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La revocatoria del fondo patrimoniale nelle procedure concorsuali

Luca D’Apollo, Avvocato in Foggia

21 Marzo 2023

L’autore si sofferma ad analizzare la specifica fattispecie della revocatoria in sede concorsuale del fondo patrimoniale tra le ipotesi di frode alla massa dei creditori e costituzione per i bisogni della famiglia.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Il fondo patrimoniale è un particolare tipo di convenzione attraverso la quale determinati beni possono essere destinati a far fronte ai bisogni della famiglia: ciò significa che il fondo patrimoniale è un patrimonio destinato ad uno specifico scopo.
Possono essere compresi nel fondo (i) beni immobili; (ii) beni mobili registrati; (iii) titoli di credito, da ciascuno dei coniugi oppure da un terzo.
Trattandosi di un patrimonio separato lo strumento del fondo patrimoniale può essere utilizzato per eludere la garanzia patrimoniale di cui all’articolo 2740 codice civile e pertanto la regolarità di questo strumento viene messa in discussione con il subentrare di una procedura concorsuale.
L’imprenditore individuale (o socio di società di persone) che costituisca un fondo patrimoniale sui beni propri, nell’ipotesi di apertura di procedura concorsuale può andare incontro alla scure della revocatoria sia ordinaria che fallimentare. Alla medesima sorte può imbattersi l’atto dispositivo del terzo costituente il fondo patrimoniale successivamente fallito (oggi sottoposto a liquidazione giudiziale) in proprio o come socio di società di persone. Altresì rilevante nella casistica è l’ipotesi di costituzione del fondo patrimoniale operato dall’amministratore di società di capitali poi fallita, o sottoposta a liquidazione giudiziale, nel periodo della conclamata crisi societaria.
Si pensi all’imprenditore individuale o socio di società di persone che dopo aver ottenuto un cospicuo finanziamento da un istituto di credito per l’impresa, costituisca un fondo patrimoniale conferendo la propria casa di abitazione, unico bene immobile a lui riferibile. Oppure si pensi all’amministratore di società di capitali che nel periodo della conclamata crisi dell’impresa costituisca un fondo patrimoniale a favore dei figli minori relativamente all’unico immobile di sua proprietà, in cui risiede, destinando a se stesso il diritto di abitazione sul medesimo immobile.
Sarà onere del curatore, pertanto, verificare se l’atto di costituzione del fondo patrimoniale (a favore proprio oppure a favore di terze persone) sia stato posto in essere per i bisogni della famiglia oppure sia stato utilizzato per segregare dei beni del patrimonio familiare sottraendoli alla garanzia patrimoniale dei creditori.
Come tutti gli atti dispositivi del patrimonio anche il fondo patrimoniale può essere oggetto di azione revocatoria, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli articoli 66 L.F./165 CCII e 2901 c.c., in quanto in assoluto lesivo dei diritti del ceto creditorio, che limita l'aggredibilità dei beni conferiti e pone limiti alla garanzia generale ex art. 2740 c.c. della massa dei creditori[1].
2 . Fondo patrimoniale: tra bisogni della famiglia ed elusione della garanzia patrimoniale
L’istituto del fondo patrimoniale proprio per le sue caratteristiche di atto dispositivo di natura patrimoniale a titolo gratuito, e quindi di segregazione patrimoniale, assume una luce diversa nell’ipotesi di apertura di una procedura di liquidazione giudiziale o in generale di una procedura concorsuale. La funzione del fondo patrimoniale (di tutelare i bisogni della famiglia) dovrà essere calata nelle dinamiche della procedura concorsuale laddove ogni atto dispositivo del patrimonio posto in essere dall’imprenditore nel periodo che precede la liquidazione giudiziale, viene attentamente vagliato dagli organi della procedura, in primis dal curatore, al fine di tutelare la massa dei creditori. 
Pertanto, soltanto qualora vi saranno evidenze, che il fondo patrimoniale sia stato costituito non per soddisfare i bisogni della famiglia ma per eludere la garanzia patrimoniale dei creditori potrà invocarsi lo strumento tipico dell’Actio Pauliana, già disciplinata dall'art. 66 L. fall. (oggi art. 165 CCII) che ripropone, in ambito fallimentare, la revocatoria ordinaria. L'unica differenza fra la revocatoria in sede concorsuale e la revocatoria ex art. 2901 c.c. è l'ambito di efficacia: la prima, esercitata dal curatore/liquidatore giudiziale, giova a tutti i creditori, la seconda giova soltanto al creditore che ha esercitato l'azione. Ma le caratteristiche dell'azione sono le medesime, trattandosi dello stesso istituto trasposto in un diverso settore dell'ordinamento. 
Si parla della c.d. inefficacia relativa consistente nella declaratoria di inefficacia nei confronti del creditore istante dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale oggetto di azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901 c.c.. 
La costituzione del fondo predetto al fine di fronteggiare i bisogni della famiglia, invero, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra adempimento di un dovere giuridico (Cass., n. 9192/2021) [2], non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, pertanto suscettibile di revocatoria, ex art. 64 L. fall. (R.D. n. 267/1942).
3 . I requisiti strutturali dell’actio pauliana in sede concorsuale nella particolare ipotesi del fondo patrimoniale
La Cassazione con la recente sentenza del 2 aprile 2021 n. 9192 (in tema di revocatoria ordinaria del fondo patrimoniale) ricorda che nel sistema tracciato per la revocatoria ordinaria è necessario che l'atto oggetto di revoca comporti un pregiudizio alle ragioni del creditore: che lo stesso sia cioè idoneo ad "alterare in senso peggiorativo" la garanzia patrimoniale che nel concreto risulta posta ad assistenza del credito (cfr. Cass., n. 4143/1996), così rendendo più "incerta" o comunque maggiormente "difficoltosa" la realizzazione del diritto medesima (Cass., n. 15310/2007).
Di conseguenza, la revocabilità dell'atto non suppone necessariamente la sussistenza di uno stato di insolvenza del debitore (cfr. Cass., n. 11518/1995). 
L’azione revocatoria, pertanto, ha quali presupposti:
a) la sussistenza di una ragione di credito in capo all’attore (presupposto oggettivo): la qualità di creditore è generalmente intesa, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, in senso lato, ricomprendendovi il creditore a termine o a condizione, legale o volontaria, nonché il creditore titolare di un credito litigioso[3];
b) l’esistenza del consilium fraudis del debitore (presupposto soggettivo) che può variare a seconda che l’atto dispositivo sia anteriore o posteriore al sorgere del credito: se anteriore, occorre il dolo specifico del debitore, nel senso che si deve provare che l’atto è stato posto in essere dal futuro debitore al fine di precostituirsi una situazione di insolvenza; se posteriore è sufficiente il dolo generico, inteso come mera consapevolezza del pregiudizio che l’atto avrebbe potuto arrecare al creditore;
c) la sussistenza della scientia damni del terzo (presupposto soggettivo) per l’ipotesi che si tratti di un atto dispositivo a titolo oneroso. In ipotesi di atto dispositivo a titolo gratuito è invece sufficiente la semplice conoscenza(da ultimo Cass. n. 9192/2021), rectius conoscibilità, delle conseguenze negative che – in punto di concreto soddisfacimento del diritto del credito – l'atto medesimo è in grado di produrre (Cass. n. 17418/2007; (Cass. n. 4933/2005; Cass. n. 5072/2009; Cass. n. 12045/2010), secondo il parametro della media diligenza, del pregiudizio che l’atto è in grado di produrre alla garanzia del credito (Cass.civ.nn.14274/1999, 4642/2000, 20813/2004). 
La scientia damni, si atteggia dunque, come la semplice "previsione del danno" che ragionevolmente potrà derivare ai creditori dall'atto che nei fatti il debitore viene a porre in essere (Cass. n. 15310/2007, richiamata da ultimo Cass. n. 9192/2021).
d) la sussistenza dell'eventus damni (presupposto oggettivo), inteso come il compimento di un atto che non necessariamente determini l’insolvenza del debitore, ma renda anche solo più difficoltosa un’eventuale e futura soddisfazione del creditore mediante una modifica del patrimonio, non solo quantitativa (ad esempio, dismissione di beni), ma anche qualitativa (ad esempio, conversione del patrimonio in beni facilmente occultabili) (Cass.n.1896/2012). 
4 . Sull’onus probandi in capo alla curatela fallimentare
Ormai il Supremo Collegio ha da tempo affermato che è errato ritenere che, anche in tema di revocatoria ordinaria, il curatore sia gravato dalla prova della conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza del debitore, come avviene in caso di revocatoria fallimentare ex art. 67 L. fall.
In particolare nell’ipotesi di revocatoria dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale non è richiesto dar prova della scientia fraudis poiché il conferimento del bene al fondo è un atto a titolo gratuito (App. Firenze, 8 luglio 1989; Trib. Napoli, 18 gennaio 1993 e 27 gennaio 1993; Cass. n. 2604/1994).
È sufficiente, invece, che sia dimostrato il semplice pregiudizio, per la massa dei creditori, dell'atto dispositivo [4]. 
Il “pregiudizio” deve derivare dall’atto di disposizione (Cass. n. 978/81), e può essere costituito anche solo dal “pericolo” di pregiudizio, che si palesa nel momento in cui il patrimonio del debitore non sia capiente rispetto all’entità del credito, tenuto conto dell’esistenza di tutti gli ulteriori debiti e delle eventuali garanzie prestate.
L’onus probandi in capo alla curatela fallimentare si dovrà articolare sull’esistenza dell'eventus damni che si ravvisa in tre circostanze: 
a) la consistenza dei crediti vantati dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; 
b) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole; 
c) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. 
Sarà pertanto necessario allegare e provare (a titolo esemplificativo attraverso l’allegazione dello stato passivo, delle domande di insinuazione dei creditori) che la situazione di dissesto societario è iniziata ben prima della stipula dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale (esempio: debiti erariali, debiti ipotecari), che la debitoria era di consistenza tale che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale ha determinato la diminuzione (o come spesso accade l’azzeramento) della consistenza patrimoniale del debitore/disponente.
5 . Conclusioni
Al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale il curatore dovrà effettuare un’analisi compiuta degli atti dispositivi del proprio patrimonio posti in essere dall’imprenditore (o dall’amministratore della società di capitali o dal soggetto sottoposto alla liquidazione giudiziale come imprenditore individuale o socio di società di persone) negli ultimi cinque anni, ossia nei termini di prescrizione dell’azione revocatoria.
Nell’ipotesi della costituzione di fondo patrimoniale il curatore dovrà attentamente vagliare se l’atto dispositivo è stato posto in essere per frodare i creditori e sottrarre beni alla massa dei creditori oppure se l’atto di disposizione patrimoniale sia stato posto in essere con la reale finalità di far fronte ai bisogni della famiglia.
Solo a seguito della rigorosa analisi della funzione del fondo patrimoniale e degli stringenti requisiti dell’actio pauliana potrà agire per la tutela degli interessi della massa dei creditori.

Note:

[1] 
Sul tema si veda A. Lorenzetto Peserico, Fondo patrimoniale e fallimento, in Il processo esecutivo, Utet, 2014, 1184 e ss; Fiale, Diritto fallimentare, Napoli, 2009, 234. 
[2] 
Sul punto in particolare Cass. n. 9192/2021 secondo la quale “Il sistema vigente non esonera l'atto di costituzione del fondo patrimoniale dall'assoggettamento alle azioni revocatorie (ordinaria, come fallimentare): così facendo intendere che, nel conflitto, le ragioni dei creditori possono prevalere sulla cura degli interessi familiari di carattere patrimoniale.
La giurisprudenza di questa Corte è ben ferma, del resto, in questa acquisizione (cfr., da ultimo, Cass., 9 aprile 2019, n. 9798; Cass., 15 novembre 2019, n. 29797). Per la specifica, puntuale osservazione per cui, comunque, "non vi è alcun obbligo di legge di costituire il fondo per provvedere all'interesse della famiglia", si veda in particolare la pronuncia di Cass., 8 agosto 2007, n. 17418.
La detta acquisizione non viene in qualche misura a diminuire, o in ogni caso a mutare, nell'ipotesi in cui conferenti del fondo sia non già il debitore principale, bensì un suo fideiussore (cfr. Cass., 7 ottobre 2010, n. 24757; Cass., 3 giugno 2020, n. 10522).”
[3] 
Cass. n. 12235/2011: azione riferibile anche al titolare di un credito che non sia certo liquido ed esigibile, “bastando una semplice aspettativa che non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata”.
[4] 
Quanto al presupposto della conoscenza da parte del costituente del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, essa può essere provata per presunzioni (Cass. n. 966/2007).

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