Nell’ambito del panorama economico nazionale, la Struttura per le crisi di impresa (di seguito la Struttura) supporta gli organi politici nell’individuazione e nella gestione delle crisi di impresa e in particolare nella gestione dei tavoli di crisi ministeriali. Essa opera in forma di cooperazione organica tra il Ministero delle imprese e del Made in Italy (di seguito MIMIT) e il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (MLPS), con il contributo di Unioncamere.
Obiettivo del presente scritto, è in primo luogo chiarire al lettore che il concetto di crisi di impresa alla base della normativa sulla gestione delle crisi da parte della Struttura e sul funzionamento dei conseguenti tavoli di crisi può risultare in alcune circostanze assai differente dal medesimo concetto di crisi di impresa previsto dal nuovo Codice delle Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza [1] (di seguito CCII). All’interno della nostra comunità professionale e finanziaria, invece, talvolta si ritiene erroneamente che il concetto di crisi di impresa coincida nella maggior parte delle circostanze, forse anche perché il MIMIT è il soggetto cui è stata assegnata la competenza di alcune procedure concorsuali. La Struttura per la crisi di impresa non deve quindi essere confusa con le Direzioni del MIMIT cui è stata assegnata la competenza di alcune procedure concorsuali in base ad alcune leggi speciali [2], Direzioni con competenze assolutamente distinte. Solo se il tavolo di crisi riguardasse una Società in una delle procedure concorsuali per cui il MIMIT è competente, allora parteciperanno a quello specifico tavolo di crisi, oltre alla Struttura di crisi, anche i rappresentanti MIMIT della Direzione che vigila sulle procedure concorsuali.
Iniziando l’analisi dal concetto di crisi di impresa secondo il CCII, si rileva che all’interno del CCII stesso, l’articolo 2, coerentemente con la Originaria Relazione Illustrativa, reca le principali definizioni richiamate nel corpo del codice con finalità meramente esplicative o di sintesi, e, con questo importante presupposto interpretativo, delinea nel modo seguente i concetti di crisi e insolvenza:
- «crisi»: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate;
- «insolvenza»: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Questa impostazione rispecchia i presupposti della Legge delega, che aveva previsto di introdurre la definizione dello stato di crisi intesa come probabilità di futura insolvenza, «anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica»; sempre secondo la Legge delega, rimane invece invariata l’attuale nozione di insolvenza di cui all’articolo 5 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (la Legge Fallimentare vigente), tant’è vero che la formulazione del CCII è esattamente la medesima.
Lo stato di crisi nel CCII è quindi caratterizzato da un elemento definitorio e da un elemento di natura sintomatica [3]:
- l’elemento definitorio è la probabilità di futura insolvenza, che può essere rappresentata dalla precarietà della situazione finanziaria che renda appunto probabile e non solo possibile l’incapacità di soddisfare le proprie obbligazioni. L’evento di probabile insolvenza è per natura incerto e non deve essere confuso con il concetto di insolvenza prospettica, ovvero uno stato di insolvenza non attuale ma di imminente verificazione che può essere considerato ragionevolmente certo;
- l’elemento di natura sintomatica è rappresentato a sua volta dall’inadeguatezza dei flussi finanziari a far fronte alle obbligazioni pianificate. Secondo la citata dottrina, per interpretare la locuzione pianificate non andrebbe posta enfasi su aspetti strettamente temporali: se si considerassero solo le obbligazioni in tutto o in parte ancora da assumere, l’impresa potrebbe ridurne la portata, ovvero se si considerassero le sole obbligazioni prossime alla scadenza, si potrebbe rientrare nel concetto di insolvenza. Per pianificate si dovrebbero invece intendere le obbligazioni naturalmente programmabili, che l’impresa ha assunto e assumerà nell’ambito di un’ordinaria conduzione del business in continuità.
Nelle normative alla base della gestione della crisi di impresa da parte della Struttura, lo stato di crisi, al contrario, non viene definito così esplicitamente come nel CCII; tuttavia il concetto è agevolmente deducibile analizzando la normativa sul funzionamento della Struttura stessa allorché vengono stabilite le finalità della gestione della crisi.
A tale proposito la normativa sul funzionamento della Struttura è la seguente [4]:
- l’art. 1, comma 852, Legge 27 dicembre 2006, n. 296 prevede che il Mise (ora MIMIT), istituisca, d’intesa con il MLPS, un’apposita struttura, al fine di contrastare il declino dell’apparato produttivo, per la salvaguardia e il consolidamento di attività e dei livelli occupazionali delle imprese di rilevanti dimensioni [5] che versino in crisi economico-finanziaria; la norma prevede altresì forme di cooperazione interorganica fra i due Ministeri, avvalendosi, per le attività ricognitive e di monitoraggio, delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura [6];
- il Decreto ministeriale Mise (ora MIMIT) del 9 marzo 2021 «reca disposizioni in materia di riorganizzazione, semplificazione e potenziamento della Struttura di crisi»;
- la Direttiva Mise (ora MIMIT) del 14 ottobre 2021 disciplina «i criteri per l’individuazione delle crisi d’impresa per la cui trattazione sia competente il Ministero dello sviluppo economico, nonché le modalità per assicurare efficacia e trasparenza nelle procedure di gestione delle stesse».
L’art. 3 primo comma del Decreto del 9 marzo 2021 prevede che le istanze di apertura di un tavolo di crisi ministeriale siano valutate dalla struttura tenendo conto dello stato di difficoltà dell’impresa stessa. La crisi di impresa si caratterizzata dalla presenza di uno o più dei seguenti elementi definiti di difficoltà:
a. Caratteristiche delle imprese (assetto proprietario, forma societaria, dimensione, settore produttivo, numero dei dipendenti, unità operative). Appare evidente come le difficoltà che possano portare a una crisi di impresa di competenza ministeriale possano essere di ordine sia industriale (mercati, prodotti, layout produttivo, filiere, etc.) che societario (situazioni di stallo nella governance che si riflettono nella paralisi gestionale ovvero nella mancanza di ricambio generazionale nell’impresa);
b. Indicatori di bilancio. Sono indicativi di squilibrio economico e/o finanziario; in questo caso, oggi, questi indici sono assimilabili agli indicatori previsti nel CCII per rilevare tempestivamente uno stato di crisi nell’ambito dei nuovi obblighi organizzativi previsti dall’art. 2086 del Codice Civile;
c. Stato di crisi (cause e stato della crisi, eventuale esubero occupazionale, utilizzo di ammortizzatori sociali e di altri strumenti a legislazione vigente volti alla riqualificazione del personale e alla salvaguardia del mercato occupazionale e di accompagno alle quiescenze). Anche in questo caso lo stato di crisi non viene definito, tuttavia si può agevolmente dedurre che l’«eventuale esubero occupazionale, utilizzo di ammortizzatori sociali e di altri strumenti a legislazione vigente volti alla riqualificazione del personale e alla salvaguardia del mercato occupazionale e di accompagno alle quiescenze» siano tutti indicatori di un potenziale stato di crisi.
d. Impatto economico e occupazionale della crisi sul territorio (effetti diretti e indiretti sull’indotto). La crisi non coinvolge solo l’azienda in stato di difficoltà ma anche i lavoratori somministrati a questa azienda da agenzie o altre società [7] e le aziende fornitori e clienti c.d. captive, che operano prevalente- mente con l’azienda stessa.
L’art. 3 secondo comma del medesimo Decreto prevede che la Struttura proceda alla elaborazione di proposte operative e di intervento per il superamento delle crisi aziendali, in coerenza con gli indirizzi del Governo in materia di politica industriale e nel quadro delle politiche di sostegno al sistema produttivo, di reindustrializzazione e di riconversione delle aree e dei settori industriali colpiti da crisi, al fine di contrastare il declino dell’apparato produttivo, anche mediante la salvaguardia e il consolidamento di attività e livelli occupazionali delle imprese di rilevanti dimensioni [8]. La Struttura, statuisce il terzo comma dell’art.3, si rivolge alle imprese interessate a una fase di rilancio aziendale con lavoratori in esubero e da ricollocare nel mercato del lavoro, indirizzando le strategie aziendali e strumenti innovativi per favorire azioni di re-industrializzazione e di ricollocazione dei lavoratori coinvolti.
La Struttura inoltre:
- favorisce l’attrazione di investimenti di operatori nazionali ed esteri quale strumento di risoluzione delle situazioni di crisi operando in sinergia con il Comitato per l’attrazione di investimenti avvalendosi di esperti con il compito di intra- prendere percorsi di reindustrializzazione;
- promuove attività di analisi, ricerca, studio e monitoraggio in raccordo con il sistema camerale e con gli osservatori dedicati alle crisi aziendali e ai processi di risanamento;
- formula proposte generali per l’adozione di azioni e strumenti di contrasto al declino dell’apparato produttivo ed elabora linee guida e proposte normative per il superamento delle crisi aziendali;
- infine, si coordina con i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali favorendo la collaborazione tra organizzazioni sindacali e associazioni datoriali; in tale ambito favorisce le soluzioni di rilancio aziendale indirizzando le strategie aziendali, sperimentando strumenti innovativi per favorire azioni di reindustrializzazione e di ricollocazione dei lavoratori coinvolti.
Ai Tavoli di crisi, secondo l’art. 3 della Direttiva del 14 ottobre 2021 partecipano, di norma, il coordinatore della Struttura, in raccordo con l’Ufficio di Gabinetto del MIMIT, i rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, degli enti territoriali coinvolti nonché i rappresentanti dell’impresa e delle organizzazioni datoriali e sindacali e, se del caso, oltre agli altri Ministeri competenti, a seconda delle tematiche ai fini della risoluzione della crisi. Come anticipato in premessa, la partecipazione ai tavoli può anche essere estesa agli Uffici del MIMIT competenti per le procedure concorsuali.
L’analisi che abbiamo effettuato evidenzia che la crisi che deve essere affrontata dalla Struttura emerge non solo in presenza di uno squilibrio economico finanziario, ma anche in presenza di:
- eventuale esubero occupazionale, utilizzo di ammortizzatori sociali e di altri strumenti a legislazione vigente;
- declino dell’apparato produttivo;
- lavoratori in esubero da ricollocare nel mercato del lavoro.
Pertanto, in caso di squilibrio economico e finanziario, la Struttura interviene solo se vi è un evidente rischio di riflesso negativo sull’occupazione e sulla continuità produttiva. In questa fattispecie, il concetto di crisi di impresa per il CCII e per la Struttura coincide perfettamente. Sempre a tale proposito, si sottolinea che non tutte le società in amministrazione straordinaria sono coinvolte nei Tavoli di crisi; infatti sono coinvolte solo quelle situazioni per le quali è stato richiesto un tavolo di crisi dalle organizzazioni sindacali [9]. I casi di Tavoli di crisi riguardanti società cooperative in crisi o in liquidazione coatta amministrativa sono limitati [10].
La Struttura opera precipuamente nell’ambito della mediazione sindacale e datoriale, e non svolge attività di mediazione tra le Società e il sistema creditizio, come invece ad esempio in Francia [11]. La Struttura non convoca un tavolo di crisi al solo scopo di assistere un’impresa nella sola negoziazione con il sistema bancario. Gli Enti creditizi e finanziari ovvero gli altri creditori possono comunque essere chiamati al tavolo di crisi insieme all’azienda, alle parti sociali e alle Istituzioni per rappresentare lo stato delle trattative negoziali con l’azienda stessa, qualora questa rappresentazione sia essenziale ai fini della continuità dell’attività aziendale. In tale caso le organizzazioni sindacali e datoriali possono chiedere alla Struttura di cercare di agevolare le trattative con gli Enti creditizi e finanziari o comunque comprendere se vi sono problematiche all’interno delle trattative stesse, per non mettere a rischio l’occupazione e la continuità operativa. Analizziamo invece il caso, non infrequente, di un piano di risanamento che prevedesse il raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario di un’impresa o di un Gruppo di imprese attraverso significative azioni di contrazione dell’attività operativa, chiusura di stabilimenti e riduzione dell’occupazione:
- da un punto di vista del CCII potrebbe risultare «bancabile», asseverabile, accettabile dai creditori e dal Tribunale,
- mettendosi invece nella prospettiva della Struttura, questo piano risulterebbe in realtà difficilmente spendibile al tavolo di crisi con le organizzazioni sindacali e con i lavoratori proprio perché non garantirebbe la tutela occupazionale [12].
Pertanto il suddetto piano di risanamento, una volta posto in esecuzione senza l’assenso della maggior parte dei lavoratori, potrebbe trovare l’opposizione, non solo verbale ma anche con manifestazioni in loco, dei lavoratori stessi, delle parti sociali, delle Istituzioni e degli stakeholders locali; le azioni a sostegno dell’occupazione potrebbero lecitamente causare significativi rallentamenti all’attuazione del piano di risanamento con conseguente insuccesso pratico dell’operazione.
Nel caso di chiusura parziale o totale di impianti produttivi o comunque di riduzione dell’organico, qualora la società in questione o i suoi azionisti siano in grado di sostenere gli oneri economico-finanziari di questa manovra senza ricorrere a strumenti di composizione della crisi, la situazione, se rientra nei parametri dimensionali, viene affrontata dalla Struttura, anzi rappresenta il caso di crisi più tipico e spesso mediaticamente rilevante [13]. E tutto ciò pur non essendovi uno stato di crisi ai sensi del CCII. Nell’ambito di un tavolo di crisi, la società che intraprende il percorso di reindustrializzazione di un sito produttivo dismesso spesso ha l’opportunità di acquisire il complesso produttivo (o quanto meno il complesso immobiliare) a valori simbolici, anche perché il Gruppo o la società che ha deciso la dismissione ha sufficienti risorse finanziarie per sostenere il processo. Invece, nell’ambito di un concordato o di una amministrazione straordinaria, o comunque di una procedura di composizione di una crisi ai sensi del CCII, le proposte per risolvere una crisi che emergono ai tavoli assicurando la piena o la massima occupazione possibile devono, nello stesso tempo, essere sostenute da corrispettivi sufficientemente congrui per l’acquisto dei rami aziendali del soggetto insolvente ovvero in crisi finanziaria; diversamente, il percorso di risanamento potrebbe non trovare attuazione pratica in quanto non soddisferebbe anche gli interessi dei creditori (tra cui potrebbero essere ricompresi anche i lavoratori stessi).
Nel complessivo contesto di crisi, uno strumento di contemperamento di tutti gli interessi in gioco è offerto dal Fondo di Salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività di impresa (di seguito Fondo) [14], che riesce a fornire una risposta completa a tutte le fattispecie di crisi di impresa, sia quelle oggetto dell’attività della Struttura, sia le crisi che sono regolate con strumenti previsti dal CCII.
Come noto, il Fondo si distingue, per portata complessiva e per le ambiziose finalità tra gli strumenti introdotti nel 2020 [15] a tutela della nostra economia sin dall’inizio del periodo pandemico [16]. Il Fondo, gestito da Invitalia [17], rappresenta una modalità di intervento pubblico nel capitale di società in crisi consentita dall’Unione europea in materia di aiuti di Stato. L’obiettivo del Fondo è garantire la continuità dell’attività di imprese in difficoltà economico-finanziaria, anche – ma non esclusivamente – per quelle che hanno avviato un confronto presso la Struttura per le crisi d’impresa.
Il Fondo può investire in società che si trovino in diversi stati di difficoltà economico-finanziaria, sia quelle che non riescono a fronteggiare le obbligazioni pianificate ma non versano in uno stato di difficoltà, sia quelle che si trovano in uno stato di difficoltà identificabile, per esempio, nelle società oggetto di una procedura concorsuale per insolvenza e/o nelle società che hanno ridotto il capitale sociale oltre la metà a causa di perdite [18]. Il Fondo può investire nelle società che posseggono almeno una delle caratteristiche previste ai punti a), c) e d) dell’art. 1 della Direttiva MIMIT del 16 ottobre 2021, caratteristiche che giustifichino una trattazione [della crisi n.d.r.] a livello nazionale:
a. imprese aventi un numero di dipendenti assunti in Italia, comprensivo dei lavoratori a termine, degli apprendisti e dei lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, di norma, non inferiore a 250;
b. […]
c. imprese di rilevante interesse nazionale, in quanto detengono beni e rapporti di rilevanza strategica, ai sensi del Decreto legge 5 marzo 2012, n. 21 e successive modificazioni e integrazioni, e svolgono attività rilevanti in termini di indotto per il sistema economico-produttivo, anche per la presenza sul territorio di stabilimenti produttivi;
d. imprese titolari di marchi d’impresa iscritti nel registro di marchi storici di interesse nazionale di cui all’articolo 185-bis del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30.
Non rientrano nelle caratteristiche delle imprese attenzionate dal Fondo quelle descritte al punto b) dell’art. 1 della citata Direttiva, che invece possono comportare l’apertura di un tavolo di crisi; si tratta delle imprese in crisi che sono localizzate in più di una regione in Italia, evidentemente con un numero totale di dipendenti in questione comunque inferiore a 250; il tavolo di crisi viene convocato solamente se lo stato di crisi di queste imprese localizzate in più regioni può comportare riverberi significativi sui livelli occupazionali o sul sistema produttivo.
Il primo intervento del Fondo si è realizzato nei giorni successivi all’insediamento del Ministro dello Sviluppo Economico on. Giancarlo Giorgetti, che ha presieduto i tavoli convocati al Ministero e nel corso dei quali è stato possibile individuare una soluzione in grado di attivare l’investimento privato, garantendo la prosecuzione delle attività d’impresa. La Corneliani di Mantova è una importante azienda italiana del settore dell’abbigliamento che, dopo essersi trovata in difficoltà economico-finanziaria, ha trovato una soluzione alla sua crisi anche attraverso il ricorso a questo nuovo strumento di intervento. Con l’accordo, firmato il 7 aprile 2021, è stato avviato il percorso per la costituzione di una Newco della Corneliani, evitando la cessazione dell’attività produttiva. La nuova società ha potuto contare su investimenti complessivi pari a 17 milioni di euro, tra fondi privati e pubblici (appunto l’ingresso del fondo pubblico, gestito da Invitalia, nel capitale della società). A maggio 2021, un mese dopo l’accordo che ha salvato la Corneliani, è stata riavviata la produzione della collezione autunno-inverno dell’azienda della moda nello stabilimento di Mantova.
Nel 2022 la Società ha chiuso il bilancio in attivo, dopo aver avviato un programma di trenta assunzioni e aver terminato con 14 mesi di anticipo il periodo di cassa integrazione, e ha raggiunto in anticipo gli obiettivi che erano stati fissati per il 2023 [19]. Il positivo risultato ottenuto al tavolo di crisi, Corneliani ha aperto la strada a un metodo [20] che è stato utilizzato per salvaguardare e rilanciare anche altre imprese che si trovano in situazioni di crisi, sia al tavolo di crisi Ministeriale, sia in situazione di crisi ai sensi del CCII. L’intervento del Fondo nel capitale delle società in crisi ovvero nelle newco che rilevano i rami d’azienda operativi da società in crisi è particolarmente apprezzato dalle parti sociali, in quanto l’intervento pubblico del Fondo:
- tutela l’occupazione in quanto l’azienda non può effettuare riduzioni di personale ma deve mantenere almeno il livello occupazionale iniziale;
- consente l’effettuazione di investimenti produttivi, a salvaguardia o addirittura incremento dell’occupazione;
- permette di vigilare con un occhio esterno (il membro indipendente presente in Consiglio di Amministrazione della partecipata) sull’avanzamento della realizzazione del piano di risanamento.
Facendo seguito all’investimento in Corneliani, gli altri interventi del Fondo in società per le quali era aperto un tavolo di crisi, si sono perfezionati in Sicamb, Canepa, Slim Fusina Rolling [21], Titagarh Firema, Ideal Standard e Pernigotti.
Appaiono di particolare interesse, nell’ambito di questa trattazione, i casi Ideal Standard e Pernigotti, entrambe situazioni dove non è stata attivata una procedura ai sensi del CCII. Nel caso Ideal Standard lo stato di difficoltà è stato identificato in quanto lo stabilimento di Trichiana (Belluno) era in perdita economica e deficit finanziario: la multinazionale belga posseduta dai fondi Anchorage Capital e CVC Credit Partners ha dichiarato a ottobre 2021 di voler cessare la produzione. A novembre 2021, dopo alcuni incontri in Regione Veneto, è stato raggiunto al Mise un accordo sindacale con il quale la multinazionale si è impegnata in un percorso condiviso volto ad agevolare la possibile re-industrializzazione del sito di Trichiana e a favorire la massima salvaguardia occupazionale possibile [22]. La re-industrializzazione è stata perfezionata il 23 settembre 2022 con il closing dell’operazione che ha dato vita a una Newco denominata Ceramica Dolomite S.p.A., partecipata dalla Delfin di Del Vecchio, dalla holding della famiglia Rossi Luciani, dalla Zafin (della famiglia Zago, fondatore del gruppo Progest), e da Banca Finint: gli investitori privati hanno versato complessivamente una quota complessiva pari al 53,33%. Ad essi si è affiancato il Fondo con una partecipazione al capitale di pari al 46,67%. L’investimento complessivo è risultato pari a 15 milioni di euro per supportare il rilancio di un’azienda strategica per il territorio e salvaguardare completamente i posti di lavoro.
L’operazione ha previsto l’acquisizione del ramo d’azienda relativo al citato stabilimento industriale nonché altri asset direttamente o indirettamente relativi allo stabilimento, tra cui appunto il marchio storico Ceramica Dolomite. È stata salvaguardata l’occupazione di più di 400 dipendenti della zona (in cui contemporaneamente si era aperta anche la crisi Wambao ACC) e prevedendo anche l’utilizzo di un contratto di espansione con l’assunzione di ulteriori 60 dipendenti [23].
Il caso Pernigotti, lo storico marchio di cioccolato fondato nel 1868 a Novi Ligure, è più articolato in quanto l’operazione deve essere analizzata nell’ambito di un percorso combinato volto a creare un polo italiano di eccellenza del cioccolato che abbia una significativa opportunità di espansione del business all’estero, attraverso sinergie industriali e commerciali con un’altra società italiana, la WalCor. Attraverso questo percorso il Fondo ha pertanto dimostrato di essere uno strumento finanziario idoneo a supportare il rilancio sia di aziende al tavolo di crisi che di aziende in stato di crisi secondo le disposizioni del CCII, favorendo nel medesimo tempo la conservazione, il rilancio e la valorizzazione delle eccellenze del Made in Italy. Come noto, il MIMIT ha il compito di supportare e sostenere le imprese nonché di tutelare la qualità, l’innovazione e l’eccellenza del «Made in Italy», originariamente una indicazione di provenienza che il mercato ha invece riconosciuto come un brand vero e proprio che rappresenta esportazioni per oltre Euro 500 miliardi [24]; Made in Italy, appunto, è la denominazione all’attuale Ministero retto dal Sen. Adolfo Urso.
Il preludio all’operazione Pernigotti è un intervento del Fondo a maggio 2022 per la salvaguardia dei marchi storici, con il quale è partito il piano di rilancio della WalCor. Si tratta di una storica azienda di Cremona fondata nel 1954 da Walter Corsanini [25], poi passata alla famiglia Santini; conta uno stabilimento produttivo a Pozzaglio e Uniti, alle porte di Cremona, dove sono impiegati circa 150 addetti, più l’indotto. WalCor è specializzata nella produzione di uova di Pasqua e monete di cioccolata producendo per la grande distribuzione, e per altre aziende del settore dolciario, servendo le più grandi catene di distribuzione italiane ed estere in quattro continenti e in cinquanta Paesi. Con il closing dell’operazione WalCor, è stata finalizzata la lunga fase del concordato in continuità, rilanciando uno dei maggiori player del settore del cioccolato italiano grazie all’ingresso di due soci: il fondo Lynstone di J.P. Morgan, primaria istituzione finanziaria, e Invitalia attraverso appunto il Fondo. Per il fondo Lynstone si trattava della prima operazione in Italia nel settore.
Conclusa l’operazione WalCor, sempre il Fondo Lynstone, dopo una lunga trattativa annunciata ad agosto 2022, ha finalizzato, a ottobre 2022, il closing con il quale ha acquisito le quote societarie di Pernigotti che erano possedute dalla famiglia turca Toksoz. Il closing pone termine a un periodo di incertezza iniziato nel 2018, quando il gruppo Toksoz ha annunciato la volontà di Pernigotti di voler cessare le attività e dismettere i suoi 56 dipendenti a causa della difficoltà economica e finanziaria. Il riassetto societario è arrivato in contemporanea a un’operazione di finanziamento di 10 milioni di euro operata da illimity Bank a favore di Pernigotti, principalmente finalizzato a supportare le esigenze di liquidità garantendone la piena operatività in una fase strategica per il rilancio della società. Ad agosto 2023 il Fondo è entrato anche nella compagine societaria della Pernigotti Holding S.p.A., la società di scopo costituita dal fondo Lynstone che nel 2022 ha appunto rilevato dal Gruppo Toksoz l’intero capitale sociale della Pernigotti. L’intervento ha consentito di ricostituire il capitale sociale per Euro 7 milioni ponendo le basi per il rilancio di questa produzione di eccellenza nel settore alimentare che vanta oltre 150 anni di storia.
È quindi importante sottolineare che i due soci (Fondo e Fondo Lynstone) cooperano nella stessa misura sia in WalCor che Pernigotti, con le conseguenti sinergie industriali e commerciali che hanno favorito queste operazioni. Pertanto l’intervento del Fondo non solo ha fornito una soluzione per il tavolo di crisi Pernigotti e salvato WalCor che si trovava in una procedura concorsuale, ma ha finanziato due interventi combinati e funzionali a una strategia di consolidamento, rilancio e valorizzazione delle eccellenze del Made in Italy [26] nel settore del cioccolato.
L’operazione WalCor evidenzia che il Fondo effettua anche investimenti in società che non hanno raggiunto un pieno equilibrio economico e finanziario ma che tuttavia non comportano l’apertura di un tavolo di crisi da parte della Struttura. In tale contesto, è importante sottolineare la più recente operazione del Fondo che ha previsto la sottoscrizione ad agosto 2023 di un aumento di capitale per Euro 15 milioni a supporto del nuovo piano di sviluppo e crescita di Snaidero, lo storico marchio di cucine di alta gamma [27]. L’investimento è stato realizzato insieme ai soci preesistenti Dea Capital Alternative Funds SGR e ad AMCO Asset Management Company. Il Gruppo Snaidero, fondato nel 1946 a Majano (Udine), produce e commercializza cucine di design. I marchi del Gruppo vantano un posizionamento nella fascia medio-alta del mercato, ulteriormente rafforzato dalle collaborazioni con designer e architetti di primario standing a livello mondiale.
Anche in questo caso l’aumento di capitale sottoscritto dal Fondo ha puntato a rafforzare uno dei principali marchi del Made in Italy e a sostenerne la crescita all’estero, oltre che a consolidare il posizionamento sul mercato italiano.