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Saggio

La sorte del contratto preliminare di cui al comma 3 dell’art. 173 CCII a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore*

Giuseppe Bozza, già Presidente del Tribunale di Vicenza

30 Aprile 2025

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore analizza le varie soluzioni prospettabili nella fattispecie contemplata nel titolo evidenziando per ciascuna le possibili obiezioni, per poi arrivare alla conclusione che non è adottabile una lettura che riesca ad imporsi su altre, giacché qualsiasi interpretazione si faccia della norma citata presenta delle controindicazioni che ne sminuiscono il valore. Da qui la necessità di qualche aggiustamento legislativo, in funzione del quale l’Autore offre qualche utile indicazione, anche in considerazione della tutela del creditore ipotecario e della novità del ruolo attribuito al debitore nel procedimento concorsuale per l’esame delle domande di rivendica e di restituzione. 
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1 . Impostazione del problema da affrontare
Il testo attuale del comma 3 dell’art. 173 CCII è il seguente: “Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 174 (che riguarda i contratti di immobili da costruire), il contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645 bis del codice civile non si scioglie se dal contratto risulta che ha ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa del promissario acquirente, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati anteriormente alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale e il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura. Con l’accoglimento della domanda, il curatore subentra nel contratto”. 
Nella legge fallimentare, questa tipologia di contratti era regolata dal comma 8 dell’art. 72, che affermava il carattere di atto dovuto del subentro del curatore stesso, senza altra condizione; di conseguenza il curatore, in presenza di un contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'art. 2645 bis c.c., avente a oggetto un immobile con la destinazione suddetta, non aveva possibilità di scegliere se subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendosi tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, in quanto egli succedeva necessariamente nel contratto ex lege, e, quindi, era tenuto a darvi esecuzione; in mancanza, il promissario acquirente poteva rivolgersi al giudice ordinario per ottenere l’esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c. 
Anche secondo la nuova norma i contratti in questione sono sottratti alla regola generale secondo cui spetta al curatore scegliere tra prosecuzione e scioglimento, ma è attribuita al promissario acquirente la scelta se dare esecuzione o meno al contratto preliminare che abbia le caratteristiche citate, perché è solo lui che può chiedere l’esecuzione o non fare nulla e far sì che il contratto si sciolga, con completa esautorazione del curatore[1]. Situazione ben diversa da quella contemplata dall’art. 72 L. fall. ove è vero che il curatore non poteva avvalersi della facoltà di scelta tra subentro e scioglimento, ma neanche al promissario acquirente competeva tale facoltà in quanto il preliminare vincolava entrambe le parti. 
Già sulla opportunità di offrire al promissario acquirente la possibilità di determinare le sorti del contratto preliminare che abbia le caratteristiche citate i dubbi non sono pochi, perché se è logico attribuire al curatore, estraneo al contratto pendente (qualunque esso sia), la facoltà di scelta tra subentro e scioglimento in considerazione degli interessi della massa, diventa anomalo concedere alla parte in bonis, che ha sottoscritto il contratto preliminare, di poterci ripensare e sciogliersi dallo stesso non chiedendone l’esecuzione in forma specifica. Anomalia che viene spiegata in ragione della natura dei beni oggetto del contratto (immobile destinato ad abitazione principale o a sede principale dell’impresa), che rispondono ad interessi prevalenti da tutelare prioritariamente (come si vedrà in danno dell’eventuale creditore ipotecario e della massa degli altri creditori). 
In disparte ogni considerazione in proposito, sta di fatto che il comma 3 dell’art. 173 CCII, usa una formula contorta, dato che prevede che il contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis del codice civile “non si scioglie” in presenza di tre condizioni: a- che la destinazione dell’immobile oggetto del preliminare ad uso abitativo o di destinazione a sede principale della attività di impresa risulti dal contratto preliminare stesso, come richiesto dalla modifica apportata dal D.Lgs n. 136/2024 al comma 3 dell’art. 173, al fine di meglio chiarire l’ambito applicativo della norma; b- che gli effetti della trascrizione non siano cessati anteriormente alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale; c- che il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura”. 
Le tre indicate condizioni devono coesistere; invero la mancanza anche di una solo di esse determina lo scioglimento del contratto preliminare posto che la norma prevede che il contratto non si scioglie se la destinazione dell’immobile oggetto della promessa di vendita risulta dal contratto, oppure che “il contratto non si scioglie … sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati anteriormente alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale”, o sempre che ”il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura”, da cui emerge chiaro che, se la destinazione non risulta dal contratto stesso o gli effetti della trascrizione sono cessati prima dell’apertura della procedura, il contratto si scioglie, impedendo al promissario acquirente di agire per l’esecuzione del contratto ormai sciolto, così come, pur ricorrendo le prime due condizioni, il contratto si scioglie se il promissario acquirente rimane inerte. 
E’ evidente, tuttavia, la differenza tra le tre indicate condizioni. Le prime due invero sono collegate ciascuna ad un dato statico, che o c’è o non c’è, facilmente constatabile, essendo sufficiente leggere il contratto per controllare se la destinazione dell’immobile è contemplata ed esaminare le risultanze ipo-catastale per verificare che non sono ancora decorsi i termini indicati dal comma 3 dell’art. 2645 c.c. per eseguire la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all'articolo 2652, primo comma, numero 2, c.c.[2] La terza condizione è, invece, collegata ad un dato dinamico in quanto la sua realizzazione richiede che il promissario acquirente prenda l’iniziativa di chiedere l’esecuzione del contratto con determinate modalità che segnano anche il tempo entro cui questi deve muoversi. 
E’ pacifico, quindi, che se il promissario acquirente rimane inerte, il contratto non entra in una fase di sospensione che faccia risorgere il potere di scelta del curatore - come normalmente previsto per i contratti preliminari pendenti aventi oggetto diverso da quello di cui al comma 3 dell’art. 173 -, ma si scioglie perché quando si discute di preliminare di vendita di immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale del promissario acquirente ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa del promissario acquirente, la norma specifica della fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 173 sanzione la mancanza di una delle condizioni richieste con lo scioglimento del contratto. 
Ed allora la domanda da farsi è a monte, ed è la seguente: quale è la sorte del contratto preliminare in attesa e fino al momento dell’esercizio del diritto da parte del promissario acquirente? O, in altre parole, quale è la sorte del contratto preliminare a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione a carico del promittente venditore? 
Questione già di per sé rilevante quando la norma in esame prevedeva che il promissario acquirente dovesse proporre la domanda di esecuzione “nel termine e con le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento del passivo”, ove l’uso al singolare “nel termine” (e non nei termini) poteva assumere il significato di limitare la presentazione della domanda di esecuzione nello spazio iniziale di trenta giorni prima dell’udienza di verifica per la presentazione delle domande in via tempestiva, con decadenza dalla possibilità di usufruire delle altre forme di insinuazione. Questa interpretazione - abbastanza forzata in quanto si affidava una decadenza di non poca importanza ad un dato testuale molto labile - è venuta meno nell’ultima versione del comma 3 dell’art. 173, dovuta al recente correttivo del 2024, ove la parola “termine” viene ora declinata al plurale, al fine di chiarire, si precisa nella Relazione “che la domanda del promissario acquirente volta a domandare l’esecuzione del contratto può essere formulata anche in via tardiva, eliminando il dubbio che essa potesse proporsi solo entro il termine previsto dalla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale per il deposito delle domande tempestive”. Ora, pertanto, può darsi per pacifico che la domanda di esecuzione del preliminare di vendita con l’oggetto di cui si parla nella norma in esame può essere presentata dal promissario acquirente anche in via tardiva o super tardiva e, quindi, fino all’esaurimento delle operazioni del riparto finale che segna il termine ultimo per la trasmissione al curatore delle domande super tardive a norma dell’art. 208, comma 3, CCII. E’ vero che questo pericolo potrebbe essere limitato nel tempo a causa della inammissibilità per colpevolezza nel ritardo di una domanda super tradiva di esecuzione qualora il curatore abbia fatto la comunicazione ex art. 200, ma rimane il fatto che, fin quando non interviene una pronuncia di inammissibilità, il contratto, salvo che non si opti per l’automatico scioglimento, continua a produrre i suoi effetti e gli organi procedurali dovrebbero assumersi la responsabilità di disporre la liquidazione dei beni oggetto del preliminare in previsione della futura dichiarazione di inammissibilità della domanda di esecuzione. 
Peraltro la previsione normativa in esame, nell’attribuire al promissario acquirente il diritto di agire in via esecutiva - che è lo strumento per far fronte all’inadempimento della controparte di addivenire alla stipula del contratto definitivo - fa nascere il forte dubbio della possibilità per le parti di accordarsi e pervenire alla stipula notarile del contratto definitivo, dato che la richiesta di esecuzione non è collegata al rifiuto o comunque all’inadempimento del curatore; opterei per la esclusione di una soluzione negoziale proprio perché la formulazione della norma, come si vedrà meglio in prosieguo, induce a ritenere che la normale pretesa nascente dal preliminare di stipulare il definitivo sia stata sostituita dall’esclusivo e diretto diritto del promissario acquirente di ottenere il trasferimento del bene oggetto del preliminare, indipendentemente dall’eventuale rifiuto della controparte a sottoscrivere il definitivo. 
Diventa, pertanto, cruciale stabilire quale sia la sorte del contratto preliminare fino a quel momento e cercare di capire se e come la soluzione scelta sia compatibile con il contesto normativo.
2 . La inutilizzabilità degli ordinari criteri che regolano la sorte dei contratti pendenti
Dato per scontato che ricorrano le prime due condizioni in precedenza elencate, in attesa che il promissario acquirente scelga se e come muoversi, le alternative astrattamente proponibili per il contratto preliminare sono le solite raffigurabili per i contratti pendenti; non vi è dubbio, infatti, che tale sia il contratto preliminare al quale non sia ancora seguita la stipula del definitivo, posto che vige per entrambi i contraenti l’obbligo di pervenire alla sottoscrizione del definitivo. Si discute, quindi, non della sorte dei singoli beni oggetto del preliminare (che possono anche già essere stati consegnati al promissario), ma del rapporto contrattuale preliminare, il subentro eventuale nel quale da parte del curatore va inteso come sostituzione di questi nella posizione giuridica del soggetto ammesso alla liquidazione giudiziale, sia per il lato passivo che per quello attivo; ovviamente l’accoglimento della domanda di esecuzione porta alla sottrazione dall’attivo concorsuale dei beni oggetto del contratto, ma ciò accade non quale effetto di una domanda di rivendica o restituzione, ma quale conseguenza della decisone che trasferisce la proprietà di detti beni al promissario acquirente. 
Orbene, per effetto dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore e in attesa della domanda del promissario acquirente, le alternative prospettabili sono le seguenti: 
a - che il contratto preliminare si sciolga ex lege
b - che il contratto preliminare rimanga sospeso; 
c - che il contratto preliminare continui con il subentro ex lege del curatore. 
Si è posta come prima alternativa lo scioglimento del contratto perché questa soluzione sembra meglio conciliabile con la lettera della norma e, come è noto l’art. 12 disp. att. c.c. pone “il fondamentale canone ermeneutico secondo cui la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e primariamente dal punto di vista letterale”[3]. 
Se, invero, il contratto preliminare con le caratteristiche indicate “non si scioglie ….  sempre che il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura”, ne consegue, come già detto, che, se il promissario acquirente non presenta la domanda di esecuzione del contratto ex art. 2932 c.c. in sede concorsuale, il contratto preliminare si scioglie. Seguendo ancora l’interpretazione letterale, l’ulteriore conseguenza è che, se è necessario affinché un tale contratto possa non sciogliersi (ossia continuare a produrre i suoi loro effetti), che il promissario acquirente presenti detta domanda, fin quando questa non perviene il contratto si scioglie mancando una condizione necessaria ad evitare lo scioglimento; il che val quanto dire che lo scioglimento si verifica quale effetto dell’apertura della procedura, visto che la norma non parla di sospensione, o di quiescenza fino a che il promissario acquirente non prenda l’iniziativa di chiedere l’esecuzione e, per altro verso. 
Questa lettura, all’apparenza ineccepibile[4], non è sostenibile perché essa comporta che il contratto in questione, prima si sciolga con l’apertura della liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore e rimanga non più produttivo di effetti, e poi il promissario possa farlo tornare in vita chiedendone l’esecuzione; ed è difficile immaginare che un contratto sciolto, che libera le parti dal loro impegno di sottoscrivere il contratto definitivo, consentendo al curatore di liquidare i beni oggetto del contratto e al contraente in bonis di far valere il credito conseguente al mancato adempimento nel passivo della liquidazione, senza che sia dovuto alcun risarcimento del danno, possa risorgere per effetto della richiesta di esecuzione da parte del promissario, che presuppone un contratto ancora pendente e non sciolto. Eppure, secondo questa linea interpretativa, questa sarebbe la situazione normale in quanto, non essendovi coincidenza tra la data di apertura della liquidazione giudiziale e quella della presentazione delle domande di insinuazione al passivo e di rivendica e restituzione, anche una domanda di esecuzione (che segue i termini e le modalità di queste ultime) presentata in via tempestiva troverebbe già sciolto il contratto cui si chiede di dare esecuzione. 
In sostanza, se il promissario acquirente può formulare nel concorso una domanda tesa ad ottenere l’esecuzione del contratto preliminare, è di tutta evidenza che quel contratto non può sciogliersi a seguito della apertura del concorso a carico del promittente venditore per la connaturata contraddizione che non consente ad un contratto che ha cessato di vincolare le parti di poter poi riprendere la sua originaria funzione; ed infatti, il comma 3 bis, introdotto con il D.Lgs n. 136/2024, nel consentire al creditore ipotecario di contestare la congruità del prezzo pattuito dispone che se si accerta che il prezzo non è congruo, “il contratto si scioglie e si procede alla liquidazione del bene”, il che presuppone che lo stesso contratto non si sia già sciolto in precedenza all’apertura della procedura[5]. 
L’opzione della sospensione sembra più agevole da cogliere interpretando l’espressione “il contratto non si scioglie sempre che il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione, nel senso che fino a tale momento il contratto rimane in vita, (non si scioglie) ma l’efficacia dello stesso, in applicazione capovolta della regola generale sulla sorte dei contratti pendenti, rimane sospesa in attesa della decisione del promissario acquirente. 
Neanche questa costruzione regge giacché la norma in esame non dice affatto che il promissario acquirente possa - adattando alla fattispecie la libertà di scelta tra subentro e scioglimento che normalmente compete al curatore a norma del comma 1 dell’art. 172 - chiedere l’esecuzione o non del contratto pendente sospeso, ma pone come condizione ulteriore (oltre quella che gli effetti della trascrizione non siano cessati prima dell’apertura della liquidazione giudiziale) perché lo scioglimento non possa verificarsi che il promissario acquirente chieda l’esecuzione del preliminare con le forme e nei termini previsti per l’accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura. In tal modo, come si vede, la formulazione della domanda di esecuzione del preliminare da parte del promissario acquirente funziona non da elemento condizionante la definizione di un contratto nel frattempo sospeso, ma quale condizione perché il contratto non si sciolga[6], il che significa o che il contratto da definire sia, in attesa dell’iniziativa del promissario acquirente, già sciolto, come nella precedente ricostruzione, o che sia continuato ex lege in capo al curatore, ove, come si vedrà a breve, lo scioglimento dovuto all’inerzia del promissario funzionerebbe a mò di recesso. 
In sostanza, il legislatore, se avesse voluto raffigurare la situazione del contratto preliminare come sospeso a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore, avrebbe dovuto formulare la norma diversamente statuendo, sulla falsariga del comma 1 dell’art. 172, che l’esecuzione del contratto preliminare avente ad oggetto i beni con le caratteristiche ricordate rimane sospesa fino a quando il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura. Attribuendo eventualmente al curatore la possibilità, prevista dal secondo comma dell’art. 172 a favore del contraente in bonis, di mettere in mora il promissario acquirente facendogli assegnare dal giudice un termine entro cui esercitare il diritto di ottenere l’esecuzione al preliminare, onde evitare la situazione di incertezza sulla sorte del preliminare e, di conseguenza sui beni che sono oggetto dello stesso, che, come detto, può durare per tutta la procedura concorsuale, fino al limite temporale ultimo per la presentazione delle domande super tardive; fermo restando che, fino a quel momento, anzi fino alla decisione del giudice su tale domanda, l’immobile oggetto del contratto preliminare non potrebbe essere venduto dal momento che quel bene è stato promesso in vendita ad un terzo e questa vicenda non si è ancora conclusa dato che il contratto è, secondo l’interpretazione che si sta seguendo, sospeso e il promissario acquirente può ancora chiedere l’esecuzione del contratto[7]. 
Ad ogni modo, al di là di queste considerazioni, rimane da capire, muovendo dalla presupposta situazione di sospensione del preliminare, a quale titolo il promissario acquirente possa rivolgere la domanda di esecuzione nei confronti del curatore, che è il destinatario delle domande di accertamento dei diritti dei terzi. Queste domande - le cui modalità, come disposto dal comma 3 dell’art. 173, vanno seguite nella specie dal promissario acquirente - vanno trasmesse al curatore (art. 201, comma 2) che ha poi il compito di esaminarle, di predisporre elenchi separati dei creditori e dei titolari di diritti su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del debitore, di rassegnare su ciascuna domanda le sue motivate conclusioni , con le quali può limitarsi alla sola contestazione della fondatezza della domanda adducendo l’inesistenza dei fatti costitutivi della pretesa avanzata, che è esercizio di mera difesa, ma, come specifica la seconda parte del primo comma dell’art. 203, può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione”; in sede di opposizione allo stato passivo l’art. 206, comma 2, espressamente statuisce che “l’opposizione è proposta nei confronti del curatore, di modo che non può esservi dubbio che, sia nella fase sommaria avanti al giudice delegato sia in quella delle impugnazioni, il curatore è il soggetto legittimato passivo delle domande di accertamento dei crediti come di quelle di rivendica e restituzione dei beni. 
Poiché nella specie contemplata dal comma 3 dell’art. 173, il promissario acquirente chiede al curatore l’esecuzione del contratto preliminare ex art. 2932 c.c. - domanda che va rivolta alla controparte contrattuale inadempiente - se ne dovrebbe dedurre che, in quel momento, il curatore sia parte del contratto preliminare di cui si chiede l’esecuzione (ossia sia subentrato nello stesso), ma, nella ipotesi in esame, il curatore non è subentrato nel contratto preliminare in quanto si è presupposto che questo sia rimasto sospeso e, quindi, non ne è diventato parte al posto del debitore in liquidazione giudiziale, ma è rimasto estraneo allo stesso (a maggior ragione questa argomentazione è riproducibile nella prima ipotesi esaminata ove essendosi il contratto preliminare sciolto, il subentro non era immaginabile)[8]. 
In questa ottica di sospensione degli effetti del contratto preliminare si potrebbe dire che la domanda del promissario acquirente sia diretta ad ottenere non un provvedimento costitutivo ex art. 2932 c.c. che tenga luogo del contratto definitivo non concluso, ma finalizzato esclusivamente ad ottenere il subentro del curatore nel contratto preliminare, che spiegherebbe il significato della novità, introdotta con il terzo correttivo, contenuta nell’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 173 (di cui più ampiamente infra) secondo cui il curatore subentra nel contratto con l’accoglimento della domanda. Una tesi del genere, tuttavia, non avrebbe alcun addentellato normativo dato che la norma attribuisce al promissario il diritto di chiedere l’esecuzione del contratto preliminare, che, come già accennato, individua il contenuto dell’azione ex art. 2932 c.c. In ogni caso , l’attribuzione al promissario di una azione per indurre il curatore a subentrare nel contratto preliminare sarebbe sproporzionata rispetto al fine, sia perché il curatore potrebbe essere disponibile a subentrare sia perché, principalmente, a questo fine sarebbe bastato dire che il curatore subentra ex lege nel contratto e, poi eventualmente regolare le modalità per l’esercizio dell’azione ex art. 2932 c.c. nel caso il curatore non intenda prestarsi alla stipula del definitivo, convogliandola nel rito dell’accertamento dei diritti dei terzi. 
In conclusione, se si muove dal presupposto che gli effetti del preliminare pendente rimangono sospesi fino al momento in cui il promissario acquirente prende l’iniziativa di chiedere l’esecuzione del contratto, costui, con l’esercizio di tale azione che il comma 3 dell’art. 173 gli consente, chiede al curatore l’adempimento dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo sebbene un tale obbligo non faccia a  lui capo dal momento che questi non è parte del contratto preliminare di cui il promissario chiede l’esecuzione. 
Questa problematica di come possa il promissario acquirente chiedere in via forzosa al curatore l’esecuzione del contratto preliminare di vendita sarebbe risolta accettando l’ultima alternativa prospettata secondo la quale il curatore subentra per legge nel contratto. In tal caso, infatti, egli, divenuto parte contrattuale in luogo del liquidato, sarebbe il soggetto legittimato passivo della domanda della controparte che chiede l’esecuzione del contratto e, trattandosi di un “subentro ex lege condizionato alla volontà confermativa del promissario acquirente”, la possibilità per quest’ultimo di ottenere lo scioglimento del preliminare con la sua prolungata inerzia potrebbe essere configurato come un “recesso ad nutum a seconda della convenienza[9]. 
Non vi è dubbio che, in tal modo si crea una situazione del tutto anomala perché il curatore, con il subentro automatico, è vincolato al contratto così come nel vigore della legge fallimentare, nel mentre il promissario acquirente - che è la parte contrattuale che ha sottoscritto il preliminare e che, se non ci fosse stata l’apertura della liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore, avrebbe dovuto rispettare l’accordo sottoscritto - può recedere a sua scelta dal contratto per il fatto che viene aperta la procedura a carico della controparte, sebbene questo evento che non produca per lui alcuna conseguenza negativa visto che nell’ipotesi in esame al posto del promittente subentra il curatore e, anzi, come si vedrà, gli attribuisce il vantaggio di acquistare l’immobile libero da ipoteche e altri pesi. 
Non solo, ma questa facoltà di recesso data al promissario acquirente è priva di giustificazione perché, se l’intento del legislatore era quello dichiarato (anche nella Relazione al D.Lgs n. 136/2024), di “tutelare il contraente che persegue il soddisfacimento del primario bisogno abitativo o l’esercizio di attività produttiva, ritenuta di prevalente interesse, questo fine è raggiunto con il subentro automatico del curatore, il quale non può sottrarsi all’obbligo di darvi esecuzione e, se non lo fa, l’altra parte può chiedere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. L’ulteriore diritto dato al promissario acquirente di poter scegliere tra chiedere o non l’esecuzione del contratto e quindi di adempiere o sciogliersi dallo stesso è non solo completamente ultroneo rispetto al fine perseguito, ma squilibra l’intero assetto dei rapporti e degli interessi in gioco in quanto consente ad una parte contrattuale di liberarsi di un contratto che ritiene non più conveniente in danno della massa dei creditori[10], subentrata nel contratto ma che non ha la stessa facoltà. 
Peraltro, nel caso di mancato esercizio del diritto del promissario, il curatore, come detto, non ricupera neanche il potere generale di scelta fra il subentro e lo scioglimento, perché i preliminari con l’oggetto di cui al comma 3 dell’art. 173 sono regolati da tale norma, per la quale il contratto non si scioglie sempre che il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione, per cui, come specificato fin dall’inizio, se il promissario rimane inerte il contratto si scioglie, con la conseguenza che il curatore e, per lui, la massa dei creditori, è completamente in balia delle scelte della controparte contrattuale che, appunto, può determinare col suo comportamento o lo scioglimento del contratto, ove non più conveniente, o l’esecuzione ove rientri nei suoi interessi. Né, inoltre, lo scioglimento/recesso del promissario acquirente è cronologicamente condizionato alla dichiarazione di volontà del curatore di voler adempiere il preliminare in quanto, come già detto, la domanda del promissario acquirente può pervenire fino all’esaurimento delle operazioni di riparto o quanto meno fino alla scadenza del termine per la presentazione delle domande tardive, pur se il curatore - subentrato nel contratto ex lege al posto del promittente venditore - dichiari di essere disponibile a stipulare il contratto definitivo, dato che una tale volontà può essere posta nel nulla dal comportamento della controparte in bonis che, con la sua inerzia o con una espressa dichiarazione comunichi di non voler pervenire alla stipula del definitivo né chiedere l’esecuzione ex art. 2932 c.c., senza alcuna necessità di indicarne il motivo. E, mancando la possibilità di fissare un termine per operare una tale scelta, l’incertezza sulla sorte del contratto preliminare e di riflesso sulla disponibilità dei beni oggetto dello stesso, potrebbe durare per l’intera procedura (o, quanto meno, fino alla scadenza del termine per presentare le domande tardive). 
Se, infine, il legislatore avesse voluto soltanto incanalare la pretesa del promissario acquirente nell’alveo concorsuale, avrebbe dovuto formulare la norma diversamente. 
Ciò nonostante, è innegabile che il subentro automatico, con i dovuti adattamenti[11], sarebbe stata la soluzione più idonea a dare una qualche coerenza alla norma, ma, oltre alle considerazioni già esposte riguardanti il contenuto della disposizione in esame come originariamente formulata, all’accoglimento della tesi che il curatore subentri nel contratto preliminare per legge all’apertura del concorso si oppone l’introduzione, attuata con il D.Lgs. n. 136/2024, della disposizione aggiunta, alla fine del comma terzo dell’art. 173, secondo cui “Con l’accoglimento della domanda, il curatore subentra nel contratto”. 
Espressione altrettanto sibillina quanto la parte precedente dello stesso comma dato che non è chiarito in quale contratto subentra il curatore a seguito dell’accoglimento della domanda di esecuzione del preliminare formulata dal promissario acquirente. 
Trattando l’intero comma del contratto preliminare avente determinate caratteristiche e della domanda di esecuzione dello stesso, è logico ritenere che anche questa frase finale sia riferita a questo contratto, per cui essa avrebbe lo scopo di chiarire che il subentro del curatore nel contratto preliminare avviene soltanto a seguito della decisione del giudice che accoglie la domanda di esecuzione dello stesso. E questa sembra essere l’opinione del legislatore, posto che la Relazione al D.Lgs n. 136/2024 si limita a dire in proposito che “È infine inserito un secondo periodo nel comma per chiarire che il subentro del curatore avviene con l’accoglimento della domanda di ammissione al passivo”, con chiaro riferimento al contratto preliminare del quale esclusivamente si parla in detta relazione all’art. 173. 
Una tale soluzione è incompatibile con la tesi del subentro automatico del curatore nel preliminare perché, se egli subentra nel contratto a seguito del provvedimento del giudice chiamato a decidere sulla esecuzione del preliminare, vuol dire che non è precedentemente già subentrato nel medesimo contratto. In sostanza ne esce confermata l’idea che il curatore in precedenza non è subentrato nel contratto preliminare, ma allora rimane inspiegabile, così come nella opzione esaminata in precedenza della sospensione, la ragione per la quale il promissario acquirente possa agire nei confronti del curatore chiedendo l’esecuzione di tale contratto, visto che questi subentra nel preliminare soltanto a seguito della decisione di accoglimento di detta domanda. 
La lettura alternativa della disposizione in esame porterebbe a dire che il curatore, subentrato ex lege nel contratto preliminare, a seguito della decisione del giudice subentri nel contratto definitivo, ma questa interpretazione sarebbe ancor più incongrua della precedente dato che nella fattispecie in esame un contratto definitivo non esiste dal momento che con la domanda ex art. 2932 c.c. una parte contrattuale del preliminare chiede l’emissione di una sentenza (nel caso di un decreto di accoglimento della domanda da parte del giudice delegato o del tribunale in sede di opposizione) costitutiva che produca lo stesso effetto specifico di dare vita al contratto non concluso proprio per sopperire alla mancata stipula di questo a causa della carenza del consenso di una delle parti o, come nella fattispecie in esame, a causa di espressa previsione normativa; di modo che il titolo del trasferimento è costituito dal provvedimento giudiziale, che tiene luogo del contratto non concluso producendone i medesimi effetti che sarebbero discesi dalla normale conclusione del contratto definitivo, e non da questo che, appunto, le parti non hanno stipulato, e del quale, quindi, il curatore non può diventare parte. 
In ogni caso, qualora la norma avesse voluto affermare che con l’accoglimento della domanda di esecuzione del preliminare il curatore diventa parte del contratto definitivo, in primo luogo, la stessa non avrebbe dovuto far riferimento al subentro in un contratto che non c’è, ma statuire che tale organo assume i diritti e gli obblighi della parte contrattuale derivanti dalla decisione che tiene luogo del contratto definitivo. Il curatore non subentra nella sentenza o in altro provvedimento giudiziario, ma in un contratto, e subentra in un contratto ancora ineseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali da entrambe le parti (per usare l’espressione di cui al comma 1 dell’art. 172), ossia in un contratto pendente al momento in cui è aperta la procedura di liquidazione giudiziale; in quel momento l’unico contratto pendente in cui il curatore possa subentrare è quello preliminare e non certo il definitivo. 
Ma ammesso anche che il legislatore, con l’aggiunta in esame abbia voluto dire, seppur in modo atecnico, che il curatore, subentrato ex lege nel contratto preliminare, assume i diritti e gli obblighi della parte contrattuale derivanti dalla decisione che tiene luogo del contratto definitivo, quanto meno, nel parlare di subentro nel contratto, avrebbe dovuto precisare che si tratta del subentro nel contratto definitivo, visto che il comma 3 dell’art. 173, in cui l’aggiunta è stata inserita, è dedicato esclusivamente al preliminare avente ad oggetto il bene primario della casa di abitazione o la sede dell’impresa e ai diritti del promissario acquirente. 
Tuttavia, se così fosse, la precisazione circa il subentro nel contratto definitivo sarebbe del tutto superflua. Posto, infatti, che si presuppone in questa fattispecie in esame che il curatore sia subentrato automaticamente nel preliminare, non vi sarebbe stato alcun bisogno di precisare che lo stesso subentra nel contrato definitivo o negli effetti del provvedimento che tiene luogo di esso in quanto questa sarebbe stata una conseguenza naturale del subentro nel preliminare. E’ appena il caso di ricordare, infatti, che il contratto definitivo, come anche il provvedimento del giudice ex art. 2932 c.c., costituisce l’attuazione del preliminare determinando l’effetto traslativo del diritto di proprietà che i contraenti del preliminare si erano obbligati a realizzare, per cui la partecipazione al contratto definitivo (termine più corretto che il subentro nel …) del curatore della liquidazione giudiziale aperta a carico del promittente venditore è la logica ed automatica conseguenza del subentro dello stesso organo nel preliminare che contemplava appunto l’obbligo di stipulare il definitivo, che diventa l'unica regolamentazione del rapporto tra le parti[12], e implicava che, in mancanza, l’altra parte potesse ottenere un provvedimento del giudice che tenesse luogo del contratto non stipulato. 
Superfluità ben evidenziata dal comma 4 dell’art. 173 che descrive le conseguenze che derivano “in tutti i casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita” indicando effetti che non sono certo collegabili al preliminare, ma al contratto definitivo quale ad esempio il trasferimento dell’immobile o la cancellazione “dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo nonché delle ipoteche iscritte sull’immobile. Su questa disposizione si tornerà in prosieguo, qui mette conto sottolineare come essa dia per scontato che, “in tutti i casi di subentro del curatore nel contratto preliminare” (nuovo incipit del comma 4 che comprende sia il subentro ex lege del curatore che quello a seguito del provvedimento del giudice ex art. 2932 c.c. di cui tratta l’aggiunta della parte finale del comma 3) possano seguire gli effetti tipici del contratto definitivo o di un provvedimento del giudice che tenga luogo dello stesso, dai quali derivano gli effetti traslativi ed altri tipici di cui al tratta il comma 4, senza fare alcun accenno al contratto definitivo o provvedimenti sostitutivi giudiziali, a dimostrazione della superfluità di richiami per la ragione in precedenza esposta. 
Ovviamente tutto questo discorso poggia sul presupposto che la norma di cui all’art. 173, comma 3, con l’ambigua formula secondo cui il contratto non si scioglie sempre che il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione, abbia inteso affermare il subentro ex lege del curatore nel contratto preliminare, del che, come visto non vi è certezza. Tuttavia i dubbi sulla disposizione aggiunta con il terzo correttivo rimangono anche nel caso di non subentro automatico del curatore nel preliminare perché, alla fin fine, delle due: o il curatore non è subentrato ex lege nel preliminare, ed allora il subentro nel definitivo o negli effetti del provvedimento ex art. 2932 c.c. incorrerebbe nell’ulteriore salto logico di dover presumere che il curatore diventi parte del contratto definitivo senza essere diventato parte del contratto preliminare cui la decisione del giudice ha dato esecuzione forzata; oppure si muove dal concetto che il curatore sia già subentrato per legge nel preliminare, ed allora la norma aggiunta di recente che collegherebbe il subentro del curatore al contratto definitivo o ad un provvedimento sostitutivo sarebbe superflua sia in base ai principi generali sia in virtù degli effetti descritti nel comma 4. 
L’ipotesi più accreditata rimane pertanto quella che, come ipotizzato nella Relazione al terzo decreto correttivo, il recente legislatore intendesse dire che con l’accoglimento della domanda il curatore subentra nel contratto preliminare, posto che questo è l’unico che viene preso in esame nei commi interessati[13], pur indicando alcuni effetti prodotti dal definitivo, seppur illogicamente collegati al preliminare, come si è visto. Ed allora, se il curatore subentra nel contratto preliminare (e a maggior ragione se subentra nel contratto definitivo senza essere prima subentrato nel preliminare) soltanto con il provvedimento del giudice delegato o del tribunale in sede di impugnazione che accoglie la domanda di adempimento, rimane senza risposta la domanda già formulata: a che titolo il curatore è chiamato in causa al fine di ottenere l’adempimento del contratto preliminare?
3 . La proposta di soluzioni alternative
La difficoltà a fornire una ricostruzione coerente della previsione di cui al comma 3 dell’art. 173 nella visione che attribuisce al promissario acquirente il diritto di chiedere l’esecuzione del contratto preliminare, spiega perché la dottrina abbia cercato strade alternative per ovviare agli inconvenienti esposti. 
Apprezzabile il tentativo fatto da R. Muroni[14], con cui l’Autrice interviene sul diritto del promissario acquirente di chiedere l’esecuzione del contratto configurandolo come una fattispecie di diritto potestativo assai peculiare, che va però tenuta distinta dal potere di azione riconducibile al paradigma dell’art. 2932 c.c.; si tratterebbe di “un diritto potestativo sostanziale che assume le fattezze più di un’azione di retratto di matrice reale, che non di un’azione di adempimento contrattuale” dettato da una norma “verosimilmente ispirata alla figura giurisprudenziale della surrogazione retroattiva in materia di prelazione agraria, da cui pur si distingue per molti profili”; di modo che “il giudice, che accoglie l’azione di retratto del promissario acquirente - sia egli il giudice delegato nella fase sommaria di verificazione, ovvero il Tribunale nella fase di opposizione allo stato passivo - non dispone il trasferimento del cespite con una sentenza costitutivo-traslativa simile a quella di cui all’art. 2932 c.c. - preclusa del resto anche da ragioni sistematiche inerenti l’oggetto di questo giudizio -, ma si limita ad accertare in via incidentale l’intervenuto trasferimento del cespite per effetto del legittimo esercizio del diritto di riscatto da parte del promissario acquirente per compiuta integrazione di tutti gli elementi costitutivi di questa peculiare fattispecie di retratto”. 
Questo pregevole sforzo non mi sembra riuscito. Invero il riscatto agrario - diritto distinto rispetto alla prelazione ma complementare ad essa in quanto la violazione dell'obbligo legale di preferire chi gode del diritto di prelazione consente al titolare di tale diritto l'acquisto coattivo del bene - è il rimedio espressamente riconosciuto dall’art. 8 legge 25 maggio 1965, n. 590, il cui comma quinto dispone che “Qualora il proprietario non provveda a tale notificazione (della proposta di alienazione) o il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal contratto di compravendita, l'avente titolo al diritto di prelazione può, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dell'acquirente e da ogni altro successivo avente causa”. Nel caso in esame del contratto preliminare avente ad oggetto un immobile adibito a casa di abitazione o a sede dell’impresa non vi è una norma che attribuisca al promissario acquirente il diritto di riscattare il bene oggetto del contratto, e l’unica norma che preveda, nelle circostanze date,  un diritto del promissario acquirente è quella di cui al comma 3 dell’art. 173 c.c. che, in conformità al lessico dei contratti preliminari e dell’art. 2932 c.c., attribuisce al promissario acquirente il diritto di chiedere “l’esecuzione del contratto”. Ed, infatti, nella Relazione al D.Lgs n. 136/2024 si legge che “la domanda del promissario acquirente volta a domandare l’esecuzione del contratto può essere formulata anche in via tardiva, …”. 
Del resto discutendosi di un contratto preliminare, il principale obbligo che discende per le parti dalla sottoscrizione di un tale accordo è quello di stipulare il contratto definitivo, e l’art. 2932 c.c. consente alla parte adempiente, a fronte dell’inadempimento della controparte, di chiedere al giudice “l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto” (come precisa la rubrica di detto articolo) al fine di ottenete una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto definitivo non concluso, di modo che, nel caso in esame di preliminare di vendita immobiliare, quando la norma attribuisce al promissario acquirente il potere di chiedere al giudice “l’esecuzione” del contratto, non fa altro che attribuirgli il diritto di ottenere una sentenza - che nel caso si materializza nel provvedimento del giudice delegato o del tribunale in sede di impugnazione - costitutiva che disponga il trasferimento del bene in capo all’acquirente e l’obbligo, per quest’ultimo, di pagare il prezzo. 
A fronte di questo effetto naturale prodotto dal contratto preliminare, il legislatore è intervenuto per affermare, seppur nel modo confuso di cui si è parlato, che : a- il contratto preliminare di vendita regolarmente trascritto avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa del promissario acquirente non si scioglie a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale  del promittente venditore, a condizione che la indicata destinazione risulti dal contratto e che gli effetti della trascrizione non siano cessati prima dell’apertura di tale procedura per omesso verificarsi nei termini previsti di uno degli eventi di cui al citato art. 2645 bis; b- che il promissario acquirente, al quale è stato attribuito il potere di sciogliersi dal contratto o di chiederne l’esecuzione può, anzi deve agire per ottenere l’esecuzione nell’ambito concorsuale, nei termini e con le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi. 
Il comma terzo dell’art. 173 non attribuisce, quindi, al promissario acquirente un diritto di prelazione o di riscatto o altro diritto diverso da quello che gli deriva dalla sottoscrizione del preliminare- che è quello di ottenere la stipula del contratto definitivo e, in mancanza, di chiedere l’esecuzione forzata specifica-, e regola l’esercizio di tale diritto nel concorso a fronte della pendenza del rapporto preliminare al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore, sicché l’oggetto della decisione del giudice è verificare, in via principale, e non incidentale, se sussistono le condizioni per la stipula del contratto definitivo, di modo che la decisione che conclude positivamente il giudizio dispone esattamente il trasferimento del cespite al promissario acquirente in quanto quella decisione tiene luogo del contratto definitivo non concluso, che avrebbe avuto appunto questo effetto. 
 Escludere che nella fattispecie di cui all’art. 173, comma 3, CCII, sia proprio questo il diritto che il promissario acquirente fa valere in giudizio è davvero arduo giacché questo dato è ulteriormente confermato dagli effetti descritti nel comma 4, dei quali si è parlato in precedenza, nonché dal doppio richiamo, contenuto nella stessa disposizione del comma 3, dell’art. 2645 bis c.c., prima esplicitamente richiedendo che il contratto in questione debba essere trascritto ai sensi di detta norma e, poi implicitamente quando richiede, quale condizione per il non scioglimento del preliminare, che gli effetti della trascrizione non siano cessati anteriormente alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale. Il richiamo è implicito al comma 3 dell’art. 2645 bis c.c., per il quale “Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all'articolo 2652, primo comma, numero 2”, ed è appena il caso di ricordare che quest’ultima disposizione tratta della trascrizione delle “domande dirette a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre” ex art. 2932 c.c. 
Orbene, se il legislatore richiede come condizione per l’esercizio del diritto del promissario che non siano cessati gli effetti della trascrizione del contratto e questi effetti si considerano come mai prodotti se nei tempi indicati dalla norma non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., se prevede quale completamento dell’operazione il trasferimento del diritto di proprietà e la cancellazione delle ipoteche (art.173, comma 4), pare abbastanza chiaro che lo stesso legislatore, quando nell’art. 173, comma 3, accenna al diritto del promissario acquirente di chiedere l’esecuzione del contratto, si riferisca proprio all’ipotesi che non sia stata eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare, per cui concede al promissario di proporre in sede concorsuale la domanda di esecuzione in forma specifica nei termini e con le modalità delle domande di accertamento dei diritti dei terzi, in modo da avere un provvedimento che “costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare”. 
E’ vero, quindi, che è assolutamente peculiare che il diritto a pretendere l’esecuzione del contratto preliminare venga esercitato nei confronti di un terzo rispetto al contratto stesso, ma questa critica - quanto mai fondata per quanto in precedenza esposto - non è superata dal ricorso al concetto del diritto potestativo di riscatto perché anche il riscatto verrebbe esercitato nei confronti del curatore terzo estraneo ai rapporti tra promittente venditore e promissario acquirente e, quindi estraneo all’obbligo di stipulare il contratto definitivo o a qualsiasi altro obbligo sussistente tra i due; in più il retraente non sarebbe il terzo leso dal mancato esercizio del diritto di prelazione a fronte di una vendita effettuata da A a B, ma sarebbe il promissario acquirente nel preliminare stipulato, che gli dà diritto di pretendere l’esecuzione dell’impegno contrattualmente assunto. 
Ossia, neanche il ricorso all’azione di riscatto a tutela del diritto di abitazione o di esercizio dell’attività di impresa riesce a superare l’ostacolo di fondo del coinvolgimento del curatore fin quando questi è ritenuto estraneo al preliminare. Invero, pur seguendo la tesi fatta propria dall’Autrice del riscatto come surrogazione retroattiva[15], il retraente, che è un terzo, si sostituisce nella posizione contrattuale del primo acquirente con eliminazione retroattiva di tutti gli eventuali trasferimenti posti in essere dopo la prima alienazione, ma si rivolge comunque all’attuale proprietario del bene, che sia il primo o il successivo o l’ultimo acquirente[16], la cui legittimazione passiva è data proprio dall’aver acquistato l’immobile su cui il retraente non ha potuto esercitare il diritto di prelazione, nel mentre nel caso contemplato dall’art. 173, comma 3, CCII, da un lato, il retraente è proprio la parte contrattuale del preliminare che non ha ottenuto la stipula del contratto definitivo e, dall’altra, il curatore, subentrando nel contratto preliminare solo con la sentenza che accoglie il “retratto”, non ha alcun titolo per essere convenuto in giudizio. 
Il curatore, ove l’immobile oggetto del preliminare, non sia stato anticipatamente consegnato al promissario acquirente, ha la disponibilità dei beni, ma diventa riduttivo coinvolgere il curatore a questo solo fine richiamando il riferimento fatto dalla norma all’azione di rivendica o restituzione dato che il comma tre dell’art. 173 precisa che il promissario acquirente non esercita una tale azione, ma chiede l’esecuzione del contratto, nei termini e con le modalità stabilite par la presentazione di dette domande; ossia la norma richiama le domande di accertamento dei diritti dei terzi solo come strumento da utilizzare, nei termini e con le modalità per esse dettate, per raggiungere il fine di ottenere un provvedimento costitutivo che tenga luogo del contratto definitivo non concluso, che, a sua volta, come accennato fin dall’inizio, costituisce il titolo per ottenere la consegna del bene oggetto del contratto preliminare, cui si è sostituito il provvedimento del giudice. 
Né queste questioni cruciali concernenti la posizione del curatore e del promissario acquirente nell’ipotesi del riscatto possono essere aggirate sostenendo che l’esecuzione del rapporto è regolata primariamente dalla lex concursus e non dalla lex contractus. La legge del concorso entra in ballo perché, come detto, la norma consente al promissario acquirente di far valere il suo diritto in sede concorsuale, nei termini e con le modalità delle domande di rivendica e restituzione, ma il diritto che il promissario fa valere con queste modalità è il diritto che gli deriva dal preliminare di ottenere un provvedimento che, dando esecuzione al contratto preliminare, tenga luogo del contratto definitivo non sottoscritto. E questo spiega anche perché non sia affatto peculiare che il diritto ex art., 2932 c.c. sia nella fattispecie soggetto ad un termine decadenziale, decorso il quale il contratto preliminare è da considerarsi ormai privo di effetti; si tratta certamente di un termine di decadenza che non è previsto per l’azione ex art. 2932 c.c., soggetta all’ordinario termine decennale di prescrizione quale azione contrattuale, ma è evidente che, nel momento in cui il legislatore, aperta la liquidazione giudiziale a carico del promittente, ha convogliato l’esercizio del diritto di ottenere l’esecuzione del preliminare nel giudizio di verifica da attuarsi nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura, anche i tempi massimi di presentazione della domanda ex art. 2932 c.c. dovessero essere quelli dettati per questo tipo di domande nell’ambito del concorso. 
Ed anche in questo caso, la diversa configurazione del diritto del promissario quale diritto di riscatto non eliminerebbe la differenza tra legge ordinaria e legge concorsuale perché, a norma del comma 5 dell’art. 8 L. n. 590/1965[17] il riscatto deve essere esercitato “entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita”, nel mentre, la norma in esame, consentendo il riscatto nei termini delle domande di rivendica, ossia fino all’esaurimento delle operazioni di riparto, fissa un termine per l’esercizio del diritto che può essere più breve di un anno ma anche molto più lungo. 
 E’ vero anche  che il promissario acquirente non è tenuto a provare l’inadempimento del contratto preliminare da parte del debitore in bonis, che invece costituisce il fondamento dell’azione ex art. 2932 c.c., che viene inquadrata sul piano sistematico quale azione di adempimento contrattuale, pure nella sua peculiarità di azione costitutiva, ma questo aspetto, senza relegarlo nel pacchetto delle tante aporie riscontrabili nella norma in esame, trova una logica spiegazione nel fatto che nella fattispecie il legislatore, al fine di tutelare il contraente che persegue il soddisfacimento del primario bisogno abitativo o l’esercizio di attività produttiva, ritenuta di prevalente interesse, non ha considerato la richiesta di esecuzione in forma specifica del preliminare quale reazione all’inadempimento della controparte, ma quale strumento cui ricorrere in modo veloce e rapido per definire la pendenza di un preliminare di vendita che abbia ad oggetto il bene vitale dell’abitazione o dell’immobile sede dell’impresa, come evidenzia la stessa collocazione dell’art. 173 nella Sezione dedicata, appunto agli “effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti”; e lo ha fatto nel modo confuso che si è evidenziato[18]. 
E’ ancora vero che la complessità delle tematiche che possono coinvolgere l’esame di una domanda di esecuzione in forma specifica di un preliminare mal si concilia con il giudizio di natura sommaria della verifica dei crediti e accertamento dei diritti dei terzi innanzi al giudice delegato e che potrà sfociare in sede di opposizione allo stato passivo in un giudizio camerale, ma questa è la scelta fatta dal legislatore allo scopo sopra detto di tutelare nel modo più rapido il contraente che persegue il soddisfacimento del primario bisogno abitativo o l’esercizio di attività produttiva, coinvolgendo tutti gli interessati nel contraddittorio collettivo che può attuarsi all’udienza di verifica. E’ discutibile l’opportunità di assegnare il giudizio sulla domanda ex art. 2932 c.c. al giudice delegato in via sommaria e al tribunale in via camerale in sede di impugnazione, ma anche la configurazione del diritto del promissario acquirente quale diritto potestativo sostanziale che assume le fattezze di un’azione di retratto di matrice reale non sfugge alla stessa critica; anzi, dovendosi in tal caso indagare sull’origine del diritto, sulla sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive per delineare un diritto di tal fatta, sui rapporti tra i vari successivi acquirenti, e così via, l’indagine è ancora più complessa[19]. Qualunque tesi si segua, la prevalenza data al principio della esclusività dell’accertamento del passivo e dei diritti dei terzi porta ad attribuire al giudice del concorso una competenza su questioni che possono essere anche molto complesse. 
In sostanza anche questa diversa ricostruzione del diritto del promissario acquirente ad ottenere l’esecuzione del contratto preliminare pendente mi sembra non destinata al successo, per cui permangono tutte le perplessità e contraddizioni in precedenza esposte.
4 . L’impatto sulla disposizione in esame del nuovo comma 5 dell’art. 204
Su tutte le ricostruzioni fatte, inoltre, incombono le modifiche dell’art. 204, comma 5, CCII. 
Come è noto, con il D.Lgs n. 83/2022 è stato introdotto nell’art. 204 il comma 5, per il quale “Il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito dei giudizi di cui all'articolo 206, limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca o pegno a garanzia di debiti altrui, producono effetti soltanto ai fini del concorso”; da cui discende che le decisioni prese in sede di accertamento o di successiva impugnazione sulle domande di rivendica e restituzione di beni mobili e immobili hanno efficacia di giudicato con effetto extra concorsuale. 
Questa scelta legislativa, giustificabile nell’ottica dalla prevalenza dell’interesse generale alla stabilità delle decisioni in tema di rivendica derivante dalla volontà di meglio salvaguardare l’esigenza di certezza dei terzi, con la conseguente maggiore appetibilità del mercato delle liquidazioni, rispetto al diritto del debitore, destava non poche perplessità sotto il profilo costituzionale, sia per l’eccesso di delega[20], sia per la disparità di trattamento che è stato attuato[21], sia, principalmente, per la violazione del diritto di difesa del debitore, discendente dall’aver attribuito efficacia extra concorsuale ai provvedimenti decisori sulle domande di rivendica e restituzione, senza al contempo aver attribuito al debitore il diritto e gli strumenti per difendere i propri diritti in un procedimento idoneo a modificare definitivamente, e non più “ai soli fini del concorso”, la sua sfera giuridica. 
Quest’ultimo aspetto è stato colto dal legislatore del terzo correttivo che, per sanare la posizione di minorata difesa del debitore, ha aggiunto al comma 5 dell’art. 204 la seguente frase “Quando il procedimento ha ad oggetto domande di restituzione o di rivendicazione il debitore può intervenire e proporre impugnazione ai sensi dell’articolo 206”. 
Appare certo che al debitore la nuova norma abbia attribuito il ruolo di parte processuale nei giudizi di rivendica e restituzione ed in quelli che seguono le stesse regole dal momento che, come spiegato nella Relazione al D.Lgs. n. 136/2024, “il debitore può non solo svolgere pienamente le sue difese intervenendo nel corso della verifica dei crediti ma anche impugnare la decisione assunta dal giudice delegato.” Si può discutere di quale tipo sia l’intervento che debitore può fare avanti al giudice delegato[22], ma il potere di impugnazione del provvedimento del giudice delegato, tipico delle parti del processo, supera qualsiasi eventuale dubbio in proposito perché ora, per dettato legislativo, nei giudizi di rivendica e restituzione e in quelli a questi assimilati, il debitore è parte del procedimento sommario avanti al giudice, tanto da poterne impugnare il provvedimento, modificando radicalmente la sua posizione precedente. 
Peraltro, la legittimazione del debitore all’impugnazione consente allo stesso di promuovere, in via principale o incidentale, qualsiasi mezzo impugnatorio previsto dall’art. 206 sia per la formulazione letterale della norma - che parla di impugnazione in alternativa o aggiunta all’intervento, per cui il termine deve intendersi riferito a tutte le impugnazioni previste dall’art. 206 e non solo a quella specifica di impugnazione del provvedimento ammissivo -, sia perché il legislatore quanto ha inteso limitare l’impugnazione soltanto a quella tecnica di cui al comma 3 dell’art. 206, lo ha detto espressamente (come ad esempio nell’art. 173, comma 3 bis, introdotto con lo stesso terzo correttivo), sia per non porre limitazioni al diritto di difesa, cui la modifica normativa intende dare tutela e, sia, infine, perché non vi sono ragioni sistematiche e logiche ostative ad un’ampia estensione del potere impugnatorio da parte del debitore insolvente. E’ agevole presumere che nella maggior parte dei casi sarà proprio l’impugnazione in senso stretto lo strumento di interesse del debitore, il quale vorrà evitare che il promissario “si appropri” del bene oggetto del preliminare con effetto vincolante anche al di fuori del concorso, ma non si può escludere il ricorso del debitore alla opposizione allo stato delle rivendiche qualora abbia assunto una posizione nella fase sommaria contrastante con la decisione del giudice, anche se in questi casi è più verosimile un suo intervento nell’opposizione. 
Come impattano queste modifiche sulla disciplina dettata dal comma 3 dell’art. 173? 
Da un lato, si conciliano con la norma in esame in quanto l’efficacia extra concorsuale del giudicato sulle domande di rivendica e restituzione viene incontro alla stabilità che comunque dovrebbe attribuirsi (pur in mancanza della norma di cui al comma 5 dell’art. 204) alla decisione sull’esecuzione del preliminare, essendo incompatibile che il giudice emetta un provvedimento che tenga luogo del contratto definitivo non stipulato che possa valere soltanto nell’ambito del concorso. La norma in esame di cui all’art. 173 dispone, infatti, non che la domanda di esecuzione del preliminare sia una domanda di rivendica o restituzione, ma che essa va proposta nei termini e con le modalità di questo tipo di domande, di modo che gli effetti del provvedimento del giudice sono quelli propri attribuibili alla sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (che coincidono ora con gli effetti delle decisioni sulle domande di rivendica e restituzione), nel mentre le regole del procedimento per arrivare alla stessa (ossia le modalità) sono quelle dettate per l’accertamento delle domande di rivendica e di restituzione; di conseguenza il potere di intervento e di impugnazione attribuito al debitore nell’accertamento riguardante le domande di rivendica e restituzione rileva anche nell’accertamento del diritto del promissario acquirente ad ottenere una sentenza ex art. 2932 c.c. quando questo procedimento si svolge secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura. 
Inoltre, posto che il debitore acquisisce ogni potere conferito alla parte, tra i quali spicca la legittimazione a impugnare il provvedimento emesso, vanno rivisti e rivalutati il ruolo e poteri di costui, Se, infatti, in passato poteva affermarsi che la quietanza, che il debitore assuma essergli stata rilasciata all'atto del pagamento del creditore (successivamente fallito), non può produrre, nei confronti del curatore, gli effetti di una confessione stragiudiziale, perché il curatore, pur quando si trova rispetto al rapporto sostanziale dedotto in giudizio nella stessa posizione assunta dal fallito, è una parte processuale diversa da questo, con la conseguenza che la medesima quietanza è priva di effetti vincolanti e rappresenta solo un documento probatorio dell'avvenuto pagamento, liberamente valutabile dal giudice del merito al pari di ogni altra prova acquisita al processo”[23]; ovvero che “a seguito dell'apertura della procedura concorsuale, nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, l'interrogatorio formale del fallito è inammissibile, atteso che costui, tranne che nell'ipotesi prevista dall' art. 43, comma 2, L. fall., non assume la veste di parte e il suo interrogatorio sarebbe finalizzato a una confessione relativa a diritti di cui il fallito non può disporre nella pendenza del fallimento”[24], e così via; orbene queste affermazioni, nella fattispecie del giudizio di rivendica e restituzione sono diventate obsolete in quanto il ruolo di parte attribuito al debitore modifica completamente le pregresse considerazioni, potendo, quale parte, anche essere destinatario di giuramento. 
Ad ogni modo, questo nuovo ruolo del debitore comporta che al giudizio ex art. 2932 c.c. avanti al giudice delegato, che si svolge secondo le modalità dell’accertamento dei diritti dei terzi sui beni acquisiti all’attivo, (come nel giudizio di impugnazione) partecipino sia il curatore quale parte processuale necessaria, sia il debitore, parte processuale e sostanziale del rapporto in discussione, con effetti diversi a seconda che si muova dalla premessa che il curatore subentri automaticamente nel preliminare ovvero non subentri. 
Se si ritiene che non subentra, al giudizio di esecuzione del preliminare (pur con tutte le perplessità in precedenza espresse) partecipano, oltre al promissario acquirente, due soggetti: il debitore, che è parte sostanziale, quale sottoscrittore del preliminare, ed ora anche processuale e il curatore, che è parte processuale ma terzo sotto il profilo sostanziale non essendo subentrato nel preliminare. 
Questa situazione di potenziale conflitto tra il debitore e il curatore, crea non poche difficoltà 
interpretative nelle ordinarie ipotesi di azione del terzo di rivendica e restituzione di beni, nel mentre non dovrebbe avere un grande impatto sulla materia in esame, dato che il principale terreno di scontro tra le due citate parti, che è quello che si manifesta sulla certezza della data del documento posto a fondamento della domanda, nella fattispecie in esame, è problema che non può presentarsi perché la domanda di esecuzione presuppone che il contratto preliminare non solo sia trascritto ma che la trascrizione non abbia perso efficacia, da cui la data certa inoppugnabile[25]. 
Tuttavia, oltre alla data del preliminare, alla sua trascrizione e alla permanenza degli effetti di questa, nel processo in esame sia il nuovo comma 3 bis che il riscritto comma 4 dell’art. 173 hanno ampliato il campo di indagine del giudice ad aspetti nei quali può “intervenire” anche il debitore. Invero, va indagato, ad esempio, che il promissario acquirente abbia chiesto l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura; ai sensi del comma 3 bis, che il prezzo convenuto nel preliminare sia congruo secondo il parametro nello stesso comma; che l’eventuale offerta del promissario acquirente per equiparare la mancanza di congruità possa essere accettata; che il promissario fornisca la prova degli acconti versati con mezzi tracciabili; che il giudice fissi il prezzo residuo da pagare e i tempi del pagamento. 
Orbene, in un processo che presenta tanti aspetti da verificare, che vede il coinvolgimento anche del creditore ipotecario, incanalato nell’alveo dell’accertamento delle domande di rivendica e restituzione. emerge in modo tangibile il differente regime probatorio applicabile alle parti in causa, che ancor più trova motivo di manifestarsi quando, esaurita la fase sommaria e informale avanti al giudice delegato, si passa al giudizio di impugnazione, che si svolge attraverso un vero e proprio processo di cognizione, per quanto camerale, tra parti identificate e costituite regolarmente. 
Se, invece si muove dal presupposto che il curatore sia subentrato ex lege nel preliminare, questi diventa parte sostanziale e processuale nel mentre il debitore rimane parte processuale a difesa dei propri interessi, che possono conciliarsi o differire da quelli della massa, con effetti dirompenti sulla durata della procedura concorsuale dato che la legittimazione del debitore ad impugnare la decisione del giudice delegato sulla esecuzione del preliminare potrebbe estrinsecarsi in modo strumentale, bloccando nel frattempo la liquidazione o la restituzione dei beni oggetto del contratto. Si immagini, ad esempio, che la domanda di esecuzione del preliminare sia stata accolta, ma il debitore non sia convinto (in buona o in mala fede) della bontà della decisione; ora il debitore- supportato anche dal fatto che dovrà sostenere solo le spese del suo legale giacché la condanna al pagamento delle spese in favore delle altre rimarrà priva di effetto essendo per definizione impossidente in quanto assoggettato a liquidazione giudiziale- può impugnare il provvedimento del giudice, pur se conscio della fondatezza della decisione, e prolungando la definizione della vertenza. Di contro in caso di rigetto della domanda il debitore, che per suoi rapporti con il rivendicante abbia interesse a che sia accolta, potrebbe proporre lui opposizione o intervenire ad adiuvandum della opposizione proposta dal rivendicante.  
E tutto ciò senza che alla modifica del ruolo del debitore abbia fatto seguito un coordinamento procedurale sotto il profilo delle comunicazioni che il curatore deve fare in questa fase: non è previsto, infatti, che al debitore siano comunicati né il progetto di stato passivo né lo stato passivo esecutivo, né è stato modificato l’art. 206 lì dove indica i soggetti legittimati a proporre le varie impugnazioni, tra i quali dovrebbe ora essere compreso il debitore; non è spiegato, come già accennato, quale tipo di intervento possa spiegare il debitore avanti al giudice delegato, e così via.
5 . La presenza di iscrizione ipotecaria sul bene oggetto del preliminare. I commi 3 bis e 4 dell’art. 173
Il tentativo di cercare di dare coerenza alla disciplina in esame diventa ancora più arduo qualora l’immobile oggetto del preliminare sia gravato da ipoteca. 
Nel vigore dell’art. 72, ultimo comma, L. fall. che, come detto, prevedeva che nei contratti preliminari trascritti aventi ad oggetto immobili con le caratteristiche esposte il curatore subentrava ex lege in luogo del fallito, assumendone tutti i relativi obblighi, senza possibilità di potersi sciogliere dai medesimi, era controverso se, considerata l'esistenza di un simile obbligo di legge, la stipula del contratto definitivo tra il curatore e il promissario acquirente potesse considerarsi una vendita coattiva, con le relative conseguenze purgative, in quanto rientrante nell'ambito dell'attività liquidatoria che il curatore è tenuto a compiere nel corso della procedura concorsuale[26], ovvero che trattavasi di una vendita negoziale con la conseguente inapplicabilità dell'art. 108, comma 2, L. fall., inconcepibile al di fuori di una procedura coattiva competitiva e finalizzata al realizzo del miglior prezzo di vendita del bene acquisito all'attivo[27]. 
Questo contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite[28] che, aderendo alla seconda opzione prospettata, hanno dettato il seguente principio: “Nel sistema della legge fallimentare l’art. 108, comma 2, prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l’espletamento della liquidazione concorsuale dell’attivo disciplinata nella Sezione II del Capo VI secondo le alternative indicate nell’art. 107, perché in essa il curatore esercita la funzione di legge secondo il parametro di legalità dettato nell’interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine; mentre è da escludere che la norma possa essere applicata - e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato - nei diversi casi in cui il curatore agisca nell’ambito dell’art. 72, ultimo comma, L. fall. quale semplice sostituto del fallito, nell’adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita”. 
Questa soluzione, a mio avviso perfettamente coerente con il sistema della legge fallimentare e i principi comuni per i quali l’ipoteca si estingue con l’estinzione dell’obbligazione garantita e non per ordine del giudice (art. 2878, comma 1, n. 3, c.c.), se non nelle vendite coattive, è stata completamente disattesa dal codice della crisi in quanto nel comma 4 dell’art. 173 è espressamente disposto che “In tutti i casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita, l’immobile è trasferito e consegnato al promissario acquirente nello stato in cui si trova ….. Il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordina con decreto la cancellazione dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo nonché delle ipoteche iscritte sull’immobile”. 
Prima di esaminare questa norma nel merito va evidenziata l’approssimazione del testo che disinvoltamente collega il trasferimento dell’immobile al subentro del curatore nel contratto preliminare, dimenticando che il trasferimento del diritto di proprietà avviene non a seguito o per effetto del subentro del curatore nel contratto preliminare ma con la stipula del definitivo o del provvedimento ex art. 2932 c.c. che tiene luogo del definitivo. Situazione ancor più pasticciata nella parte in cui si parla della cancellazione dell’ipoteca e degli altri pesi collegata sempre al subentro del curatore nel contratto preliminare, “una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo”, dimenticando, in questo caso, che la esecuzione della vendita e la riscossione del prezzo presuppongono non solo che sia intervenuto un contratto definitivo di vendita o suo equipollente giudiziario, ma che questo abbia avuto esecuzione; il che significa che deve essere stato stipulato un contratto definitivo o che sia intervenuto un provvedimento ex art. 2932 c.c. che attui il trasferimento del diritto di proprietà, e che tale contratto o provvedimento sia stato eseguito, da un lato, con la consegna del bene oggetto della compravendita e, dall’altro, con il pagamento del prezzo nei termini contrattualmente stabiliti o, se già scaduti, nel termine fissato dallo stesso giudice o ultimo quello della definitività del provvedimento[29]. 
E’ evidente, comunque, che, seppur in modo atecnico, il legislatore ha inteso collegare l’effetto del trasferimento del diritto di proprietà alla stipula del contratto definitivo o al provvedimento giudiziale equipollente e la cancellazione delle ipoteche alla avvenuta esecuzione di tali atti e al pagamento del prezzo. 
Data una qualche dignità giuridica alla norma, la disposizione che dispone la cancellazione dell’ipoteca crea un ulteriore squilibrio sia sul piano giuridico che in fatto. 
Sotto il profilo giuridico, si ammette l’esercizio della purgazione ad una vendita non coattiva, che, invece dovrebbe essere assoggettata alle ordinarie regole delle vendite negoziali di beni gravati da ipoteca, secondo cui l’ipoteca segue il bene presso il nuovo acquirente che può estinguere l’ipoteca solo pagando direttamente il creditore o trovando un accordo con questi. E non vi è dubbio che pur nella descritta confusione che caratterizza il comma 3 dell’art. 173, il giudice che decide favorevolmente sulla domanda del promissario acquirente non attua una vendita coattiva, ma valuta soltanto il diritto di costui al rispetto del contratto, come avrebbe potuto fare, in mancanza della liquidazione giudiziale, l’ordinario giudice della cognizione adito per ottenere una sentenza ex art. 2932 c.c.; e il provvedimento che, in virtù dell’art. 2932 c.c., tiene luogo del contratto non concluso, attua una vendita negoziale quale appunto adempimento sostitutivo delle obbligazioni discendenti dal preliminare. 
Esso, pertanto, non costituisce un atto esecutivo di liquidazione dell'attivo concorsuale, non essendo stata attivata la procedura indicato dall'art. 216; ed è solo questa che rende la vendita declinabile in senso procedimentale come atto di liquidazione dell'attivo, per effetto della messa in esecuzione di un programma di liquidazione all'esito delle conseguenti possibilità offerte dalla norma, e di conseguenza permette che si realizzi l’effetto purgativo. Ed invero, ricordano le Sezioni Unite citate, pur nella maggiore libertà delle forme delle vendite coattive, “è evidente che tale libertà è perseguita alla condizione specificamente considerata, e cioè che le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione siano svolti dal curatore tramite procedure competitive” …. e questa nozione di procedura competitiva “non è astretta a uno schema predefinito, ma ai fattori ritenuti essenziali allo scopo: la stima, la pubblicità, la possibilità di gara, quali presupposti inderogabili di trasparenza e correttezza anche a salvaguardia della parità fra gli offerenti”; requisiti che mancano completamente sia nella vendita negoziale di cui trattava l’art. 72, comma 8, L. fall. sia nella vendita coattiva attuata dal comma 3 dell’art. 173 CCII. 
Oltre a mancare una vendita qualificabile in senso procedimentale come atto di liquidazione dell'attivo, necessaria per la produzione dell’effetto purgativo, la cancellazione dell’iscrizione ipotecario nel caso in esame manca di equilibrio tra la tutela del promissario acquirente, che viene privilegiato nell’ottenere il bene primario della casa destinata ad abitazione o del locale destinato all’esercizio dell’attività, e quella del creditore ipotecario, che vede ridotto il suo diritto di seguito e di percepire il ricavato intero della vendita effettuata secondo procedure competitive, a partecipare al concorso in via ipotecaria solo sul ricavato dalla vendita convenzionale per quanto ancora dovuto. Invero, nell’ipotesi di vendita di un bene gravato da ipoteca in via competitiva nell’ambito della procedura concorsuale, l’aggiudicatario corrisponde alla procedura il prezzo realizzato attraverso la vendita e la prelazione ipotecaria si trasferisce sul prezzo, ed, infatti, il giudice, sia a norma dell’art. 108, comma 2 L. fall. che a norma dell’art. 217 comma 2 CCII, può disporre la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie solo dopo l’intera riscossione del prezzo. 
Anche nel comma 4 dell’art. 173 è posta la stessa regola, ma in questo caso il bene immobile viene trasferito non al miglior offerente a seguito di una gara, ma al promissario acquirente, che è tenuto all’adempimento delle pattuizioni contrattuali e, quindi è tenuto a versare solo il prezzo contrattualmente stabilito, detratti gli importi degli acconti già corrisposti (poi si vedrà meglio questo aspetto), per cui la somma residua da versare, su cui il creditore ipotecario può far valere il suo diritto preferenziale, dipende dagli acconti precedentemente versati e nel caso abbia già corrisposto al promittente venditore l’intero prezzo non dovrà più nulla. 
La Cassazione in quel citato precedente n. 3310 del 2017 favorevole alla cancellazione aveva esteso la garanzia ipotecaria sull’intero prezzo, compresi gli acconti eventualmente versati al fallito quando era in bonis, ma questa è affermazione tanto errata giuridicamente quanto ingenua nel contenuto. Errata perché, come sottolineato dalle Sezioni Unite, più volte richiamate, di tale e asseritamente consequenziale assunto non è “individuabile un minimo riscontro sul piano normativo”; ingenua perché trovare nell’attivo del debitore dichiarato insolvente tali acconti ed anche ricondurre eventuali liquidità agli acconti ricevuti è del tutto fuori dalla realtà. Se poi la Corte intendeva dire, come pare, che comunque dall’attivo della procedura poteva essere prelevata una somma corrispondente agli acconti versati per destinarla alla soddisfazione del creditore ipotecario, l’alterazione delle regole sarebbe ancor più marcata perché si violerebbe, in danno di tutti gli altri creditori, il principio della specialità della garanzia ipotecaria, che inerisce al bene oggetto della iscrizione e si esercita sul ricavato dalla liquidazione di quel bene e non sul ricavato da qualsiasi bene mobile o immobile, come se fosse un super privilegio generale che si estende a tutti gli elementi del compendio patrimoniale; a parte il fatto che anche un rimedio del genere potrebbe risultare inefficace ove l’attivo sia incapiente. 
In sostanza, il creditore ipotecario ha, nel caso in esame, il diritto a soddisfarsi in via ipotecaria soltanto sul saldo prezzo, qualunque ne sia l’importo e, contestualmente, si vede cancellata l’iscrizione dell’ipoteca; il che val quanto dire che viene vanificata la garanzia ipotecaria perché il beneficiario della stessa, ove il promissario acquirente abbia versato l’intero prezzo o comunque consistenti acconti, risulterà destinatario di nulla o di una minima somma, perdendo al contempo il diritto di seguito. Soluzione che desta non poche perplessità anche sotto il profilo costituzionale. 
Vi è da aggiungere che la già citata recente modifica dell’incipit del comma 4, secondo cui ora il giudice può disporre la cancellazione delle ipoteche “in tutti i casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita” se, per un verso, chiarisce che la norma si applica anche al caso in esame del trasferimento ex art. 2932 c.c. di immobile con le caratteristiche di cui al comma 3 dell’art. 173, per altro verso, estende la cancellazione a tutti i casi di subentro del curatore, anche volontario con stipula negoziale del definitivo, qualunque siano le caratteristiche dei beni oggetto della compravendita. Questo significa che la norma sulla cancellazione non è a tutela del promissario acquirente del bene primario della casa di abitazione o del locale destinato all’attività di cui tratta il comma 3 dell’art. 173, ma a favore di qualsiasi promissario qualora il curatore abbia scelto di subentrare nel preliminare; ed in questo caso il grande vantaggio dato al promissario acquirente di liberarsi del gravame ipotecario pagando il prezzo pattuito al venditore non trova alcuna valida giustificazione e tanto meno ne trova il pregiudizio subito dal creditore ipotecario, che potrà far valere il suo diritto di prelazione solo sul residuo prezzo eventualmente ancora dovuto dal promissario acquirente. E sotto questo profilo i dubbi sulla tenuta costituzionale della norma si ampliano ancor più. 
Allo scopo di bilanciare l’esigenza di tutela del promissario acquirente di ottenere l’immobile libero da pesi, con la salvaguardia dell’interesse dei creditori ipotecari che potrebbero perdere le garanzie del credito, senza ottenere l’adempimento, il comma 4 dell’art. 173 prevedeva che “gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostri di aver versato”; il che significava, posto che, come è logico presumere, l’opponibilità alla massa stessa equivaleva alla conteggiabilità degli acconti, che il promissario acquirente era tenuto a pagare nuovamente la metà di quanto già corrisposto e che dimostrava di aver versato prima dell’apertura della procedura, subendo così un ingiustificato sacrificio, che non poteva essere tollerato[30]. Era, invero, del tutto irragionevole imporre al promissario acquirente di pagare nuovamente la metà di quanto già corrisposto e che dimostrava di aver versato, per cui quanto più consistenti erano gli acconti che dimostrava aver erogato maggiore era il prezzo totale che doveva sborsare per acquisire la proprietà dell’immobile[31]. 
Di tanto si è reso conto il legislatore del terzo correttivo che si è mosso lungo due direttrici convergenti. 
Per un verso, infatti, ha eliminato dal comma 4 dell’art. 173 la odiosa norma del ripagamento della metà di quanto già corrisposto sostituendola con la seguente: “Gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari all’importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato con mezzi tracciabili”. Norma  che razionalizza il meccanismo giacché, nel ribadire che l’onere della prova degli acconti versati è a carico del promissario acquirente (secondo i principi generali sull’onere della prova), chiarisce che l’unica prova utilizzabile è quella documentale che dimostri il passaggio del danaro da lui al promittente venditore, evitando, quindi, che possa essere dato rilievo a pagamenti in contanti o effettuati non altri mezzi che non lascino tracce precise del percorso effettuato dal danaro[32]; principio che assume un particolare valore nel momento in cui, come detto, il debitore è diventato parte del giudizio e avrebbe potuto essere destinatario di un giuramento teso a confessare di aver ricevuto una somma maggiore di quella documentata. 
 Oltre a venire incontro alle esigenze del promissario acquirente, il legislatore ha dato voce anche alle esigenze del creditore ipotecario per temperare il meccanismo disciplinato dal comma 4, che, come ricordato, permette di realizzare la garanzia ipotecaria limitatamente alla parte di prezzo non versata, se ancora dovutagli; a questo scopo, con l’introduzione del comma 3 bis, ha consentito al creditore ipotecario di contestare la congruità del prezzo di vendita stabilito nel contratto sottoscritto con il debitore dimostrando una sproporzione di almeno un quarto tra il prezzo medesimo ed il valore di mercato del bene alla data del contratto, proponendo l’impugnazione di cui all’art. 206, comma 3, ossia con la impugnazione in senso stretto allo scopo di evitare che il provvedimento di accoglimento della domanda di esecuzione del preliminare, e quindi il trasferimento della proprietà del bene, diventi definitiva. Qualora la contestazione del creditore risulti fondata in quanto viene accertata la mancanza di congruità secondo il parametro indicato, si aprono due possibilità: o il promissario acquirente, prima della decisione del tribunale sul punto, esegue il pagamento della differenza di valore, oppure, in mancanza, il contratto preliminare si scioglie e si procede alla liquidazione del bene. 
A mio avviso[33], ha fatto bene il legislatore a richiamare lo strumento impugnatorio di cui può disporre il creditore ipotecario, sebbene questi, essendo parte del giudizio di accertamento del passivo, avrebbe potuto comunque impugnare il provvedimento del giudice, tuttavia la norma, più che individuare il mezzo di impugnazione - dato che discende dallo stato delle cose che debba essere una decisione di accoglimento della domanda, altrimenti non avrebbe interesse ad opporsi - specifica l’oggetto della contestazione consistente nella mancanza di congruità del prezzo; accertamento, peraltro che, per la sua complessità, il legislatore ha ritenuto che esigesse un’attività istruttoria non compatibile con la fase di verifica dei crediti innanzi al giudice delegato, per cui ha parlato direttamente di impugnazione. A questo punto, però, visto che il legislatore ha posto l’attenzione sui prezzi pattuiti nei preliminari di cui al comma 3, c’è da chiedersi per quale ragione la legittimazione all’impugnazione non sia stata estesa a qualsiasi creditore, anche non ipotecario, o attribuita al curatore, che rappresenta la massa dal momento che un preliminare a prezzo incongruo danneggia l’intera massa dei creditori, anche se l’immobile non è soggetto a gravami[34]. 
E’ evidente che il diritto all’impugnazione del creditore ipotecario per contestare la non congruità del prezzo del preliminare, così come configurato, costituisce una compensazione del sacrificio che quel creditore deve subire con la cancellazione dell’ipoteca, ma, a ben vedere, il rimedio è un semplice palliativo che solo sulla carta può avere un effetto compensativo 
Basta considerare la marcata differenza che si è creata, alla luce della nuova disciplina, tra la posizione del promissario acquirente e quella del creditore ipotecario. Al primo è stato giustamente tolto l’assurdo obbligo di ripagare la metà di quanto già sborsato, e gli è stato imposto un onere probatorio, che comunque su lui incombeva, di fornire la prova degli acconti versati prima dell’apertura della procedura con l’unico limite della opponibilità soltanto degli acconti tracciabili, che è il minimo indispensabile da richiedere; di contro lo strumento di difesa offerto al creditore ipotecario teso a realizzare quanto meno il pagamento del prezzo di mercato su cui far valere la prelazione, è utilizzabile soltanto in quei casi in cui ci sia una sproporzione di oltre un quarto tra prezzo pattuito nel preliminare e prezzo effettivo di mercato all’epoca della sottoscrizione di questo. A parte la limitatezza dei casi rintracciabili di preliminari in cui sia stato fissato un prezzo inferiore del 25% rispetto a quello di mercato, rimane tuttavia il dato obiettivo che se il prezzo è congruo il contratto non si scioglie, il trasferimento della proprietà trova esecuzione in forza di una vendita non coattiva e la cancellazione dell’ipoteca viene disposta, anche se il saldo da effettuare consista in una parte infinitesimale del prezzo o questo sia stato interamente già versato, avendo il promissario acquirente fornito la prova dei pagamenti tracciabili degli acconti[35]. 
In questa costruzione legislativa ancora una volta la massa dei creditori funge da mero spettatore, nel mentre viene lasciata al promissario acquirente l’iniziativa di scegliere la sorte del contratto preliminare e al creditore ipotecario la sola possibilità di contestare la non congruità del prezzo.
6 . Conclusioni
In conclusione, appare chiaro da quanto esposto che colui che esce vincitore, nel senso che ne trae il maggior vantaggio, dalle disposizioni di cui all’art. 173, comma 3, 3 bis e 4 è il promissario acquirente, in ragione evidentemente della tutela che si è voluta attribuire al contraente che persegue il soddisfacimento del primario bisogno abitativo o l’esercizio di attività produttiva, esigenze ritenute prevalenti sugli altri interessi coinvolti. 
Tuttavia, se questo era l’intento del legislatore, in primo luogo sarebbe stato più opportuno limitare la tutela del bene casa non all’immobile destinato ad “abitazione principale”, ma all’immobile destinato a prima abitazione, in modo da escludere che della norma possa usufruire chi sia proprietario di altri immobili destinati ad abitazioni secondarie (case in luoghi di villeggiatura) o commercializzati (dati in locazione), e, comunque, limitarla al bene destinato a costituire l’abitazione del promissario acquirente. La norma, invece, parla di “immobile destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado”, ove la congiunzione disgiuntiva “o” apposta dopo “l’abitazione del promissario acquirente” fa capire che può usufruire dei vantaggi citati il promissario che si obbliga ad acquistare un immobile destinato all’abitazione principale non sua ma dei suoi parenti e affini fino al terzo grado, ossia anche per adibirlo ad abitazione principale del nipote, figlio del fratello o della sorella del proprio coniuge, che è un affine entro il terzo grado. Se proprio si volevano prendere in considerazione anche le esigenze abitative dei parenti ed affini, sarebbe stato più opportuno limitare l’estensione a quelli entro il primo grado, considerati gli effetti negativi sul creditore ipotecario, le cui esigenze possono cedere davanti all’interesse primario del promissario e dei suoi più stretti parenti ed affini, ma pare eccessivamente squilibrato subordinarle anche alle necessità abitative dei nipoti del coniuge del promissario. 
Quanto alla sorte del contratto preliminare emerge chiaro da quanto detto che la strada da seguire sarebbe stata quella del non scioglimento, inteso quale automatico subentro del curatore nel preliminare, eliminando, per le esigenze superiori abitative del promissario, la facoltà di scelta di costui, così come accadeva nel vigore della legge fallimentare, posto che il subentro della massa costituisce il presupposto perché il contraente in bonis possa colloquiare con il curatore e chiedere eventualmente l’esecuzione forzata del preliminare. 
In realtà il patrimonio del debitore ammesso alla liquidazione giudiziale comprende oltre ai beni materiali e immateriali, quelle “entità patrimoniali non ancora acquisite”, come le definiva Pajardi, quali sono i rapporti giuridici contrattuali la cui funzione economico sociale non si è ancora realizzata perché le prestazioni principali e qualificanti la fattispecie negoziale dedotte nelle obbligazioni contrattuali non hanno, al momento dell’apertura della procedura, ricevuto compiuta esecuzione da parte di entrambi i contraenti; sicchè la regolamentazione dei contratti pendenti si pone come strumentale alla realizzazione della funzione liquidatoria della procedura, che si realizza non solo attraverso la conversione in danaro dei beni materiali e immateriali, ma anche attraverso la definizione dei rapporti giuridici patrimoniali derivanti dai contratti ancora pendenti, che si ricollega, come gli altri effetti patrimoniali, allo spossessamento del debitore nei cui confronti è stata aperta la procedura di liquidazione. Se è così, è chiaro che ogni attività del promissario acquirente deve vedere come controparte il curatore, il quale, in tanto può assumere questo ruolo in quanto sia subentrato nel contratto preliminare. 
In tal modo entrambe le parti sarebbero state vincolate, ma il promissario avrebbe avuto comunque la possibilità di utilizzare la disciplina dell'art. 1461 c.c., applicabile al contratto preliminare e comprendente anche il pericolo di vicende ablatorie connesse al dissesto della controparte, sicchè il promissario avrebbe la facoltà di non addivenire alla stipulazione del contratto definitivo qualora, al momento della stipulazione, fosse acclarata la sopravvenuta insolvenza del promittente[36]. Il legislatore, se poi avesse voluto rafforzare tale posizione, avrebbe potuto semplicemente attribuire, dopo la previsione del subentro del curatore, al promissario acquirente il diritto di recesso, come, ad esempio, previsto in favore del curatore dall’art. 185 per la locazione di immobile, fissandone le conseguenze, che avrebbero potuto essere la partecipazione al passivo per il credito restitutorio degli acconti versati. In tal modo il promissario acquirente avrebbe potuto svincolarsi dal contratto preliminare facilmente e se, invece, intenzionato ad arrivare al definitivo avrebbe potuto agire, avanti al giudice ordinario, ai sensi dell’art. 2932 c.c. 
Quand’anche, infine, il legislatore avesse voluto convogliare nel rito dell’accertamento del passivo (della cui utilità non mancano dubbi) l’esecuzione del preliminare, mantenendo la dizione utilizzata, la norma di cui al comma 3 dell’art. 173 avrebbe dovuto prevedere il subentro automatico del curatore nel contratto preliminare, ma non avrebbe dovuto subordinare il non scioglimento alla iniziativa del contraente in bonis e, tanto meno, affermare che il curatore subentra nel contratto con l’accoglimento della domanda. Sarebbe bastata- dopo l’affermazione che il contratto preliminare con le indicate caratteristiche (eventualmente meglio delineate come sopra detto) non si scioglie a seguito dell’apertura a carico del promittente venditore della procedura di liquidazione giudiziale, e quindi continua in capo al curatore in sostituzione dell’originaria controparte- l’aggiunta di una frase del tipo: “il promissario acquirente, qualora a seguito di sua richiesta il curatore non si presti alla stipula del definitivo, può chiedere l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura”; e, per evitare le disfunzioni accennate derivanti dall’eventuale prolungata inerzia del promissario acquirente, aggiungere che “il curatore, se il promissario acquirente non propone tale domanda nel termine fissato per la trasmissione delle domande tempestive, può mettere in mora costui facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni per presentare la domanda, decorso inutilmente il quale il contratto preliminare si intende sciolto”. 
In tal modo, peraltro, il legislatore avrebbe evitato il dubbio, che ora permane, se le parti (curatore subentrato nella posizione del promittente venditore e promissario acquirente) possano addivenire concordemente alla stipula del contratto notarile definitivo, avrebbe ribadito che la scelta di ricorrere ad una soluzione negoziale compete al promissario acquirente perché è solo su sua richiesta che il curatore può stipulare il contratto definitivo, e avrebbe risolto anche un altro problema che al momento rimane, e cioè il coordinamento con il primo comma dell’art. 173. Nel caso infatti in cui il promissario acquirente di immobile abitativo o destinato all’attività con le caratteristiche elencate nel comma 3, abbia promosso l’azione ex art. 2932 c.c già prima della apertura della liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore e trascritto la relativa domanda, rimane il dubbio se trova applicazione il primo comma dell’art. 173, per il quale il curatore può sciogliersi dal contratto ma lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente se la domanda viene successivamente accolta, oppure se si applica il comma 3, che, come detto, non consente al curatore di sciogliersi dal contratto preliminare, ma attribuisce al promissario acquirente il potere di ottenere l’esecuzione del contratto. 
E’ probabile che prevalga questa seconda opzione in quanto il comma 3 contiene una norma speciale alla fattispecie che, rendendo obbligatorio il ricorso al rito concorsuale dell’accertamento del diritto nei termini e con le modalità dettate per le domande di rivendica e restituzione per azionare il diritto ad ottenere l’esecuzione forzata del contratto preliminare, comporta l’improseguibilità del giudizio ordinario pendente, non riassumibile nei confronti del curatore, in virtù del principio della esclusività dell’accertamento del passivo; ad ogni modo se fosse stato previsto il subentro ex lege del curatore nel contratto preliminare, la situazione sarebbe stata semplificata in quanto il subentro automatico, dettato dalla particolare natura dei beni oggetto del preliminare di cui al comma 3, avrebbe impedito al curatore di sciogliersi dal contratto rendendo inapplicabile la disposizione di cui al comma 1[37]. 
Infine, in ossequio al dettato delle Sezioni Unite e, principalmente alla ragionevolezza delle argomentazioni su cui si fonda, l’ipoteca non dovrebbe essere cancellata, ma la questione non è di agevole soluzione. 
Questa soluzione drastica della permanenza dell’ipoteca non è realizzabile perché il promissario acquirente all’atto della dimostrazione di aver pagato l’intero prezzo convenuto ha diritto ad ottenere la cancellazione dei gravami, rischio il blocco delle vendite. Altrettanto di difficile realizzazione è la pur ottima idea[38] di organizzare un meccanismo che consenta nei casi in esame di indirizzare gli acconti via via corrisposti direttamente al creditore ipotecario, con contestuale dichiarazione di questi di riduzione del debito e annotazione ipotecaria in riduzione 
In realtà, a mio avviso, il problema della conciliazione degli interessi in gioco non è soltanto difficile ma probabilmente insolubile, per cui l’unica proposta fattibile è lasciare la situazione come è[39], ma la cancellazione delle ipoteche dovrebbe seguire non “in tutti i casi di subentro del curatore”, bensì solo nel caso di subentro in un contratto preliminare di vendita di immobile con le caratteristiche indicate nel comma 3 dell’art. 173, perché solo in tal caso, può trovare giustificazione la prevalenza dele esigenze abitative e di produzione su quelle del creditore ipotecario. Fermo restando, da un lato, che gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari all’importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato con mezzi tracciabili, e, dall’altro che il creditore ipotecario può contestare, con l’impugnazione di cui all’articolo 206, comma 3, la non congruità del prezzo pattuito dimostrando che, al momento della stipula del contratto, il valore di mercato del bene era superiore a quello pattuito di almeno un quarto (o anche meno), con la conseguenza che se la non congruità del prezzo è accertata il contratto si scioglie e si procede alla liquidazione del bene 
Personalmente, sempre allo scopo di bilanciare gli interessi in gioco, escluderei la facoltà del promissario acquirente di evitare lo scioglimento del contratto eseguendo il pagamento della differenza prima che il collegio provveda sull’impugnazione ai sensi dell’articolo 207, dato che il contratto sottoscritto è quello vincolante tra le parti e anche per il curatore che vi subentra al posto del promittente venditore e non si vede perché offrire questa ulteriore ancora di salvezza al promissario che, se è riuscito a spuntare un prezzo così favorevole inferiore di oltre un quarto a quello di mercato, è probabile che abbia approfittato della posizione di debolezza del promittente venditore poi assoggettato alla liquidazione giudiziale; e non è edificante dare a chi ha cercato di lucrare sul prezzo, la possibilità di riparare una volta scoperto, evitando lo scioglimento del contratto. 
Sono piccoli suggerimenti quelli proposti, non risolutivi, ma certamente idonei a razionalizzare una norma che al momento non ha senso facilitando anche il compito dell’interprete.

Note:

[1] 
Normalmente il promissario acquirente, specie se ha corrisposto una cospicua caparra o altre anticipazioni, sarà interessato ad ottenere il trasferimento del bene oggetto del preliminare, data anche la destinazione dello stesso, tuttavia non è da escludere che il promissario acquirente, a causa del mutamento del mercato, di una modifica della situazione familiare, del ritrovamento di una occasione preferibile, ecc., non abbia più interesse ad arrivare alla esecuzione del contratto e rimanga, quindi inerte, determinando lo scioglimento del contratto.
[2] 
Se, invero, entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all'articolo 2652, c.c., gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano a norma del citato comma 3 dell’art. 2645 c.c., e di conseguenza il preliminare si scioglie per il mancato avveramento della condizione di cui al comma 3 dell’art. 173 CCII. Se Invece nei termini indicati sia stata eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare, il contratto preliminare ha esaurito i suoi effetti in quanto è già intervenuto il contratto definitivo o una sentenza ex art. 2932 c.c. Ne consegue che la fattispecie di cui all’art. 173, comma 3, CCII, che fa leva su un contratto preliminare ancora pendente richiede che non siano decorsi i termini indicati, o, al massimo, che nei termini indicati sia stata proposta e trascritta domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., su cui il giudice non si sia ancora pronunciato. 
[3] 
Così, recentissimamente, Cass., 8 febbraio 2025, n. 3220, in Dirittodellacrisi.it, che ha anche ricordato che la S. Corte ha più volte affermato “il principio secondo il quale nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l'esame complessivo del testo, della "mens legis", specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma così come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa”. 
[4] 
Immediatamente proposta da chi scrive, cfr., G. Bozza, L’accertamento del passivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Il Fall., 2019, 1210; condivisa da M. Fabiani, I principi di vertice dell’accertamento dello stato passivo all’esito del processo di riforma e le correlazioni con la liquidazione dell’attivo, in Dirittodellacrisi.it, 29 maggio 2024, lì dove scrive che “Per il ‘preliminare speciale protetto’ (quello per la prima casa o per lo stabilimento produttivo), si stabilisce che il promissario acquirente può evitare lo scioglimento a due condizioni: (i)..., (ii)- che il promissario acquirente manifesti la volontà di esecuzione del contratto presentando la domanda di accertamento del diritto contro la massa dei creditori”. Più sfumata sul punto è la posizione dello stesso Autore, Spigolature su alcune novità in materia di liquidazione giudiziale e di concordato nella liquidazione giudiziale, in Procedure concorsuali e crisi d’impresa, 2025, 80-83; Qui l’Autore si sofferma principalmente sul dato processuale sottolineando che la soluzione scelta, seppur macchinosa, “ha, però, un pregio, quello di portare dentro la procedura di concorso una pretesa idonea a pregiudicare gli altri creditori per effetto della sottrazione di un bene dall’attivo”. 
[5] 
Per la verità in questo caso vi è stata l’iniziativa del promissario acquirente di chiedere l’esecuzione del contratto, ma questa domanda potrebbe essere stata formulata in qualsiasi momento della procedura, a contratto preliminare già sciolto, che poi risorgerebbe a seguito della domanda ma potrebbe esser nuovamente dichiarato sciolto in caso di accertata non congruità del prezzo. 
[6] 
Ovviamente quando si parla di condizione ci si riferisce alla condizione non in senso atecnico in quanto qui viene in ballo non un elemento accidentale futuro e incerto del negozio cui è subordinata l’efficacia dello stesso, bensì un evento esterno al contratto preliminare e non previsto dallo stesso dal quale si fanno dipendere non gli effetti dello contratto, ma la sorte del contratto preliminare pendente di vendita di immobile con determinate caratteristiche a seguito dell’apertura della liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore, al fine di stabilire se tale contratto continua con il curatore o si scioglie o va in una fase di sospensione. A loro volta questi effetti discendono da un evento (presentazione o meno della domanda di esecuzione) rapportabile alla mera volontà del promissario acquirente, sicché, seppur volesse parlarsi di condizione, si tratterebbe in ogni caso di una condizione meramente potestativa in quanto l’evento condizionante consisterebbe in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio di una delle parti, che a suo piacimento e in piena discrezionalità, può decidere se dare o non esecuzione al contratto preliminare. 
[7] 
In ogni caso questa situazione di sospensione del contratto in attesa del verificarsi della scelta del promissario acquirente, quand’anche limitata fino al termine finale per la presentazione delle domande tardive (sei mesi prorogabili a dodici dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo), finirebbe per attribuire a costui la massima discrezionalità di decidere se e quando chiedere l’esecuzione del contratto, senza il correttivo di potergli far fisare un termine entro cui prendere la decisione, decorso inutilmente il quale il contratto si intende definitivamente sciolto; con l’ulteriore non indifferente vantaggio dato dalla possibilità di modulare i tempi della richiesta a seconda delle sue esigenze, ritardando il saldo prezzo (normalmente contestuale alla stipula del definitivo) al momento in cui gli è più comodo.
[8] 
Né varrebbe dire che si ha la stessa situazione che normalmente si riproduce quando un contratto pendente è sospeso in attesa della decisione del curatore e questi chiede alla controparte l’adempimento, dato che, in questo caso, il curatore con la sua domanda subentra nel contratto e la controparte destinataria della pretesa è il soggetto che ha sottoscritto il contratto, di modo che il rapporto si instaura tra parti contrattuali. 
[9] 
In tal senso, E. Staunovo Polacco, Il preliminare di vendita immobiliare nell’art. 173 CCII e una possibile migliore tutela degli interessi meritevoli, in Procedure concorsuali e crisi d’impresa, 2025, 165. 
[10] 
Disagio ben colto anche da E. Staunovo Polacco, Il preliminare di vendita immobiliare … cit, 172, quando afferma che questa sorta di diritto del promissario acquirente al recesso ad nutum, a seconda della convenienza del caso crea “un possibile, chiaro, pregiudizio per la massa dei creditori, in tutte le ipotesi nelle quali, sciolto il preliminare, il bene venga poi alienato, nella liquidazione concorsuale, ad un valore inferiore a quello che era stato previsto nel preliminare; magari con un acquisto da parte dello stesso promissario acquirente che, avendo concluso il preliminare al valore di mercato, abbia preferito sfilarsi dalla stipula del definitivo per partecipare agli incanti, fidando di spuntare, con i ribassi, un prezzo più vantaggioso”. 
[11] 
Eliminazione, dopo la previsione che il contratto “non si scioglie”, della condizione che subordina il non scioglimento alla facoltà di scelta attribuita al promissario acquirente di chiedere o non l’esecuzione del contratto. 
[12] 
E’, infatti, giurisprudenza assolutamente consolidata in tema di rapporti fra contratto preliminare e definitivo, quella secondo la quale “ove alla stipula di un contratto preliminare segua, ad opera delle stesse parti, la conclusione del contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l'obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l'unica regolamentazione del rapporto da esse voluta” (Cass., 6 maggio 2024, n. 12090; Cass., 21 dicembre 2017, n. 30735; Cass., 5 ottobre 2017, n. 23252; App. Ancona, 3 gennaio 2025, n.14, in Redaz. Giuffrè., tra le ultime). Considerazioni che valgono pari pari anche quando, invece del contratto definitivo, venga emessa una sentenza ex art. 2932 c.c., che tiene luogo, appunto, del contratto non concluso.
[13] 
Anche il nuovo comma 3 bis tratta del contratto preliminare e della possibilità dello scioglimento in caso di accertata non congruità del prezzo, ove lo scioglimento non presuppone necessariamente il subentro del curatore ex lege, ma semplicemente che il preliminare non si sia già sciolto a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale a carico del promittente venditore. 
[14] 
R. Muroni, La nuova figura della domanda giudiziale di esecuzione del contratto preliminare prevista nel comma 3 dell’art. 173 CCII, in Dirittodellacrisi.it, 17 febbraio 2025. 
[15] 
Risalente a M. Andreoli, Il retratto successorio, in Studi Senesi, 1946, LX, 177. Questa è una delle ricostruzioni dell’istituto del retratto agrario, seppur tra le più accreditate, ma sono state proposte altre rappresentazioni, da quella della identificazione della prelazione e del riscatto quale espressione di un unitario diritto all'acquisto di natura reale, potestativamente attuabile (G.G. Casarotto, La prelazione nell'accesso alla proprietà coltivatrice, Padova, 1988, 194), a quella del retratto quale sanzione nel confronti del primo alienante che non potendo più adempiere al suo obbligo legale di preferenza genera la responsabilità del terzo acquirente (S. Puleo, I diritti potestativi, Milano, 1959, 216.), a quella del retratto quale causa di acquisto ex nunc a titolo originario (F. Gazzara, Retratto successorio e simulazione, in Studi in onore di Salvatore Pugliatti, I, 1, Milano, 1978, 899), ecc. 
[16] 
E qui questa tesi incontra altre difficoltà perché, in caso di surrogazione retroattiva, il retraente dovrebbe pagare al primo cedente, per cui si potrebbe sostenere l'acquisto ex tunc del retraente dal proprietario originario cedente; ma se il bene è stato venduto dall’originario proprietario e l’acquirente lo ha successivamente rivenduto, il retraente deve rivolgersi all’ultimo acquirente corrispondendogli il prezzo quantificato nel primo atto di alienazione, da cui la difficoltà a configurare la sostituzione nella posizione contrattuale di avente causa dal primo cedente mentre viene corrisposto il prezzo del trasferimento all'ultimo titolare del bene (Amplius, cfr., V, Pappa Monteforte, Prelazione agraria e riscatto, in Riv. notariato, 2001, 821). 
[17] 
Tale norma ha il seguente tenore: “Qualora il proprietario non provveda a tale notificazione o il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal contratto di compravendita, l'avente titolo al diritto di prelazione può, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dell'acquirente e da ogni altro successivo avente causa”. 
[18] 
E’ anche probabile che il legislatore abbia generalizzato una situazione che è la più frequente a verificarsi, ossia che al momento dell’apertura della procedura a carico del promittente venditore fosse già scaduto il tempo fissato per la stipula del preliminare, dando per scontata la sussistenza dell’inadempimento da parte del promittente venditore. 
[19] 
Ed, infatti, anche R. Muroni ritiene che si tratti “di una scelta dei conditores poco condivisibile, specie se si considera che la cognizione richiesta ai fini della fondatezza di questa domanda giudiziale è assai complessa, con un onere di puntuale indicazione del cespite immobiliare anche ai fini della trascrizione di cui al nuovo ultimo comma dell’art. 210 CCII e di vaglio di trasferibilità, svolto fino a ieri dal notaio rogante, previa autorizzazione del giudice delegato alla stipula della vendita definitiva. Si tratta di un giudizio evidentemente incompatibile con la natura sommaria del giudizio di verificazione innanzi al giudice delegato e che potrà snodarsi ritualmente nel pieno contraddittorio solo in sede di opposizione allo stato passivo”. 
[20] 
La lett. d) del comma 8 dell’art. 7 della legge delega n. 155/2017 intendeva “Assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari”, e non a tutte le decisioni in tema di rivendica e restituzione, siano esse fondate su diritti reali che obbligatori, ed abbiano ad oggetto immobili o mobili, come invece fa l’art. 204 CCII, anche se per i beni mobili, operando la previsione dell’art. 1153 c.c. e quella dell’art. 620 c.p.c., la affermata stabilità ha scarsa rilevanza. 
[21] 
Dato che a due decisioni - quella sulla pretesa creditoria e quella sulle pretese dei diritti di terzi su beni mobili e immobili - emesse dallo stesso giudice all’esito del medesimo procedimento retto da identiche regole, sono stati attribuiti effetti così diversi. Tuttavia una giustificazione del differente effetto si può trovare nel fatto che la finalità del procedimento di accertamento dei crediti è quella di individuare i creditori aventi diritto a partecipare alla fase esecutiva della ripartizione, ed, a questo scopo, non è necessario realizzare una tutela giurisdizionale basata sul giudicato, ma è sufficiente pervenire ad un provvedimento con prevalente e immediata funzione esecutiva idoneo a determinare effetti preclusivi esclusivamente nell'ambito della procedura concorsuale cui il creditore partecipa. 
[22] 
La ricostruzione più verosimile è, a mio avviso, che con l’intervento il legislatore abbia inteso consentire al debitore di partecipare liberamente, come ogni creditore al procedimento permettendogli di proporre osservazioni scritte e presentare documenti integrativi al progetto di stato passivo fino a cinque giorni prima dell’udienza, e di partecipare al contraddittorio incrociato che si realizza all’udienza di verifica, finalizzato alla impugnazione; ossia, poiché l’impugnazione presuppone la soccombenza deve ritenersi che il liquidato, seppur non sia previsto che prenda conclusioni nella fase necessaria, prenda nel giudizio avanti al giudice delegato almeno posizione in modo da poter giustificare il suo interesse all’impugnazione, il che è più di quanto il liquidato già aveva il diritto di fare, che si riassumeva nel chiedere di essere sentito (art. 203, comma 4, che, probabilmente, sarebbe stata la sede più idonea ad accogliere questo nuovo potere di intervento piuttosto che allocarlo nel comma 5 dell’art. 204, che si occupa degli effetti del decreto che rende esecutivo lo stato passivo. Ovviamente la partecipazione del debitore nella fase sommaria non è obbligatoria, ma pare difficile concepire una sua impugnazione dello stato passivo se non ha assunto nel giudizio iniziale una posizione contrastante con quella poi fatta propria dal giudice delegato, come sembra invece ritenere possibile M. Fabiani, Spigolature su alcune novità…, cit., 84. 
[23] 
Ex multis, Cass., 7 agosto 2023, n. 23963, in Dirittodellacrisi.it; Cass., 28 marzo 2022, n. 9963, in Guida al diritto 2022, 19. 
[24] 
In termini, Cass., 8 settembre 2023, n. 26145, in Dirittodellacrisi.it
[25] 
In linea generale, quando manca una data certa del documento il problema diventa rilevante in quanto va conciliata la posizione del il curatore, che quale terzo sotto il profilo sostanziale ha la possibilità di eccepire la inopponibilità alla massa del contratto per mancanza di data certa, con quella del debitore, parte processuale e sostanziale del rapporto in discussione, che potrebbe dichiarare, con una confessione resa dalla parte in giudizio, che il documento è stato sottoscritto prima dell’apertura della procedura. Nell’impossibilità di immaginare un procedimento con un regime probatorio a doppio binario, nel quale valga sia il qualità di parte del debitore che quella di terzo del curatore, è probabile che si riterrà prevalente l’elemento funzionale alla concorsualità dell’accertamento, con la conseguenza che il regime probatorio dovrà essere quello orientato sulla terzietà del curatore, a tutela in primo luogo degli altri partecipanti al concorso posto che con l’azione di rivendica e restituzione l’istante sottrae un bene alla soddisfazione dei creditori; tuttavia diventa non agevole accettare che si possa dichiarare privo di data certa un documento che la parte contrattuale, spontaneamente o a seguito di deferimento di giuramento (in sede di opposizione) confessi di essere stato stipulato in una certa data, con gli effetti di cui all’art. 2733 c.c.; così come non sarebbe agevole accettare il contrario, che prevalesse, cioè, la dichiarazione della parte sull’eccezione del curatore, che minerebbe alla base i principi su cui si regge il procedimento di verifica, anche se questi sono già in parte sconvolti dal doppio regime degli effetti della esecutività dello stato passivo e della partecipazione del debitore, che soltanto relativamente alle domande di rivendica e restituzione assume il ruolo di parte, nel mentre per l’accertamento dei crediti continua ad essere insignificante. 
[26] 
In tal senso, Cass., 8 febbraio 2017, n. 3310 in Il Fall. 2017, 392, per la quale “in tema di vendita fallimentare - non importa se attuata in forma contrattuale, e non tramite esecuzione coattiva - trova applicazione l'art. 108, comma 2, L. Fall.: con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ed ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato sull'intero prezzo pagato, incluso l'acconto versato al venditore in bonis (e quindi, con perfetta equivalenza, sotto questo profilo, ad una vendita nelle forme dell'esecuzione forzata)”. Affermazione per la verità non sufficientemente motivata, come la novità dell’argomento avrebbe richiesto, dato che la motivazione si esaurisce nella massima riportata diventando sostanzialmente apodittica. 
[27] 
In tal senso Cass., 22 ottobre 2020, n. 23139 che seppur emessa in tema di concordato preventivo con continuità aziendale, ha statuito che “l'assegnazione dell'immobile al socio di una cooperativa, che avvenga in esecuzione di un piano gestionale teso all'ultimazione degli alloggi rimasti incompiuti, non può essere accompagnata dalla cancellazione ex art. 108 l.fall. delle iscrizioni pregiudizievoli, dal momento che i detti effetti purgativi si giustificano solo qualora la vendita si compia in esito ad una procedura competitiva ad evidenza pubblica secondo le regole di cui agli artt. 105 e ss. l. fall. richiamate dall'art. 182, comma 5, l .fall., non anche quando essa sia il frutto della continuazione dell'attività di impresa”. 
[28] 
Cass., Sez. Un., 19 marzo 2024, n. 7337, in Dirittodellacrisi.it, ripresa da Cass., 25 luglio 2024, n. 20863, ivi. 
[29] 
In tal senso, Cass., 26 settembre 2018, n. 22997 con riferimento alla sentenza ex art. 2932 c.c. al di fuori del concorso). Fino al momento dell’avvenuto adempimento il trasferimento della proprietà è sospensivamente condizionato; in caso di mancato adempimento, invero, il pagamento del prezzo ancora dovuto dal promissario compratore, pur conservando la sua originaria natura di prestazione essenziale del compratore, assume anche il valore e la funzione di una condizione sospensiva dell'effetto traslativo, destinata ad avverarsi, nel caso di adempimento, o a divenire irrealizzabile, precludendo l'effetto condizionato, nel caso di omesso pagamento nel termine fissato dalla sentenza (Cass., 3 settembre 2018, n. 21548). 
[30] 
Peraltro questa norma - già irragionevole nell’ipotesi che il bene oggetto del preliminare fosse gravato da ipoteca - comportava, per come era formulata, che il promissario acquirente fosse costretto a subire il sacrificio del doppio pagamento anche in mancanza del beneficio della cancellazione di una iscrizione ipotecaria, dato che la disposizione citata non correlava la inopponibilità della metà del prezzo anticipato all’esistenza di una iscrizione ipotecaria da cancellare, ma ad ogni ipotesi di continuazione del preliminare. 
[31] 
Fissato, ad esempio, in 100 il prezzo dell’acquisto, se gli acconti versati ammontavano a 20, il promissario avrebbe dovuto corrispondere ancora 90 (80 residuo prezzo + 10, pari a metà degli acconti), per cui il prezzo finale di acquisto diventava 110 (20 di acconti + altre 90). Se sul prezzo pattuito il promissario aveva corrisposto acconti per 40, questi avrebbe dovuto corrispondere ancora 80 (60 residuo prezzo + 20, pari a metà degli acconti), per cui il prezzo finale di acquisto diventava 120 (40 di acconti + altre 80), e così via. 
[32] 
Anche questa disposizione (come la precedente sostituita) è slegata dalla cancellazione dell’ipoteca, per cui si applica ad ogni ipotesi di preliminare di vendita in cui subentri il curatore, ma ora si chiede al promissario acquirente soltanto la tracciabile dei pagamenti fatti, che è corretto pretendere non solo nell’interesse dei creditori ipotecari, ma della massa dei creditori. 
[33] 
Contra, E. Staunovo Polacco, Il preliminare di vendita... cit., 173-174, il quale sostiene che “non si comprende per quale ragione il creditore ipotecario sia stato onerato della proposizione di un’impugnazione ai sensi dell’art. 206, comma 3, c.c.i.i., ed invece, ad onta delle esigenze deflattive dei contenziosi condivise da tutti, non gli sia stata concessa, espressamente, la facoltà di intervenire nella fase a quo, evitando a monte, con la prova della non congruità del prezzo, la pronuncia del provvedimento del giudice delegato da impugnare”. 
[34] 
Quesito che giustamente si pone E. Staunovo Polacco, Il preliminare di vendita…, cit. 174, ma può anche ritenersi che il silenzio, quanto al curatore, dipenda dalla possibilità a questi attribuita di esercitare l’azione revocatoria di cui all’art. 166, comma 1, lett. a), che, in presenza di una sproporzione della stessa entità di quella indicata nell’art. 173, comma 3, consente la revocatoria degli atti a titolo oneroso compiuti nel periodo sospetto, posto che la lett. c) del comma 3 dell’art. 166 esenta dalla revocatoria i contratti preliminari aventi lo stesso oggetto di quelli elencati nel comma 3 dell’art. 173 “conclusi a giusto prezzo”, da cui deve dedursi che quelli conclusi a prezzo non giusto (con la sproporzione di cui all’art. 166, comma 1, lett. a), possano essere oggetto di revocatoria, benché lo squilibrio nel contratto preliminare di vendita - che ha effetti obbligatori - non porta di per sé un pregiudizio per i creditori in quanto è solo con il contratto definitivo che il bene oggetto del contratto viene sottratto alla garanzia dei creditori. Tuttavia anche sotto questo profilo i dubbi non sono pochi giacché, al momento dell’apertura della procedura, il preliminare costituisce un contratto pendente, che coinvolge le reciproche obbligazioni delle parti di stipulare il definitivo; da questo contratto in generale il curatore può sciogliersi come prevede il comma 1 dell’art. 173 e non può farlo quando il preliminare abbia ad oggetto i beni di cui al comma 3 in quanto prevale, in tal caso, la tutela dell’interesse del promissario acquirente all’abitazione e allo svolgimento dell’attività, per cui c’è da chiedersi se vi sia spazio, a fronte di una tale regolamentazione, per una revocatoria che porrebbe nel nulla le finalità salvaguardate dalla legge, anche a fronte di una sproporzione regolata dal comma 3 bis dell’art. 173, che attribuisce l’impugnazione al solo creditore ipotecario.
[35] 
Problema che permane anche nel caso il promissario acquirente paghi la differenza per raggiungere il prezzo congruo di mercato perché, se egli ha già integralmente corrisposto il prezzo pattuito, le liquidità su cui il creditore ipotecario può far valere la prelazione sarebbe costituita solo da tale somma. Tutto dipende sempre dall’entità degli acconti versati. 
[36] 
Cfr. Cass., 25 maggio 2022, n.16914, cit. 
[37] 
Situazione completamente diversa da quella della legge fallimentare, ove, come detto vigeva lo stesso principio del subentro obbligatorio per il curatore, che però si inseriva in un contesto normativo che non conteneva una norma simile a quella del primo comma dell’art. 173 CCII. né prevedeva l’obbligatorio ricorso al rito dell’accertamento del passivo per ottenere l’esecuzione del preliminare, per cui il subentro del curatore nel contratto si traduceva, come opportunamente precisa R. Muroni, La nuova figura della domanda giudiziale di esecuzione del contratto preliminare prevista nel comma 3 dell’art. 173 CCII in Dirittodellacrisi.it, 17 febbraio 2025, “nell’applicazione dell’art. 111 c.p.c. e nella efficacia diretta del giudicato traslativo nei confronti del curatore”. 
[38] 
Di E. Staunovo Polacco, Il contratto preliminare…, cit., 177. 
[39] 
“Certo, è una soluzione di compromesso - scrive M. Fabiani, Spigolature su alcune novità…, cit., 82 - e come tale non è la più raffinata, ma lo si potrebbe definire l’ultimo tentativo per conciliare posizioni così conflittuali”. 

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Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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