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Saggio

L’aggiornamento delle Disposizioni di Vigilanza di Banca d’Italia sulla classificazione dei finanziamenti alle imprese in crisi: un’occasione mancata?*

Sido Bonfatti, Professore di diritto fallimentare nell’Università di Modena e Reggio Emilia, già Ordinario di diritto commerciale nel medesimo ateneo
Salvatore Rizzo, Avvocato addetto all'Ufficio crediti non performing istituto bancario

16 Aprile 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Gli Autori prendono in considerazione le modificazioni apportate alla “Circolare“ n. 272 del 30 luglio 2008 della Banca d’Italia alla c.d. “Matrice dei conti”  - così denominata perché organizzata in righe (le “voci”) e colonne  (gli “attributi informativi “), per l’appunto come una matrice -, con riguardo agli aggiornamenti suggeriti dalle recenti innovazioni normative alla disciplina delle “procedure di crisi“ delle imprese. Particolare interesse, sotto questo profilo, viene dedicato alla procedura di “Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d’Impresa “, ed alla individuazione della corretta classificazione dei finanziamenti erogati in regime di prededucibilità dei relativi crediti.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
In data 28 novembre 2023 Banca d’Italia, all’esito del consueto processo di pubblica consultazione, ha emanato l’Aggiornamento n. 17 della Circolare 272/2008 denominata “Matrice dei Conti” (di seguito, per brevità, “la Circolare”)[1], unitamente ad aggiornamenti che hanno interessato anche ulteriori Circolari di Vigilanza, al fine di apportare le necessarie modifiche agli schemi segnaletici di vigilanza individuali delle banche, funzionali ad implementare le nuove richieste informative: ciò allo scopo di: a) adeguare i riferimenti delle esposizioni creditizie deteriorate alla nuova disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza; b) recepire, nelle segnalazioni sui servizi di pagamento, le precisazioni e indicazioni fornite dal Team Pay della Banca Centrale Europea, connesse con il Regolamento (UE) 2020/2011 della stessa del 1° dicembre 2020, relativo alle statistiche sui pagamenti; c) rendere più granulari – nella voce relativa ai dati settoriali e territoriali sulla qualità del credito connesso ai  finanziamenti bancari – i dati sulla ripartizione settoriale della clientela. 
Ai fini del presente lavoro riveste particolare interesse – nella duplice prospettiva del diritto concorsuale e del diritto bancario – sottoporre ad un primo esame le principali novità apportate dalla Circolare con riguardo al raccordo (anche interpretativo) che l’Autorità di vigilanza ha effettuato tra esposizioni creditizie deteriorate e Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza (di seguito, per brevità, CCII). La Circolare rappresenta, infatti, per banche e intermediari finanziari, uno strumento particolarmente utile per ricavare  (in aggiunta alla  - e alle volte, ad integrazione della - regolamentazione “di primo livello”) – vale a dire le Guidelines EBA sull’applicazione della definizione di default ai sensi dell’articolo 178 del Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio (EBA/GL/2016/07, di seguito anche le Guidelines) indicazioni della Vigilanza sulla corretta classificazione delle esposizioni creditizie interessate da ricorso alle “procedure” disciplinate dal CCII.
2 . L’accesso al c.d. “procedimento unitario” nella sola prospettiva del Concordato preventivo “in bianco”
Una volta constatata la sostanziale invarianza rispetto alla previgente e tuttora valida tripartizione delle esposizioni deteriorate, suddivise tra esposizioni a “sofferenza”, ad “inadempienza probabile”, “scadute/sconfinanti deteriorate” -[2], la prima considerazione formulabile riguarda la novità introdotta dall’Autorità di Vigilanza circa la classificazione di esposizioni creditizie di imprese che accedono alla procedura (rectius allo Strumento di Regolazione della Crisi e dell’Insolvenza ex art. 2 lett. m-bis) CCII) di Concordato preventivo – testualmente – “ai sensi degli artt. 40 e ss. del Codice della crisi e dell’insolvenza. Dette esposizioni – secondo la Circolare-  “vanno segnalate tra le inadempienze probabili dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non sia nota l’evoluzione dell’istanza (ad esempio, apertura del Concordato in continuità aziendale con decreto previsto dall’art. 47 del Codice o giudizio di omologazione del Concordato in continuità aziendale ai sensi dell’art. 48 Codice), momento a partire dal quale la classificazione delle esposizioni va effettuata secondo le regole ordinarie (…)”. La nuova formulazione – in prima battuta –  si colloca in continuità rispetto alla previgente indicazione di Vigilanza, posto che anche nella precedente stesura veniva disposto che il complesso delle esposizioni verso debitori che avessero proposto il ricorso per Concordato preventivo c.d. “in bianco” (art. 161 L. fall.) avrebbe dovuto essere segnalato (il ché presuppone ovviamente che prima fosse stato “classificato”) tra le inadempienze probabili dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non fosse nota l’evoluzione dell’istanza[3]. 
Analoghi criteri di classificazione e segnaletici andranno adottati anche nell’ulteriore ipotesi di Concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 84 CCII, ovvero allorquando sia noto l’esito dell’istanza prenotativa e, soprattutto, la procedura di Concordato si connoti per una continuità aziendale (quindi la conclusione non varrebbe per il Concordato liquidatorio). Con riguardo a questa ulteriore ipotesi, la Circolare ha cura di precisare che nel caso di domanda di Concordato con finalità di continuità aziendale (art. 84, commi 2 e 3 CCII), qualora questo si realizzi con la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società (anche di nuova costituzione) non appartenenti al gruppo economico del debitore, l’esposizione deve essere riclassificata nell’ambito delle attività non deteriorate (ovvero dovrà essere classificata in bonis). 
Tale possibilità risulta invece preclusa nel caso di cessione o conferimento ad una società appartenente al medesimo gruppo economico del debitore originario, sulla base della presunzione che nel processo decisionale che ha portato quest’ultimo a presentare domanda di ammissione al Concordato vi sia stato il coinvolgimento della capogruppo/controllante, nell’interesse dell’intero gruppo. In tale situazione l’esposizione verso la società cessionaria deve continuare a essere segnalata nell’ambito delle attività deteriorate, e – in conseguenza di una sorta di “effetto contagio” -  anche i crediti concessi direttamente alla stessa dovranno essere rilevati tra le “esposizioni deteriorate”. 
In virtù di quanto sopra, rispetto al passato si potrebbe giungere agevolmente alla conclusione per cui le esposizioni verso imprese che accedono – ex artt. 40 ss. CCII – alla procedura di Concordato “con riserva” di depositare in un momento successivo la Proposta ed il Piano; nonché nella successiva ipotesi nella quale, scaduta la “riserva”, la Proposta di Concordato si sviluppi in una proposta caratterizzata dal tratto qualificante della continuità aziendale, dovranno essere classificate e segnalate tra le “inadempienze probabili”. 
La considerazione appena formulata, seppur corretta, rischia tuttavia di essere condizionata da una vistosa lacuna regolamentare. 
Rispetto alla previgente legge fallimentare, come ampiamente evidenziato in dottrina[4], il Codice della Crisi ha introdotto significative innovazioni; sia per quanto concerne gli “strumenti” di regolazione della crisi[5] - introducendo nuove procedure ed innestando significative novità nelle preesistenti -, sia per quanto riguarda la “porta di accesso” a detti strumenti di regolazione della crisi, rappresentata dal c.d. “procedimento unitario ai sensi dell’art. 40 CCII. Quest’ultimo, come pure definito nella Relazione governativa allo schema di decreto legislativo da cui è scaturito il CCII, viene qualificato come una sorta di contenitore processuale uniforme delle iniziative di carattere giudiziale fondate sulla prospettazione della crisi o dell’insolvenza del debitore, fatte salve le disposizioni speciali riguardanti l’una o l’altra di tali situazioni. Il CCII pertanto istituisce un modello processuale unitario, destinato alla raccolta di tutte le domande, eventualmente anche contrapposte, presentate dai soggetti legittimati. L’oggetto della “regolazione”, portato dalla domanda, potrà essere di grado maggiore o minore, a seconda che si chieda l’apertura della liquidazione giudiziale, piuttosto che l’omologa dello strumento pattizio. Ne consegue che il modello si connota dell’unitarietà solo per la “domanda”, ma non per i conseguenti “procedimenti”, giacché questi sono tenuti distinti, e regolati da norme differenti, secondo che si tratti del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 41 CCII), ovvero del procedimento di accesso ad una procedura di regolazione concordata della crisi (art. 44 CCII): e la trattazione unitaria è garantita piuttosto dall’art. 7 CCII. Non si ha perciò un vero e proprio “procedimento” unico, anche se, per il modo in cui ne è disciplinato lo svolgimento, si arriva comunque ad un unico provvedimento conclusivo, che ha sempre la forma della sentenza e non del decreto, anche qualora il giudice decida dell’omologazione e non dell’apertura della liquidazione giudiziale[6]. 
Se, dunque, il c.d. procedimento unitario rappresenta per l’impresa debitrice la “porta” di accesso agli strumenti di regolazione della crisi (perlomeno quelli a carattere giudiziario), va da sé che le indicazioni fornite dall’Autorità di Vigilanza nella Circolare in commento non conseguono l’obiettivo di creare un collegamento pienamente coerente tra la disciplina prudenziale relativa alle esposizioni deteriorate e la disciplina del diritto concorsuale. La Circolare, infatti, si limita a regolamentare la sola ipotesi della domanda di accesso – tramite procedimento unitario – alla procedura di Concordato preventivo “con riserva”, secondo quanto disposto dagli artt. 40 e 44 CCII, senza tenere in alcun conto gli ulteriori strumenti di regolazione della crisi ai quali l’impresa debitrice – sempre attraverso il ricorso al procedimento unitario – può accedere. 
Significative in questi termini sono le previsioni di cui all’art 40, comma 4, CCII, ove viene espressamente disciplinata l’ulteriore ipotesi di domanda di accesso al giudizio di omologazione di Accordi di Ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, cui sono certamente da aggiungersi anche le ulteriori tipologie di Accordi di Ristrutturazione previsti rispettivamente dall’art. 60 CCII (Accordi di Ristrutturazione cc.dd. “agevolati”); dall’art. 61 (gli Accordi di Ristrutturazione cc.dd. “ad Efficacia Estesa”); dall’art. 64 bis (il Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione) e financo la Liquidazione Giudiziale ex art. 41 CCII. 
Tuttavia, se per quest’ultima si ritiene che la risposta ai dubbi interpretativi possa essere agevolmente conseguita nel senso che l’esposizione creditizia verso una controparte in Liquidazione giudiziale andrà certamente classificata tra le “sofferenze”: risulta meno chiaro – stante il silenzio della Circolare - come ci si debba comportare nell’ipotesi di accesso da parte dell’impresa ad un procedimento unitario con riserva di depositare “il piano e gli accordi” secondo il disposto dell’art. 44, comma 1, CCII, ovvero quando abbia per finalità ultima l’omologazione di un Accordo di Ristrutturazione (nelle sue diverse tipologie). 
Sarebbe allora ipotizzabile  -  soprattutto allorquando la domanda di accesso al procedimento unitario non sia affiancata anche dalla richiesta di accesso alle misure protettive ex art. 54 CCII -, che banche ed intermediari finanziari - al netto di eventuali inadempimenti emersi in precedenza nell’utilizzo delle linee di credito preesistenti, che abbiano già indotto a rivedere una classificazione dell’esposizione creditizia - possano mantenere in bonis l’esposizione verso l’impresa,  perlomeno fintanto che non sarà noto l’esito della domanda di accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi? 
Ad avviso di chi scrive una simile opzione interpretativa rischia di non risultare del tutto corretta. Come ben noto, banche e intermediari finanziari sono oggi sollecitati dalla regolamentazione di vigilanza ad adottare modelli ed approcci, tanto nella fase di origination del credito[7], quanto nella fase di rilevazione delle situazioni di difficolta finanziaria dei propri clienti[8], di  carattere fortemente previsionale (c.d. foward looking approach), nella prospettiva di assicurare tanto la verifica della capacità dell’impresa debitrice di produrre flussi di cassa idonei a garantire, nel tempo, un regolare rimborso dei prestiti contratti; quanto la immediata rilevabilità di tutte le perdite previste nel corso della vita di un credito, da stimare sulla base di informazioni attendibili, disponibili senza oneri o sforzi irragionevoli, e che includano dati storici attuali e prospettici. Alla luce di un simile approccio può risultare corretto ritenere che le perdite attese (intese come il valore attuale di tutti i futuri mancati incassi o pagamenti, rilevato attraverso una valutazione probabilistica) possano e debbano davvero essere contabilizzate immediatamente, indipendentemente dalla presenza o meno di un trigger event: così come può essere ritenuto corretto concludere che le stime debbano essere continuamente adeguate, anche in considerazione delle variazioni del rischio di credito della controparte, sulla base non solo di fatti e dati passati e presenti, ma anche e soprattutto di previsioni future, anche di tipo macroeconomico. In un simile contesto, risulterebbe non del tutto coerente rispetto alla disciplina prudenziale ritenere che – stante il silenzio della “Circolare” – con riguardo agli ulteriori strumenti di regolazione della crisi a cui le imprese possono accedere per il tramite del procedimento unitario, le relative esposizioni creditizie, in ipotesi di ricorso con riserva di depositare il “Piano” o gli “Accordi, possano essere mantenute in bonis
D’altro canto, un’ulteriore conferma - seppur in via indiretta e presumibilmente desumibile soltanto dagli  “addetti ai lavori” - delle conclusioni sopra formulate è rinvenibile nella medesima “Circolare”, laddove la stessa ha cura di precisare che – in ogni caso - ai fini dell’identificazione e classificazione delle esposizioni creditizie deteriorate occorre anche tenere conto di quanto previsto dalle Guidelines EBA in merito all’applicazione della definizione di default ai sensi dell’art. 178 del Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio (EBA/GL/2016/07 - le cc.dd. Guidelines -). 
Ebbene proprio le Guidelines EBA, con specifico riguardo all’ipotesi di procedure concorsuali – ai paragrafi 56 e 57 –, dispongono che ai fini dell’improbabile adempimento di cui all’art. 178, paragrafo 3, lettere e) e f), del Regolamento (UE) n. 575/2013, “gli enti dovrebbero specificare chiaramente nelle rispettive politiche interne quale tipo di accordo è considerato come un provvedimento o come tutela analoga al fallimento, tenendo conto di tutti i relativi quadri giuridici e delle caratteristiche tipiche di tale tutela:  (a) il sistema di tutela comprende tutti i creditori o tutti i creditori con crediti non garantiti;  (b) i termini e le condizioni del sistema di tutela sono approvate dal giudice o da altra autorità competente;  (c) i termini e le condizioni del sistema di tutela comprendono una sospensione temporanea dei pagamenti o l’estinzione parziale del debito;  (d) le misure comportano una qualche forma di controllo sulla gestione della società e delle sue attività;  (e) nel caso in cui il sistema di tutela fallisca, l’impresa sarebbe a rischio di liquidazione”. Ed ancora “Gli enti dovrebbero trattare tutti gli accordi di cui all’allegato A del regolamento (UE) n. 2015/848come un provvedimento o una tutela analoga al fallimento”. Quest’ultimo Regolamento, ancora oggi vigente, provvede a censire nel citato Allegato A) tutte quelle tipologie di accordi che – secondo la disciplina prudenziale – devono essere parificati al “fallimento”, ovvero: Concordato preventivo; Liquidazione coatta amministrativa; Amministrazione straordinaria; Accordi di ristrutturazione; Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore (“accordo” o “piano”); Liquidazione dei beni. 
Ne consegue che anche nelle diverse e non dettagliate (dalla “Circolare”) fattispecie di ricorso da parte di un’impresa debitrice al procedimento unitario con “riserva” di depositare il “Piano” o “l’Accordo”, la classificazione più corretta – sempre che un inadempimento sulle esposizioni creditizie non sia già stato rilevato dall’intermediario e lo stesso, ancora prima di apprendere la notizia del ricorso da parte dell’impresa ad uno strumento di regolazione della crisi, abbia già classificato a “deteriorato” l’esposizione - non potrà che essere quella a default, nella specie di credito classificato “ad inadempienza probabile”. 
Infine si ritiene che analoga considerazione, debba essere formulata con riguardo a tutte le ulteriori tipologie di strumenti di regolazione della crisi previste dal CCII, connotate da un carattere puramente pattizio, ovvero che non prevedano un giudizio di omologazione da parte del Tribunale: ci si riferisce in particolare ai Piani attestati di Risanamento ex art. 56 CCII, alla Convenzione di moratoria ex art. 62 CCII ed alla Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d’Impresa ex artt. 12 ss. CCII (di seguito anche “CNC”). 
3 . Il silenzio sulla Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d’Impresa
Con riguardo all’ultimo istituto menzionato al paragrafo precedente, si deve osservare che la Circolare in commento nulla precisa con riguardo a tale “percorso”: e ciò nonostante lo stesso rappresenti una delle più importanti novità introdotte nel l’ordinamento concorsuale. Risulta allora di particolare interesse provare ad indagare le ragioni di tale “silenzio”, allo scopo di comprendere come dovranno essere classificate e segnalate, dal punto di visita prudenziale, le esposizioni creditizie verso controparti che accedano a detto “strumento”.
In via preliminare è necessario prendere le mosse dalla premessa per cui la Composizione negoziata – come ampiamente condiviso in dottrina[9] - non è qualificabile come una “procedura concorsuale” propriamente detta ma, piuttosto, è definibile come un “percorso” negoziale tra il debitore e suoi creditori, teso ad individuare una soluzione (tra quelle disciplinate analiticamente dall’art. 23 CCII) che consenta di superare la situazione di difficoltà in atto o prospettica. Collocandocisi, allora, in tale prospettiva, una prima interpretazione possibile della mancanza di qualsivoglia riferimento alla Composizione Negoziata nella Circolare di Banca d’Italia potrebbe essere rappresentata dalla considerazione che non trattandosi di “procedura concorsuale” propriamente detta, non si è ritenuto utile e/o necessario fornire indicazioni agli intermediari sul trattamento delle esposizioni creditizie interessate dal ricorso dell’imprenditore a tale strumento. 
Una simile risposta, tuttavia, non pare convincente, non potendosi certamente definire la situazione dell’impresa in Composizione Negoziata come una condizione “ordinaria”: da qui la proposta di una diversa opzione interpretativa, avente quale fondamento non tanto l’inquadramento della “procedura” in sé, quanto piuttosto la valorizzazione dei presupposti oggettivi che inducono l’impresa a, e contemporaneamente le consentono di, accedere alla Composizione negoziata. 
Come noto, l’art. 12 comma 1 CCII dispone che l’imprenditore commerciale o agricolo può chiedere la nomina dell’Esperto – cioè avviare il percorso della Composizione negoziata – “quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile in risanamento dell’impresa”. Assumendo e valorizzando, allora, i presupposti oggettivi della probabile (il termine pare doversi intendere come de minimis) crisi e/o insolvenza (quest’ultima, purchè risolvibile), risulta chiaro che, dal punto di vista prudenziale, una controparte che versi in tale situazione non potrebbe certamente continuare ad essere classificata in bonis: né nell’ipotesi nella quale l’impresa che abbia fatto ricorso alla Composizione negoziata abbia già in essere dei rapporti di finanziamento (è ininfluente la forma tecnica) del tutto regolari presso banche o intermediari finanziari; né – tantomeno - nella diversa ipotesi nella quale l’impresa abbia dei rapporti di finanziamento con impegni scaduti/ sconfinanti (anche non deteriorati, ovvero da non oltre 90 gg.). Ciò perchè, in ogni caso, nel momento dell’accesso dell’impresa alla CNC banche ed intermediari si troverebbero dinanzi ad una controparte che sta dichiarando ai suoi creditori la propria difficoltà a rispettare gli impegni finanziari assunti, anche solo in termini previsionali. 
La suggerita interpretazione[10] è stata tuttavia solo in parte condivisa dalla dottrina[11], sul presupposto per cui l’impresa che accede alla Composizione negoziata sarebbe ancora in bonis (visto e considerato che l’imprenditore mantiene la incondizionata gestione della stessa), nonché valorizzando la circostanza che la crisi o l’insolvenza sarebbe solo “probabile”: in altri termini, la “mera difficoltà” in cui versa l’impresa non integrerebbe ancora  di per sè gli estremi di una crisi vera e propria e, pertanto, una classificazione dell’esposizione creditizia a default –soprattutto in assenza di una richiesta di misure protettive ex art. 18 CCII - non sarebbe del tutto coerente con le finalità proprie di questa “procedura”. 
Simile interpretazione risulta essere solo parzialmente condivisibile: banche ed intermediari sono chiamati – secondo l’approccio cc.dd. forward looking – a monitorare nel continuo la qualità dei propri attivi e, con specifico riguardo alle esposizioni creditizie, a verificare con un approccio “previsionale” la capacità dei propri prenditori di credito (nel caso di specie le imprese) di generare in maniera costante flussi di reddito a servizio della c.d. “debitoria[12]” (tipicamente tramite lo strumento del DSCR –debt service coverage ratio). 
Ne consegue, pertanto, che all’atto di accesso dell’impresa alla CNC, beninteso anche in assenza di ricorso a misure protettive ex art. 18 CCII, è abbastanza probabile che i creditori finanziari abbiano già intercettato – attraverso i propri sistemi di monitoraggio interno – i segnali più o meno manifesti di una situazione di crisi o, peggio, di insolvenza[13], i cui riflessi si sono verosimilmente già prodotti sui rapporti bancari intrattenuti[14]. In ogni caso, anche nell’ipotesi, peraltro paventata proprio dalla citata dottrina, in cui i creditori finanziari non siano stati in grado di intercettare preventivamente segnali di difficoltà - quindi, nell’ipotesi nella quale l’esposizione creditizia all’atto dell’accesso alla Composizione negoziata sia ancora allocata in bonis -, va da sé che si tratterebbe di una classificazione ben poco “durevole”, essendo sufficiente attendere l’evoluzione della “procedura” (la cui durata temporale complessiva è contenuta) - quindi, le proposte formulate dall’impresa debitrice ex art. 23 CCII -, perché i creditori finanziari procedano con l’immediata revisione della posizione di rischio e conseguente classificazione a default. 
L’ulteriore osservazione, pure sollevata dalla citata dottrina, per cui perlomeno nelle ipotesi in cui l’impresa non abbia fatto richiesta di misure protettive, la stessa dovrebbe essere considerata dai suoi creditori - ai fini di nostro interesse  dalle banche e dagli intermediari finanziari -, come una controparte in bonis, non pare convincente. Le misure protettive definite nella Composizione negoziata – di fatto – vogliono replicare lo schema del c.d. automatic stay previsto nella previgente disciplina del Concordato preventivo nel combinato disposto di cui agli artt. 160 e 168 L. fall.: disposizioni in forza delle quali dalla data di pubblicazione del ricorso nel Registro delle Imprese e fino all’omologazione del Concordato i creditori per titolo o causa anteriore non avrebbero potuto, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore. In conformità con questa disciplina, la medesima Circolare della Banca d’Italia prescriveva che l’esposizione dovesse essere classificata e segnalata tra le “inadempienze probabili” nella duplice prospettiva di non frapporre ostacoli al buon esito della procedura intrapresa e, in ogni caso, perchè i creditori finanziari sarebbero stati certamente interessati dalle misure protettive. 
Oggi tuttavia tanto per il Concordato preventivo, quanto per la Composizione negoziata ex art 18 CCII, le misure protettive non sono più automatiche. Come disposto dall’art. 54, comma 2, CCII, dispiegheranno i loro effetti solo se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda ex art. 40 CCII (si escludono le previsioni di cui all’art 94 bis CCII) e anche per la Composizione negoziata è richiesta la relativa conferma all’Autorità giudiziaria. Risulta allora chiaro che la scelta del ricorso o meno alle misure protettive dipende unicamente dal livello di gravità della situazione economico-finanziaria nella quale versa l’impresa, posto che nel momento in cui essa vi ricorre è più verosimile che si versi già in un situazione di insolvenza più che di vera e propria crisi: diversamente ragionando, infatti non si comprenderebbe perchè mai l’impresa si dovrebbe cautelare nei confronti dei propri creditori se si tratta di una “semplice” crisi agevolmente risolvibile. 
Con riguardo alla fattispecie qui considerata la Circolare della Banca d’Italia, come detto, nulla dispone, lasciando così all’interprete l’onere, sulla base delle regole di vigilanza prudenziale, oltre che delle policy creditizie di ciascun intermediario, di valutare e classificare l’esposizione creditizia verso imprese che accedono alla Composizione negoziata. Seguendo il ragionamento innanzi sviluppato, è verosimile ritenere che le esposizioni verso controparti in Composizione negoziata debbano essere anch’esse classificate – al pari di quanto oggi disposto dalla Circolare per l’ipotesi di Concordato preventivo ex art. 40 CCII - ad “inadempienza probabile”, salvo che non ricorrano specifici elementi di diverso contenuto che giustifichino una diversa classificazione (peggiorativa o – teoricamente - anche migliorativa).
4 . La finanza in prededuzione: quali criteri classificatori?
Strettamente correlato alle previsioni della Circolare della Banca d’Italia è l’ulteriore profilo della “nuova finanza” eventualmente concessa da banche e intermediari finanziari ad imprese che intendano fare, ovvero abbiano fatto, ricorso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dal CCII. In coerenza con la Direttiva Insolvency, il Codice per un verso ha inteso porre “ordine” nella identificazione delle fattispecie nelle quali matura il super privilegio della “prededuzione”; per un altro ne ha sottolineata e ribadita la rilevanza per il successo dei percorsi di risanamento aziendale e, di riflesso, per gli stessi creditori delle imprese in difficoltà[15]. Purtroppo, sotto questo specifico profilo, la disciplina prudenziale sconta ritardi e limitazioni regolamentari che rischiano di depotenziare l’efficacia dello strumento. 
In via generale, le segnalazioni di vigilanza presso la Centrale dei Rischi, se prevedono espressamente il campo segnaletico dei finanziamenti prededucibili, dall’altro lato continuano a riferire detta condizione alle sole ipotesi di finanziamenti in prededuzione concessi su posizioni classificate a “sofferenza”, con ciò evidenziando la carenza di disciplina per tutte le altre ipotesi di finanziamenti in prededuzione a controparti classificate ad “inadempienza probabile” (perché in Concordato preventivo o, ancora, nell’ambito di un Accordo di Ristrutturazione dei debiti o di una Composizione negoziata). Infatti, nell’ipotesi di concessione di finanziamenti prededucibili a controparti classificate ad “inadempienza probabile” la relativa categoria di censimento dipenderebbe esclusivamente dalla classificazione della forma tecnica utilizzata: quindi per fare un esempio, l’affidamento per smobilizzo crediti al salvo buon fine sarebbe collocato nella categoria “rischi autoliquidanti”. Risulta allora evidente come vi sia la perdita di un elemento informativo estremamente rilevante – sia per la Vigilanza che per gli intermediari che consultano la Centrale dei Rischi, nella misura in cui – allo stato attuale – non si è in grado di rilevare quali esposizioni concesse all’impresa sono o meno assistite dal beneficio della prededuzione[16]. 
A tale inconveniente si aggiunge quello rappresentato dalla necessità di identificare quali siano i criteri di classificazione da assumere rispetto alle linee di credito assistite dalla prededuzione concesse ad un’impresa che abbia avuto accesso alla Composizione negoziata o ad uno strumento di regolazione della crisi previsto dal CCII. In via generale è necessario distinguere due diversi scenari operativi: (i) l’ipotesi della concessione di finanziamenti ad imprese che accedano ad uno degli strumenti previsti dal CCII da parte di banche e intermediari non aventi pregresse esposizioni creditizie verso la medesima controparte; e, di contro, (ii) l’ipotesi nella quale banche e gli intermediari chiamati a supportare finanziariamente l’impresa presentino pregresse esposizioni verso la stessa. 
Ricorrendo la seconda ipotesi, la risposta è facilmente formulabile: l’eventuale linea aggiuntiva, seppur assistita dal beneficio della prededuzione concessa dal Tribunale, per il principio di uniformità di cui alla Giudelines EBA sulla nozione di default, dovrà ricevere lo stesso status qualificatorio vigente per le pregresse esposizioni. Pertanto, in caso di esposizioni verso un’impresa classificata ad “inadempienza probabile”, l’affidamento aggiuntivo  - sebbene assistito dalla prededuzione – dovrà anch’esso essere classificato e segnalato a default, al pari delle altre linee di credito. 
Nelle diverse ipotesi, invece, nella quale l’affidamento in prededuzione fosse concesso da banche e intermediari non aventi pregresse linee di credito classificate a default verso l’impresa avviata alla Composizione negoziata o ad uno degli strumenti di regolazione della crisi, sarà necessario distinguere a seconda della fase di sviluppo della procedura nella quale il credito venisse concesso, sul presupposto – comune – che alla collocabilità in prededuzione dei crediti derivanti dall’erogazione di “Nuova Finanza” non può essere attribuito un rilievo assorbente ai fini della disciplina prudenziale, in quanto non giustifica di per sè il mantenimento in bonis dell’esposizione di rischio. In altri termini, anche in simili circostanze l’aspetto maggiormente incidente sulla valutazione e classificazione delle esposizioni di rischio sarà rappresentato ancora una volta dalla condizione nella quale versa l’impresa sotto un profilo economico–finanziario, piuttosto che (soltanto) sotto un profilo patrimoniale. 
Se si limita la considerazione del fenomeno al campo di applicazione preso in considerazione dall’aggiornamento delle Disposizioni di Vigilanza qui commentate, rappresentato dal ricorso agli strumenti di regolazione “ai sensi degli artt. 40 ss. del codice della crisi dell’insolvenza”, si può osservare quanto segue:
Nell’ipotesi di richiesta della concessione di finanziamenti interinali ex art. 99 comma 1 e 2 CCII, stante la «non definitività della proposta»,  giacchè la stessa deve ancora essere sottoposta all’esame dei creditori  - e, quindi, la relativa prognosi di buon esito della procedura non può essere considerata certa -, ferma  la necessità di una corretta classificazione della posizione di rischio a default (e quindi sottoposizione dell’esposizione creditizia alle previsioni di cui al Calendar provisioning in termini di coefficienti di svalutazione dell’esposizione creditizia sulla base del vintage della stessa), banche ed intermediari non aventi già pregresse esposizioni verso l’impresa potrebbero essere indotte a concedere il finanziamento in considerazione della ridotta durata temporale dell’affidamento (ovvero sino all’omologa); della prededuzione che assisterebbe la linea in forza di espressa autorizzazione del Tribunale; delle ulteriori garanzie «proprie dell’impresa» (pegno, ipoteca, cessione di crediti) che potrebbero assistere l’affidamento; delle ulteriori garanzie «di terzi» (reali o personali) prestate a tutela dello stesso; dell’applicazione alla linea di credito di condizioni economiche premianti, tutelate della intervenuta autorizzazione del Tribunale. 
In altri termini l’intervento di sostegno finanziario, in tali fattispecie, si configurerebbe più come un intervento opportunistico, soprattutto allorquando tale supporto non proseguisse «oltre» l’omologa. Nella prassi operativa, tuttavia, simili interventi finanziari – propri delle cc.dd. merchant bank – sono destinati a proseguire anche nelle fasi successive in ragione di un interesse della Banca ad incrementare la share of wallet (ovvero acquistare i crediti vantati dalle altre banche esposte verso la medesima impresa[17]) nella prospettiva di arrivare rapidamente all’omologa e conseguente esecuzione della proposta così da chiudere altrettanto rapidamente la procedura intrapresa. 

Nella diversa ipotesi di concessione da parte di banche ed intermediari di “finanziamenti «ponte” ex art. 99, comma 5, CCII, ovvero in funzione della presentazione della domanda di ammissione del Concordato preventivo o di omologazione dell’Accordo di ristrutturazione, poichè la previsione subordina la prededucibilità del finanziamento alla duplice condizione che la linea di credito «sia prevista dal piano»e che il Concordato o l’Accordo di ristrutturazione venga «omologato», l’alea connessa al mancato realizzarsi delle citate condizioni risulta tale, da rendere eccessivamente rischiosa la concessione di finanziamenti all’impresa: fermo restando che anche in questa ipotesi l’intermediario sarà tenuto a classificare l’esposizione creditizia a default (con le connesse ed inevitabili percentuali di svalutazione da applicare), posto che la collocabilità in prededuzione dei relativi crediti risulta del tutto incerta mentre è sicuramente certa la sua sottoposizione alla disciplina prudenziale [18]. 
Da ultimo, nell’ipotesi di richiesta concessione di finanziamenti ex art. 101 comma 1, ovvero «in esecuzione»del Concordato o dell’Accordo di ristrutturazione omologato, purchè gli stessi – identificati quantomeno nel loro ammontare complessivo -  siano «espressamente previsti» nel Piano,  banche ed intermediari potrebbero essere ben più disponibili a concedere affidamenti, in quanto la fase «processuale» si è conclusa con l’omologazione e, quindi, l’impresa è classificabile in bonis[19]. 
Dal punto di viste prudenziale, quindi, la posizione potrebbe essere allocata in stage 2 (cioè un credito in bonis…seppur attenzionato), ovvero mantenendo accantonamenti stimati sull’intera durata residua del finanziamento e, in ogni caso, potendo attribuire rilevanza alle garanzie acquisite (prededuzione in primis[20]) ai fini della determinazione dell’ammontare minimo complessivo degli accantonamenti da appostare. In caso di una esecuzione non puntuale e/o con gravi inadempimenti rispetto a quanto previsto nella procedura Concordataria o nell’Accordo di ristrutturazione, l’esposizione dovrebbe essere oggetto di immediata revisione, per valutarne la coerenza del mantenimento della classificazione a stage 2 e/o a default (inadempienza probabile) a seconda della gravità dell’inadempimento, richiedendo al contempo – in caso di Accordi di ristrutturazione - l’aggiornamento dell’Attestazione (ex art. 58 CCII), onde evitare  il rischio della perdita della prededuzione.
5 . Segue. Il caso particolare dei finanziamenti erogati all’impresa in “Composizione Negoziata”
La netta distinzione, che potremmo più correttamente di finire contrapposizione, tra la considerazione dei profili patrimoniali (sicurezza del recupero del credito) e la considerazione dei profili economico-finanziari (previsione di superamento della condizione di crisi), può essere colta con maggiore evidenza nel contesto dello “strumento “ rappresentato dalla Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa. 
Ad una analisi approfondita, infatti, la valutazione da riservare alla “nuova finanza“ rappresentata dalla concessione di linee di credito ad una impresa che abbia fatto ricorso a questo istituto (o anche dalla prosecuzione delle linee di credito in essere), pare evidenziare (i) per la Banca finanziatrice un livello di protezione, rispetto ai rischi di perdita, e (ii) per l’impresa una condizione di ragionevole recuperabilità dell’equilibrio economico-finanziario, tali da fare dubitare della correttezza della disposizione di assegnare comunque ai finanziamenti in questione una classificazione “problematica”. 
Per ciò che concerne la “nuova finanza“propriamente detta, in particolare, si deve osservare come nulla si opponga alla costituibilità in favore della banca finanziatrice di garanzie idonee a tutelarne più che adeguatamente l’aspettativa di rimborso. 
La costituibilità di garanzie, ed in particolare di titoli di prelazione, è consentita, nell’ambito della Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa, ed opponibile ai creditori, anche nell’ipotesi nella quale essa producesse una oggettiva alterazione tra gli stessi; ed anche nell’ipotesi nella quale l’imprenditore avesse pure imposto ai creditori la par condicio conseguente al ricorso (eventualmente confermato dal Tribunale) a “Misure protettive”. L’art. 18, comma 1, CCII, infatti, consente anche in questo caso la costituzione di titoli di prelazione, se “concordati con l’imprenditore”[21]. 
Per ciò che concerne i crediti derivanti dall’esecuzione di finanziamenti  (rectius: linee di credito ) già in corso, occorre considerare che laddove la prosecuzione dell’esecuzione del contratto di finanziamento bancario, sia pure assistito da garanzie sul patrimonio dell’imprenditore, rappresenti l’effetto della conferma da parte del Tribunale delle “misure protettive” prodottesi con la iscrizione di cui all’art. 18, comma 1, CCII e con il deposito del ricorso di cui all’articolo 19, si deve ritenere per ciò stesso assolto il requisito della coerenza “con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento” in cui le garanzie sono state costituite, posto dall’art. 24, comma 2, CCII, come condizione alla applicabilità della esenzione dall’azione revocatoria (di cui all’art. 166, comma 2, CCII). Non si comprende infatti come il Tribunale potrebbe ritenere che le “misure protettive” siano funzionali “ad assicurare il buon esito delle trattative“ (cfr. art. 19, comma 4), laddove l’effetto coercitivo che ne deriverebbe in ordine alla continuazione dei contratti bancari pendenti non fosse ritenuto funzionale alle “prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”: che costituisce per l’appunto il presupposto del riconoscimento dell’applicabilità della esenzione dall’azione revocatoria (cfr. art. 24, comma 2). 
Ciò per quanto concerne le garanzie che caratterizzassero la linea di credito, della cui corretta classificazione regolamentare ci si interrogasse (per esempio: cessione di credito, nelle operazione di “smobilizzo”; pegno, nelle operazioni di anticipo-merce; ipoteca, nei finanziamenti ”a stato d’avanzamento lavori”; eccetera), ovvero che fossero state concordate con l’imprenditore.  
Con riguardo poi ai finanziamenti derivanti dall’esecuzione di linee di credito già in essere, occorre prendere in considerazione l’ipotesi (che statisticamente è quella, al momento, assolutamente predominante) nella quale l’imprenditore abbia fatto ricorso alla richiesta di “misure protettive“, e queste siano state confermate a seguito della successiva, necessaria valutazione giudiziale. 
Come conseguenza dello “effetto impeditivo“, rispetto  alla risoluzione o alla interruzione dei contratti di finanziamento pendenti, derivante dalla conferma delle “misure protettive” (l’art. 18, comma 5, CCII afferma che “i creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione...”),  si deve annoverare la necessaria collocabilità in prededuzione dei crediti così originati
Da una parte, l’art. 22, comma 1, CCII condiziona la (autorizzazione del Tribunale all’imprenditore ad ottenere la) prededucibilità dei crediti derivanti da “finanziamenti” alla verifica della “funzionalità… rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”. 
Da un’altra parte, l’art. 19, comma 4, CCII, condiziona la conferma delle “misure protettive” – che producono l’obbligo di proseguire nella esecuzione dei contratti (bancari) pendenti – all’accertamento della loro “funzionalità… ad assicurare il buon esito delle trattative”. 
Poiché le trattative sono rivolte a perseguire l’obiettivo della preservazione della continuità aziendale e della migliore soddisfazione dei creditori, pare evidente che la valutazione richiesta al Tribunale quando è investito della istanza di autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili – art. 22, comma 1, lett. a) – non sia diversa da quella richiestagli nell’occasione della domanda di conferma delle “misure protettive” – art. 19, comma 4, CCII -, comportanti lo “obbligo di finanziamento” conseguente al divieto di interruzione della esecuzione dei contratti pendenti di finanziamento bancario – art. 18, comma 5, CCII -. Da qui l’effetto della collocabilità in prededuzione dei crediti relativi, per il solo fatto della conferma delle “misure protettive” in presenza di contratti di finanziamento bancario suscettibili di ulteriori utilizzi in corso di CNC, senza necessità di esplicitazione da parte di separata autorizzazione ai sensi dell’articolo 22 CCII. 
La conseguenza di tutto ciò è rappresentata dalla constatazione che gli effetti pregiudizievoli derivanti per il contraente in bonis bancario, con riguardo all’accesso della propria controparte alla procedura di CNC, per quanto concerne la disciplina speciale divenuta applicabile ai crediti derivanti da “Nuova Finanza” (propriamente detta, ovvero derivante dalla continuazione dell’esecuzione di contratti di finanziamento pendenti), sono alquanto contenuti. 
Per un verso, infatti, le garanzie eventualmente acquisite in conseguenza della natura delle linee di credito interessate ovvero per effetto di un accordo con l’imprenditore, sarebbero esenti dall’azione revocatoria fallimentare; per un altro, laddove il credito che non risultasse, in tutto od in parte, garantito per effetto delle considerazioni sopra sviluppate, esso dovrebbe essere collocato in prededuzione nel concorso con gli altri creditori. 
Da qui - sia pure sotto un profilo di carattere squisitamente economico - l’imbarazzo di una catalogazione “problematica“ della posizione caratterizzata dalla presenza di una procedura di “Composizione Negoziata”, ed il carattere oggettivamente ingiustificato della richiesta di appostamento di “accantonamenti speciali” a fronte di rischi di perdita oggettivamente inconsistenti.  
6 . Conclusioni
Alla luce delle ipotesi operative descritte, emerge in modo chiaro la necessità di proseguire lungo la strada di realizzare un migliore coordinamento tra la disciplina concorsuale primaria e la disciplina regolamentare prudenziale, nella prospettiva di conseguire in concreto tutti gli obiettivi posti dalla Direttiva Insolvency e, di riflesso, dal Codice della crisi, ovvero intercettare la crisi in anticipo ma, al contempo, rendere effettivamente efficaci gli strumenti apprestati per la sua soluzione. 

Note:

[1] 
Disponibile al seguente indirizzo: https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c272/.
[2] 
Per un dettaglio analitico dei citati stadi classificativi vedasi, S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, in Dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2023.
[3] 
La Banca d’Italia, nella Circolare 139 recante la disciplina sulla Centrale dei Rischi (20° aggiornamento del 14 ottobre 2021, tuttora in corso di vigenza), con riguardo alle esposizioni verso controparti che accedono al Concordato preventivo, a pag. 86 cosi dispone: “(…) Detti criteri segnaletici sono volti a non frapporre ostacoli all’eventuale risanamento dell’impresa, in considerazione dell’attenuata disponibilità d’informazioni nel periodo intercorrente tra la domanda di concordato “in bianco” e la conoscenza dell’evoluzione della proposta.”. 
[4] 
Cfr. R. D’Alonzo, F. De Santis, Il c.d. procedimento unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 4 ottobre 2023. 
[5] 
Art. 2 comma 1, lett. m-bis) “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”: le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi. 
[6] 
Cfr. I. Pagni, La trattazione unitaria dell’alternativa tra la liquidazione giudiziale e gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza nell’art. 7 CCII, in Dirittodellacrisi.it, 16 ottobre 2023; L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fall., 2019, 550. 
[7] 
Cfr. EBA/GL/2020/06 - Guidelines EBA in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti. 
[8] 
Cfr. EBA/GL/2016/07 - Guidelines EBA sulla nozione di default. 
[9] 
Cfr. V. Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in GU il 1 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it, 2022; S. Bonfatti, La procedura di Composizione Negoziata per la soluzione della crisi d’impresa: funzione, natura, presupposti e incentivi, in Dirittodellacrisi.it, 20 settembre 2023. I. Pagni, M. Fabiani, Introduzione alla composizione negoziata, in Fall., 2021, p. 1477 ss., spec. p. 1480 ss.; M. Fabiani, Sistemi, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, 2023, 75; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, II^ edizione, Torino, 2022, 79; F. Lamanna, Il codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, 134; M. Ferrari, La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa: un nuovo strumento non scevro da insidie per il creditore, in Expartecreditoris.it 14 luglio 2022; M. Spiotta, E’ necessaria o inutile una definizione di procedura concorsuale (o di procedure di regolazione della crisi o di quadro di ristrutturazione)? Quando le categorie generali posso conservare funzionalità, in Dirittodellacrisi.it, 22 aprile 2022. 
[10] 
Cfr. S. Bonfatti, La disciplina e gli effetti della prosecuzione dei contratti bancari pendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 29 marzo 2023; S. Rizzo, Il quadro regolamentare, cit. 28 settembre 2023. 
[11] 
Cfr. L. Panzani, I contratti pendenti nella composizione negoziata con speciale riferimento ai rapporti di credito bancario, in Dirittodellacrisi.it, 2023; E. Bissocolo, A. Turchi, Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: opportunità, rischi e proposta di linee guida, in Ristrutturazioni aziendali, 2022, 29 ss.; G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 2023. 
[12] 
Peraltro questo approccio connota il test pratico di autodiagnosi che l’impresa deve effettuare preliminarmente all’avvio della Composizione negoziata sul portale di Unioncamere, ove viene disposto che: “il presente test è volto a consentire una valutazione preliminare della complessità del risanamento attraverso il rapporto tra l’entità del debito che deve essere ristrutturato e quella dei flussi finanziari liberi che possono essere posti annualmente al suo servizio. In particolare, per svolgere un test preliminare di ragionevole perseguibilità del risanamento, senza ancora disporre di un piano d’impresa, ci si può limitare ad esaminare l’indebitamento ed i dati dell’andamento economico attuale, depurando quest’ultimo da eventi non ricorrenti (ad esempio, effetti del lockdown, contributi straordinari conseguiti, perdite non ricorrenti”. 
[13] 
Significative in questo senso sono le indicazioni fornite dall’EBA nei propri Orientamenti (ABE/GL/2020/06) del 29/05/2020 in tema di concessione e monitoraggio dei prestiti. 
[14] 
Non sfugga peraltro che tipicamente i primi impegni finanziari che vengono sospesi da un’impresa in crisi sono proprio quelli verso le banche (perlomeno quelle con esposizioni residuali e/o che si stima non possano essere interessate a supportare l’azienda verso un percorso di ristrutturazione) ed il fisco. 
[15] 
Cfr. M. Fabiani, La prededuzione nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 27 aprile 2023. 
[16] 
Dal punto di vista della Vigilanza, infatti, sarebbe certamente di interesse comprendere il razionale di tali affidamenti, posto che – in prima approssimazione – si potrebbe essere indotti nell’errore interpretativo dei flussi segnaletici che evidenzierebbero impieghi verso controparti già a default a sistema. Il dato informativo sarebbe di interesse anche banche e gli altri intermediari finanziari esposti verso quella controparte in procedura, in quanto dall’esame degli affidamenti in prededuzione segnalati presso la Centrale dei Rischi, potrebbero desumere elementi informativi rilevanti sull’andamento dell’impresa, dell’esecuzione del Piano concordatario o dell’Accordo di ristrutturazione. Per una compiuta ricognizione della finanza nelle procedure concorsuali cfr. S. Bonfatti, La nuova finanza bancaria, in Dirittodellacrisi.it, 14 dicembre 2021. 
[17] 
Questo aspetto non è affatto secondario in quanto detti intermediari, nel momento in cui andranno ad acquistare le esposizioni –allocate a credito deteriorato – vantate da banche e intermediari finanziari terzi, condurranno un esercizio di svalutazione contabile sull’esposizione creditizia acquistata che sarà determinata non sull’ammontare nominale del credito, ma sul prezzo effettivamente corrisposto. Risulta, pertanto, evidente che gli effetti in termini di assorbimento patrimoniale vengono decisamente ridimensionati così “incentivando” detti interventi di supporto finanziario su posizioni creditizie contabilizzate a default. Cfr. S. Rizzo, L’impatto delle procedure di crisi sui crediti bancari, in Dirittodellacrisi.it, 31 ottobre 2022. 
[18] 
I “finanziamenti ponte” in ipotesi di conferma della prededuzione in sede di ammissione al Concordato o di omologazione dell’Accordo godranno dell’esenzione rispetto all’azione revocatoria in caso di successiva liquidazione giudiziale ex art. 166, comma 3, lett. e), nonché della esimente rispetto ai reati di bancarotta, in forza dell’espressa disposizione di cui all’art. 324 CCII. 
[19] 
Cfr. Consiglio di Stato, sentenza 22 ottobre 2018, n. 6030 che ha confermato come – post omologa - la società sia da considerare in bonis ed eligibile ai fini delle garanzie pubbliche. 
[20] 
La prededuzione verrebbe confermata anche in caso di successiva liquidazione giudiziale, salve le eccezioni prevista dall’art. 101, comma 2, CCII. 
[21] 
A tale proposito occorre in primo luogo prevenire possibili equivoci. 
La legittimazione dell’imprenditore impegnato in una “Composizione Negoziata” a costituire titoli di prelazione in favore dei creditori è sempre certa: l’atto sarà in ogni caso valido ed opponibile, tanto se avente natura “ordinaria” (per es.: la costituzione di una garanzia contestuale in funzione dell’ottenimento della erogazione di credito – anticipo su merce garantito da pegno sulla stessa -); quanto se avente natura “straordinaria” (costituzione di garanzie reali quale contropartita per l’ottenimento di “nuova finanza” attraverso la continuazione dell’utilizzo di una apertura di credito in conto corrente). 
È se mai per ciò che concerne il diverso profilo della sottrazione dell’atto costitutivo della garanzia al rischio della revocatoria fallimentare, che dovranno concorrere i presupposti voluti dall’art. 24, comma 2, CCII (in caso di atto di carattere “ordinario”, coerenza con l’andamento delle trattative e con le prospettive di risanamento; in caso di atto di carattere “straordinario”, condivisione dell’esperto ovvero mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso con la iscrizione dello stesso nel Registro delle Imprese).

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