamabili entro il termine di 10 gg. al Tribunale che conserva, pertanto, un più generale potere di controllo e riesame delle decisioni dell’organo monocratico delegato alla procedura liquidatoria di sovraindebitamento[62].
7.2 . Il giudice delegato
La figura del giudice delegato aveva maggiore centralità nel vigore della L. n. 3/2021 e succ. modd., posto che tale disciplina attribuiva l’intera materia del sovraindebitamento – e quindi anche la procedura di liquidazione del patrimonio – ad un giudice monocratico, con compiti esclusivi sia sul versante decisorio (apertura della procedura concorsuale liquidatoria), che sul versante della vigilanza sull’andamento della procedura. 
Con il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, invece, i compiti decisori del giudice vengono senz’altro limitati a favore del tribunale collegiale, cui spetta di decidere sulla domanda di apertura della liquidazione controllata, provenga essa dallo stesso debitore che da un creditore, così come di provvedere alla chiusura della procedura. Il ruolo del giudice delegato non è tuttavia per ciò solo ridimensionato. 
In primo luogo, il giudice delegato, similmente a quanto avviene da sempre nella procedura fallimentare e oggi nella liquidazione “maggiore”, viene individuato con la sentenza che dichiara l’apertura della procedura. 
Inoltre, se è vero che manca un organo come il comitato dei creditori, se ne deve necessariamente argomentare che il giudice ha in questa procedura poteri di verifica e controllo anche per quanto riguarda l’opportunità e le scelte di convenienza del liquidatore, secondo una opzione che del resto era stata già accolta dalla legge n. 3/2012. Ciò appare particolarmente evidente con il combinato disposto degli artt. 272 e 275. Il primo articolo prevede, infatti, che il programma “in ordine a tempi e modalità della liquidazione” sia predisposto dal liquidatore e depositato in cancelleria, spettando al solo giudice delegato la sua approvazione. L’unico vincolo dettato dalla disposizione in esame è che il programma debba assicurare la ragionevole durata della procedura. Il liquidatore è poi chiamato, dalla seconda disposizione appena indicata, a riferire ogni semestre sull’attuazione del programma al giudice delegato, che mantiene così uno stretto compito (e dovere) di vigilanza sul buon andamento della procedura liquidatoria. 
Altri è più specifici compiti di controllo caratterizzano la funzione del giudice, che sarà chiamato ad intervenire anche con alcune specifiche autorizzazioni, oltre che con funzioni di vigilanza: 
a) in tema di azioni giudiziarie è il giudice che autorizza il liquidatore ad esercitare o, se pendente, a proseguire ogni azione giudiziaria connessa alla liquidazione (ad es. recupero dei crediti, disponibilità dei beni, nonché la nuova possibilità di esercitare o proseguire le domande giudiziali dirette a far dichiarare l’inefficacia di atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile; si ritiene che al riguardo valga un principio ora espresso in sede di liquidazione giudiziale, a seguito della integrazione dell’art. 128, comma 3, CCII da parte del D.Lgs. n. 147/2020 (c.d. primo “correttivo”): si deve perciò ritenere che la scelta del nominativo del legale spetti al liquidatore, non rientrando tale indicazione nello spettro autorizzativo del giudice; naturalmente la scelta deve essere compiuta sotto la responsabilità del liquidatore e nell’ottica del maggior soddisfacimento possibile dei creditori; 
b) in tema di verifica e controllo dell’operato del liquidatore in sede di approvazione del rendiconto; si prevede altresì (ma si è visto che l’interpretazione appare discutibile) che in caso di giudizio positivo sul rendiconto sia lo stesso giudice delegato a liquidare il compenso al liquidatore giudiziale. 
Infine, al giudice delegato spettano inoltre dei compiti più propriamente giurisdizionali: 
1) in sede di formazione dello stato passivo della procedura (vds. infra); 
2) in sede di decisione su contestazioni che siano sorte sul progetto di riparto predisposto dal liquidatore (vds. art. 275, comma 5 e comma 6).
7.3 . Il liquidatore
Il liquidatore è nominato con la stessa sentenza di apertura della liquidazione controllata, così come avveniva del resto in precedenza, nel quadro della L. n. 3/2012, con la differenza già ricordata che in passato il provvedimento era costituito da un decreto monocratico, mentre oggi si tratta di una sentenza. Normalmente la figura del liquidatore coincide con quella non dell’OCC – come impropriamente sembra ritenere l’art. 270, comma 2, lett. b) – ma del gestore, che a sua volta, nel caso di iniziativa dello stesso debitore, è stato già individuato dall’OCC per predisporre e presentare la specifica domanda di accesso alla liquidazione. Si tratta di una scelta che è evidentemente ispirata (come già oggi nella L. n. 3/2021 del resto) da esigenze di economicità della procedura, ritenute prevalenti rispetto ad esigenze di completa terzietà. Proprio per questo la norma precisa – a seguito dell’ultimo “correttivo” - che è facoltà del tribunale nominare un professionista diverso, che dovrà comunque essere scelto nell’elenco dei gestori della crisi di cui al D.M. 24/09/2014, n. 202 e che di regola deve avere il proprio domicilio nel distretto della corte d’appello cui appartiene il tribunale competenza. La modifica normativa permette, quindi, di non confermare il gestore iniziale e di nominare altro professionista su di un piano di mera discrezionalità, senza che ricorrano necessariamente dei “giustificati motivi”, come la formulazione precedente necessariamente richiedeva. Deve peraltro ritenersi che la discrezionalità non equivalga ad arbitrio e che almeno una succinta motivazione risulti necessaria (ad esempio complessità dei compiti di liquidazione, necessità di avvalersi di una figura legale per valutare la proponibilità di azioni solo sinteticamente adombrate o addirittura ignorate nella relazione iniziale, necessità di scegliere un soggetto del tutto terzo, secondo esigenze che possono essere emerse nell’esercizio dei poteri officiosi da parte del tribunale, ecc.).
In virtù del richiamo contenuto all’art. 270, comma 3, al liquidatore si applicano le incompatibilità previste anche per gli altri ausiliari giudiziali della crisi, in primis l’amministratore giudiziario previsto dal c.d. Codice antimafia (D.Lgs. 06/09/2011, n. 159).
Naturalmente, nel caso di domanda giudiziale avanzata da un creditore spetterà al tribunale nominare senz’altro il professionista chiamato a svolgere il ruolo di liquidatore, sia pure attingendo dai medesimi elenchi di gestori della crisi e facendo riferimento a professionisti che abbiano di regola il domicilio nel distretto della Corte d’appello al quale appartiene il tribunale competente. 
Quanto alle funzioni svolte, si può certo ritenere che il liquidatore sia l’organo motore della procedura di liquidazione controllata e che il suo ruolo sia in larga misura assimilabile a quello del curatore.
Ad esso spetta, in primo luogo, dare attuazione alla pubblicità prevista nella sentenza di apertura della procedura, nonché a trascrivere la stessa – quando la liquidazione comprende beni immobili o mobili registrati – presso gli uffici competenti (ad es. PRA, oppure Ufficio del territorio - Servizio di pubblicità immobiliare).
Il liquidatore provvede, altresì, a predisporre l’elenco dei creditori entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza che apre la procedura, nonché a redigere l’inventario dei beni ed il programma di liquidazione entro il termine di 90 gg., sempre dall’apertura del concorso. Pur se letteralmente non è prevista proroga, si deve ritenere che entrambi tali termini siano ordinatori, così da poter motivatamente essere prorogati dal giudice – in presenza di giustificati motivi – su richiesta presentata prima della loro scadenza.
Tradizionali e, occorre aggiungere, centrali per comprendere il ruolo del liquidatore, sono poi i compiti che la legge gli assegna in sede di:
a) formazione dello stato passivo ed analisi delle c.d. rivendiche (art. 273 CCII): egli predispone un progetto di stato passivo che comunica a mezzo PEC ai creditori, che possono proporre osservazioni nei 15 giorni successivi (in caso di mancata indicazione della PEC le comunicazioni si fanno in modo semplificato mediante deposito nel fascicolo informatico); il liquidatore può adeguarsi nei successivi ed ulteriori 15 gg. rispetto alle osservazioni che ritenga fondate mentre se l’osservazione non è superabile, allora rimette gli atti al giudice per la sua decisione e formazione definitiva dello stato passivo, con decreto motivato soggetto a reclamo[63]; a seguito dell’ultimo Correttivo ter, invece, è lo stesso liquidatore “in prima battuta” a formare lo stato passivo ed il giudice deve semplicemente decidere solo le eventuali opposizione ed impugnazioni di esso;
b) liquidazione dell’attivo della procedura (art. 274 e 275 CCII): al liquidatore spetta dare esecuzione al programma di liquidazione che egli stesso aveva predisposto, una volta che sia stato autorizzato dal giudice; il rinvio alle norme sulle vendite nella liquidazione giudiziale in quanto compatibili toglie ogni dubbio sul fatto che anche in sede di liquidazione controllata tutte le cessioni di beni o diritti debbano avvenire a seguito dell’esperimento di una procedura competitiva; del resto, è proprio tale adempimento che giustifica il potere del giudice di ordinare la cancellazione delle trascrizioni, sequestri o di ogni altro vincolo sui beni alienati nel corso della procedura, una volta che sia stato incassato l’intero prezzo;
c) decisione – secondo una disciplina innovativa rispetto alla precedente L. n. 3/2012 – se sciogliersi o meno da contratti pendenti (ossia ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti) al momento dell’apertura della liquidazione; l’art. 270, ult. comma, prevede unicamente che il liquidatore debba sentire il debitore, ma non che debba essere autorizzato dal giudice; il giudice interviene piuttosto su ricorso del contraente in bonis che voglia fissare un termine al liquidatore per compiere le sue scelte, evitando così di mantenere il rapporto sospeso indefinitamente; deve però ritenersi, che laddove il subentro o lo scioglimento comportino oneri finanziari non irrilevanti per la procedura, allora la relativa scelta debba essere previamente autorizzata; sia pure in sintesi e pur se è stato autorevolmente sostenuto il contrario[64], pare a chi scrive che la regolamentazione di cui all’art. 270, ult. comma, non sia autosufficiente e che resti spazio per l’applicazione analogica della più specifica disciplina contenuta nella liquidazione giudiziale per taluni specifici rapporti contrattuali (si pensi, per fare un esempio, alla regola dello scioglimento per mandato e appalto, o alle modalità di determinazione del credito che è possibile insinuare da parte del concedente nel leasing);
d) esercizio delle azioni giudiziarie rivolte ad acquisire la disponibilità di beni della procedura, recuperare i crediti del debitore sovraindebitato, sancire l’inefficacia di eventuali atti pregiudizievoli ai creditori dallo stesso compiuti. Di questi compiti si parlerà più diffusamente al paragrafo che segue.
Va osservato che essendo tutti i compiti legati alla liquidazione svolti dal professionista in funzione non di un interesse proprio, ma in vista del perseguimento dell’interesse dei creditori e secondo un’ottica di efficacia ed efficienza, nonché ragionevole durata della procedura, il liquidatore è tenuto a relazionare con cadenza semestrale sull’andamento della liquidazione, nonché a rendere il conto finale. Allo stesso compete altresì la predisposizione del progetto di riparto e, una volta approvato e reso esecutivo, ad eseguire i pagamenti ivi previsti. Pur nel silenzio della legge, devono ritenersi ammissibili – ed anzi opportuni in caso di attivo destinabile a creditori privilegiati – piani di riparto parziali.
7.3.1 . Le azioni del liquidatore
L’art. 274 CCII si occupa espressamente delle azioni giudiziarie del liquidatore. Il precedente è costituito dall’art. 14 decies della L. n. 3/2012, di cui il primo comma della disposizione di nuovo conio riprende il testo.
Spetta perciò al liquidatore, una volta autorizzato dal giudice, esercitare o proseguire (se pendente) ogni azione prevista dalla legge e finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti. Si tratta di un ventaglio di azioni molto ampio e, tuttavia, non esaustivo delle possibili pretese giudiziali del debitore, che dovrà perciò agire in proprio sia a tutela di diritti personali o legati alla propria sfera familiare, sia anche relativamente a diritti patrimoniali esclusi dall’attivo della procedura concorsuale (vds. a proposito l’art. 268, comma 3, lett. a), b), c) d). 
L’importanza di questa disposizione non è tuttavia pienamente comprensibile se non la si mette in relazione con quanto prevede l’art. 270 comma 5, nella parte in cui rinvia (“si applica”) all’art. 143 CCII, il quale a sua volta dispone al comma primo che “nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del debitore compresi nella liquidazione giudiziale sta in giudizio il curatore” ed al comma 3 che “l’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo…”.
Attraverso tale rinvio, pertanto, viene chiarito, a differenza del silenzio che sul punto manteneva la L. n. 3/2021, che l’apertura della liquidazione controllata determina l’interruzione dei processi in corso relativi ai beni e diritti ricompresi nell’attivo concorsuale e che per essi la legittimazione processuale spetta al solo liquidatore. Questo organo acquista perciò una rappresentanza certamente sostitutiva rispetto al debitore (che mantiene però una facoltà di intervento nel giudizio oltre ad una piena legittimazione per i diritti e beni non ricompresi nell’attivo, oltre che per i propri diritti personali), togliendo quei dubbi che si ponevano rispetto all’interpretazione dell’art. 14 decies, che non chiariva se la legittimazione del liquidatore fosse da ritenersi concorrente o sostitutiva. 
Innovativa è anche la disciplina del secondo comma dell’art. 274 CCII, dove si affida al liquidatore – anche qui previa autorizzazione del giudice – la possibilità di promuovere o se già pendenti di proseguire le azioni rivolte a far dichiarare l’inefficacia di atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del Codice civile. Questa disposizione – che nella relazione di accompagnamento si afferma aver voluto colmare “una lacuna evidenziata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in relazione alla disciplina dettata dalla legge n. 3 del 2012” - risolve ogni dubbio circa la possibilità per il liquidatore di esercitare azioni revocatorie di atti pregiudizievoli per i creditori che, eventualmente, fossero stati in precedenza compiuti dal debitore. La specificazione “secondo le norme del Codice civile”, inoltre, vale a chiarire che non si possono applicare analogicamente le regole relative alle azioni revocatorie “fallimentari”, ma che l’azione esperibile è, appunto, soltanto la revocatoria ordinaria.
Infine, va notato che l’ultimo comma dell’art. 274 CCII è stato integrato dal D.Lgs. n. 136/20024 prevedendo espressamente in capo al giudice – secondo una scelta già adottata in tema di liquidazione giudiziale – di provvedere alla revoca e alla liquidazione dei compensi spettanti alle persone la cui opera è stata richiesta dal liquidatore. A quest’ultimo, peraltro, spetta il compito di proporre le scelte di merito afferenti tali decisioni.
8 . L’accertamento del passivo
L’accertamento del passivo costituisce una fase indispensabile di ogni procedura concorsuale di tipo liquidatorio, valendo a realizzare il concorso dei creditori dal punto di vista sostanziale e processuale, in quanto rivolta ad accertare se il creditore o il terzo che vanta diritti su beni dell’attivo è effettivamente titolare di detto diritto e per quale misura. Pur se tale fase è presente nella liquidazione giudiziale e, quindi, anche nella liquidazione controllata del debitore sovraindebitato, nondimeno detto subprocedimento non si può ritenere indefettibile, essendo infatti molteplici le procedure concorsuali (oggi, nella nuova terminologia del Codice sottoposto al Correttivo-ter, strumenti di regolazione della crisi) che non la prevedono. Si tratta di quegli strumenti di regolazione della crisi di tipo conservativo, nei quali la misura del diritto del creditore o dei terzi in genere è sottoposta ad un esame per così dire amministrativo, ai soli fini del voto e con salvezza di ogni statuizione da adottare, in caso di contestazioni, in sede ordinaria (come è tipicamente per il concordato preventivo, ma deve ritenersi principio valevole anche per il concordato minore e il piano del consumatore), ovvero, qualora dalla natura e dall’entità di tale diritto ne discendano delle conseguenze sull’ammissibilità o fattibilità della proposta o del piano, anche in sede di opposizione alla omologazione. 
Per la liquidazione controllata si sono succedute diverse discipline in tema di accertamento del passivo, considerato che il citato Correttivo di cui al D.Lgs. n. 136/2024 – entrato in vigore il 28 settembre 2024 – ha ridefinito gli snodi processuali di detto accertamento, costringendo l’interprete a porsi talune questioni di diritto intertemporale con riferimento a quelle procedure che, già aperte in precedenza, non avessero ancora superato la fase di accertamento del passivo; il che vale in particolare – come si vedrà – soprattutto per quanto riguarda le impugnazioni esperibili. 
La seguente tavola sinottica rende più chiara, ad avviso di chi scrive, la profonda differenza di disciplina vigente dall’entrata in vigore del codice fino al 27 settembre 2024 e, poi, a partire dal 28 settembre 2024 (data di entrata in vigore del più volte citato D.Lgs. n. 136/2024).

Come si può intuire le differenze non sono marginali. Mancano inoltre, più in generale, alcuni tratti di disciplina per i quali si pone il problema della sua possibile integrazione con la regolamentazione della fase di accertamento del passivo della procedura “maggiore” liquidatoria. 
Con riferimento al termine per avanzare l’insinuazione o comunque la domanda di partecipazione alla liquidazione, occorre notare come nel disegno della L. n. 3/2012 questo fosse fissato direttamente dal liquidatore con la comunicazione inviata ai creditori o a coloro che potessero vantare diritti reali o personali sui beni rientranti nell’attivo concorsuale. Ciò aveva fatto sorgere il problema della natura perentoria o meno di detto termine e, più in particolare, dell’ammissibilità di eventuali domande di insinuazione tardive. 
La dottrina e la giurisprudenza di merito erano divise. Il S.C., invece, ha recentemente chiarito i termini della questione, adottando l’interpretazione più rigorosa, secondo la quale il termine indicato deve ritenersi perentorio anche in difetto di espressa statuizione da parte del legislatore, attesa la funzione acceleratoria e di chiarezza dei rapporti giuridici perseguita e, quindi, ulteriormente, l’inammissibilità di domande di insinuazione tardive[65]. 
Tale conclusione vale, a maggior ragione, nel sistema del codice della crisi, nel quale il termine per presentare la domanda di partecipazione (da ultimo elevato a 90 gg.) è fissato nella stessa sentenza di apertura della procedura ex art. 270 lett. d), ove si indica espressamente che il rispetto dello stesso deve ritenersi “a pena di inammissibilità”. 
Per quanto riguarda le eventuali domande proposte successivamente a tale termine, il Codice prevede un regime restrittivo che impone il rispetto congiunto di due condizioni: a) il creditore deve dimostrare che il ritardo è dipeso da una causa a lui non imputabile; b) il creditore deve altresì proporre l’insinuazione entro e non oltre 60 gg. da quando è cessato l’impedimento. Il che pone a carico del creditore una prova certamente rigorosa, dovendo egli non soltanto individuare con precisione la causa che ha ritardato la domanda di insinuazione, ma altresì la sua non imputabilità (rectius, la riconducibilità ad un evento oggettivo esterno alla sua sfera di dominabilità) ed il momento in cui detto impedimento è cessato, al fine di poter far constatare la tempestività della domanda tardiva comunque avanzata. 
Deve ritenersi che si trattino di vere e proprie condizioni dell’azione proposta oltre il termine assegnato ai sensi dell’art. 270, la cui verifica deve essere compiuta d’ufficio, anche in assenza di eccezione da parte del liquidatore (o di uno degli altri creditori). 
Un altro principio è stato recentemente affermato dal S.C. con riguardo alla liquidazione del patrimonio, ancora attuale rispetto alla liquidazione controllata. Si tratta della regola per cui anche qui, similmente a quanto previsto in tema di accertamento dello stato passivo nella liquidazione giudiziale, il liquidatore può limitarsi ad eccepire la revocabilità del titolo o dell’atto dispositivo da cui deriva il credito ex adverso vantato al fine di ottenerne l’esclusione (o l’accertamento della natura chirografaria quando l’eccezione riguardi la costituzione di una garanzia attributiva di un diritto di prelazione, come ad esempio l’ipoteca). Naturalmente l’eccezione riguarda la revocabilità in sede ordinaria, non essendo qui applicabili le disposizioni in tema di revocatoria “fallimentare” di cui agli artt. 163 e ss.[66] 
Il principio relativo alla possibilità di limitarsi ad eccepire fatti impeditivi o estintivi non azionati in via ordinaria corrisponde, del resto, al brocardo quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum, che può altresì ritenersi applicabile anche a tutte le altre eccezioni proponibili dal liquidatore, come ad esempio la nullità del titolo fondante il credito preteso nei confronti della massa. 
Anche se non espressamente disposto, deve ritenersi applicabile alla liquidazione controllata quanto previsto dall’art. 202, secondo cui la domanda di insinuazione produce gli effetti della domanda giudiziale, che perdurano per tutta la durata della procedura (si pensi all’efficacia interruttiva permanente e non istantanea della prescrizione). 
Inoltre, anche qui in assenza di una norma ad hoc, si è recentemente ritenuto applicabile analogicamente il disposto dell’art. 209 CCII, dettato con riferimento alla liquidazione giudiziale, per cui il giudice potrà disporre il non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo relativamente ai crediti concorsuali se risulta che non può essere acquisito attivo da distribuire ad alcuno dei creditori che abbiano chiesto l’ammissione al passivo, salva la soddisfazione dei crediti prededucibili e delle spese di procedura[67]. 
È invece espresso il rinvio alle forme dell’insinuazione, come si desume dall’art. 270 lett. d), dovendo la domanda di partecipazione formularsi secondo quanto previsto dall’art. 201 CCII Valgono quindi i principi di necessaria specificità della domanda, nonché della necessità di individuare con esattezza la natura chirografaria o privilegiata del credito che si vuole accertato, secondo i principi da tempo sperimentati in sede di formazione dello stato passivo delle procedure “maggiori”. Deve altresì ritenersi ancora che, come nella liquidazione giudiziale, la domanda sia proponibile anche “in proprio”, cioè personalmente da parte del creditore. 
Veniamo ora al quesito iniziale, circa l’efficacia intertemporale delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 136/2024 che, secondo quanto ivi previsto, si applica anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore (28 settembre 2024), ferma l’esclusione della necessità di rinnovare atti o provvedimenti emessi nel vigore della disciplina precedente, come chiarito in sede di interpretazione autentica. 
Tali modifiche riguardano essenzialmente due profili: a) l’estensione a 90 gg. del termine per proporre domanda di partecipazione alla liquidazione; b) l’esclusione del ruolo del giudice delegato nella formazione, in prima battuta, dello stato passivo e l’attribuzione all’organo giudiziale monocratico del ruolo di decisore delle opposizioni e delle impugnazioni di esso, da svolgersi nelle forme dell’art. 133 CCII (in tema di reclamo avverso atti e omissioni del curatore), con la conseguente applicazione di un termine di reazione estremamente compresso, di appena 8 giorni. 
La lettera della legge appare conforme al principio tempus regit actum, per cui deve ritenersi - a parere di chi scrive – che le modifiche apportate ex novo dal D.Lgs. n. 136/2024 si applichino anche alle procedure pendenti e non solo alle liquidazioni controllate successive, ma con un contemperamento indispensabile ed insito nel sistema processuale: deve ritenersi che così come non è necessario rinnovare gli atti e i provvedimenti compiuti in precedenza, così pure – specularmente – appare conseguente che restino ferme le decadenze maturate prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, così come le fasi processuali già esaurite prima di tale data (28 settembre 2024). Due esempi possono essere utili a meglio chiarire le conseguenze di questa tesi. Riprendendo le due modifiche principali apportate si avrà, in primo luogo, che ove la sentenza di apertura della liquidazione controllata sia stata emessa prima del 28 settembre 2024 e a tale data fosse già scaduto il termine di sessanta giorni concesso ai creditori ex art. 270, questi ultimi non potranno giovarsi della successiva estensione a 90 gg. di detto termine, in quanto definitivamente spirato nel vigore della precedente disciplina. In secondo luogo, ove prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni fosse stato formato lo stato passivo da parte del giudice delegato, per la presenza di contestazioni non superabili, deve ritenersi che tale provvedimento sia ancora reclamabile al collegio, purché il relativo termine di 10 gg. non sia ancora scaduto, nonostante l’entrata in vigore dell’ultimo correttivo[68].
9 . L’esecuzione e la chiusura della procedura
Per quanto riguarda l’esecuzione e la successiva chiusura della procedura si rimanda, al fine di evitare eccessive duplicazioni, a quanto già si è scritto con riguardo agli organi della procedura, rilevandosi, in particolare, come una forte differenza rispetto alla liquidazione giudiziale sia data dalla mancanza del comitato dei creditori.
Tale differenza non va, tuttavia, eccessivamente enfatizzata. 
Da un lato, infatti, la liquidazione deve pur sempre avvenire sulla scorta di un programma che l’art. 275 affida alla redazione ed all’esecuzione da parte del liquidatore, che ne riferisce ogni sei mesi al giudice delegato.
Dall’altro, lo stesso art. 275 è chiaro nel disporre che il liquidatore – come il curatore del resto – ha l’amministrazione dei beni che compongono il patrimonio del debitore e che si applicano le diposizioni sulle vendite in sede di liquidazione giudiziale, secondo compatibilità. Il che equivale ad imporre una disciplina delle cessioni in ambito di liquidazione controllata secondo la regola delle procedure competitive. Pure ammissibile, deve ritenersi in forza del rinvio dell’art. 275, comma 2, il subentro del liquidatore nell’eventuale esecuzione pendente al momento dell’apertura della procedura. 
È poi previsto un potere di purgazione in capo al giudice delegato, che una volta incassato il prezzo e verificato la conformità dell’atto dispositivo al programma di liquidazione, ordina la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, delle trascrizioni dei pignoramenti, dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo. 
La formulazione del secondo e terzo comma dell’art. 275 non è al riguardo del tutto perfetta, ma chi scrive ritiene che la verifica di conformità debba precedere non solo l’approvazione del rendiconto e la liquidazione del compenso al liquidatore, bensì la stessa emissione del provvedimento di cancellazione dei gravami, non essendo consentito al giudice procedere a tali formalità al di fuori di un’ordinata esecuzione del programma di liquidazione approvato, nel rispetto delle regole di pubblicità e competitività delle vendite, così come il S.C. ha chiarito con riguardo alla procedura fallimentare con affermazioni che, mutatis mutandis, mantengono la propria attualità. 
Da segnalare, infine, che la necessaria approvazione del rendiconto chiama con sé una possibile estensione analogica delle disposizioni della liquidazione giudiziale in tema di revoca/sostituzione del liquidatore e di eventuale azione di responsabilità da proporsi da parte del nuovo liquidatore. 
Ancora, in tema di ripartizione dell’attivo, si segnala l’introduzione del comma 6 bis nell’art. 275, che compie un richiamo espresso di molteplici disposizioni della liquidazione giudiziale “maggiore” (ad ulteriore riprova dell’avvicinamento di questi due istituti), nonché la nuova previsione dell’art. 275 bis sui crediti prededucibili[69]. 
Non sembra invece frutto di una svista o di una lacuna, ma di una precisa scelta nell’ambito di una idea di maggiore semplificazione di questa procedura, la mancata previsione del concordato nella liquidazione[70]. 
Infine, come già si è osservato, il provvedimento di chiusura della procedura è stato affidato dal tribunale in composizione collegiale, per una evidente esigenza di simmetria rispetto all’attribuzione al medesimo organo della sentenza che apre la liquidazione controllata[71]. 
Da ultimo, occorre richiamare alcuni orientamenti della giurisprudenza per quanto riguarda il compenso dell’OCC (nel caso di procedura aperta su domanda del debitore) e, comunque, del liquidatore. In particolare, la giurisprudenza di merito prevalente ritiene che il compenso debba essere necessariamente unitario anche nel caso di non coincidenza del liquidatore con l’OCC o, meglio, con la persona del gestore. Inoltre, si ritiene che il compenso debba necessariamente essere oggetto di liquidazione giudiziale, anche nell’ipotesi in cui – nel caso di procedura a domanda del debitore – il mandato professionale rilasciato prevedesse un preventivo dei costi della procedura. La natura necessariamente giudiziale della liquidazione esime, tuttavia, a parere di chi scrive, la necessità di formale domanda di ammissione al passivo[72]. 
Va inoltre ricordato che la Corte cost. ha recentemente esteso, con una importante pronuncia del 2024, il gratuito patrocinio alla liquidazione controllata, sottolineando la disparità altrimenti esistente rispetto alla liquidazione giudiziale, pur a fronte della sostanziale omogeneità delle due procedure liquidatorie[73].

Note:

[1] 
In termini generali, cfr. AA.VV., L’insolvenza del debitore civile. Dalla prigione alla liberazione, G. Presti – L. Stanghellini – F. Vella (a cura di), Ann. Giur. ec., 2004; G. Rojas Elgueta, L’esdebitazione del debitore civile: una rilettura del rapporto civil law-common law, Banca borsa tit. cred., 2012, 310. In termini storico comparatistici, vds. F. Cesare, La rivoluzione del debito, Milano, 2022. Ancora attuale A. Sacerdoti, Sull’estensione dell’istituto del fallimento ai non commercianti, Padova, 1882.
[2] 
C. Vivante, Il fallimento civile, Appendice a Tratt. diritto commerciale, I, Milano, 1905, 341.
[3] 
In termini generali: F. Di Marzio, Fallimento. Storia di un’idea, Milano, 2018.
[4] 
Spunti sulle finalità della legge n. 3/2012 in G. Limitone, La nuova nozione di autonomia patrimoniale “causale” riferita al consumatore sovraindebitato, in Ilcaso.it.
[5] 
Nell’ampia bibliografia in argomento, senza pretese di completezza: AA.VV., La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, F. Di Marzio – F. Macario – G. Terranova (a cura di), Milano, 2013; AA.VV., Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, S. Bonfatti – G. Falcone (a cura di), Quaderni Giur. comm., 2014; AA.VV., Il nuovo sovraindebitamento, Bologna, 2019; R. Brogi, Il sovraindebitamento nel Codice della crisi, Milano, 2024; F. Cesare, La liquidazione controllata, in Dirittodellacrisi.it, 2023; A. Ghedini, La liquidazione controllata, in Dirittodellacrisi.it, 2024; S. Giavarrini, La procedura di liquidazione del patrimonio nella legge n. 3/2021, Giur. com. 2016, 712; S. Leuzzi, La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati fra presente e futuro, in InExecutivis.it, 2018; D. Manente, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili, Dir. Fall., 2013, 557; L. Panzani, La composizione della crisi da sovraindebitamento, www.treccani.it; S. Rossetti, Il nuovo sovraindebitamento. Inquadramento e principi, in AA.VV., Commento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Quaderni InExecutivis, 2019, 337; C. Tedeschi, Composizione delle crisi da sovraindebitamento, Digesto comm., Torino, 2012; R. Tiscini, I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e liquidazione del patrimonio, Riv. dir. proc., 2013, 649; D. Vattermoli, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto “oggettivamente” concorsuale, Dir. fall., 2013, 762.
[6] 
Un esempio di questa problematica si ritrova nella recentissima Cass. 23 ottobre 2025, n. 28161, in Dirittodellacrisi.it, per la quale in tema di liquidazione controllata, nel caso in cui la scadenza del termine per presentare osservazioni al progetto di stato passivo si verifichi successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 136/2024 (prevista per il 28/09/2024 dall’art. 56 dello stesso D.Lgs.), trova applicazione l’art. 273 CCII novellato, per cui il termine per proporre opposizione allo stato passivo formato dal liquidatore è di otto giorni, giusto il rinvio al reclamo previsto dall’art. 133 nel testo modificato dal correttivo, dovendosi altresì escludere che l’assenza di vacatio legis della riforma costituisca, di per sé, impedimento tale da giustificare la remissione in termini ex art. 153 c.p.c.
[7] 
Cfr. M. Fabiani, Diritto Fallimentare: un profilo organico, Bologna, 2011.
[8] 
A tale prospettiva di indagine è appunto dedicato il recente saggio di G. Bozza, Liquidazione controllata e liquidazione giudiziale: affinità e divergenze, in Dirittodellacrisi.it.
[9] 
In questo senso S. Leuzzi, La liquidazione del patrimonio, cit., 79.
[10] 
Ancora attuale quanto affermato da Trib. Bergamo, 10/09/2015, in Ilcaso.it, secondo cui “ciò che qualifica le vendite come coattive non è la riconducibilità del trasferimento ad un decreto del giudice dell'esecuzione o del giudice delegato al fallimento, bensì la circostanza che il trasferimento della proprietà del bene avvenga a prescindere dal consenso del soggetto titolare del diritto di proprietà; la qualificazione della vendita come forzata (o coattiva) comporta esclusivamente l'applicazione ad essa della speciale disciplina prevista dagli articoli 2919 e seguenti c.c. e non la necessità di rispettare le norme di cui agli articoli 570 e seguenti c.p.c. La valutazione di legittimità della procedura di vendita attuata con forme negoziali alternative a quelle previste dal codice di procedura civile, consentita dalla previsione dell'articolo 107 L. fall., è svincolata dal rigido rispetto delle prescrizioni codicistiche ed è ancorata esclusivamente al rispetto dei due principi che governano la liquidazione dell'attivo fallimentare qualora le vendite siano eseguite dal curatore con forme negoziali: l'idoneità della pubblicità che deve precedere la vendita e la natura competitiva del procedimento utilizzato per l'individuazione del soggetto acquirente”.
[11] 
Si ricorda altresì che l’art. 236 CCII afferma che “fatto salvo quanto previsto nell’art. 234 con la chiusura cessano gli effetti della procedura di liquidazione giudiziale sul patrimonio del debitore e le conseguenti incapacità personali e decadono gli organi preposti alla procedura medesima. Le azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti derivanti dal fallimento non possono essere proseguite, fatto salvo quanto previsto dall’art. 234. I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo quanto previsto dagli articoli 278 e seguenti”.
[12] 
In quanto termine processuale, si era discusso se alla domanda di insinuazione al passivo della liquidazione del patrimonio, prevista dalla L. n. 3/2012, dovesse applicarsi la sospensione feriale dei termini ex art. 92 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 e 36 bis L. fall. Oggi la soluzione contraria è destinata a divenire regola generale in forza dell’art. 9 CCII, secondo cui “la sospensione feriale dei termini […] non si applica ai procedimenti disciplinati dal presente codice, salvo che esso disponga diversamente”.
[13] 
In Dejure.it.
[14] 
Sul punto può richiamarsi, mutatis mutandis, Cass., Sez. 1, 22 luglio 2025, n. 20739, in Dirittodellacrisi.it, secondo cui gli interessi corrispettivi sui crediti prededucibili maturano nel corso della procedura concorsuale fino alla data del loro pagamento e, quanto al loro tasso, sono soggetti all’applicazione dell’art. 1284, comma 2, c.c., con la conseguenza che sono dovuti al tasso legale solo se le parti non ne abbiano determinato la misura.
[15] 
Cfr., senza pretese di completezza, L. Baccaglini – F. De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari a presidio della composizione negoziata della crisi: profili processuali, in Dirittodellacrisi.it; L. Baccaglini – S. Leuzzi, Su natura, funzione e limiti delle misure protettive e cautelari nel sistema concorsuale (considerazioni a margine di un recente rinvio pregiudiziale e di altre ordinanze), in Dirittodellacrisi.it; M. Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, in Ilcaso.it; G. Scarselli, Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi dell’impresa, in judicium, 2019; L. Gambi, Le nuove misure protettive nel Codice della crisi, in ilfallimentarista.it
[16] 
Cass., Sez. 1, 29 maggio 2025, n. 14401, in Dirittodellacrisi.it, ha stabilito che nel procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore di cui all'art. 14 ter della L. n. 3/2012, le spese del gestore della crisi non costituiscono uscite di carattere generale della procedura sostenute nell'interesse di tutti i creditori e, di conseguenza, non possono essere ripartite, in via proporzionale, sul ricavato dei beni oggetto di ipoteca o pegno e ciò in ragione del rilievo che la procedura de qua è di natura volontaria, aprendosi su iniziativa e nell'interesse dello stesso debitore e non dei creditori, i quali non ricevono di per sé alcuno specifico vantaggio dall'avvio della stessa, né dette spese sono equiparabili a quelle che il debitore deve affrontare per proporre la domanda di “autofallimento” ex art. 4 L. fall., che comunque in quanto tali neppure esse si qualificano come un’uscita di carattere generale della procedura fallimentare.
[17] 
Riferimenti in F. Di Marzio, L'insolvenza civile nel diritto delle procedure concorsuali, Giust. Civ., 2018, 645 ss.
[18] 
Ad es. Trib. Milano, 13/10/2015, in Ilcaso.it, ha condivisibilmente affermato che non è ammissibile la domanda di sovraindebitamento proposta da imprenditore individuale assoggettabile al fallimento in ragione delle soglie quantitative previste dall'articolo 1 L. fall. e non sia ancora decorso l'anno di cui all'articolo 10 L. fall. Cfr. altresì, più recentemente, Trib. Sondrio, 29/11/2024 e Trib. Pesaro, 30/04/2024, entrambi in Ilcaso.it, secondo cui in ipotesi di imprenditore individuale si deve tenere conto della debitoria complessiva e sottoporre, perciò, a liquidazione giudiziale e non controllata chi abbia debiti superiori alla soglia di 500.000 euro, senza poter distinguere, al riguardo, fra debiti d’impresa e debiti estranei alla stessa, essendo unico il soggetto di diritto debitore persona fisica.
[19] 
Gli OCC sono definiti dall’art. 2, lett. t) CCII, come (gli) organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento disciplinati dal decreto del Ministro della giustizia del 24/09/2014, n. 202 e successive modificazioni, che svolgono i compiti di composizione assistita della crisi da sovraindebitamento previsti dal presente codice.
[20] 
Varrà cioè, con riguardo alla legittimazione del creditore a richiedere l’apertura della liquidazione controllata, quando da tempo affermato dalla giurisprudenza con riguardo all’istanza di fallimento, circa il carattere meramente incidentale di tale accertamento. Sul punto si è però affermato anche che: “la dichiarazione di fallimento presuppone un'autonoma delibazione incidentale, da parte del tribunale fallimentare, compatibilmente con il carattere sommario del rito, circa la sussistenza del credito dedotto a sostegno dell'istanza, quale necessario postulato della verifica della legittimazione del creditore a chiedere il fallimento. In tale ambito il giudice deve valutare non solo le allegazioni e le produzioni della parte istante ma anche i fatti rappresentati dal debitore che valgano a dimostrare l'insussistenza dell'obbligazione addotta o la sua intervenuta estinzione” (Cass. civile, Sez. VI, 27/10/2020, n. 23494, in DeJure.it).
[21] 
La norma non sembra però risolvere una qualche incoerenza rispetto alla definizione di incapienza contenuta nell’art. 283, comma 2, CCII Anche alla luce di un più generale favore per il raggiungimento dell’esdebitazione occorre, peraltro, evitare che si crei un “cono d’ombra” per quei soggetti che venissero ritenuti privi di beni o redditi sufficienti ad accedere alla liquidazione controllata e, al contempo, non così incapienti da poter utilizzare l’esdebitazione di cui all’art. 283, in quanto si creerebbe artificiosamente una fascia di debitori svantaggiati e potenzialmente privi di strumenti atti ad ottenere “almeno una volta” il beneficio dell’esdebitazione (naturalmente nel concorso degli altri presupposti comunque richiesti). Il che potrebbe forse evitarsi o con un chiarimento della portata normativa del comma 2 dell’art. 283 CCII o, in via di prassi casistica, fornendo al debitore, da parte di un terzo, un finanziamento da destinare al soddisfacimento dei creditori. Altro motivo di incoerenza, questa tutta interna al profilo processuale, appare il fatto che nel caso di domanda di un terzo il debitore potrebbe semplicemente scegliere di non eccepire la propria incapienza, così da dare comunque corso alla procedura liquidatoria, mentre nel caso di domanda in proprio egli dovrebbe sempre far attestare la propria situazione di capienza patrimoniale e/o reddituale.
[22] 
Cass. civ., Sez. 1, 27/05/2015, n. 10952, in dejure.it, ha ritenuto che “ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dall'art. 15, ultimo comma, L. fall. deve aversi riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati accertati non già alla data della proposizione dell'istanza di fallimento, ma a quella in cui il tribunale decide sulla stessa”. Cass. civ., Sez. 1, 31/07/2017, n. 18997, in unijuris.it, ha poi precisato che “l’art. 15, u.c., L. fall. stabilisce espressamente che il limite quantitativo di fallibilità riferito ai debiti scaduti e non pagati deve risultare dagli atti dell'istruttoria prefallimentare (Cass. 14727 del 2016) costituendo, una condizione oggettiva di fallibilità; il positivo superamento dell'ammontare predeterminato dalla norma, quando sia contestato in sede di reclamo, deve, sulla base degli ordinari criteri d'imputazione dell'onus probandi, essere allegato e provato dal fallimento o dai creditori” (sul punto vds. anche Cass. civ., Sez. 1, 21/01/2025, n.1441, in deJure.it). Si segnala, da ultimo, che Cass. civ., Sez. 1, 11/11/2024, n. 29008, in Dirittodellacrisi.it, ha escluso dalla soglia di rilevanza i crediti prescritti, mentre per Cass. civ., Sez. 1, 18 febbraio 2025, n. 4201, ivi, l’accoglimento dell’istanza di rateizzazione dei debiti tributari da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione non esclude che gli stessi debiti, nella misura originariamente iscritta a ruolo, debbano essere computati fra i debiti scaduti e non pagati previsti dall’art. 15, comma 9, L. fall., considerato che l’Agenzia conserva il diritto di agire in via esecutiva, in caso di mancato adempimento al piano di rateazione concesso, per l’immediato recupero dell’intero importo residuo. 
[23] 
Pur se non rilevante in tema di sovraindebitamento, visto l’aspetto dimensionale, occorre per completezza ricordare che il recente D.Lgs. n. 136/2024 ha profondamente modificato all’art. 27 le regole di competenza per le imprese di maggiori dimensioni, sostituendo le parole “imprese in amministrazione straordinaria” con l’espressione “imprese assoggettabili ad amministrazione straordinaria”, ciò che amplia notevolmente la competenza concorsuale dei tribunali sedi delle sezioni specializzate in materia di impresa.
[24] 
Trib. Padova, 11/11/2024, ha ritenuto che la circostanza che la crisi da sovraindebitamento riguardi membri della stessa famiglia impone coordinamento tra i criteri di individuazione del foro competente, pur a fronte di fori astrattamente diversi per ciascuno dei ricorrenti familiari; ai sensi dell’art. 66 CCII tale coordinamento non può che avvenire mediante prevalenza del foro preventivamente adito, dovendosi assegnare maggior rilievo al dato costituito dall’unicità della procedura legittimante perseguita dai ricorrenti in luogo di quello della diversa residenza dei debitori. Da notare che Trib. Bologna, 19/11/2024, in Ilcaso.it, ha ritenuto inammissibile la domanda congiunta di coniugi divorziati con figli maggiorenni e autosufficienti.
[25] 
Secondo Cass. civile Sez. 1, 06/03/2018, n.5260, in D&G, 2018, con nota di V. Papagni, “il debitore - imprenditore insolvente - che promuove il c.d. procedimento di istruttoria prefallimentare non è tenuto a stare dinanzi al giudice col ministero o l'assistenza di un difensore”. In precedenza, con una importante precisazione, cfr. Cass. civile Sez. 1, 18/08/2017, n.20187, in dejure.it: “il debitore può assumere l’iniziativa per la dichiarazione del proprio fallimento senza ricorrere al ministero di un difensore, se e fino a quando la sua istanza non confligga con l’intervento avanti al tribunale di altri soggetti, portatori dell’interesse ad escludere la dichiarazione di fallimento, ciò implicando lo svolgimento di un contraddittorio qualificato”.
[26] 
Scarse le pronunce sul punto, anche per quanto riguarda la domanda di apertura della procedura fallimentare. Cfr. condivisibilmente Trib. Novara, 14/06/2013, in Foro pad., 2013, 4, I, 484, con nota di A. Artusi, secondo cui “nella disciplina attuale, la istanza di fallimento richiede la difesa tecnica a pena di inammissibilità. Infatti, anteriforma, il carattere esecutivo-inquisitorio del procedimento prefallimentare degradava l'istanza del creditore, o del debitore in proprio, a semplice denuncia della insolvenza e la "quaestio iuris" della difesa tecnica era superata dalla previsione dell'iniziativa d'ufficio del tribunale. Il nuovo modello procedimentale affida invece la decisione a un Giudice terzo nel contraddittorio delle parti e la stessa Legge Fallimentare, mentre prevede che il ricorso ex art. 93 L. fall. possa essere sottoscritto dalla parte personalmente, non riproduce tale espressione nell'art. 6. Ciò fa propendere per l'applicazione dei principi generali in tema di costituzione della parte, dettati dall'art. 82 c.p.c, e dunque per la necessità dell'assistenza tecnica; né il carattere atecnico della difesa può farsi discendere dall'adozione del rito camerale, siccome adottato dal legislatore per mere ragioni di funzionalità, semplificazione e speditezza”. Una conferma indiretta può trarsi anche da Cass. civile Sez. 1, 19/01/2017, n.1338, in Dejure.it: “il procedimento per la dichiarazione di fallimento disciplinato dall’art. 15 L. fall. è espressamente assoggettato (dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006) al principio della domanda, e ad esso, per tutto quanto non specificamente regolato dalla disposizione suddetta, si applicano le norme del codice di rito, secondo l'interpretazione datane dalla giurisprudenza”.
[27] 
Ancora attuale il principio affermato da Cass. civile Sez. 1, 12/08/2016, n.17078, in Dejure.it: “la proposizione di un ricorso per dichiarazione di fallimento al solo fine di ottenere il più rapidamente possibile il soddisfacimento di un credito giustifica la condanna del ricorrente per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.”. Trattasi di affermazione che mutatis mutandis potrà essere applicata anche alla richiesta di apertura della liquidazione controllata formulata dal terzo creditore in modo abusivo od all’unico fine di ottenere, attraverso lo strumento di pressione costituito dall’iniziativa giudiziale, l’incasso più veloce di un proprio credito.
[28] 
Trib. Verona, 30/06/2024, in Ilcaso.it, ha ritenuto che una volta avanzata istanza di liquidazione giudiziale a carico del debitore, è ammissibile la proposizione, in via subordinata, della domanda di apertura della liquidazione controllata proposta dal creditore soltanto alla prima udienza, alla stregua della nozione di emendatio libelli ormai recepita dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. SU n. 12310/15 e n. 22404/18) con riferimento al rito ordinario e valevole anche per il procedimento unitario; d’altra parte, l’ammissione di una siffatta modificazione della domanda risponde alla garanzia dell’effettività del diritto di difesa (poiché garantisce alla parte ricorrente una possibilità di reazione rispetto ad una difesa della parte resistente, diretta ad introdurre dati conoscitivi, quali quelli afferenti alle soglie, non sempre conoscibili dalla controparte) e al principio di economia processuale.
Si ricorda che un rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c., proposto dalla Corte d’appello di Napoli, inteso ad affrontare la problematica del cumulo di domande in appello ex art. 51 CCII, è stato dichiarato inammissibile con il decreto della Prima Presidente Cass., n. 18925/2025 del 10/07/2025 (entrambi consultabili sul sito cortedicassazione.it, novità).
[29] 
L’O.C.C. è definito dall’articolo 2, comma 1, lettera d), del decreto n. 202 del 2014 come: “articolazione interna di uno degli enti pubblici individuati dalla Legge e dal presente regolamento che, anche in via non esclusiva, è stabilmente destinata all’erogazione del servizio di gestione della crisi da sovraindebitamento”.
[30] 
Il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti ed esperti contabili ha elaborato un documento di rilevante interesse pratico nel novembre 2016, intitolato “Modulistica Organismi di composizione della crisi”, consultabile su www.commercialisti.it che fa seguito a precedente documento “Linee guida sulla crisi da sovraindebitamento”, del luglio 2015, rinvenibile sullo stesso sito. Ivi si legge che l’organismo:
- è di ausilio al debitore nella elaborazione del piano sottostante alla proposta e nell’esecuzione della stessa; 
- è liquidatore giudiziale nell’accordo o nei piani del consumatore omologati; 
- è di ausilio al Giudice nella redazione della relazione particolareggiata, nella verifica della veridicità dei dati contenuti nella proposta e negli allegati, nel rilascio dell’attestazione di fattibilità del piano;
- cura le comunicazioni con i creditori;
- svolge le formalità pubblicitarie;
- predispone e invia la relazione ai creditori sui consensi espressi e, successivamente, al Giudice, con le contestazioni ricevute;
- è liquidatore nella procedura di liquidazione del patrimonio o Gestore della liquidazione.
[31] 
Vds. Cass. civile, Sez. VI, 08/08/2017, n. 19740, in Ilcaso.it, la quale ha ritenuto che: “nel quadro della disciplina dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio di cui agli articoli 6 e seguenti della legge 27 gennaio 2012, n. 3, l'organismo di composizione della crisi disciplinato dall'articolo 15 assume un ruolo centrale, che si connota non solo per i profili di indipendenza e professionalità necessari agli adempimenti contemplati, ma anche per l'evidente carattere di specializzazione ritenuta necessaria dal legislatore, desumibile dal rilievo che la norma ha previsto l'istituzione di organismi stabili destinati ad essere iscritti in un apposito registro, tale previsione rimarrebbe gravemente menomata se si ammettesse l'affidamento sine die dei compiti e delle funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi, ed in alternativa ad essi, anche ad un soggetto idoneo a svolgere le funzioni di curatore fallimentare ovvero ad un notaio, cui si riferisce il comma 9 del citato articolo 15. Tale disposizione deve pertanto essere riferita ai casi in cui sia mancata la costituzione degli organismi di composizione della crisi con iscrizione di essi nell'apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia, il che è reso manifesto non soltanto dall'inciso «Fino all'entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3», contenuto dello stesso citato comma 9, ma più in generale, dall'articolo 7 della stessa legge, il quale esordisce stabilendo che il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori l'accordo di ristrutturazione ivi previsto «con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all' articolo 15», che abbiano «sede nel circondario del tribunale competente», ossia degli organismi stabilmente costituiti secondo il richiamato articolo 15, il che colloca gli altri soggetti individuati dal comma 9 in posizione di risulta, nel senso appena indicato”.
[32] 
Pare utile ricordare Trib. Vicenza, 09/11/2017, in Ilcaso.it, che ha ritenuto come l’autorizzazione al gestore della crisi ex art. 15, comma 10, legge n. 3 del 2012, all’accesso alle banche dati per compiere le necessarie indagini in ordine alla situazione patrimoniale attuale e pregressa del ricorrente possa essere concessa all’Organismo di composizione della crisi in via generale e preventiva per ogni singola situazione che possa sfociare in una procedura di sovraindebitamento. 
[33] 
Il testo dell’art. 282 CCII ripropone del resto il tema della rilevabilità d’ufficio, anche in assenza di opposizione, della carenza di “meritevolezza” da parte del debitore, sia pure in sede di concessione della esdebitazione. Infatti, tale norma prevede la seguente prescrizione: “l'esdebitazione non opera nelle ipotesi previste dall'articolo 280 nonché nelle ipotesi in cui il debitore ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”.
[34] 
Cass., Sez. 1, 31 luglio 2025, n. 22074, in Dirittodellacrisi.it.
[35] 
Vds. al riguardo l’art. 41, ult. comma, CCII, che in materia di procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale prevede che il tribunale possa delegare al giudice relatore l’audizione delle parti, con potere in capo al giudice di disporre la raccolta di informazioni tratte da banche dati o pubblici registri, nonché ammettere ed espletare i mazzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio”. Trattasi di norma certamente compatibile ed applicabile anche al procedimento per l’apertura della liquidazione controllata in virtù – come si vedrà infra – del rinvio generale alle disposizioni sul “procedimento unitario” contenuto nell’art. 270, comma 5.
[36] 
Trattasi di scelta coerente con il principio generale contenuto all’art. 7, comma 2, CCII, che prevede una più generale priorità e precedenza delle soluzioni non liquidatorie, rispetto alla liquidazione giudiziale ed a quella controllata in presenza di due presupposti: a) convenienza della procedura alternativa; b) non manifesta inammissibilità ed infondatezza della stessa. 
[37] 
Sul punto è sufficiente ricordare la nota pronuncia resa da Cass. civile, S.U., 15/05/2015, n.9936, in Giust. Civ., 2015, 11: “la pendenza di un procedimento di concordato preventivo non rende improcedibile il procedimento prefallimentare, né lo sospende, ma impedisce soltanto temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli art. 162, 173, 179 e 180 L. fall. Ne segue che il fallimento può essere dichiarato solo quando: a) la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile; ovvero b) sia stata revocata l'ammissione alla procedura; c) non sia stata approvata la proposta di concordato; e, infine, d) sia stato respinto il concordato in esito al giudizio di omologazione”.
[38] 
Cfr. S. Leuzzi, La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati fra presente e futuro, cit., 9 e ss.
[39] 
Cass, civile Sez. 1, 14/06/2019, n. 16117, in dejure.it, ha ritenuto che “l'imprenditore che presenti istanza di autofallimento, oltre a provare lo stato di insolvenza, ha l'onere, ai sensi dell'art. 14 L. fall., di dimostrare la sussistenza di almeno uno dei requisiti dimensionali normativamente previsti, ai fini della fallibilità, dall'art. 1 L. fall., con riferimento all'arco temporale degli ultimi tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte di appello che aveva ritenuto la sussistenza dei presupposti del fallimento sulla base della situazione di squilibrio finanziario riferita ad un solo bilancio antecedente gli ultimi tre esercizi)”. 
[40] 
L’operatività congiunta dei limiti dimensionali (nel senso che basta superarne uno per entrare nell’area della c.d. “fallibilità”) è un dato orami acquisito. Cfr. ad es. Cass. civile Sez. 1, 23/03/2018, n. 7372, Guida dir., 2018, 34, 52: “dato che il regime concorsuale riformato ha delineato la figura dell'imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, il debitore, in applicazione del principio di prossimità della prova, ha l'onere di dimostrare di essere esente dal fallimento tramite la dimostrazione del mancato superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti”.
[41] 
Questo dovrebbe portare con sé l’applicazione ai futuri reclami alla Corte d’Appello delle regole e dei principi elaborati con riferimento al reclamo avverso la sentenza di fallimento, ex art. 18 L. fall., fra cui l’inoperatività dei limiti probatori posti dall’art. 345 c.p.c. Cfr. Cass. civile Sez. VI, 19/02/2019, n.4893, in Giust. Civ. Mass., 2019, secondo cui “nel giudizio di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, limitatamente ai procedimenti in cui trova applicazione la riforma di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007, che ha modificato l'art. 18 della L. fall., rinominando tale mezzo come "reclamo" in luogo del precedente "appello", non operano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c. Ne consegue che il debitore, benché non costituito innanzi al tribunale, può indicare in sede di reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi, anche per la prima volta, al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui all'art. 1, comma 2, L. fall.”.
[42] 
Afferma l’art. 50, comma 1, CCII che “il tribunale, se respinge la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, provvede con decreto motivato. Il decreto, a cura del cancelliere, è comunicato alle parti…”.
[43] 
Si tratta della notissima decisione resa da Cass. civile, S.U., 23/01/2013, n. 1521, in Giur. Comm. 2013, 3, II, 333, con nota di P.F. Censoni e in Foro it. 2013, 5, I, 1534, con nota di G. Costantino, M. Fabiani, E. Scoditti, che ha affrontato la problematica delle valutazioni da parte del tribunale sulla fattibilità giuridica ed economica della proposta concordataria, su cui si ritornerà infra.
[44] 
In Giust. Civ., 2015, 11, cit.
[45] 
A questo proposito occorre notare che l’ultimo correttivo ha modificato il comma 2 nella parte in cui, per un evidente refuso, faceva riferimento alla mancata apertura o cessazione delle procedure “di cui al capo III del titolo IV” (che regola in realtà il concordato preventivo), inserendo il più corretto riferimento alle procedure “di cui al titolo IV, capo II” (che concerne le proposte di soluzione del sovraindebitamento per il consumatore e l’imprenditore sottosoglia).
[46] 
In termini più specifici per la materia del sovraindebitamento, cfr. L. Nivarra, Sovraindebitamento e responsabilità patrimoniale, in Europa dir. priv., 2020, 313. Cfr. altresì Trib. Livorno, 05/01/2017, in dejure.it, secondo cui “se all’apertura della procedura di liquidazione dei beni ex art. 14 quinquies L. n. 3/2012 sono pendenti procedure esecutive, il liquidatore ha facoltà di presentare istanza di improcedibilità della esecuzione immobiliare pendente. Sebbene l’art. 14 quinquies disponga il divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive "sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo", non essendo previsto per la suddetta procedura un provvedimento di omologazione, l’istanza di improcedibilità va accolta”. 
[47] 
Trib. Mantova, 16/01/2018, in Ilcaso.it, ha affermato che la disposizione di cui all’art. 12 ter, comma 1, legge n. 3/12 e succ. modd. nel vietare ai creditori di iniziare o proseguire azioni individuali sul patrimonio del debitore il cui piano sia stato omologato non contempla deroghe, di tal che si deve ritenere che il privilegio processuale riconosciuto dalla legge al titolare del credito fondiario in virtù dell’art. 41 del D.Lgs. n. 385/93 non operi nel caso di sovraindebitamento. Esigenza di interpretazione restrittiva del privilegio processuale rappresentato dall’art. 41 T.u.b. si rinviene anche in Trib. Roma, 31/08/2020, in Riv. Es. Forzata, 2020, 4, annotata da A. Farolfi - D. Capezzera: “l’art. 41, comma 2, del T.u.b., che prevede un’eccezione al divieto posto dall’art. 51 L. fall., in quanto accorda al creditore fondiario la facoltà di esercitare l’azione esecutiva individuale sui beni ipotecati anche in costanza di fallimento del debitore esecutato, è disposizione di stretta interpretazione e che non può essere estesa analogicamente alla diversa ipotesi di sottoposizione del debitore esecutato alla liquidazione coatta amministrativa”.
[48] 
Per i rapporti fra procedura fallimentare ed esecuzione forzata promossa o proseguita dal creditore fondiario, resta fondamentale l’arresto di Cass. civile Sez. 3, 28/09/2018, n. 23482, in Ilfallimentarista.it, con nota di S. Leuzzi e Riv. dott. Comm., 2019, 3, 554: “in tema di espropriazione immobiliare iniziata o proseguita da un istituto di credito fondiario dopo la dichiarazione di fallimento dell'esecutato, la provvisoria distribuzione delle somme ricavate dalla vendita forzata deve essere eseguita in base ai provvedimenti (anche non definitivi) di accertamento, determinazione e graduazione del credito fondiario emessi in sede fallimentare, sicché il creditore fondiario, per ottenere la provvisoria assegnazione del ricavato, è in ogni caso onerato di dimostrare la propria ammissione al passivo del fallimento; il curatore fallimentare, qualora richieda l'attribuzione di somme relative ad eventuali crediti di massa maturati in sede fallimentare, preferiti al credito fondiario, e la conseguente decurtazione dell'importo da assegnare all'istituto procedente, è tenuto a costituirsi nel processo esecutivo e a provare l'emissione di formali provvedimenti (idonei a divenire stabili ai sensi dell'art. 26 L. fall.) che - direttamente o indirettamente, ma inequivocabilmente - dispongano la suddetta graduazione”.
[49] 
Cass. civ., Sez. 1, 19/08/2024, n. 22914, in Dirittodellacrisi.it, affrontando un rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c., ha stabilito che il creditore fondiario può avvalersi del “privilegio processuale” di cui all'art. 41, comma 2, D.Lgs. n. 385 del 1993 sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale di liquidazione giudiziale di cui agli artt. 121 e ss. D.Lgs. n. 14 del 2019, sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale della liquidazione controllata di cui agli artt. 268 e ss. del medesimo D.Lgs.
[50] 
Da notare che anche in materia concordataria si è ritenuto che “a norma dell'art. 168 L. fall., il divieto di promovimento o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore decorre dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e non da quella in cui il tribunale, ritenuto il ricorso ammissibile, fissa il termine per la presentazione del piano e della proposta” (App. Torino, 09/07/2020, n.52, in Dejure.it). Apparentemente diversa Cass. civile Sez. 1, 19/11/2018, n. 29740, in Unijuris.it, secondo cui “nel caso di presentazione della domanda di concordato con riserva, di cui all'art. 161, comma 6, L. fall., come introdotto dall'art. 33 del D.L. 22 n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, il termine che il giudice concede per il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui ai commi 2 e 3 del citato articolo, decorre dalla data di presentazione della detta domanda, non da quella dell'emissione del provvedimento con cui il giudice concede il termine, né dalla comunicazione di tale provvedimento da parte della cancelleria”. Pur condividendosi la conclusione, a rigore appare preferibile che anche il decorso del termine sia collegato con la pubblicazione della domanda nel registro delle imprese piuttosto che alla sua presentazione, che è atto singolo, volto a costituire il rapporto processuale con l’organo giudiziario, di per sé non conoscibile dai terzi.
[51] 
Da notare che con la recente sentenza interpretativa di rigetto Corte. Cost. n. 87, del 26 giugno 2025, in G.U., I serie spec., n. 27 del 2 luglio 2025, si è ritenuto che l’art. 147 L. fall., pur non essendo illegittimo nella parte in cui regola l’estensione della procedura ai soci illimitatamente responsabili, deve essere interpretato nel senso che, prima di dichiarare il fallimento in estensione di tali soci, gli stessi devono essere stati convocati non solo nel giudizio in cui viene dichiarato il loro fallimento, ma anche in quello che accerta la fallibilità dell’ente. Si tratta di principio che appare applicabile sia alla liquidazione giudiziale che, per quanto qui in particolare interessa, alla liquidazione controllata.
[52] 
Già nel vigore della legge n. 3/2021 si è recentemente affermato che “non è condivisibile ed è superata dalla giurisprudenza l’impostazione per cui la meritevolezza costituisce requisito imprescindibile ex lege per accedere alla procedura di Liquidazione dei beni ex art. 14 quinquies L. n. 3/2012, sulla base di una interpretazione letterale e sistematica delle norme di riferimento. La procedura è ammissibile anche in presenza di una non particolare diligenza del debitore, stante la finalità liquidativa della stessa, impregiudicata ogni valutazione nella successiva fase di esdebitazione all’esito del periodo di durata della procedura” (così Trib. Ancona, 08/10/2020, in Ilcaso.it).
[53] 
Per la liquidazione controllata, infatti, non sono riprodotte disposizioni come l’art. 70, comma 7, CCII in tema di ristrutturazione dei debiti del consumatore sovraindebitato o l’art. 80, comma 1, CCII per il concordato minore, le quali dispongono invece che il giudice procede all’omologazione “verificata l’ammissibilità e la fattibilità” degli stessi.
[54] 
Cfr. Cass. civ., Sez. 1, 03/06/2025, n. 14835, in Dirittodellacrisi.it, secondo cui il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (CCII) non è applicabile all'istanza di esdebitazione presentata dopo il 15 luglio 2022 (data di definitiva entrata in vigore del D.Lgs. n. 14 del 2019, che lo contiene) da soggetto dichiarato fallito in epoca anteriore, in quanto l'interpretazione sistematica dell'art. 390 CCII (che non menziona le procedure di esdebitazione) induce a ritenere che i debitori assoggettati alla procedura di fallimento, come regolata nel suo complesso dal R.D. n. 267 del 1942, possono chiedere il beneficio dell'esdebitazione solo a fronte dei presupposti soggettivi e oggettivi e nel rispetto delle norme procedurali previste dagli artt. 142 e seguenti L. fall., stanti sia il collegamento strutturale con il fallimento dell'esdebitazione regolata dal R.D. n. 267 del 1942 sia la previsione letterale dell'art. 142, primo comma, della stessa L. fall., che riserva il beneficio dell'esdebitazione al "fallito", così come gli artt. 278 e seguenti CCII riservano il beneficio dell'esdebitazione esclusivamente al "debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata", delle quali evidentemente presuppongono l'apertura e lo svolgimento secondo le norme (sostanziali e procedurali) ad esse proprie.
[55] 
Sull’accertamento del passivo nella liquidazione del patrimonio, cfr. per un primo esame S. Giavarrini, La procedura di liquidazione del patrimonio nella legge n. 3/2012, cit.
[56] 
Il tema ha continuato a rimanere incerto, esistendo pronunce variegate e di segno contrario (cfr. ad es. Trib. Ancona, 14 novembre 2019, in Ilcaso.it), dovendosi osservare come solo da ultimo il S.C. sia intervenuto a chiarire la questione.
[57] 
Discussa era nel vigore della L. n. 3/2021 la compatibilità dell’esercizio provvisorio con la liquidazione del patrimonio. Si esprimeva in senso contrario Trib. Rimini, 29/07/2020, in Ilcaso.it, secondo cui “l’esercizio provvisorio è un istituto di dubbia applicabilità nell’ambito delle procedure da sovraindebitamento, ponendosi un limite già nella considerazione per la quale mentre nel fallimento esso è esercitato dal curatore, nella liquidazione patrimoniale dovrebbe essere l’OCC ad assumersi tale responsabilità, pur non rientrando tra i suoi compiti. In ogni caso va esclusa l’opportunità di autorizzare l’esercizio provvisorio ove sussistano costi prededucibili (nel caso di specie, canone di locazione e dipendenti) a fronte degli esigui ricavi conseguibili ed ogni qualvolta l’attività del sovraindebitato (nella specie, estetista) sia caratterizzata da intuitus personae che non giustifica la continuazione dell’attività di impresa fino alla vendita per conservare un avviamento difficilmente quantificabile, che non rappresenta una sicura posta di attivo nella vendita competitiva a terzi”. In contrario, Trib. Mantova, 17/09/2019, ivi: “nell’ambito del procedimento per liquidazione del patrimonio deve ritenersi consentito, ai sensi dell’art. 14 quinquies lett. e) L. n. 2/2012, l’esercizio provvisorio dell’impresa allorquando dalla sua interruzione possa derivare un danno grave ed esclusivamente con riferimento alla prosecuzione dell’ordinaria attività in essere, con divieto di intraprendere nuovi affari e/o operazioni”. Nella disciplina dell’attuale codice la risposta al quesito è in via maggioritaria favorevole ad ammettere la prosecuzione dell’attività di impresa: cfr. al riguardo Trib. Monza, 09/04/2025, in Ilcaso.it, secondo cui la liquidazione controllata aperta a carico dell’imprenditore individuale non è di per sé ostativa alla prosecuzione dell’attività d’impresa, dovendo ritenersi configurabile nell’ambito della liquidazione controllata sia l’esercizio provvisorio, in cui l’attività di impresa viene svolta direttamente dal liquidatore (cfr. in senso conforme, Trib. Bologna 14.6.2023, ivi) sia - nei casi in cui è fondamentale l’apporto personale del debitore - la prosecuzione dell’attività direttamente da parte di quest’ultimo, sotto la stretta sorveglianza del liquidatore ed a condizione che dalla stessa possano generarsi utilità da destinarsi al soddisfacimento dei creditori. 
[58] 
Può ricordarsi, al riguardo, Trib. Piacenza, 23 dicembre 2024, in unijuris.it, per la quale la valutazione in ordine alla soglia “limite” di beni necessari al debitore per il mantenimento suo e della sua famiglia ex art. 268, comma 4, lettera b), CCII costituisce un apprezzamento discrezionale del Tribunale; al fine di individuare la quota di reddito da lasciare nella disponibilità del debitore, da un lato, questa non può essere limitata a coprire le esigenze puramente alimentari dei componenti il nucleo familiare del ricorrente, dovendo invece essere ragguagliata ad una misura che possa costituire anche premio ed incentivo per l'attività produttiva e reddituale da lui svolta, e dall'altro, tale quota non può essere elevata fino a raggiungere il limite del minimo tenore di vita socialmente adeguato (ex art. 36 Cost.), in quanto deve sempre considerarsi che nella condizione sociale del fallito ha un peso rilevante la sua condizione di debitore verso una collettività di debitori concorrenti. Inoltre, nella valutazione di congruità delle spese prospettate dal debitore, il Tribunale ben può fare riferimenti a parametri oggettivi esterni - quali la spesa media mensile e la soglia di povertà assoluta ISTAT, oppure l’ammontare dell’assegno sociale minimo INPS -, al fine di motivare la propria decisione e deve, altresì, essere valutato l’eventuale apporto economico dei familiari e conviventi, i quali si presume contribuiscano alle spese di mantenimento della famiglia in misura proporzionale al proprio reddito.
[59] 
Rispetto alla procedura fallimentare il principio applicabile è pressoché costantemente il seguente: “in tema di individuazione del tribunale competente a dichiarare il fallimento, ai sensi dell’art. 9, comma 1, L. fall., la presunzione "iuris tantum" di coincidenza della sede effettiva con la sede legale è superabile attraverso prove univoche che dimostrino che il centro direzionale dell’attività dell’impresa è altrove e che la sede legale ha carattere solo formale o fittizio, rilevando a tal fine, in particolare, la mancanza di una concreta struttura operativa presso la sede legale, sicché debba riconoscersi che detta sede sia solo un mero recapito” (Cass. Sez. 1, 14/06/2019, n. 16116, nonché Cass. 15/10/2020, n. 22270, in Dejure.it). 
[60] 
Trib. Padova, 9 luglio 2024, in Ilcaso.it, ha ritenuto che non è precluso l’esame della domanda di apertura della liquidazione controllata del convenuto, formulata dal creditore ricorrente all’udienza successiva alla costituzione del debitore, dovendosi dare continuità all’orientamento, già emerso in giurisprudenza, secondo cui la domanda di apertura della liquidazione controllata svolta in via subordinata rispetto a quella di apertura della liquidazione giudiziale a seguito delle difese proposte dal convenuto deve ritenersi ammissibile, essendo domanda fondata sulle medesime circostanze fattuali, con possibilità pertanto del ricorrente di mutare il petitum a fronte delle eccezioni svolte dal debitore (cfr. altresì Trib. Brescia sent. n. 38 del 09/02/2024). Cfr. altresì Trib. Verona, 30 giugno 2024, in Ilcaso.it, già cit. alla nota n. 28.
[61] 
Il decreto della Prima Presidente n. 18925 del 10/07/2025, pure già ricordato sub nota n. 28, infatti, oltre a rilevare profili di incertezza dell’ordinanza di rimessione della Corte d’appello partenopea, ha osservato che “difetta l’adeguata illustrazione del requisito di novità della questione, non essendo stata vagliata la possibilità di trarre elementi di valutazione dall’esame di precedenti pronunce di legittimità potenzialmente in grado di offrire elementi utili ad orientare l’interprete (ad es. Sez. 1, n. 22914 del 2024, con riguardo ai rapporti fra liquidazione giudiziale e liquidazione controllata)”.
[62] 
Sul reclamo ai provvedimenti del giudice delegato, con principi che risulteranno ad avviso di chi scrive in gran parte estensibili a questa materia, cfr. per un primo approfondimento A. Cecchella, I controlli, in Tratt. diritto fallimentare e delle altre proc. concorsuali, II, Torino, 2014; M. Fabiani, Terzietà del giudice fallimentare, in Foro it., 2006, I, 639; I. Pagni, Il controllo sugli atti degli organi della procedura fallimentare, in Fall., 2007, 140.
[63] 
Nella giurisprudenza edita, sul punto, si veda Trib. Ancona 14/11/2019, in Ilcaso.it, secondo cui “l'accertamento del passivo nella liquidazione del patrimonio è stato ricostruito secondo una procedura propria e autonoma che non prevede espressamente le domande tardive, tenuto conto infatti che nella L. n. 3/2012 manca la previsione di un termine entro il quale le domande di insinuazione tardive possano essere fatte valere né è menzionata l'esistenza di creditori tardivi. La ratio sottesa alla scelta legislativa potrebbe ben essere rivenuta nell'autonomia concessa al liquidatore quale organo deputato a fissare il termine per la presentazione delle domande di partecipazione alla liquidazione, nonché di rivendicazione e di restituzione; tale discrezionalità consente al liquidatore di indicare il termine per la presentazione delle domande anche in considerazione delle esigenze della singola procedura, per cui la valutazione ex ante del termine da parte del liquidatore è da ritenere vincolante per i creditori che vogliano insinuarsi al passivo della Liquidazione. Peraltro, la lacunosità della L. n. 3/2012 non consenta nella specie di procedere all'applicazione analogica della normativa fallimentare in assenza dei presupposti di legge”.
[64] 
G. Bozza, Liquidazione controllata e liquidazione controllata, cit., par. 7.
[65] 
Cass. civ., Sez. 1, 14/03/2025, n. 6849, ha stabilito che il termine di proposizione delle domande di partecipazione alla liquidazione del patrimonio di cui all'art. 14 sexies della L. n. 3 del 2012, pur non essendo previsto espressamente a pena di decadenza, ha natura perentoria, in coerenza con la funzione acceleratoria della procedura assegnatagli dalla legge, sicché è preclusa ai creditori la presentazione di tali domande oltre il termine citato, salvo che essa non venga preceduta da apposita istanza di rimessione in termini, ai sensi dell'art. 153 c.p.c., in cui si dia dimostrazione dell'esistenza di una causa non imputabile che abbia determinato la decadenza.
[66] 
Cass. civ., Sez. 1, 10/05/2025, n. 12395, in Dirittodellacrisi.it, ha infatti affermato che nell'ambito del sub-procedimento di formazione del passivo disciplinato dall'art. 14 octies della L. n. 3 del 2012, il liquidatore può sollevare in via incidentale l'eccezione di revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., in applicazione del principio "quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum", atteso che l'art. 14 decies, comma 2, della L. n. 3 del 2012 (integrato dal D.L. n.137 del 2020, conv. con mod. dalla L. n. 176 del 2020, applicabile anche alle procedure pendenti alla data della sua entrata in vigore) riconosce al liquidatore il potere di esercitare o proseguire, su autorizzazione del giudice, le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del Codice civile. 
[67] 
Trib. Modena, 29/03/2025, in Ilcaso.it.
[68] 
Per una ulteriore ipotesi, affrontata dal S.C., si veda Cass. 23 ottobre 2025, n. 28161, cit. alla nota n. 6.
[69] 
La relazione illustrativa del c.d. Correttivo ter precisa, al riguardo, che “La norma completa la disciplina della liquidazione controllata dettando specifiche disposizioni in materia di crediti prededucibili mutuate dalle disposizioni di cui all’articolo 222 relativo alla liquidazione giudiziale”. 
[70] 
Condivisibile appare, perciò, la decisione di Trib. Milano del 23 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[71] 
Nella relazione di accompagnamento si legge che le modifiche sono state introdotte “al fine di rendere più completa la disciplina della chiusura della procedura individuando i soggetti legittimati a chiederla, in analogia a quanto previsto dall’articolo 235 per la liquidazione giudiziale, e prevedendo il deposito di una relazione finale da parte del liquidatore contenente ogni fatto rilevante ai fini della esdebitazione per agevolare il relativo procedimento”.
[72] 
Secondo il Trib. Terni, 02/12/2024, in Ilcaso.it, il compenso unitario dell’OCC e (poi) liquidatore è liquidato dal giudice – in conformità ai parametri di cui al d.m. 202/2014 – al termine della procedura, tenuto conto di quanto eventualmente convenuto dall’Organismo con il debitore, anche in applicazione analogica di quanto previsto dagli artt. 71, comma 4, e 81, comma 4, CCII, ai sensi dell’art. 275, comma 3, CCII, salva l’eventuale liquidazione di acconti nel corso della procedura stessa in presenza di giustificati motivi (v. Trib. Verona 30 settembre 2024, Trib. Rimini 30 maggio 2024, e Trib. Torino 7 maggio 2024), non rilevando peraltro in senso contrario eventuali diverse indicazioni contenute nello stato passivo (v. Trib. Milano 14 novembre 2023).
[73] 
Cfr. Corte cost. n. 121 del 4 luglio 2024, in Ilcaso.it, la quale ha 1) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 144 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevede l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato della procedura di liquidazione controllata, quando il giudice delegato abbia autorizzato la costituzione in un giudizio e abbia attestato la mancanza di attivo per le spese; 2) dichiarato altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 146 del D.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede la prenotazione a debito delle spese della procedura di liquidazione controllata.

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