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Saggio

La tutela dei creditori nella legislazione antimafia e nella disciplina del sequestro e confisca alla luce del codice della crisi e della riforma Cartabia*

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma
Simona Carosso, Avvocato in Torino

6 Marzo 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Gli Autori si soffermano sui rapporti fra prevenzione penale e tutela del credito alla luce delle recenti riforme ordinamentali.
Riproduzione riservata
È noto che sequestro e confisca si sono rivelate lo strumento più incisivo di contrasto all’economia mafiosa. Esse pongono rimedio al pericolo che ricchezze illecitamente prodotte siano impiegate per finanziare altre attività illecite o siano reinvestite in attività economiche lecite alterando in questo modo il regime di libera concorrenza proprio dell’economia di mercato.
Il codice antimafia (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159) regola nel titolo III del libro I l’amministrazione, la gestione e la separazione dei beni confiscati e nel titolo IV detta norme sulla tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali. Si tratta di norme fondamentali che rispondono ad un’esigenza di giustizia: mentre le misure patrimoniali antimafia sono dirette a sottrarre beni ed imprese alla disponibilità dei criminali mafiosi, l’apertura di una procedura concorsuale sottrae tali beni alla gestione del mafioso per affidarla invece ad un pubblico ufficiale, sotto il controllo del tribunale e del giudice delegato, con la finalità di soddisfare i creditori. Non vi sono quindi, apparentemente, ragioni per applicare anche in questo caso regole di diritto speciale. E d’altra parte il terzo incolpevole, in primo luogo il creditore che ha finanziato l’impresa mafiosa, ad esempio una banca, è un soggetto estraneo all’attività e all’economia criminale. Il denaro che gli pervenga a soddisfazione del credito da lui vantato non viene reinvestito nell’attività illecita. Anche sotto questo profilo, dunque, non vi sarebbero ragioni per applicare le speciali regole dirette a combattere le imprese mafiose.
Vi è sempre stata, in sede interpretativa e nell’aggiornarsi nel tempo della legislazione, una netta tendenza a comprimere i diritti dei creditori ed a valutare in senso restrittivo i limiti all’applicazione della disciplina delle procedure concorsuali, in base alla considerazione che il finanziatore dell’impresa mafiosa non è necessariamente in buona fede; che la restituzione del finanziamento erogato può creare la provvista per nuovi finanziamenti di attività illecite; che le procedure concorsuali per quanto si svolgano sotto il controllo dell’autorità giudiziaria e per mano di curatori e commissari giudiziali che sono pubblici ufficiali, non hanno gli strumenti per verificare la buona fede e l’estraneità alla compagine mafiosa dei creditori che si insinuano al passivo della procedura.
Queste considerazioni hanno portato alla disciplina dettata dagli artt. 63 e ss. del codice antimafia. Prima dell’entrata in vigore del codice, sotto la vigenza della legge n. 575/1965, vi erano orientamenti contrastanti. La Cassazione riteneva prevalente l’interesse dello Stato di assicurare l’efficienza, efficacia ed effettività al sistema antimafia con ciò enunciando, di fatto, un difetto di legittimazione ad intervenire nel procedimento di prevenzione[1].
L’art. 63 prevedeva il diritto-dovere del P.M. di chiedere il fallimento dell’imprenditore i cui beni aziendali fossero stati sottoposti a sequestro o confisca, quando ovviamente ne sussistessero i presupposti e quindi ove ricorresse lo stato di insolvenza. Tuttavia i beni soggetti a sequestro o confisca erano esclusi dall’attivo fallimentare. Le domande dei creditori relative a tali beni erano oggetto di verifica da parte del giudice delegato del tribunale di prevenzione ai sensi degli artt. 52 e ss. codice antimafia. E se nella massa attiva del fallimento erano ricompresi soltanto beni soggetti a sequestro e confisca il tribunale doveva pronunciare la chiusura della procedura, perché essa era ormai priva di scopo, salvo riapertura in caso di revoca del sequestro o della confisca. 
Nel contempo l’amministratore giudiziario della misura di prevenzione poteva chiedere al tribunale fallimentare l’apertura della procedura di concordato preventivo, l’omologa di un accordo di ristrutturazione o poteva predisporre un piano attestato di risanamento nelle forme previste dalla legge fallimentare. 
L’art. 64 dettava disposizioni per stabilire, in modo articolato e completo, la prevalenza della misura del sequestro di prevenzione rispetto al fallimento eventualmente già dichiarato, prevedendo che i crediti già verificati in sede fallimentare dovessero essere nuovamente oggetto di verifica da parte del giudice del tribunale di prevenzione e ribadendo che la procedura fallimentare non poteva proseguire ove il sequestro e la confisca di prevenzione avessero ad oggetto l’intera massa fallimentare.
L’art. 65 disponeva invece che le diverse misure del controllo e dell’amministrazione giudiziaria non potessero essere disposte sui beni compresi nel fallimento, riconoscendo sufficiente garanzia la pendenza della procedura concorsuale. 
Questa disciplina è stata in parte modificata dalla legge 161/2017 che ha modificato il codice antimafia, ma non nei suoi tratti fondamentali. Tuttavia è cambiato il quadro normativo di riferimento perché la legge in parola ha determinato l’applicabilità di sequestro e confisca di prevenzione, oltre che nel caso di reati commessi con finalità di terrorismo (art. 51, comma 3 quater, c.p.p.), anche a soggetti indiziati del delitto di cui all’art. 640 bis c.p. o del delitto di cui all’art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli artt. 314, comma 1, 316, 316 bis, 316 ter, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 e 322 bis c.p. L‘estensione della sfera di applicazione delle misure patrimoniali antimafia ha quindi avuto rilevanti conseguenze, in termini quantitativi e qualitativi sulla tutela dei terzi e sul rapporto tra misure di prevenzione e procedure concorsuali.
Tale estensione non riguarda soltanto l’ambito soggettivo, rispetto al quale è sufficiente la lettura dell’elenco dei soggetti cui possono applicarsi le misure personali di prevenzione ai sensi dell’art. 4 del codice antimafia, richiamato in tema di misure patrimoniali dall’art. 16, ma anche la sfera oggettiva di applicazione. 
L’art. 24, comma 1 bis, del codice dispone infatti che il tribunale, quando dispone la confisca di partecipazioni sociali totalitarie, ordina la confisca anche dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile, tra cui i conti correnti. Il legislatore non ritiene sufficiente colpire la partecipazione totalitaria, la cui disponibilità consente di disporre dell’azienda che costituisce il patrimonio della società cui la partecipazione si riferisce, ma sottrae ai creditori ed ai terzi che vantano diritti sui beni della società una parte del patrimonio stesso, per vincolarlo alla misura di prevenzione ablatoria.
Questo regime rigoroso, anche se è determinato da massime di esperienza secondo le quali la commissione di reati contro la P.A., in particolare la corruzione, e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche è indice dell’esistenza di attività mafiose, viene ad applicarsi a situazioni ben lontane da quelle che sono state alla base della costruzione della disciplina delle misure di prevenzione patrimoniali antimafia, con la conseguenza che il rischio di un trattamento deteriore ingiustificato dei creditori e dei terzi si acuisce.
Questa impostazione ha via via coinvolto anche le misure penali ordinarie, tanto che la struttura attuale dell’articolo 240 bis c.p.- la cosiddetta confisca allargata per sproporzione- ricalca in buona sostanza la disciplina dell’articolo 24 del D.Lgs. n. 159/2011 ed è stata progressivamente resa applicabile a fattispecie di reato del tutto disparate ed anche in questo caso lontane dalle originarie logiche di prevenzione.
Per quanto attiene specificamente i rapporti tra misure cautelari e procedure concorsuali, va rilevato che la giurisprudenza penale ha sempre interpretato restrittivamente il ruolo e le funzioni del curatore. 
Già le Sezioni unite avevano sancito la prevalenza sulla procedura fallimentare della confisca delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione costituisce reato, prevista d all’art. 240, comma 2, c.p., specificando che la res doveva considerarsi “pericolosa in base ad una presunzione assoluta e volendo la legge escludere che il bene potesse essere rimesso in circolazione, sia pure attraverso l’espropriazione del reo, sicché non poteva consentirsi che il bene stesso, restituito all’ufficio fallimentare, potesse essere venduto medio tempore e il ricavato distribuito ai creditori”[2]. Successivamente la giurisprudenza ha assunto profili più rigorosi e poco condivisibili, affermando che “il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, emesso anteriormente alla dichiarazione di fallimento di un'impresa non essendo titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni”[3]. Il principio errato, perché evidentemente il curatore non agisce in proprio né in rappresentanza dei creditori, ma in funzione del munus publicum di cui è investito ed in una situazione in cui il fallito è spossessato ed è privo di legittimazione, è stato corretto da una successiva pronuncia delle Sezioni Unite[4], anche se in seguito la giurisprudenza non si è definitivamente orientata nel senso indicato da queste ultime[5]
 Va poi sottolineato che escludere i diritti della curatela nel caso di sequestro per equivalente che ha carattere sanzionatorio [6], principio affermato da tempo dalla Cassazione anche se con pronunce anche di tenore difforme, stride particolarmente con la tutela dei diritti dei creditori.
Su questa impostazione estremamente rigorosa è intervenuto il legislatore del codice della crisi, approvato definitivamente con il D.Lgs. 83/2022 ed entrato in vigore lo scorso 15 luglio apportando numerose modifiche. Il codice ha riformato profondamente la disciplina delle procedure concorsuali adeguandola anche alle regole fondamentali della Direttiva Insolvency ( Direttiva UE 1023/2019) per quanto concerne le procedure di ristrutturazione. In proposito va sottolineato che la procedura liquidatoria per le imprese che superano i limiti dimensionali del c.d. sovraindebitamento, non è più il fallimento, ma la liquidazione giudiziale, dalla quale esula ogni finalità punitiva e sanzionatoria della persona del debitore. L’eventuale sanzione di comportamenti illeciti è riservata all’ambito strettamente penale, ove vengano posti in essere reati di bancarotta semplice e fraudolenta o altri reati c.d. fallimentari. 
Di conseguenza l’art. 349 del codice ha disposto che “nelle disposizioni normative vigenti” e quindi anche nel codice antimafia i riferimenti al fallimento vanno intesi come alla nuova procedura di liquidazione giudiziale. Gli artt. 63 e ss. del codice antimafia, di cui abbiamo discorso, si applicano ora alla liquidazione giudiziale disciplinata dagli artt. 221 e ss. CCII. 
L’art. 317 rinvia al codice antimafia nello stabilire che la prevalenza delle misure cautelari reali sui beni facenti parte dell’attivo della liquidazione giudiziale è regolata dalle norme del codice, ma introduce eccezioni nei successivi artt. 318, 319 e 320.
Va precisato che le misure cautelari reali cui si riferisce il rinvio al codice antimafia sono esclusivamente i sequestri preventivi finalizzati alla confisca la cui attuazione è disciplinata dall’art. 104 bis att. c.p.p.
Per quanto attiene, invece, i provvedimenti di sequestro preventivo previsti dal primo comma dell’articolo 321 c.p.p. (ovvero finalizzati ad evitare la reiterazione del reato o vietare l’aggravamento e la protrazione delle sue conseguenze), l’art. 318 stabilisce la regola opposta al principio giurisprudenziale che abbiamo ora considerato. La norma stabilisce, infatti, che in pendenza della procedura di liquidazione giudiziale, il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 1, c.p.p. sui beni che fanno parte dell’attivo fallimentare non possa essere disposto, salvo che la loro fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione non costituisca reato eccezion fatta per il caso in cui tali attività siano consentite con autorizzazione amministrativa. Nel caso in cui, disposto il sequestro, segua la liquidazione giudiziale, il sequestro è revocato dal giudice a richiesta del curatore. L’art. 319 prevede che non possa essere disposto il sequestro conservativo sui beni che fanno parte dell’attivo del fallimento. Se disposto, il sequestro è revocato dopo l’apertura della liquidazione giudiziale.
Particolare rilievo ha l’articolo 320 che compone i contrasti giurisprudenziali di cui abbiamo fatto menzione attribuendo espressamente al curatore la legittimazione a proporre richiesta di riesame e/o appello contro i provvedimenti in materia di sequestro. Infine l’art. 321 prevede che le medesime regole si applichino in quanto compatibili anche alla liquidazione coatta amministrativa. 
Si tratta dunque di disposizioni, quelle contenute nel codice della crisi, che non riguardano direttamente la disciplina delle misure patrimoniali antimafia, ma si riferiscono al sequestro ed alla confisca regolati dal codice di procedura penale. 
Su queste norme si è sovrapposto il testo modificato dell’art. 104 bis disp. att. C.p.p. come modificato dalla riforma Cartabia del codice di rito (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150). La norma in questione ha ripristinato il regime vigente prima dell’approvazione del codice della crisi, riducendo di molto la portata delle modifiche introdotte dagli artt. 318 e ss. del codice stesso.
L’art. 104 bis, primo comma, prevedeva già che nel caso in cui il sequestro preventivoo avesse per oggetto aziende, società ovvero beni di cui fosse necessario assicurare l'amministrazione, l’autorità giudiziaria dovesse nominare un amministratore giudiziario scelto nell’albo degli amministratori giudiziari previsto dall’art. 35 del codice antimafia. Tale principio viene ribadito e l’incipit della norma viene modificato sostituendo l’espressione “Nel caso in cui …” con la più ampia formula “In tutti i casi..”. Ne deriva che l’apertura della liquidazione giudiziale non può comportare che i beni oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca siano amministrati dal curatore, dovendo tale incarico essere affidato all’amministratore giudiziario appositamente nominato. 
Il comma 1 bis dell’art. 104 bis stabilisce che in caso di sequestro disposto ai sensi dell’articolo 321, comma 2, c.p.p. o di confisca, ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria si applicano le disposizioni di cui al titolo IV del Libro I del codice antimafia. Sono le norme che prevedono che i crediti dei terzi debbono essere accertati secondo la disciplina antimafia e con gli speciali vincoli diretti a limitarli ai casi in cui il creditore sia in grado di dimostrare buona fede ed incolpevole affidamento.
 L’art. 104 bis, comma 1 bis, riguarda anche i rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria. Ritorna quindi il regime degli artt. 63 e ss. della disciplina antimafia, con la prevalenza della procedura di prevenzione sulla liquidazione giudiziale. 
Va sottolineato che, poiché il primo comma dell’art. 104 bis prevede che l’amministratore giudiziario è nominato dall’autorità giudiziaria che dispone il sequestro preventivo o la confisca di aziende, società o finanche beni di cui è necessario assicurare l’amministrazione, e poiché da tale nomina discende l’applicazione delle disposizioni dei titoli III e IV del libro I del codice antimafia, in tutti i casi in cui vi è un’impresa da gestire ( e la liquidazione giudiziale per definizione non può che riguardare un imprenditore) la gestione spetterà all’amministratore giudiziario e non al curatore. 
Non solo, ai sensi dell’articolo 104 comma 1 ter i compiti del giudice delegato alla procedura ai sensi dell’articolo 35 del Codice Antimafia verranno svolti nel corso di tutto il procedimento dal giudice che ha emesso il decreto di sequestro, ovvero, nel caso di provvedimento emesso da organo collegiale, al giudice delegato nominato ai sensi di tale disposizione.
Infine in caso di sequestro finalizzato alla confisca allargata o per i reati di cui all’articolo 51 comma 3 bis c.p.p., trovano applicazione anche le norme del codice antimafia in materia di amministrazione, destinazione dei beni sequestrati e confiscati con la previsione dell’intervento dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati chiamata a coadiuvare l’Autorità Giudiziaria sino alla confisca di secondo grado.
Per aziende, società e beni da amministrare- quali potrebbero essere semplici immobili- è stata quindi prevista una disciplina di osmosi progressiva e crescente tra sequestro preventivo, confisca e procedimento di prevenzione.
Di particolare rilievo è l’inserimento della confisca tra i provvedimenti che, ai sensi del nuovo testo dell’articolo 104 bis disp. att. c.p.p., impongono la nomina dell’amministratore giudiziario.
Come è stato puntualmente osservato in dottrina, se la confisca è preceduta dal sequestro, l’amministratore giudiziario nominato al momento dell’adozione della misura cautelare svolgerà la sua attività fino alla confisca definitiva, poiché ai sensi dell’articolo 323 comma 3 c.p.p., in caso di condanna, gli effetti del sequestro permangono, quando sia stata disposta la confisca delle cose sequestrate.
Al contrario, allorquando la confisca venga disposta dal Giudice in assenza di un preventivo provvedimento di sequestro, essa non è immediatamente esecutiva, di tal che non si configurerebbe la necessità di nominare un amministratore giudiziario.
L’inserimento del termine confisca al primo comma dell’articolo 104 bis att. c.p.p. consentirebbe quindi di assicurare l’amministrazione giudiziaria dei beni confiscati sotto la direzione del giudice dell’esecuzione dal momento in cui il provvedimento ablativo diventa definitivo sino alla vendita dei cespiti ex art. 86, comma 1, disp. att. c.p.p.[7]
L’articolo 104 bis, comma 1, quienquies c.p.p. ha, inoltre, opportunamente stabilito l’obbligo di citazione nel processo di cognizione dei terzi titolari di diritti reali o di godimento sui beni in sequestro di cui l’imputato abbia la disponibilità a qualunque titolo, garantendo di tal modo una immediata possibilità di tutela delle loro ragioni nel procedimento anche prima dell’adozione di una misura loro pregiudizievole e senza i limiti dell’impugnativa avverso i provvedimenti di sequestro e confisca.
Su questo punto corre l’obbligo di precisare che i terzi titolari di diritti reali o di godimento sui beni ai quali si riferisce questa disposizione sono i soggetti che possano vantare un titolo alla restituzione del bene colpito da un provvedimento ablativo o cautelare.
La formula utilizzata dal legislatore ricalca infatti le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità per individuare i soggetti “legittimati” ad impugnare i provvedimenti cautelari reali.
Si tratta quindi non solo del proprietario o del titolare di un diritto reale o di godimento sulla res, ma anche di coloro i quali vantino un titolo , sia pure derivante da un rapporto obbligatorio, idoneo a conseguire il possesso o la detenzione del bene legittimandone quindi il diritto alla restituzione.[8]
Al contrario, non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della disposizione i creditori seppure assistiti da garanzia reale, in quanto “il diritto di sequela” si concretizza nel diritto al soddisfacimento del credito e non nel diritto alla restituzione del bene.[9] 
Per quanto riguarda i terzi titolari di diritti di credito la progressiva osmosi tra le diposizioni processuali penali e le disposizioni del Codice Antimafia comprime di fatto questi stessi diritti.
Come indicato in precedenza, nei casi di sequestro finalizzato alla confisca o di confisca l'articolo 104 bis disp. att. c.p.p. prevede che colui il quale intenda far valere il proprio credito deve necessariamente partecipare al procedimento disciplinato dal Codice Antimafia assoggettandosi a regole assolutamente peculiari e differenti rispetto a quelle dell’esecuzione civile.
L’ammissione del credito al riparto dei beni sottoposti a vincolo è, infatti, subordinata all’accertamento della natura non strumentale del credito ed alla dimostrazione della buona fede e dell’incolpevole affidamento del terzo creditore, secondo una logica del tutto sconosciuta, salvo casi eccezionali al diritto civile, nell’ambito del quale la buona fede del titolare del diritto si presume.[10]
Non solo, il rinvio all’articolo 53 del Codice Antimafia sottrae alla disponibilità dei creditori di cui è stata accertata la buona fede e l’estraneità alla vicenda penale che ha portato al sequestro, ben il 40% di quanto ricavato dai beni oggetto di ablazione, al netto delle spese sostenute per la gestione dei beni sequestrati.[11]
Un ultimo ma fondamentale riferimento va fatto all’introduzione del comma 1 bis nel corpo dell’articolo 86 disp.att. c.p.p.
Ai sensi della nuova disposizione, qualora sia disposta confisca per equivalente di beni non sottoposti a sequestro o, comunque, non specificamente individuati nel provvedimento che dispone la confisca, l’esecuzione si svolge con le modalità previste per l’esecuzione delle pene pecuniarie, ferma restando la possibilità per il PM di dare esecuzione al provvedimento su beni individuati successivamente al provvedimento ablativo.
Questa disposizione solleva numerosi problemi di coerenza sistemica e di concreta difficoltà applicativa, nonché profili di legittimità costituzionale in ragione della disparità esistente tra le posizione dei soggetti da attinti da confisca per equivalente preceduta da un provvedimento di sequestro e quella dei soggetti attinti dalla medesima tipologia di confisca non preceduta da sequestro.
Mentre il primo comma prevede infatti per la generalità delle confische che la cancelleria provveda alla vendita delle cose confiscate, salvo che per esse sia prevista una specifica destinazione, consentendo l’applicazione degli istituti previsti dagli articoli 543 bis e 591 bis c.p.c., il comma 1 bis introduce un nuovo “genus” di procedura esecutiva ispirato a criteri totalmente differenti ed antinomici rispetto a quelli dell’esecuzione civile, alla procedura del codice antimafia e a quelli introdotti dal codice della crisi.
Il rinvio all’articolo 660 c.p.p. in materia di esecuzione delle pene pecuniarie potrà, infatti consentire la conversione della confisca per equivalente non preceduta da sequestro in una pena sostitutiva ovverossia nell’applicazione nei confronti del condannato delle misure del lavoro di pubblica utilità o della detenzione domiciliare sostitutiva .
La relazione governativa giustifica questa scelta sul rilievo che la conversione della confisca per equivalente in una pena sostitutiva è coerente con la natura di sanzione penale riconosciuta come propria di tale forma di confisca dalla giurisprudenza e dalla dottrina e che tale possibilità di conversione è già prevista in altri ordinamenti europei e giudicata compatibile con il diritto UE.
Questa nuova procedura non potrà tuttavia che alimentare la confusione esistente tra differenti tipologie di confisca.
Non solo, l’articolo 86 disp. att. c.p.p. non contiene alcuna norma a tutela dei terzi interessati qualora l’individuazione dei beni da confiscare venga effettuata dal PM successivamente al provvedimento ablativo
Nel caso in esame, ad avviso della dottrina sarebbe stato opportuno quantomeno prevedere espressamente il diritto dei terzi interessati di adire il giudice dell’esecuzione per contrastare i criteri adottati dal Pubblico Ministero nella scelta dei cespiti da confiscare o del valore da attribuire ai beni individuati.[12]
La riforma Cartabia si proponeva, secondo le intenzioni annunciate all’inizio dell’anno passato, di preferire forme di amministrazione dinamica – anziché di mera custodia – dei beni sottoposti a vincolo, assumendo le norme del codice antimafia quale modello di riferimento per ogni tipologia di sequestro o confisca, così da scongiurare eventuali perdite di produttività in conseguenza del vincolo imposto dal giudice della cautela penale e salvaguardare gli interessi economici e sociali coinvolti. Ci si proponeva inoltre di rafforzare la tutela dei terzi titolari di diritti sui beni sottoposti a vincolo, sin dalla fase di cognizione. 
Questi buoni propositi sono stati attuati senza tener conto degli interventi già effettuati con il codice della crisi. Così, come si si osservava all’inizio, mentre è ragionevole la scelta di dare la prevalenza alla tutela apprestata dallo Stato con le misure antimafia quando sia questione di attività mafiose in senso stretto, l’estensione vuoi della normativa antimafia ad altri tipi di illeciti penali, vuoi di tale normativa nei tratti più salienti ai casi ordinari di sequestro preventivo e confisca, almeno quando sia questione di aziende o imprese, porta ad un’estensione non sempre giustificata di tale tipo di tutela a fronte dei creditori terzi di buona fede. 

Note:

[1] 
Cass., Sez. I, 9 novembre 1987, Nicoletti, in Cass. pen., 1989.
[2] 
Cass., Sez. un., 24 maggio 2004, Focarelli, in Mass. Uff., n. 228164.
[3] 
Cass., Sez. 2, 16 aprile 2019, n. 27262. La sentenza ha ritenuto inapplicabile la diversa disciplina dettata dal codice della crisi, di cui si dirà in appresso, perché non ancora in vigore.
[4] 
Cass. S.U., 26 settembre 2019, n. 45936; Cass. Sez. 2, 17 maggio 2019, n. 38753.
[5] 
Cfr. ad esempio Cass. 26 novembre 2021, n. 3575; Cass. 3 dicembre 2021, n. 864.
[6] 
In questi termini Così Sez. un., 26 giugno 2015, Lucci, in Mass. Uff., n. 264435; Id., Sez. un., 25 settembre 2014, Uniland S.p.a. in tema di confisca per equivalente e confisca ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. n. 231/2001. Tra le sezioni semplici ex multis Cass., sez. IV, 3 dicembre 2021, n. 864, Donato; Cass., sez. 3, 26 febbraio 2020, n. 14766, PMT.
[7] 
Così F. Menditto: “La riforma penale (L.n. 134/2021): le disposizioni in materia di sequestro e confisca dello schema di decreto delegato presentato dal Governo” in Sistema Penale settembre 2022 pag. 31.
[8] 
C. Cass. Sez..III penale 22 aprile 2010 n. 26196, C. Cass. Sez. III penale novembre 2021 n. 40756.
[9] 
C. Cass. Sez. III penale 10 giugno 2022 n. 32760.
[10] 
A. Auletta : “Ancora oscillazioni giurisprudenziali sui rapporti tra procedure esecutive individuali e misure penali” in InExecutivis- La Rivista Telematica dell’esecuzione forzata luglio 2022 pag. 2.
[11] 
P. Chiaraviglio - R. Paese: “15 luglio 2022:” La prevalenza dei sequestri e delle confische penali sulle liquidazioni giudiziali entra in vigore. Estesa (non senza ripensamenti la disciplina della tutela dei terzi” in Sistema Penale luglio 2022 pag. 5 e segg.
[12] 
In questo senso F. Menditto op. cit. pag. 24.

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Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

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Società per lo studio del diritto della crisi

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