La disciplina della prescrizione delle azioni sociali di responsabilità[1] nei confronti dei membri degli organi di gestione (e controllo) richiede, com’è noto, un coordinamento tra le norme contenute nel titolo V del Libro VI del Codice Civile e le disposizioni speciali dell’impresa societaria[2].
Com’è noto, l’azione sociale di responsabilità nei confronti dei propri amministratori (e dei soci co-gestori nelle s.r.l.) si prescrive, ex art. 2949 c.c.[3], nel termine di cinque anni, salvo il maggior lasso temporale nel caso in cui il fatto costituisca reato[4].
Il dies a quo del termine prescrizionale decorre dal momento in cui si è verificato l’illecito, fermo restando che l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dalla carica ex art. 2393, comma IV, c.c..
La consumazione dell’illecito non coincide, necessariamente, con la realizzazione della condotta dell’amministratore, poiché il danno può perfezionarsi anche in un diverso momento.
Il consolidato insegnamento giurisprudenziale è fermo nel ritenere infatti che il termine prescrizionale inizi a decorrere soltanto da quanto il danneggiato abbia avuto conoscenza (o, comunque, avrebbe potuto averla con l’uso della ordinaria diligenza) dell’atto illecito, del pregiudizio e del nesso causale[5].
Ad ogni buon conto, la prescrizione delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori resta sospesa, ex art. 2941, n. 7, c.c.[6], fino alla cessazione della carica. Il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ha inoltre inserito nel quarto comma dell’art. 2393 cod. civ. la previsione secondo cui “l’azione [sociale di responsabilità] può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica”. Tale intervento normativo ha portato un problema di sovrapposizione e raccordo tra le due discipline la cui formulazione letterale è pressoché identica[7].
Ogniqualvolta, poi, l’amministratore abbia dolosamente occultato il pregiudizio la prescrizione resta sospesa ai sensi dell’art. 2741, n. 8, c.c.[8], come nel caso (alquanto frequente) in cui l’organo amministrativo abbia deliberatamente alterato le scritture contabili per dissimulare una distrazione.
La sospensione del termine prescrizionale, che realizza una pausa del suo decorso che riprendere a correre dal punto di progressione che aveva raggiunto al verificarsi della causa sospensiva, non opera solo quando questo è già iniziato.
La sospensione infatti opera anche determinando il differimento del dies a quo tutte le volte in cui la causa sospensiva sorga contestualmente alla possibilità di esercitare il diritto.
Tra le diverse cause di sospensione che presuppongono una circostanza fattuale tale da porre il titolare del diritto in condizioni di materiale o morale impossibilità o insuperabile difficoltà, in ordine all’esercizio del diritto rientra certamente l’ipotesi disciplinata dall’art. 2941, n. 7, c.c..
La disposizione citata mira ad evitare che la permanenza in carica degli amministratori finisca col rappresentare un ostacolo alla possibilità, per la società, di potersi avvedere degli illeciti posti in essere dagli amministratori, con conseguente difetto di informazioni in ordine a dati di realtà integranti i presupposti per l’esercizio delle azione di responsabilità contro di essi.
Si pone per questo l’esigenza di non pregiudicare il diritto della società ad agire nei confronti dei suoi amministratori, i quali che, proprio in virtù della carica ricoperta, ben potrebbero deliberatamente occultare i fatti generatori della propria responsabilità, con conseguente successiva impossibilità di esercizio della relativa azione sociale, stante il “provocato” decorso - dal fatto - del termine prescrizionale quinquennale. Quanto precede non impedisce comunque alla assemblea dei soci, anche nel dubbio, di deliberare medio tempore l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità.
La sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941, n. 7, c.c., prevista espressamente relativamente al rapporto tra società e amministratori, per giurisprudenza pacifica, vale anche per gli amministratori di fatto, in ragione della piena equiparazione tra i primi e i secondi[9].
Nel caso in cui la società di trovi in liquidazione, per scioglimento della stessa, nel silenzio della norma, la giurisprudenza ha ritenuto che le regole sulla sospensione della prescrizione della azione di responsabilità dettate espressamente per l’amministratore, valgano (anche) nei confronti del liquidatore[10].
Più precisamente, si ritiene che le regole sulla sospensione della prescrizione previste dall’art. 2941, n. 7, c.c., pur dettate “tra le persone giuridiche e i loro amministratori”, possano essere applicate anche alle azioni di responsabilità promosse nei confronti del liquidatore[11] ex artt. 2476, 2489, 2491 e 2495 c.c., sul presupposto che l’incarico svolto dal medesimo è “universalmente ricondotto alla figura del mandato (…)”[12], atteso che “la ragione sottostante alla causa di sospensione ora in esame, riposa sul carattere fiduciario che caratterizza tali rapporti”[13].
Una interpretazione estensiva della norma pare trovare la sua giustificazione nell’identità di ratio tra le due fattispecie.
Quanto precede lascia tuttavia qualche dubbio sulla correttezza di identico trattamento a situazioni parzialmente difformi poiché amministratore e liquidatore hanno obblighi, poteri e responsabilità (in parte coincidenti ma anche molto) differenti tra loro[14]-[15].