Concordando con taluni interpreti, si ritiene che la responsabilità civile dell’Esperto nei confronti dell’imprenditore sia di natura contrattuale[14].
Tuttavia, non essendoci all’evidenza un vero e proprio contratto di opera professionale tra le parti, la responsabilità dell’Esperto andrebbe ricondotta, più correttamente, alla responsabilità da “contatto sociale qualificato”, concetto elaborato e definito nel tempo da copiosa giurisprudenza.
Il contatto sociale, infatti, rappresenta una forma particolare di responsabilità contrattuale, che non sorge da alcun contratto, bensì da un rapporto giuridico e si annovera tra gli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., a mente del quale le obbligazioni possono derivare, oltre che da un contratto o da un atto illecito, anche da qualsiasi atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
Nella fattispecie in esame, il rapporto che s’instaura tra l’Esperto e l’imprenditore in crisi può qualificarsi, infatti, quale rapporto di fatto, inteso quale rapporto giuridico che si instaura tra le parti senza che vi sia un incontro formale di consensi, come avviene nelle ipotesi contrattuali tipiche.
Conseguentemente, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente[15], in virtù del principio dell’atipicità delle fonti delle obbligazioni, anche la violazione di obbligazioni specifiche che trovano la loro fonte non in un contratto, ma nel contatto sociale qualificato, determina una responsabilità di tipo contrattuale[16].
Nel caso di specie, tra l’Esperto e il debitore si instaura un rapporto giuridico, priva di obblighi di prestazione, bensì con obblighi di protezione, che vanno oltre il generico divieto del neminem ledere.
La ricostruzione giurisprudenziale appena delineata ha una evidente finalità garantista, atteso che, riconducendo la responsabilità da contatto sociale nella disciplina della responsabilità contrattuale, il soggetto danneggiato beneficia di indubbi vantaggi sotto il profilo della prescrizione (che nella responsabilità contrattuale si verifica dopo il decorso di 10 anni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, a fronte del termine di 5 anni previsto per la responsabilità extracontrattuale) e dell’onere della prova.
Per quanto attiene al c.d. “meccanismo probatorio”, il contatto sociale qualificato implica invero un regime di assoluto favor creditoris.
In particolare, mentre per l’illecito aquiliano, di cui all’art. 2043 c.c., è onere del creditore (art. 2697, c.c.) dover provare tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, nel caso di responsabilità contrattuale, il creditore può limitarsi a provare il titolo dell’obbligazione e allegare l’inadempimento, gravando sul debitore l’onere di provare i fatti estintivi, modificativi o impeditivi.
Trattandosi peraltro di obbligazioni del professionista intellettuale – poiché tale è l’Esperto – il regime probatorio applicabile si fonda sulla regola del c.d. “doppio ciclo causale”, patrocinata dalla più recente giurisprudenza della III Sez. della Cassazione[17]. Pertanto, in prima battuta, il danneggiato deve provare, anche tramite presunzioni, la causalità materiale tra condotta del danneggiante e l’evento dannoso (c.d. causalità-costitutiva). In un secondo momento, invece, il danneggiante è tenuto a provare la causa imprevedibile e inevitabile che ha reso impossibile l’adempimento della prestazione (c.d. causalità-estintiva).
In altre parole, l’imprenditore dovrà provare che l’infruttuoso esito della CNC sia derivato dall’inadempimento dell’Esperto (in base alla regola della conditio sine qua non, quindi, sulla base di un giudizio inferenziale del più probabile che non) e, successivamente, l’Esperto potrà andare esente da responsabilità provando che l’inadempimento sia stato dovuto a causa imprevedibile e inevitabile (ovvero la non imputabilità).
Conseguentemente, affinché sia configurabile la responsabilità dell’Esperto nei confronti dell’imprenditore per la mancata conclusione della CNC, è necessario che la condotta del professionista sia stata negligente, ovvero che il medesimo non abbia usato, nello svolgimento dell’incarico, la diligenza professionale richiesta dall’art. 1176, comma 2 c.c., secondo cui “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Ci si chiede, infine, se possa ritenersi applicabile ratione materiae all'Esperto, altresì, l’art. 2236 c.c., secondo il quale il professionista risponde dei danni nelle prestazioni che implicano la “soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” solo in caso di dolo o di colpa grave.
Tale norma risulta sicuramente applicabile – secondo giurisprudenza e dottrina formatasi già ai tempi della vigenza della legge fallimentare – all’attestatore con riferimento alle attività che è chiamato a svolgere (i.e. giudizio sulla veridicità dei dati contabili e fattibilità del piano di risanamento), che però, si ricorda, sono diverse da quelle dell’Esperto. Conseguentemente, parrebbe prima facie difficile sostenere un’estensione analogica della disciplina di cui al 2236 c.c. all’Esperto.