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Saggio

La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto dell'insolvenza*

Kevin Silvestri, Ricercatore di diritto processuale civile nell’Università di Trento

17 Gennaio 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Si commenta la proposta di direttiva sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto dell'insolvenza presentata il 7 dicembre 2022 dalla Commissione europea, e in corso di approvazione da parte del Parlamento e del Consiglio.
Premessa una ricognizione degli obiettivi avuti di mira dalla Commissione (riflessi nella scelta dell'art. 81 TFUE come base giuridica dell'iniziativa), si illustrano i contenuti essenziali dei sette titoli che compongono l'articolato della proposta di direttiva, vertenti, rispettivamente: i) sulle azioni revocatorie; ii) sull'accesso dei curatori alle banche dati sui rapporti finanziari, su talune componenti patrimoniali dei debitori insolventi, e ai registri fallimentari; iii) sulle liquidazioni pre-packaged; iv) sulla responsabilità civile degli amministratori per intempestiva presentazione di domande di apertura di procedure d'insolvenza; v) sulla liquidazione semplificata delle microimprese; vi) sul funzionamento e le prerogative del comitato dei creditori; vii) sulla trasparenza dei regimi giuridici nazionali in materia d'insolvenza.

The paper comments on the proposal of directive on the harmonisation of certain aspects of insolvency laws, presented by the European Commission on the 7th of December 2022, and currently being approved by the Parliament and the Council.
The aims of the proposal and its legal basis (art. 81 TFEU) are put under scrutiny. A brief illustration of the main contents of its seven titles follows, namely: i) transaction avoidance actions; ii) access by insolvency practitioners to data on the assets of insolvent debtors, and to insolvency registers; iii) pre-packaged proceedings; iv) directors' civil liability for late filing for the opening of insolvency proceedings; v) simplified winding-up proceedings for micro-entreprises; vi) the functioning and the rights of creditors' committees; vii) transparency of national insolvency laws.

Riproduzione riservata
1 . Premessa
Il 7 dicembre scorso la Commissione europea ha presentato l'attesa proposta di direttiva destinata a proseguire il percorso di avvicinamento dei diritti concorsuali degli Stati membri intrapreso con la Direttiva (UE) 2019/1023 (comunemente, ma impropriamente, denominata “Insolvency”)[1]. È stato, così, dato avvio all'iter legislativo che, nei prossimi mesi[2], condurrà all'ingresso di un nuovo tassello nel diritto europeo della crisi d'impresa e dell'insolvenza[3].
La proposta di direttiva costituisce, idealmente, il seguito della Direttiva “Insolvency”. Le accomuna la motivazione ultima: approfondire l'integrazione del mercato unico dei capitali (in grande misura ancora frammentato in tanti mercati nazionali), smussando, allo stesso tempo, gli ostacoli alla libertà di stabilimento posti dalla coesistenza, nel territorio dell'Unione, di ventisette legislazioni concorsuali assai diverse fra loro. 
L'assunto da cui muove la nuova proposta della Commissione (e che poteva scorgersi sullo sfondo della Direttiva del 2019), è che le profonde divergenze, tanto sul piano normativo, quanto su quello pratico, fra i sistemi concorsuali degli Stati membri, scoraggiano l'investimento del risparmio accumulato in uno Stato membro (o in uno Stato terzo) in attività produttive localizzate in altri Stati membri; questo perché - si presuppone - chi investe, decide se farlo o meno, e fissa il costo del suo credito in ragione, fra le altre cose, della durata e dell'esito attesi delle procedure di risanamento, ristrutturazione o insolvenza in cui possa incappare l'impresa da finanziare[4]. Così che, dinanzi all'opportunità di immettere capitali in un'impresa oltreconfine o di farvi comunque credito, l'investitore desisterà tutte le volte che gli riesca troppo difficile o costoso colmare le proprie lacune informative in merito ai possibili esiti di quelle procedure (tanto più quando l'impresa operi in più Stati membri, e non sia agevole stabilire dove si trovi il centro dei suoi interessi principali[5]); per questa ragione, si troverà non di rado a poter offrire condizioni d'investimento meno appetibili rispetto a quanti, operando stabilmente nel mercato dei capitali straniero, siano presumibilmente più a loro agio con il sistema concorsuale ivi in vigore. E anche chi, come gli investitori meglio “strutturati”, non risentisse di simili lacune informative, sarebbe ugualmente disincentivato a impiegare capitali in Stati membri dotati di sistemi concorsuali incapaci di preservare il valore dell'impresa in crisi, e di garantire, in esito a procedure vuoi di risanamento, vuoi di liquidazione, la restituzione dell'investimento in un tempo e in una misura “accettabili”.
Tutto questo, con conseguenze negative sull'effettiva libertà di stabilimento e sull'omogeneità del tessuto produttivo dell'Unione: le imprese stabilite in Stati membri dotati di sistemi concorsuali inefficienti hanno accesso esclusivamente a credito “domestico” (non riuscendo ad attrarre investimenti stranieri) e a un costo maggiore rispetto a imprese concorrenti stabilite in Stati membri forti di buone procedure di risanamento e insolvenza; parimenti, le imprese votate a un mercato transnazionale possono trovarsi in svantaggio, rispetto alle imprese di dimensione “nazionale”, nel trovare investitori. 
Di qui, l'idea che la disarmonia nella disciplina della crisi e dell'insolvenza all'interno dell'Unione distorca le scelte imprenditoriali; penalizzi la nascita di imprese a carattere transfrontaliero (il vero collante del mercato interno); incentivi la migrazione di imprese nazionali verso Stati membri dotati di un miglior sistema concorsuale; e, non da ultimo, esponga anche le imprese stabilite in questi ultimi Stati agli “effetti a cascata” d'insolvenze emerse, e mal gestite, in altri Stati membri[6].
Per queste ragioni, la Commissione, come per la precedente direttiva, ha scelto l'art. 114, par. 1, TFUE come base giuridica per la proposta in esame. Come noto, la citata norma di rango primario abilita il Parlamento europeo e il Consiglio ad adottare, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, regolamenti, direttive o decisioni tesi al «ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno».
Sembra perciò appropriato affermare che la proposta, idealmente, prosegue il cammino iniziato dalla Direttiva “Insolvency”, riprendendolo dal punto in cui quest'ultima si era arrestata, e cioè demandando agli Stati membri di adottare specifiche soluzioni tese ad accrescere la capacità delle procedure d'insolvenza di soddisfare meglio, e più rapidamente, i creditori. A tal fine, la Direttiva del 2019 si era limitata a spronare gli Stati membri ad assicurare, con i mezzi che avessero ritenuto più opportuni, che le procedure d'insolvenza fossero affidate a giudici e professionisti adeguatamente preparati, remunerati e sorvegliati[7]. 
La proposta, più ambiziosamente, ha di mira quattro fondamentali obiettivi: 
I) intervenire sui momenti delle procedure d'insolvenza percepiti come cruciali nella creazione del valore distribuibile ai creditori (le revocatorie e le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori); 
II) incaricare gli Stati di dotarsi di procedure liquidatorie accelerate, attivabili in determinate circostanze (pre-pack e liquidazione semplificata per le “microimprese”); 
III) rafforzare la vigilanza sugli organi della procedura (rivitalizzando l'istituto, già presente in molti ordinamenti, del comitato dei creditori); 
IV) estendere alle procedure d'insolvenza il ricorso a strumenti coniati dall'Unione ad altri scopi (le banche dati sui conti correnti e sulla proprietà effettiva di società e trust; il portale e-Justice). 
Tutto questo per mezzo di un'armonizzazione sì selettiva, ma (forse anche per questo) più stretta: basti pensare che, a fronte delle settanta “riserve” od “opzioni” contenute nei trentasei articoli della Direttiva del 2019, la proposta ne concede solamente otto, distribuendole su ben settantatré articoli.
Gli Stati membri, insomma, godranno di uno spazio di scelta piuttosto ridotto quanto ai risultati da conseguire, benché, come di consueto con le direttive, il ventaglio di soluzioni legislative perseguibili sarà piuttosto ampio.
L'articolato della proposta si compone di sette Titoli, ed è preceduto da ben sessantatré considerando, i quali, molto spesso, lungi dal ripetere e sintetizzare la parte dispositiva, la corredano di indicazioni preziose per intenderne fino in fondo la portata. Dato il volume consistente della proposta, in questa sede se ne illustreranno i contenuti essenziali. Del resto, la proposta ha ancora davanti a sé l'iter di approvazione, nel corso del quale, se è inverosimile che ne muterà l'architettura complessiva, è assai probabile che ne saranno emendate singole disposizioni. Dal momento in cui la direttiva entrerà in vigore, inoltre, gli Stati membri avranno a disposizione due anni per recepirla. Perciò è ancora prematuro riflettere sulla compatibilità, con la proposta, del diritto concorsuale italiano vigente, e per immaginare gli adeguamenti da apportarvi.
Conviene, per il momento, iniziare ad orientarsi fra le numerose e dettagliate disposizioni della futura direttiva.
2 . Le misure tese a incrementare il valore distribuibile ai creditori: l'armonizzazione relativa alle revocatorie e alla responsabilità civile degli amministratori
Al primo dei quattro fondamentali obiettivi della proposta di direttiva sono dedicate le disposizioni contenute nel Titolo II e nel Titolo V. 
Il Titolo II, intitolato alle azioni “revocatorie” (alle quali, per le ragioni che si diranno, meglio calzerebbe il nome di “azioni d'inefficacia”), si apre con due disposizioni che, molto nettamente, tracciano i contorni dell'armonizzazione ricercata dall'Unione in questo complesso ambito del diritto concorsuale[8]. Si tratta di un’armonizzazione “minima”, volta ad assicurare che, al ricorrere di precise circostanze, «gli atti giuridici pregiudizievoli per la massa dei creditori, compiuti in un momento precedente l'apertura di una procedura d'insolvenza, possano venir dichiarati inefficaci» (art. 4). Tali circostanze, prosegue la norma, sono quelle «descritte nel Capitolo secondo del presente Titolo», cioè dagli artt. 6, 7 e 8. 
Fuori dai casi stabiliti da tali disposizioni, gli atti del debitore, pur pregiudizievoli per la massa dei creditori, rimangono “revocabili” soltanto nella misura, e con le conseguenze, stabilite dai diritti nazionali applicabili, come si evince anche dalla previsione, contenuta nell'art. 5, secondo cui «la Direttiva non impedisce agli Stati membri di adottare o mantenere disposizioni relative all'inefficacia (voidness), all'impugnabilità (voidability), all'ineseguibilità (unenforceability) di atti pregiudizievoli per la massa dei creditori, nel contesto di procedure d'insolvenza, là dove tali disposizioni assicurino alla massa maggior protezione rispetto a quelle contenute nel Capitolo secondo».
In sostanza, la proposta non cala sugli Stati membri una disciplina uniforme e organica delle revocatorie, bensì mira a fissare un livello minimo, comune a tutti gli ordinamenti dell'Unione, di protezione della massa creditoria, imponendo agli Stati membri di restringere la portata di esenzioni previste dal diritto nazionale se e in quanto incompatibili con la direttiva; di ampliare le fattispecie di “revocabilità” fissate dalla legge nazionale se più ristrette di quelle designate dagli artt. 6, 7 e 8; di allineare le condizioni cui è subordinata la “revocabilità” di un atto nel diritto nazionale (periodo sospetto, necessità della prova della scientia decoctionis etc.) a quelle cui sottostà la “revocabilità” di un atto dello stesso tipo secondo la direttiva, se queste ultime ne agevolino l'esperimento. 
L'intento dichiarato della Commissione è di rinvigorire le azioni “d'inefficacia”, facendone uno strumento di prim'ordine per rimpinguare gli attivi delle procedure, e assicurare, in tal modo, una più consistente soddisfazione dei creditori. L'entrata in vigore della proposta determinerebbe, inoltre, un ulteriore, importante effetto, non dichiarato dalla Commissione: erodere l'efficacia della controversa norma di conflitto contenuta nell'art. 16 del Reg. (UE) 2015/848[9], a mente del quale sull'atto pregiudizievole alla massa non si riversano le conseguenze dettate dalla lex concursus se la legge applicabile all'atto “revocando” (la lex contractus, spesso convenuta a bella posta dalle parti), ne decreti l'inoppugnabilità, purché si tratti della legge di uno Stato membro. Infatti, delimitando uno “spazio minimo di revocabilità” comune a tutti gli Stati membri, e facendo perciò giustizia di qualsiasi forma di esenzione incompatibile con tale delimitazione, la proposta di direttiva riduce le possibilità che l'accipiens si trovi una legge nazionale più indulgente, al riparo della quale mettere l'atto pregiudizievole alla massa.
Venendo brevemente alle fattispecie di “revocabilità” obbligatoria, la proposta disciplina partitamente: 
a) gli atti che realizzano un trattamento preferenziale nei confronti di taluni creditori (art. 6); 
b) gli atti a titolo gratuito o a prestazioni manifestamente sperequate (art. 7); 
c) gli atti dolosamente compiuti in pregiudizio ai creditori (art. 8).
Fra gli atti che comportano un trattamento preferenziale nei confronti di taluni creditori (pagamenti, costituzione di garanzie o altri diritti di prelazione), l'art. 6 distingue ulteriormente, secondo che siano compiuti in maniera “congrua” («in the owed manner», come si esprime il par. 2) o “incongrua”[10]; secondo, cioè, che si tratti di atti comunque dovuti (si può pensare al pagamento di debiti scaduti, o all'accensione di garanzie al ricorrere di circostanze previste, fin dall'origine, dal contratto di finanziamento), ovvero di atti anomali (pagamenti di debiti immaturi, dationes in solutum e altri pagamenti con mezzi anormali[11]). 
Nel primo caso, l'art. 6, par. 2, stabilisce che l'atto è revocabile se ricorrono, cumulativamente, le seguenti condizioni: 
a) che l'atto sia stato compiuto nel periodo sospetto, ossia fino a tre mesi prima dalla presentazione della domanda di apertura della procedura d'insolvenza[12], ovvero in pendenza del procedimento di apertura; 
b) che il creditore favorito sapesse, o avesse potuto sapere usando l'ordinaria diligenza, che il debitore «non era più in grado di onorare le proprie obbligazioni scadute» (la scientia decoctionis), ovvero della pendenza, nei suoi confronti, di un procedimento prodromico alla dichiarazione d'insolvenza. Nel secondo caso (pagamenti e costituzioni di garanzie “incongrui”), a norma dell'art. 6, par. 1, lo stato soggettivo da ultimo descritto non è richiesto, essendo sufficiente che l'atto anomalo sia stato compiuto nel periodo sospetto.
Meno articolata è la disciplina relativa agli atti a titolo gratuito o a prestazioni sperequate («against no or a manifestly inadequate consideration», come recita la rubrica dell'art. 7), e degli atti in frode. Nella prima ipotesi, è sufficiente che l'atto sia stato perfezionato nel periodo sospetto, individuato nell'anno precedente la presentazione della domanda diretta alla dichiarazione d'insolvenza, nonché nel periodo successivo alla stessa. Nella seconda ipotesi, l'art. 8 richiede, oltre che il compimento nel periodo sospetto (esteso, questa volta, ai quattro anni precedenti l'inizio del procedimento prodromico), la conoscenza, in capo all'accipiens, «dell'intenzione del debitore di provocare un pregiudizio alla massa dei creditori» (un che di intermedio, sembrerebbe, fra la mera scientia damni, e la vera e propria compartecipazione alla dolosa preordinazione del debitore).
Oltre a quella delle fattispecie di “revocabilità”, anche la disciplina delle relative conseguenze è armonizzata. Gli artt. 9, 10 e 11 sono scanditi da previsioni concernenti: 
a) gli effetti della dichiarazione d'inefficacia dell'atto nei rapporti fra l'accipiens e la massa; 
b) gli effetti della mera “revocabilità” dell'atto sui diritti che ne scaturiscono; 
c) i diritti dell'accipiens che ha subito la dichiarazione d'inefficacia; 
d) gli effetti della dichiarazione d'inefficacia dell'atto o della mera “revocabilità” nei confronti dei successori dell'accipiens.
In merito agli effetti sub a), l'art. 9 stabilisce che l'atto dichiarato inefficace, quando la controparte del debitore non abbia ricevuto la prestazione, non possa «venir invocato per ottenere soddisfazione dalla procedura», sancendone quella che, a un primo sguardo, potrebbe qualificarsi come inopponibilità relativa. Nel caso in cui “l'azione d'inefficacia” sia stata invece promossa nei confronti di un accipiens, l'art. 9, par. 2, obbliga costui a ristorare la procedura “per l'intero” («in full») danno cagionato ai creditori, senza potersi valere della compensazione con suoi eventuali crediti nei confronti della massa (par. 5), e indipendentemente dal fatto che l'atto revocato gli abbia procurato un effettivo arricchimento (par. 2, ult. periodo).
Mentre gli effetti appena descritti derivano dal vittorioso esperimento dell'azione “d'inefficacia”, quello stabilito dall'art. 9, par. 3, discende dal semplice fatto che il titolo del diritto della controparte del debitore rientri fra gli atti “revocabili” ai sensi degli artt. 6, 7 e 8: è previsto che tale diritto debba prescriversi «in tre anni dalla data di apertura della procedura d'insolvenza». Anche se la norma non lo precisa (e sul punto tacciono anche i considerando), è da credere che la previsione di tale termine valga essenzialmente ad accorciare prescrizioni che sarebbero altrimenti destinate a verificarsi dopo tre anni dall'apertura della procedura, e non anche a riavviare il decorso di prescrizioni già maturate, o destinate comunque a verificarsi entro i tre anni dall'apertura. L'obiettivo di tale previsione sembra infatti quello di evitare che l'inerzia degli organi della procedura (magari sfociante nella consumazione delle revocatorie “in via d'azione”) avvantaggi l'accipiens, e, correlativamente, danneggi i creditori.
Quanto agli effetti sub c), l'art. 10, par. 1 stabilisce che «se e nei limiti in cui il beneficiario dell'atto dichiarato inefficace abbia ristorato la procedura del pregiudizio subito dalla massa per effetto di tale atto, rivivono tutte le pretese del beneficiario soddisfatte mediante l'atto dichiarato inefficace». La norma sembrerebbe riferirsi, in particolare, all'inefficacia dei pagamenti: una volta ristorato il danno, il creditore vedrà risorgere il proprio diritto. Il par. 2, d'altra parte, dà all'accipiens, la possibilità di ripetere la controprestazione effettuata al debitore in esecuzione dell'atto dichiarato inefficace, in natura o, se impossibile, per equivalente, insinuandosi al passivo nella veste di creditore concorsuale (la cui pretesa, cioè «shall be deemed to have arisen before the opening of insolvency proceedings»).
Infine, con riguardo agli effetti nei confronti dei successori dell'accipiens, l'art. 11 estende loro gli effetti di cui all'art. 9: 
a) quando si tratti di un erede o un successore a universale, incondizionatamente; 
b) quanto si tratti di un successore a titolo particolare nelle situazioni giuridiche scaturenti dall'atto («individual successor of the other party to the legal act that has been declared void»), a condizione che il successore fosse al corrente del fatto che l'acquisto del suo dante causa era “revocabile” (o potesse sincerarsene usando l'ordinaria diligenza).
La predisposizione di una disciplina armonizzata degli effetti giuridici associati alle fattispecie di “revocabilità obbligatoria” sopra osservate segna l'ingresso, nel diritto eurounitario, di una categoria civilistica nuova, i cui contorni possono non combaciare perfettamente con quelli, diversi fra loro, degli statuti dell'atto suscettibile di revocatoria dettati dai diritti nazionali. Si può parlare di “revocatorie speciali”, o meglio (in maniera più neutra) di “azioni di inefficacia”. Si assisterà, verosimilmente, a una riedizione degli sviluppi che hanno interessato altre categorie di matrice europea (si pensi, soprattutto, a quella delle nullità “di protezione” in materia consumeristica), la cui progressiva definizione ad opera della Corte di Giustizia è stata in larga misura guidata dalla ratio di fondo che ne hanno giustificato l'introduzione. Tale ratio, nel nostro caso, coincide con la necessità di assicurare alla massa dei creditori concorsuali la massima protezione e soddisfazione.
Si tratta di un'innovazione di cui è difficile, per il momento, stimare esattamente l'impatto, che appare tuttavia dirompente se si presta attenzione a un dettaglio tutt'altro che marginale: in base alla proposta di direttiva, suscettibili di essere dichiarati inefficaci sono, in via generale, gli «atti giuridici» (legal acts), che l'art. 2, lett. f, definisce come «qualsiasi comportamento umano, commissivo od omissivo, produttivo di effetti giuridici». Sul punto, il considerando 6 rimarca che «l'ambito degli atti giuridici impugnabili in conformità delle regole armonizzate sulle revocatorie dev'essere inteso nella maniera più ampia, inclusiva di qualsiasi comportamento umano produttivo di effetti giuridici. Il principio della par condicio creditorum impone che fra tali atti siano annoverate le omissioni, essendo indifferente che il pregiudizio per i creditori scaturisca da un'azione o da un'omissione delle parti dell'atto». Si può già notare come questa nuova categoria dell'“inefficacia” sia capace di tracimare oltre i confini delle revocatorie, e di invadere il campo tradizionalmente riservato ad altri mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. In questo senso, il seguito del considerando 6 è eloquente: «È indifferente che il debitore rinunci espressamente a un suo diritto o trascuri di esercitarlo, lasciando che si prescriva. Inoltre, fra le omissioni i cui effetti dovrebbero poter essere posti nel nulla andrebbero annoverate l'omessa impugnazione di un provvedimento giudiziale o amministrativo, o l'inerzia nella registrazione di titoli di proprietà intellettuale». Sarà interessante osservare se, e come, questo considerando sarà invocato dalla Corte di Giustizia per riplasmare e conformare alla nuova categoria fattispecie attualmente sottoposte a regimi diversi dalla revocatoria (l'azione surrogatoria, e forse anche l'opposizione di terzo revocatoria).
Armonizzata, infine, è la disciplina delle esenzioni. La proposta ne prevede due. La prima concerne i soli atti che realizzano un trattamento preferenziale ai creditori, che potranno essere esentati soltanto al ricorrere delle condizioni dettagliate all'art. 6, par. 3[13]. Importa sottolineare che, qualora un atto ricada nelle fattispecie di “revocabilità obbligatoria” descritte dall'art. 6, par. 1 e 2, qualsiasi esenzione prevista dal diritto nazionale incompatibile con quelle dettate dal par. 3 sarà priva di effetto.
La seconda esenzione è prevista dall'art. 12, a mente del quale le disposizioni del Titolo II non toccano gli artt. 17 e 18 della Direttiva “Insolvency”, che esentano da revocatoria la finanza “nuova” e “interinale”, e delle «operazioni che sono ragionevoli e immediatamente necessarie per le trattative sul piano di ristrutturazione». Sono dunque fatte salve le norme nazionali che recepiscono tali disposizioni, come l'art. 166, co. 3, lett. e) e f), CCII.
Quanto agli aspetti processuali delle “azioni d'inefficacia”, la proposta tocca esclusivamente taluni profili relativi all'onere della prova, tralasciando altri aspetti pur di rilievo, come la legittimazione ad agire e i termini di prescrizione e decadenza. La Commissione non avrebbe potuto fare altrimenti, se non cimentandosi in un'impresa di armonizzazione difficilissima. Infatti, la proposta di direttiva esige che, a certe condizioni, gli effetti dell'azione o dell'omissione del debitore debbano poter essere rimossi a beneficio della massa; ma le vie processuali attraverso le quali questi effetti possono essere posti nel nulla possono divergere non solo da ordinamento a ordinamento, ma anche in funzione della natura dell'atto commissivo e dell'omissione pregiudizievoli. In merito all'onere della prova, invece, quando la proposta richiede che l'accipiens sia a conoscenza, a seconda dei casi, del dissesto del debitore, della pendenza nei suoi confronti di un procedimento prodromico, ovvero della sua intenzione di nuocere alla massa, specifica ogni volta che tale stato soggettivo debba presumersi in capo alle «parti correlate» (parties closely related to the debtor)[14], ossia alle «persone, fisiche o giuridiche, con accesso privilegiato a informazioni riservate sugli affari del debitore» (art. 2, lett. q, che correda la definizione di un elenco esemplificativo). Il considerando 12, opportunamente, puntualizza che tale presunzione è vincibile con la prova della buona fede soggettiva dell'accipiens.
Assai meno ambiziosa e incisiva è l'armonizzazione delle regole concernenti i doveri di comportamento degli amministratori al cospetto del dissesto della società. Gli artt. 36 e 37, che esauriscono il contenuto del Titolo V, si limitano a imporre agli Stati membri l'obbligo di presidiare con la responsabilità civile il dovere degli amministratori di richiedere tempestivamente (cioè, entro tre mesi dall'emersione del dissesto) l'apertura di una procedura d'insolvenza a carico della società. 
Si tratta indubbiamente di una delle misure di minor impatto della direttiva, considerato che, nella maggior parte degli ordinamenti europei, l'inerzia già consente, in base ai principi generali sulla responsabilità civile, d'imputare agli amministratori, a titolo di colpa o negligenza, il danno sofferto dalla massa[15]. La proposta mira in ogni caso a dissipare ogni dubbio, qualificando espressamente questa precisa condotta quale fonte di responsabilità.
La cautela mostrata dal legislatore europeo è comprensibile, attesa la notevole difficoltà di costruire regole armonizzate in questa complessa materia, nella quale, oltretutto, s'intersecano discipline che esulano dalle competenze normative delle istituzioni dell'Unione (particolarmente, il diritto penale dell'economia). Nondimeno, la proposta compie un passo avanti non trascurabile rispetto alla Direttiva “Insolvency”, la quale, si ricorderà, prevedeva soltanto che gli Stati membri imponessero agli amministratori di prendere le iniziative necessarie ad evitare l'insolvenza e tutelare gli interessi dei creditori, senza specificare in che modo l'inosservanza di tale dovere dovesse essere sanzionato (art. 19)[16]. 
Vistosa è l'assenza di un'esatta definizione dei destinatari dell'obbligo di domandare tempestivamente l'apertura della procedura d'insolvenza. L'omissione è voluta, come si deduce dal considerando 32, nel quale si raccomanda agli Stati membri di approntare una definizione quanto più ampia possibile, tale da includere non soltanto gli amministratori formalmente investiti, ma anche coloro che, di fatto, detengono le redini della società[17].
Mancano, infine, disposizioni in merito ai profili processuali delle azioni di responsabilità. Non è una lacuna di poco conto, considerato che questi rimedi rappresentano, oramai, il principale strumento di ricostituzione degli attivi delle procedure.
3 . Le misure tese a ridurre i tempi di soddisfazione dei creditori e a semplificare il corso delle procedu-re: i pre-pack
Il secondo, fondamentale obiettivo della proposta di direttiva è quello di contrarre la durata delle procedure d'insolvenza, e ridurre così il tempo che i creditori debbono attendere per essere pagati, e il debitore per ottenere l'esdebitazione. A tale esigenza risponde la disciplina delle liquidazioni pre-pack e semplificata.
Il Titolo IV contiene una disciplina uniforme minima delle procedure pre-pack (abbreviazione di pre-packaged, “preconfezionato”), che gli Stati membri saranno chiamati a introdurre nei propri ordinamenti o come procedure di nuovo conio, o come sottotipo di procedure già esistenti a carattere liquidatorio (in Italia, le liquidazioni giudiziale, controllata e coatta, ma anche i concordati liquidatorio e semplificato). Si tratta di uno strumento già noto alla prassi di numerosi Stati membri[18], che l'art. 2, lett. p, così descrive: «procedure liquidative celeri, dirette alla cessione al miglior offerente, in tutto o in parte, dell'azienda in continuità, nella prospettiva della liquidazione del patrimonio del debitore in conseguenza della sua insolvenza». La peculiarità delle cessioni pre-packaged risiede nel fatto che il cessionario dell'azienda è già individuato prima dell'inizio della procedura mediante una gara, e le condizioni essenziali della cessione (che sarà perfezionata nel corso della procedura d'insolvenza) già fissate.
Agli Stati membri sarà concesso di optare fra due modelli, come si evince dal considerando 25: nel primo modello (che per semplicità, chiameremo “pre-pack con asta privata”), la gara per individuare il miglior offerente si tiene prima dell'apertura della procedura vera e propria, in una fase detta «preparatoria» (preparation phase), mentre la cessione è autorizzata dal giudice e perfezionata nella successiva fase «liquidatoria» (liquidation phase); nel secondo modello (che può scorgersi fra le pieghe degli artt. 24, par. 3, e 26, par. 2, e che chiameremo “pre-pack con asta pubblica”), gara e aggiudicazione hanno luogo sotto la sorveglianza del giudice nella fase liquidatoria, mentre la fase preparatoria vedrà soltanto la presentazione di offerte concorrenti, la migliore delle quali formerà la base di partenza per la successiva asta pubblica (“stalking-horse bid”).
La proposta di direttiva scommette su questi strumenti, sul presupposto che una cessione “preconfezionata” dell'azienda in continuità ne preservi in massimo grado il valore[19], altrimenti destinato a scemare con il passare del tempo, e permetta altresì di pagare i creditori in tempi ristretti. D'altro canto, il legislatore europeo, conscio delle criticità che queste cessioni “a tavolino” presentano (su tutte, l'opacità delle procedure di selezione del miglior offerente, quando avvengono lontane dalla vigilanza del giudice), impone agli Stati membri l'adozione di numerose e puntuali cautele. 
All'art. 20, la proposta mira, inoltre, a che la fase liquidatoria s'inserisca in una procedura d'insolvenza cui è applicabile il Reg. (UE) 2015/848, tanto che si tratti di una procedura esistente, elencata nell'Allegato A al Regolamento, tanto che si tratti di una procedura nuova (perciò da aggiungere a quell'elenco).
Sempre l'art. 20, stabilisce che la fase liquidatoria sia considerata “procedura d'insolvenza” agli effetti dell'art. 5, par. 1, della direttiva 2001/23/CE, norma che esclude le garanzie assicurate dalla direttiva stessa ai dipendenti dell'impresa cedente, quando la cessione d'azienda si realizzi nel contesto, appunto, di una procedura d'insolvenza.
Anche in questa materia, la proposta non contiene una disciplina uniforme e organica, bensì persegue un'armonizzazione selettiva: prende in considerazione aspetti salienti delle procedure in esame, rinviando, per il resto, alle singole discipline nazionali applicabili alle procedure che, in comune con i pre-pack, perseguono la liquidazione del patrimonio del debitore (art. 19, par. 2). In particolare, è lasciata massima libertà agli Stati membri nel dettare la disciplina, delicata, del procedimento di passaggio fra le due fasi, che, in linea con lo spirito della proposta di direttiva, dovrà contemplare un accertamento dei presupposti oggettivi e soggettivi celere e deformalizzato.
L'armonizzazione più spinta è ricercata, piuttosto, nella disciplina delle cautele necessarie ad assicurare una cessione massimamente proficua, e a garantire che la contesa dell'azienda in continuità si svolga in condizioni quanto più prossime a quelle di concorrenza perfetta. Si tratta, detto altrimenti, di norme tese a evitare che alcuni contendenti sfruttino a proprio profitto, e a danno dei creditori, determinati vantaggi competitivi. Si spiega in questa prospettiva l'art. 32, che subordina la partecipazione alle gare delle «parti correlate» (gli “insider”, già incontrati nella disciplina delle “revocatorie”) alla rivelazione agli altri concorrenti e agli organi della procedura dei propri rapporti con il debitore[20], e che, al par. 2, condiziona l'autorizzazione e l'esecuzione della vendita in favore della parte correlata unico offerente allo svolgimento di accurate verifiche da parte degli organi della procedura sulla congruità dell'offerta[21]. Nella stessa direzione va inoltre la norma che sottopone a limiti penetranti il “credit bidding” (art. 33, par. 3), vale a dire la presentazione di offerte da parte dei titolari di garanzie reali sui beni componenti l'azienda, con la proposta di compensare il prezzo d'acquisto con l'ammontare del credito garantito (pratica che, nel migliore dei casi, porta a una sensibile riduzione della liquidità distribuibile agli altri creditori, e, nel peggiore, a un'intenzionale sottostima dei beni gravati da garanzia da parte dell'offerente)[22]. Fra le altre precauzioni, infine, possono menzionarsi il divieto di costituire diritti di prelazione a favore degli offerenti (art. 33, par. 2), e quello, affine, di concedere forme velate di prelazione (come penali e diritti al rimborso di spese) a chi, nella fase “preparatoria” di un pre-pack con asta pubblica, avesse presentato l'offerta migliore, poi scelta come base d'asta (art. 26, par. 2).
Mirano a incrementare o, quanto meno, a conservare il valore del compendio aziendale in continuità (e, di riflesso, ad assicurare un'apprezzabile soddisfazione dei creditori) le agevolazioni alla concessione di finanziamenti “interinali” (art. 33, par. 1).
Sotto il profilo più strettamente processuale, l'art. 19, par. 1, dispone che, comunque saranno disciplinati dagli Stati membri, i pre-pack dovranno strutturarsi nelle due fasi di cui si è detto (“preparatoria” e “liquidatoria”).
Protagonista di entrambe le fasi è l'«osservatore» (monitor), un professionista nominato dal giudice all'esordio della fase preparatoria, remunerato, munito dei requisiti necessari per la nomina a curatore (art. 22, par. 3), e il cui compito è di tener traccia delle attività di selezione delle offerte compiuta in questa prima fase, e di attestarne la conformità ai criteri enumerati dall'art. 24, par. 1 (concorrenzialità, trasparenza, correttezza e adesione agli usi di mercato[23]). Nella fase liquidatoria, l'osservatore è promosso a «curatore» (insolvency practicioner: art. 25), e ha il compito, alternativamente, di proporre l'acquirente a beneficio del quale dovrà venir autorizzata e perfezionata la cessione nella successiva fase liquidatoria (nel pre-pack con asta privata), ovvero di fissare l'offerta di base per l'asta pubblica (in quello con asta pubblica).
L'osservatore non ha il compito di amministrare il patrimonio del debitore, il quale, nella fase preparatoria, non subisce alcuno spossessamento. Pare, tuttavia, che gli Stati membri possano scegliere di assoggettare il debitore a una forma di spossessamento attenuato, dal momento che l'art. 22, par. 4, si limita a sancire che il debitore mantenga almeno il controllo «della gestione ordinaria dell'impresa» (day-to-day operation of the business).
Sempre nella fase preparatoria, a norma dell'art. 23, potrà essere concesso lo stay delle azioni esecutive individuali (in conformità agli artt. 6 e 7 della Direttiva “Insolvency”), là dove si palesi una possibile o attuale insolvenza[24], e lo stay risulti funzionale a un «fluido ed efficiente svolgimento della procedura» (seamless and effective roll-out of the pre-pack proceedings).
Nel pre-pack con asta privata, la vendita sarà omologata previa audizione dei creditori (art. 34, par. 1), i quali potranno opporsi all'autorizzazione facendo valere la difformità della procedura di selezione, tenutasi nella fase preparatoria, rispetto ai richiamati criteri di cui all'art. 24, par. 1. Tale difformità, in ogni caso, sarà rilevabile d'ufficio dal giudice (art. 26, par. 1, secondo alinea), il quale potrà perciò sindacare nel merito l'attestazione di conformità rilasciata dall'osservatore.
Nel pre-pack con asta pubblica, allo scopo di consentire un pronto esborso in favore dei creditori, la gara è sottoposta a tempistiche assai stringenti: dev'essere indetta entro due settimane dall'apertura della procedura, e deve chiudersi in non più di quattro.
Autorizzata e perfezionata la vendita, o conclusa l'asta pubblica[25], l'aggiudicatario acquisterà l'azienda libera da debiti (salvo che acconsenta ad accollarseli: art. 28[26]), e, tranne che eserciti un'attività produttiva in concorrenza con il debitore, subentrerà nei contratti pendenti («executory contracts»[27]) essenziali alla continuazione dell'attività (art. 27, par. 1). A tal fine, l'art. 27, par. 2 impone agli Stati membri di assicurare che l'apertura della fase liquidatoria non faccia sorgere, in capo agli organi della procedura, il potere di risolvere tali contratti, se non quando «la risoluzione sia nell'interesse dell'attività del debitore», o si tratti di contratti con pubbliche amministrazioni, per l'esecuzione dei quali il cessionario non disponga dei necessari requisiti. A maggior ragione, puntualizza il considerando 28, si dovrà escludere che l'apertura della procedura determini l'automatica risoluzione degli stessi contratti, quando prevista dal diritto nazionale.
Merita un cenno l'art. 35, che disciplina l'ipotesi in cui sia presentata un'offerta la cui esecuzione dia luogo ad una concentrazione d'imprese, ed esiga, pertanto, un preventivo benestare della competente autorità antitrust. In tali casi, quando emerga il rischio concreto che il compimento del procedimento amministrativo ritardi oltremodo la conclusione del pre-pack, l'offerente sarà tenuto a segnalarlo, all'atto della presentazione dell'offerta, all'osservatore, il quale, sollecitate ulteriori offerte, potrà scartare l'offerta soggetta ad autorizzazione amministrativa, benché migliore, quando non sia l'unica, o quando il paventato ritardo si preannunci intollerabile. 
La possibilità, data all'osservatore, di sacrificare una buona offerta sull'altare della celerità, rende plasticamente la misura dell'urgenza, avvertita dal legislatore europeo, di abbattere drasticamente i tempi di soddisfazione dei creditori.
4 . (Segue): La liquidazione semplificata
Il Titolo VI introduce l'istituto della liquidazione semplificata, riservata alle “microimprese” insolventi (ma estensibile o adattabile, a discrezione degli Stati membri, alle “piccole e medie imprese”, come suggerisce il considerando 35)[28]. Si tratta di una procedura modellata sul classico fallimento ben noto agli ordinamenti continentali (e perciò scandito dalle consuete fasi dell'apertura, dell'accertamento del passivo e della liquidazione e distribuzione dell'attivo), adattata alle specifiche esigenze delle imprese più piccole. Queste imprese, come premettono i considerando 34 e 35, sono più di altre esposte all'insolvenza, poiché più sensibili alle fasi avverse del ciclo economico e alla rottura improvvisa e imprevista di relazioni commerciali con importanti clienti; ma, allo stesso tempo, troppo fragili per reggere il peso delle tradizionali procedure d'insolvenza, lunghe, costose e spesso irte di complicazioni processuali. 
 La proposta ambisce, pertanto, a ottenere che gli Stati membri si attrezzino di procedure d'insolvenza giudiziali o, in alternativa, amministrative[29], appositamente congegnate per trattare le insolvenze delle microimprese, in maniera particolarmente celere, semplice ed efficace. Più nello specifico, gli obiettivi dichiarati della futura direttiva, su questo versante, sono due: vincere l'ostacolo, presente in alcuni ordinamenti nazionali, del divieto di dar corso a procedure d'insolvenza nei casi in cui l'attivo sia insufficiente a coprire almeno i costi della procedura; consentire (oltre che un'uscita indolore dell'impresa decotta dal mercato) una rapida esdebitazione a coloro che, nella maggior parte dei casi, sono i veri timonieri delle microimprese, ossia i soci illimitatamente responsabili, nonché i soci limitatamente responsabili di società sottocapitalizzate, personali garanti della stessa (e perciò, di fatto esposti, non meno dei soci illimitatamente responsabili, al dissesto dell'impresa). 
 Sul primo fronte, la proposta delinea un modello di liquidazione semplificata votata al massimo contenimento dei costi, e, là dove non sia possibile, alla loro esternalizzazione. Questa filosofia è compendiata nell'art. 38, parr. 3 e 4, il primo dei quali sancisce che «l'apertura e lo svolgimento di una procedura di liquidazione semplificata non possano essere negati per il motivo che il debitore non ha beni sufficienti per coprirne i costi», mentre il paragrafo successivo rincalza stabilendo che, nei casi in cui i non possa farvi fronte il debitore con le proprie sostanze, «gli Stati membri debbono assicurare che i costi siano comunque coperti». La proposta omette di precisarlo, ma sembra piuttosto chiaro che, in tali situazioni, i costi della procedura saranno sopportati dalle casse pubbliche. Il punto, com'è evidente, è delicato, e potrebbe incontrare resistenze, specialmente in sede di approvazione della proposta nel Consiglio.
 Ripete un simile motivo di fondo la disciplina della figura del curatore, che viene confinata a un ruolo marginale; correlativamente, è privilegiata la figura del debtor in possession[30], cui si aggiunge quella del creditor in possession (art. 43, par. 4, lett. b, ossia del creditore «investito del potere di gestire e disporre del patrimonio del debitore»: beninteso, a proprie spese). La nomina del curatore è infatti consentita unicamente su richiesta del debitore o di almeno un creditore, e, soprattutto, a condizione che l'attivo possa sopportare i costi del suo intervento, oppure in alternativa, che il creditore che ne ha chiesta la nomina si presti ad accollarseli (art. 39). Parimenti, viene insistentemente incentivato il ricorso agli strumenti telematici, nelle comunicazioni fra le parti della procedura e gli organi (art. 40) e nelle operazioni di liquidazione dell'attivo, che dovrebbero idealmente svolgersi per mezzo dei portali d'asta in rete attivati da ciascuno Stato membro (art. 50), e messi in comunicazione fra loro dalla Commissione (mediante il sistema d'interconnessione cui sono dedicati gli artt. 51-53, sui quali non conviene qui indugiare). Tutto ciò riposa sul presupposto che lo sfruttamento di canali di comunicazione dematerializzati e luoghi virtuali non generi ulteriori costi rispetto a quelli necessari per l'implementazione e il mantenimento delle infrastrutture telematiche (i quali rimangono interamente a carico dei contribuenti).
 Sul fronte dell'accelerazione e della semplificazione della procedura, vanno anzitutto considerate le norme sul procedimento prodromico (artt. 41-42). È previsto che la legittimazione a domandare l'apertura della liquidazione semplificata spetti, quanto meno, a un qualunque creditore, oltre che alla stessa microimpresa. L'istanza di autoliquidazione dovrebbe essere preferibilmente formulata compilando un modello standard (predisposto dalla Commissione), contenente i dati identificativi del debitore, un inventario dei suoi beni, l'identificazione e i recapiti dei creditori conosciuti e un elenco delle somme ad essi dovute e di eventuali garanzie. Volutamente, la proposta omette di includere i bilanci fra i documenti che debbono corredare l'istanza del debitore; questo perché, come spiega il considerando 37, la situazione economica e patrimoniale delle microimprese di rado è fedelmente rappresentata dalle scritture contabili (che, oltretutto, non sempre questi imprenditori sono obbligati a tenere), particolarmente quella degli imprenditori individuali. Che è, inoltre, il motivo per cui l'art. 38, par. 2, definisce il requisito oggettivo per l'accesso alla liquidazione semplificata (l'insolvenza) non sulla scorta del raffronto fra partite attive e passive contabilizzate (balance sheet test), bensì come l'incapacità del debitore di soddisfare i debiti alla scadenza (cessation of payments)[31].
 Tornando al procedimento prodromico, nel caso in cui l'istanza sia proposta da un creditore (o da altri cui la legittimazione fosse conferita dal diritto nazionale), il debitore può depositare una comparsa di risposta, con la quale prestare adesione all'istanza, ovvero contestarla (art. 41, par. 3). Quando venga elevata una contestazione, il debitore potrà documentare le informazioni richieste dal modulo standard entro il termine di due settimane dalla notifica della domanda; in caso contrario, quando intenda aderire all'istanza, dovrà includere quelle stesse informazioni nella sua comparsa di risposta. L'adesione del debitore all'istanza, dunque, non sortisce effetti analoghi alla non contestazione nel nostro processo civile, ma vale semplicemente ad accorciare i tempi del procedimento prodromico, che dovrà, in ogni caso, chiudersi entro due settimane dalla presentazione della domanda (art. 42, par. 1). Anche quando il debitore aderisca all'istanza, infatti, l'autorità competente dovrà, d'ufficio, esaminare la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per l'apertura della liquidazione semplificata, nonché la competenza giurisdizionale internazionale dello Stato membro in cui la domanda è presentata, e la competenza per territorio e materia stabilite dal diritto interno (questo sembra il significato da assegnare al termine «jurisdiction» impiegato nell'art. 42, par. 2, lett. c).
 In merito agli effetti della decisione d'apertura della liquidazione semplificata, si è già detto che non si realizza, almeno di regola, lo spossessamento del debitore. L'art. 44 dispone che per effetto della pronuncia siano automaticamente sospese le azioni esecutive individuali dei creditori, lasciando tuttavia agli Stati membri la possibilità di esentare dal divieto singoli creditori, tenuto conto di specifiche circostanze del caso concreto (art. 44, par. 2). Nulla è detto in merito alle sorti dei contratti pendenti. Con riguardo alle revocatorie, l'art. 47 stabilisce che, nel caso in cui il loro esperimento comporti un aggravio in termini di costi e tempi, l'autorità competente possa disporre la conversione della liquidazione semplificata in un'ordinaria procedura d'insolvenza. La previsione di una “passerella” fra liquidazione semplificata e “ordinaria” potrebbe suggerire agli Stati membri, come via più opportuna per recepire il nuovo istituto, non quella di forgiare una procedura autonoma, bensì quella di ritagliare una disciplina speciale all'interno delle procedure liquidatorie vigenti.
 La decisione d'apertura dev'essere pubblicata (nei modi previsti dall'art. 45) e può essere impugnata dal debitore, senza effetto sospensivo (art. 42, par. 3). Dell'apertura della procedura dev'essere data notizia ai creditori conosciuti indicati dal debitore nella domanda, nella comparsa di risposta o con un atto successivo. 
 Il compimento di tale adempimento dà avvio alla fase dell'accertamento del passivo, anch'essa ridotta all'essenziale (art. 46). Si omettono, infatti, la presentazione delle domande d'insinuazione e il procedimento di verificazione, che sono sostituiti da un meccanismo per mezzo del quale s'intendono insinuati e ammessi tutti i crediti elencati dal debitore nella domanda d'apertura (o nella comparsa di risposta), per le somme e con i diritti di prelazione ivi indicati, a meno che «qualunque creditore» (any creditor) contesti, in un dato termine, le asseverazioni del debitore. Tali contestazioni potranno vertere sull'esistenza di crediti non indicati dal debitore (e allora, equivalendo a una vera e propria domanda d'insinuazione, potranno essere mosse solo dall'interessato); potranno concernere l'esistenza di crediti indicati (ed è allora da credere che tali contestazioni potranno, queste sì, provenire da qualunque creditore, conformemente al modello del “contraddittorio incrociato”); potranno, infine, riguardare l'ammontare dei crediti indicati, ovvero, infine, l'esistenza o inesistenza di diritti di prelazione. In presenza di contestazioni, dovrà darsi corso a un sommario accertamento del passivo, che gli Stati membri potranno scegliere di affidare all'autorità competente (giudiziale o amministrativa), ovvero, se nominato, al curatore.
 Nel mentre, l'autorità competente o il curatore potranno apportare le necessarie rettifiche all'inventario dei beni predisposto dal debitore. Solo una volta conclusi (idealmente, nel giro di poco più di un mese) gli accertamenti del passivo e dell'attivo, potrà farsi luogo alla liquidazione del patrimonio del debitore e alla distribuzione del ricavato[32]; a meno che l'autorità competente decreti la chiusura della procedura motivata, alternativamente: a) dalla totale inconsistenza dell'attivo; b) dalla sua esiguità, in rapporto ai costi e ai tempi attesi di liquidazione e distribuzione del ricavato; c) dalla circostanza che il valore dei beni gravati da diritti di prelazione sia inferiore a quello dei crediti garantiti, nel qual caso l'autorità potrà disporne l'assegnazione ai creditori stessi (art. 49). La procedura dovrà in ogni caso venir chiusa entro due settimane dal compimento delle distribuzioni.
 A conti fatti, la liquidazione semplificata dovrebbe iniziare e concludersi nell'arco di una manciata di mesi. Per effetto della chiusura della procedura, e sempre che ricorrano le condizioni stabilite dal diritto nazionale in ossequio al Titolo III della Direttiva “Insolvency”, si compie l'esdebitazione del microimprenditore persona fisica, così come quella dei soci illimitatamente responsabili della microimpresa in forma societaria (art. 56). Quando non siano, a loro volta, microimprenditori, questi soggetti sono di per sé esclusi dall'accesso alla liquidazione semplificata (come ha cura di chiarire l'art. 1, par. 2, lett. h), di cui non è perciò prevista l'estensione, al pari della nostra liquidazione giudiziale. Allo stesso modo non potranno accedervi i soci limitatamente responsabili garanti personali della società, che non siano a loro volta imprenditori, i quali, se del caso, rimarranno assoggettati alle ordinarie procedure d'insolvenza o esecutive. Prevede, a tal riguardo, l'art. 57 che gli Stati membri assicurino il coordinamento e, ove possibile, il consolidamento fra queste ultime procedure e la liquidazione semplificata. Nel silenzio della proposta, è da credere che tanto valga anche nel caso in cui il socio garante abbia altresì la qualifica di microimprenditore, e sia perciò aperta nei suoi confronti una liquidazione semplificata parallela a quella della società.
5 . Le misure tese a rafforzare la sorveglianza degli organi della procedura: la disciplina armonizzata del comitato dei creditori
La disciplina armonizzata del comitato dei creditori contenuta nel Titolo VII della proposta è ispirata all'idea secondo cui gli organi protagonisti della procedura (in primis, curatori e commissari) lavorano meglio se costantemente vigilati e sollecitati dai più solerti fra i creditori, i naturali destinatari dei risultati di tutto ciò che nella procedura si compie[33]. La proposta s'inserisce, dunque, nel solco dell'art. 27 della Direttiva “Insolvency”, che aveva mosso un primo, timido passo verso l'armonizzazione dei meccanismi di sorveglianza dell'operato dei “professionisti”[34].
 A giudizio della Commissione, un efficace coinvolgimento dei creditori nella procedura esige l'istituzione di un collegio di ridotte dimensioni (non più di sette componenti), dai metodi di lavoro sbrigliati, ma al contempo sufficientemente ampio da esprimere la pluralità degli interessi, non di rado contrastanti, dei creditori. La proposta tiene particolarmente a che sia data voce alle esigenze dei creditori di piccole somme e dei creditori stranieri, cioè dei creditori meno visibili agli organi della procedura[35].
 A mente dell'art. 58, la costituzione del comitato è obbligatoria soltanto se richiesta dall'«assemblea generale dei creditori» (general meeting of creditors), un organismo inesistente in molte procedure di diritto nazionale (come nella nostra liquidazione giudiziale). La stessa disposizione prevede, peraltro, che il comitato possa essere costituito anche in un momento precedente all'apertura della procedura, quando lo richiedano uno o più creditori, a condizione che l'assemblea generale ratifichi tale decisione alla sua prima convocazione. La proposta, tuttavia, riserva agli Stati membri la facoltà di stabilire che il comitato non sia costituito quando il suo funzionamento possa risultare ingiustificatamente costoso, alla luce della consistenza dell'attivo, delle dimensioni dell'impresa insolvente o del numero di creditori che prendono parte alla procedura.
 Costituito il comitato, i suoi componenti debbono essere nominati entro trenta giorni dall'emissione della decisione d'apertura della procedura, come definita dagli artt. 2, n. 7, e 24, par. 2, del Reg. (UE) 2015/848; momento che, occorre precisare, in alcuni ordinamenti può precede l'emissione della vera e propria decisione finale sulla domanda di apertura della procedura, e coincidere, in particolare, con la nomina di un curatore provvisorio[36]. Agli Stati membri è data l'alternativa, fra lasciare che sulla composizione del comitato deliberi l'assemblea generale dei creditori, oppure riservare la nomina dei componenti al tribunale concorsuale. Come anticipato, la composizione del comitato deve riflettere la pluralità degli interessi dei creditori; là dove il ceto creditorio, sotto questo aspetto, risulti particolarmente complesso e disomogeneo, potranno essere istituiti più sottocomitati. Tutti i creditori dovrebbero poter entrare a far parte del comitato, inclusi i creditori stranieri e quelli «ammessi provvisoriamente» («creditors whose claims have only been provisionally admitted»: art. 59, par. 4); il considerando 49, tuttavia, raccomanda agli Stati membri di disciplinare dettagliatamente i requisiti di eleggibilità a componente del comitato.
 Comitati e sottocomitati debbono operare in totale indipendenza, sia, ovviamente, dal curatore, sia rispetto a singoli creditori, dovendo essi «rappresentare esclusivamente gli interessi della massa nel suo complesso», ovvero, nel caso dei sottocomitati, delle classi di creditori cui è data la facoltà di costituirli. L'art. 62 dà agli Stati membri ampio margine per disciplinare i motivi di decadenza e le modalità di sostituzione dei componenti del comitato, a condizione che sia espressamente disciplinato anche l'iter da seguire in ipotesi di dimissioni o grave impedimento, e che fra le ragioni di decadenza figurino almeno i casi di grave inosservanza dei doveri dell'incarico. 
 È stabilito che il comitato disciplini da sé il proprio funzionamento, mediante protocolli che debbono essere resi pubblici, e il contenuto dei quali deve inderogabilmente conformarsi alle prescrizioni dell'art. 63, parr. 2, 4 e 5[37]. Fra queste prescrizioni, va ricordata quella per cui i componenti del comitato debbono poter prendere parte ai suoi lavori anche da remoto: come si è accennato, alla Commissione preme che il comitato funga da tramite fra la procedura, da un lato, e i piccoli creditori e i creditori stranieri, dall'altro, la cui partecipazione al comitato dev'essere incentivata e agevolata, ed è molte volte possibile soltanto ricorrendo alle tecnologie della comunicazione.
 L'art. 64 elenca le prerogative minime del comitato, inderogabili da parte degli Stati membri. Si tratta, in estrema sintesi, del potere di intervenire alle udienze davanti al tribunale concorsuale; di sorvegliare l'operato degli organi convocando ad audizione il curatore, domandando informazioni al debitore, al tribunale e anche a singoli creditori; di avvalersi dei servizi di professionisti esterni a spese dalla procedura. Gli Stati membri potranno attribuire al comitato ulteriori compiti e poteri a loro discrezione, incluso quello di rendere pareri (vincolanti o meno) e autorizzazioni. In tale ultimo caso, l'art. 67 impone agli Stati membri di predisporre forme di impugnazione di autorizzazioni e dinieghi, senza specificare se debbano esercitarsi in sede giudiziale o anche in altra sede.
 È data agli Stati membri la facoltà di stabilire se i componenti del comitato abbiano diritto a un compenso.
 I componenti del comitato che vengano meno ai propri doveri, saranno passibili di revoca, e dovranno essere tenuti a risarcire i danni sofferti da singoli creditori o terzi, benché soltanto nelle ipotesi di inadempimento doloso o gravemente colposo. Nelle intenzioni della Commissione, tale limitazione di responsabilità costituisce un incentivo per i creditori a offrirsi di far parte del comitato[38].
6 . Il reimpiego di strumenti telematici istituiti dall'Unione: l'accesso alle banche dati e i “prospetti in-formativi” per il portale e-Justice
Rimangono da considerare le disposizioni contenute nei Titoli III e VIII. 
 Le prime sono dirette a consentire ai curatori e ai commissari nominati nelle procedure d'insolvenza (gli “insolvency practitioner”, nel gergo eurounitario) la consultazione delle banche dati decentrate costruite dagli Stati membri in ossequio alle direttive “antiriciclaggio” (il Registro nazionale centralizzato dei conti bancari e il Registro dei titolari effettivi)[39], al fine di «identificare e tracciare i beni appartenenti all'attivo della procedura, inclusi quelli assoggettabili ad azione revocatoria» (artt. 14, par. 1, 15, par. 1 e 17), oltre che a tutti i database messi in piedi su iniziativa dei singoli Stati membri, contenenti dati utili per ricostruire la composizione del patrimonio del debitore assoggettato a procedura[40].
 Senza entrare nel dettaglio di una disciplina intricata, che a più riprese s'interseca con la normativa europea sulla protezione dei dati personali, nonché quella di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, basti specificare che tutti i practitioner, indipendentemente dallo Stato membro in cui si svolga la procedura cui sono preposti, potranno consultare tutte le banche dati ovunque istituite, tramite i sistemi centralizzati di interconnessione (là dove predisposti dalla Commissione), oppure alla singola banca dati decentrata, purché a condizioni «di diritto e di fatto» non discriminatorie (art. 18). Quest'ultima previsione costituisce, evidentemente, uno sprone affinché gli Stati membri sopperiscano all'assenza di un sistema d'interconnessione europeo dematerializzando, quanto più possibile, le modalità di accesso alle proprie banche dati decentrate; quello telematico rappresenta, infatti, il metodo di consultazione meno discriminatorio, essendo egualmente accessibile a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro collocazione geografica.
 La consultazione, tuttavia, non potrà sempre avvenire in maniera diretta: in particolare, la visione dei dati contenuti nei registri centralizzati dei conti bancari sarà filtrata dall'intervento del tribunale fallimentare (per mezzo di personale di cancelleria qualificato), che dovrà di volta in volta vagliare l'opportunità di trasmettere al practitioner i dati richiesti.
 Si tratta di cautele (e complicazioni) dovute all'innesto, nella materia concorsuale, delle discipline sotto l'egida delle quali le banche dati in questione sono state istituite. Con l'evidente conseguenza che gli operatori delle procedure concorsuali saranno chiamati a impratichirsi di molteplici e complesse normative settoriali.
 Immediatamente prima delle disposizioni finali, troviamo l'art. 68, l'unico contenuto nel Titolo VIII, mediante il quale la direttiva assegna a ciascun Stato membro un semplice compito che va al di là dell'armonizzazione, e che consiste nel mettere a disposizione degli investitori (per mezzo dell'“Atlante giudiziario europeo in materia civile” ospitato nel portale web “e-Justice”[41]) un prospetto informativo chiaro, sintetico, accurato e aggiornato, contenente informazioni essenziali relative al proprio regime concorsuale e redatto secondo una griglia standard. Idealmente, l'iniziativa mira a colmare almeno le più vistose lacune informative che, come si detto, normalmente affliggono gli investitori intenti a ponderare il rischio d'insolvenza di un debitore straniero[42].
 I prospetti commissionati agli Stati membri dovranno strutturarsi in quattro sezioni, concernenti gli aspetti cui, si assume, gli investitori guardano con maggiore attenzione, segnatamente: 1) le condizioni di apertura delle procedure d'insolvenza; 2) i procedimenti di insinuazione, verificazione e ammissione dei crediti; 3) la distribuzione del ricavato; 4) la durata media delle procedure.
 La prima sezione, nel dettaglio, dovrà riferire chi siano i soggetti legittimati a richiedere l'apertura delle procedure d'insolvenza; quali siano i requisiti soggettivi e oggettivi per l'apertura; i criteri per determinare il giudice o l'autorità competente; le modalità di convocazione del debitore.
 La seconda sezione dovrà specificare quali diritti possano venir insinuati al passivo della procedura e a quali condizioni; descrivere le tempistiche e le modalità della presentazione della domanda di ammissione; indicare il giudice o l'organo della procedura competente a ricevere le domande; sunteggiare le cadenze del procedimento di verifica.
 La terza sezione dovrà offrire agli investitori una sinossi dell'ordine di distribuzione del ricavato, all'interno della quale poter individuare la propria posizione, nonché una succinta descrizione del procedimento di distribuzione.
Infine, la durata media delle procedure dovrà essere misurata sulla scorta dei dati che gli Stati membri debbono raccogliere e aggregare, su base annua e nazionale, in osservanza dell'art. 29, par. 1, della Direttiva “Insolvency”.

Note:

[1] 
La presentazione di una proposta in materia d'insolvenza entro la metà del 2022 era già stata messa in agenda nell'autunno del 2020, nell'ambito del piano d'azione «A Capital Markets Union for people and businesses». [COM(2020) 590 final, rinvenibile tramite la banca dati eur-lex.europa.eu]. In argomento, A. Stein, G. Corno, Verso una maggiore armonizzazione a livello europeo, in dirittodellacrisi.it (8 febbraio 2022), 5 ss.
[2] 
O settimane, nel caso che Consiglio e Parlamento concordino un testo emendato da approvare in prima lettura in entrambe le sedi, secondo una prassi consueta, già seguita per l'approvazione del Regolamento (UE) 2015/848.
[3] 
Quello che, allo stato, circola in rete è un semplice documento di lavoro delle Istituzioni europee, per comodità redatto solo in lingua inglese. Le traduzioni ufficiali, realisticamente, usciranno soltanto a ridosso della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea della direttiva definitiva. Quelle qui proposte, sono traduzioni non ufficiali.
[4] 
Sul punto, in estrema sintesi, v. i primi quattro considerando della proposta di direttiva.
[5] 
La localizzazione del COMI, com'è noto, guida l'individuazione non solo del giudice avente competenza giurisdizionale a dare avvio alla procedura “principale” d'insolvenza, ma anche della legge deputata a regolare lo svolgimento della procedura e a reggere le sorti del patrimonio del debitore e dei diritti dei creditori: la lex fori concursus.
[6] 
Come l'esperienza del recepimento della Direttiva “Insolvency” ha chiaramente mostrato, e il discorso può valere anche la proposta in esame, l'armonizzazione normativa di matrice eurounitaria si fa sentire, prima di tutto, sulle realtà economiche prettamente “domestiche”: benché congegnato per gettare ponti fra imprese stabilite in Stati membri diversi, il “ravvicinamento” degli ordinamenti degli Stati membri investe, indiscriminatamente, i mercati transfrontalieri e quelli intra-frontalieri, e muta così le regole della competizione economica anche a livello locale. Tuttavia, come ben riassume il considerando 11 della Direttiva “Insolvency”, «in un mercato interno sempre più interconnesso [...] anche le situazioni di insolvenza puramente nazionali possono avere ripercussioni sul funzionamento del mercato interno attraverso il cosiddetto effetto domino dell'insolvenza, per cui l'insolvenza di un debitore può provocare l'insolvenza di altri soggetti della catena di approvvigionamento». Le imprese insolventi cui siano destinati cattivi regimi d'insolvenza, insomma, finiscono per costituire i proverbiali “anelli deboli della catena”. Di qui la giustificazione di un intervento armonizzatore esteso anche alle “situazioni d'insolvenza puramente nazionali”.
[7] 
V. gli artt. 25 ss. Direttiva (UE) 2019/1023. In materia, v. i contributi di G. Corno, M. Veder e C.G. Paulus in C. G. Paulus, R. Dammann (a cura di), European Preventive Restructuring. Directive (EU)2019/1023 Article-by-Article Commentary, München-Oxford-Baden-Baden-New York, 2021, 273 ss.
[8] 
L'armonizzazione della materia delle revocatorie, così come di altre coperte dalla proposta, era già stata presa in considerazione nel corso dei lavori preparatori prima della Raccomandazione 2014/135/UE, poi della Direttiva “Insolvency”. In quell'occasione, la Commissione aveva commissionato all'Università di Leeds uno studio comparatistico di profili scelti dei diritti concorsuali degli (allora) ventotto Stati membri. Sullo specifico tema delle revocatorie è tornato, più di recente, il lavoro di R. Bork, M. Veder, Harmonisation of Transactions Avoidance Laws, Cambridge, 2022, con un ampio lavoro di comparazione sfociato nella redazione di una “legge modello”.
[9] 
In argomento, B. Knof, sub art. 16, in M. Brinkmann (a cura di), European Insolvency Regulation. Article-by-article Commentary, München-Oxford-Baden-Baden-New York, 2019, 162 ss.; P. De Cesari, G. Montella, Il nuovo diritto europeo della crisi d'impresa, Torino, 2017, 140 ss.; B. Wessels, International Insolvency Law, II, Deventer, 2017, 395 ss.; I. Fletcher, in I. Fletcher, G. Moss, S. Isaacs (a cura di), Moss, Fletcher and Isaacs on the EU Regulation on Insolvency Proceedings, Cambridge, 2016 89 ss.; R. Bork, R. Mangano, European Cross-Border Insolvency Law, Oxford, 2016, 155 ss.; F. Garcimartín, M. Virgós, sub art. 16, in R. Bork, K. Van Zwieten, Commentary on the EU Insolvency Regulation, Oxford, 2016, 286 ss.
[10] 
L'espressione virgolettata adoperata nel testo è suggerita dalla terminologia impiegata dal considerando 8, che discorre, rispettivamente di congruent e incongruent coverages.
[11] 
Gli esempi dell'una e dell'altra tipologia di atti sono tratti dal citato considerando 8.
[12] 
Nel caso in cui più soggetti (several persons) presentino, in successione, più domande di apertura di una procedura d'insolvenza, il periodo sospetto andrà computato dal momento di proposizione della prima domanda «ammissibile» (admissible: artt. 6, par. 1, 7 par. 3, 8 par. 2).
[13] 
Deve cioè trattarsi di: «a) atti giuridici rispetto ai quali la procedura beneficia di una congrua contropartita (fra i quali, il considerando 9 annovera tutti gli atti «diretti a sostenere la continuità dell'impresa», quali «il pagamento di corrispettivi per l'acquisto di materie prime, di salari e di compensi per servizi professionali»; b) pagamenti di cambiali tratte o assegni bancari da parte dell'obbligato principale, quando la legge applicabile al titolo di credito precluda al prenditore di escutere gli obbligati in via di regresso (tuttavia l'ultimo girante o avallante, o il suo rappresentante, dovranno rendere alla procedura la somma pagata dal debitore principale se si dimostri che, all'atto della girata o dell'avallo, sapevano che il debitore fosse insolvente, o che nei suoi confronti pendesse l'apertura di una procedura d'insolvenza: par. 3, secondo alinea); c) i contratti di garanzia finanziaria e le garanzie finanziarie esenti da revocatoria ai sensi degli artt. 7 e 8 della direttiva 98/26/EC (recepiti dall'art. 9 d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170), e i diritti del detentore di una garanzia in titoli esente a norma dell'art. 9 della direttiva 2002/47/EC.
[14] 
Ritroveremo la nozione nella disciplina dei pre-pack: v. infra.
[15] 
Come constatato già dallo studio dell'Università di Leeds citato alla nt. 8 (pp. 58 ss.).
[16] 
In tema, G. Corno, sub art. 19, in C. G. Paulus, R. Dammann, op. cit., 238 ss.
[17] 
Il memorandum esplicativo che accompagna la proposta di direttiva (p. 17) rimanda, sul punto, alla Parte IV della Guida Legislativa predisposta dall'UNCITRAL in materia d'insolvenza, a mente della quale «in linea generale, deve qualificarsi come amministratore qualunque persona formalmente investita del compito di assumere decisioni fondamentali in merito alla gestione della società, o che di fatto prendono o dovrebbero prendere tali decisioni» (p. 19 della Guida).
[18] 
Anche i pre-pack formarono oggetto di analisi nello studio dell'Università di Leeds più volte menzionato (pp. 199 ss.).
[19] 
Considerando 24.
[20] 
Non anche, però, di notizie sugli affari del debitore, nemmeno di quelle immediatamente utili per la formulazione di offerte d'acquisto (e imponendo ai destinatari della disclosure penetranti doveri di riservatezza). La proposta di direttiva non ha osato tracciare un difficile bilanciamento fra l'interesse del debitore al riserbo sui propri affari, e quello degli offerenti a contendersi l'azienda ad armi pari con la parte correlata. Si è evidentemente dato per assunto, che ciascun offerente possa colmare il proprio svantaggio svolgendo un'accurata due diligence, servendosi del divario fra il prezzo stimato e quello offerto dalla parte correlata come spia della necessità di approfondire l'esame dell'azienda; ciò che, ovviamente, postula che l'offerente sappia che il suo concorrente è un insider.
[21] 
Giusta l'art. 32, par. 2, quando l'unico offerente sia una parte correlata, l'osservatore potrà proporre al giudice di autorizzare la vendita nei suoi confronti solamente a condizione che il ricavato della liquidazione “preconfezionata” soddisfi ciascun creditore in misura almeno maggiore di quanto lo stesso riceverebbe dalla liquidazione disaggregata dei cespiti patrimoniali, osservate le cause legittime di prelazione (il best-interest-of-creditors test, come definito dall'art. 2, lett. h).
[22] 
Si tratta di cautele per certi versi analoghe a quelle che, nell'espropriazione forzata, circondano l'assegnazione e difendono i creditori da possibili manovre speculative dell'aspirante assegnatario irrigidendo la fissazione del valore di assegnazione del bene pignorato (in particolare, l'art. 506 c.p.c.): in tema, F. P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2021, 143 ss. 
[23] 
A mente del considerando 26, costituiscono usi di mercato (market standards) le «normali regole e pratiche delle acquisizioni (mergers and acquisitions)» seguite nello Stato membro in cui si svolge la procedura, quali, a titolo esemplificativo, «invitare i potenziali interessati a partecipare alla selezione, comunicare le stesse informazioni a tutti i contendenti, consentire agli stessi di svolgere una due diligence, ricevere le offerte attraverso una procedura strutturata».
[24] 
A contrario, l'art. 23 sembra presupporre che l'intera fase preparatoria si dipani quando il debitore ancora non è insolvente. Col che si ha l'impressione che la fase liquidatoria, in cui si perfezionerà la cessione, potrà aprirsi anche quando l'impresa versi in uno stato di dissesto meno grave, e non per forza d'insolvenza, come parrebbe doversi ricavare dalla definizione di pre-pack contenuta nell'art. 2: «procedure liquidative celeri, dirette alla cessione al miglior offerente, in tutto o in parte, dell'azienda in continuità, nella prospettiva della liquidazione del patrimonio del debitore in conseguenza della sua insolvenza» (corsivo aggiunto).
[25] 
I provvedimenti di autorizzazione o aggiudicazione sono impugnabili; l'impugnazione non sospende l'efficacia della cessione, a meno che l'impugnante presti cauzione; gli Stati membri possono tuttavia dispensare l'impugnante dalla prestazione della cauzione, se inopportuna alla luce delle circostanze del caso concreto.
[26] 
Il beneficio dell'esenzione del cessionario dai debiti aziendali è negato alla parte correlata che risulti essere venuta meno ai doveri di trasparenza di cui all'art. 32, par. 1. Interessante è la previsione di cui all'art. 21, che assegna la jurisdiction sulle controversie relative alla sorte dei debiti aziendali (ad esempio, nel caso appena presentato, della revoca del beneficio) al giudice competente per la procedura pre-pack. Non pare che la norma si occupi di competenza giurisdizionale internazionale (disciplinata nel Reg. (UE) 2015/848, come visto applicabile anche ai pre-pack), quanto, piuttosto, di competenza funzionale “interna”.
[27] 
L'art. 2, lett. g, riprende e adatta la definizione di “contratto pendente” già contenuta nella Direttiva “Insolvency”: «il contratto fra un debitore e una o più controparti, in forza del quale l'uno o le altre debbano ancora effettuare prestazioni al tempo dell'apertura della fase liquidatoria».
[28] 
Inelegante la tecnica definitoria qui impiegata dalla proposta, che rinvia alla nozione di microimpresa contenuta all'art. 2 dell'Allegato alla Raccomandazione 2003/361/EC della Commissione: «un'impresa che occupa meno di dieci persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a € 2'000'000,00». D'altra parte, la relatio alla Raccomandazione dovrebbe consentire di aggiornare le soglie dimensionali con una semplice deliberazione della Commissione, senza dover emendare la direttiva per mezzo della procedura legislativa ordinaria. Per questo motivo, verosimilmente, anche le leggi nazionali di recepimento dovranno necessariamente contenere un rinvio alla Raccomandazione.
[29] 
La proposta designa l'organo pubblico deputato alla supervisione della liquidazione semplificata con il termine di «autorità competente» (competent authority), che abbraccia le autorità giudiziarie e quelle amministrative (art. 2, lett. c).
[30] 
L'art. 43, parr. 3 e 4, tuttavia, lasciando aperta la strada dello “spossessamento attenuato”, peraltro unito a un controllo pervasivo dell'autorità competente, chiamata ad autorizzare ogni atto del debitore («any decision of the debtor»).
[31] 
In tal senso, il considerando 37.
[32] 
La scelta di non lasciare che la liquidazione dell'attivo corra parallelamente all'accertamento del passivo appare poco in linea con l'obiettivo di accelerazione tanto caro al legislatore europeo, ed è forse motivato da un eccessivo ottimismo verso l'attesa celerità dell'accertamento del passivo “semplificato” descritto nel testo (peraltro temperato dal considerando 42, nel quale si suggerisce agli Stati membri di regolare lo svolgimento della distribuzione parziale a favore dei soli crediti non contestati, quando la risoluzione delle contestazioni rischi di procrastinarne intollerabilmente la soddisfazione).
[33] 
Il considerando 50 offre un esempio di come il comitato dei creditori possa contribuire al buon operato degli altri organi, rammentando al curatore l'esistenza di creditori che sono a loro volta imprenditori di piccole dimensioni, e manifestando la loro speciale esigenza di venir pagati più rapidamente di altri onde evitarne un'insolvenza “di risulta”.
[34] 
In tema, M. Veder, sub art. 27, in C. G. Paulus, R. Dammann (a cura di), op. cit., 283-285.
[35] 
Sul punto, cfr. il considerando 47.
[36] 
Purché elencato nell'Allegato B al Regolamento (fino al 2015, Allegato C), come stabilito dalla Corte di Giustizia nella celebre sentenza Eurofood IFSC Ltd. (C-341/04), in relazione al provisional liquidator di diritto irlandese. La letteratura su questa sentenza è sterminata: sulla specifica questione, v. S. Bariatti, Il regolamento n. 1346/2000 davanti alla Corte di giustizia: il caso Eurofood, in Riv. dir. proc., 2007, 208 ss.; L. Baccaglini, Il caso Eurofood: giurisdizione e litispendenza nell’insolvenza transfrontaliera, in Int'l lis, 2006, 126 ss.; In lingua inglese, G. Moss, When is a Proceeding Opened?, in Insolvency Intelligence, 2008, 33 ss.; T. Backner, The Battle over Jurisdiction in European Insolvency Law, in Eur. Company & Fin. Law Rev., 2006, 310 ss.; nonché, più ampiamente, G. Moss e T. Smith, sub art. 3 Reg. 1346/2000, in I. Fletcher, G. Moss, S. Isaacs, op. cit., 301 ss.; R. Bork, R. Mangano, op. cit., 172 ss.; M. Veder, P. Oberhammer, in R. Bork, K. Van Zwieten, op. cit., 309 ss.
[37] 
Nella stesura dei protocolli, i comitati potranno servirsi del modello di protocollo che la Commissione curerà di predisporre e diffondere (art. 63, par. 6).
[38] 
Considerando 57.
[39] 
Il primo costituisce una sezione dell'Anagrafe tributaria, ed è istituito in osservanza dell'art. 32-bis della Direttiva (UE) 2015/849; il secondo è previsto dell'art. 21 d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, che recepisce l'art. 31, par. 3-bis della citata direttiva.
[40] 
L'elenco di queste banche dati sarà contenuto in un futuro allegato alla direttiva, del quale, allo stato, non si hanno notizie.
[41] 
Questa futura sezione dell'Atlante appare, per certi versi, una riedizione del defunto (e controverso) Doing Business Project della Banca Mondiale.
[42] 
Considerando 58. 

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