Una volta constatata la sostanziale invarianza rispetto alla previgente e tuttora valida tripartizione delle esposizioni deteriorate, suddivise tra esposizioni a “sofferenza”, ad “inadempienza probabile”, “scadute/sconfinanti deteriorate” -[2], la prima considerazione formulabile riguarda la novità introdotta dall’Autorità di Vigilanza circa la classificazione di esposizioni creditizie di imprese che accedono alla procedura (rectius allo Strumento di Regolazione della Crisi e dell’Insolvenza ex art. 2 lett. m-bis) CCII) di Concordato preventivo – testualmente – “ai sensi degli artt. 40 e ss. del Codice della crisi e dell’insolvenza. Dette esposizioni – secondo la Circolare- “vanno segnalate tra le inadempienze probabili dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non sia nota l’evoluzione dell’istanza (ad esempio, apertura del Concordato in continuità aziendale con decreto previsto dall’art. 47 del Codice o giudizio di omologazione del Concordato in continuità aziendale ai sensi dell’art. 48 Codice), momento a partire dal quale la classificazione delle esposizioni va effettuata secondo le regole ordinarie (…)”. La nuova formulazione – in prima battuta – si colloca in continuità rispetto alla previgente indicazione di Vigilanza, posto che anche nella precedente stesura veniva disposto che il complesso delle esposizioni verso debitori che avessero proposto il ricorso per Concordato preventivo c.d. “in bianco” (art. 161 L. fall.) avrebbe dovuto essere segnalato (il ché presuppone ovviamente che prima fosse stato “classificato”) tra le inadempienze probabili dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non fosse nota l’evoluzione dell’istanza[3].
Analoghi criteri di classificazione e segnaletici andranno adottati anche nell’ulteriore ipotesi di Concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 84 CCII, ovvero allorquando sia noto l’esito dell’istanza prenotativa e, soprattutto, la procedura di Concordato si connoti per una continuità aziendale (quindi la conclusione non varrebbe per il Concordato liquidatorio). Con riguardo a questa ulteriore ipotesi, la Circolare ha cura di precisare che nel caso di domanda di Concordato con finalità di continuità aziendale (art. 84, commi 2 e 3 CCII), qualora questo si realizzi con la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società (anche di nuova costituzione) non appartenenti al gruppo economico del debitore, l’esposizione deve essere riclassificata nell’ambito delle attività non deteriorate (ovvero dovrà essere classificata in bonis).
Tale possibilità risulta invece preclusa nel caso di cessione o conferimento ad una società appartenente al medesimo gruppo economico del debitore originario, sulla base della presunzione che nel processo decisionale che ha portato quest’ultimo a presentare domanda di ammissione al Concordato vi sia stato il coinvolgimento della capogruppo/controllante, nell’interesse dell’intero gruppo. In tale situazione l’esposizione verso la società cessionaria deve continuare a essere segnalata nell’ambito delle attività deteriorate, e – in conseguenza di una sorta di “effetto contagio” - anche i crediti concessi direttamente alla stessa dovranno essere rilevati tra le “esposizioni deteriorate”.
In virtù di quanto sopra, rispetto al passato si potrebbe giungere agevolmente alla conclusione per cui le esposizioni verso imprese che accedono – ex artt. 40 ss. CCII – alla procedura di Concordato “con riserva” di depositare in un momento successivo la Proposta ed il Piano; nonché nella successiva ipotesi nella quale, scaduta la “riserva”, la Proposta di Concordato si sviluppi in una proposta caratterizzata dal tratto qualificante della continuità aziendale, dovranno essere classificate e segnalate tra le “inadempienze probabili”.
La considerazione appena formulata, seppur corretta, rischia tuttavia di essere condizionata da una vistosa lacuna regolamentare.
Rispetto alla previgente legge fallimentare, come ampiamente evidenziato in dottrina[4], il Codice della Crisi ha introdotto significative innovazioni; sia per quanto concerne gli “strumenti” di regolazione della crisi[5] - introducendo nuove procedure ed innestando significative novità nelle preesistenti -, sia per quanto riguarda la “porta di accesso” a detti strumenti di regolazione della crisi, rappresentata dal c.d. “procedimento unitario” ai sensi dell’art. 40 CCII. Quest’ultimo, come pure definito nella Relazione governativa allo schema di decreto legislativo da cui è scaturito il CCII, viene qualificato come una sorta di contenitore processuale uniforme delle iniziative di carattere giudiziale fondate sulla prospettazione della crisi o dell’insolvenza del debitore, fatte salve le disposizioni speciali riguardanti l’una o l’altra di tali situazioni. Il CCII pertanto istituisce un modello processuale unitario, destinato alla raccolta di tutte le domande, eventualmente anche contrapposte, presentate dai soggetti legittimati. L’oggetto della “regolazione”, portato dalla domanda, potrà essere di grado maggiore o minore, a seconda che si chieda l’apertura della liquidazione giudiziale, piuttosto che l’omologa dello strumento pattizio. Ne consegue che il modello si connota dell’unitarietà solo per la “domanda”, ma non per i conseguenti “procedimenti”, giacché questi sono tenuti distinti, e regolati da norme differenti, secondo che si tratti del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 41 CCII), ovvero del procedimento di accesso ad una procedura di regolazione concordata della crisi (art. 44 CCII): e la trattazione unitaria è garantita piuttosto dall’art. 7 CCII. Non si ha perciò un vero e proprio “procedimento” unico, anche se, per il modo in cui ne è disciplinato lo svolgimento, si arriva comunque ad un unico provvedimento conclusivo, che ha sempre la forma della sentenza e non del decreto, anche qualora il giudice decida dell’omologazione e non dell’apertura della liquidazione giudiziale[6].
Se, dunque, il c.d. procedimento unitario rappresenta per l’impresa debitrice la “porta” di accesso agli strumenti di regolazione della crisi (perlomeno quelli a carattere giudiziario), va da sé che le indicazioni fornite dall’Autorità di Vigilanza nella Circolare in commento non conseguono l’obiettivo di creare un collegamento pienamente coerente tra la disciplina prudenziale relativa alle esposizioni deteriorate e la disciplina del diritto concorsuale. La Circolare, infatti, si limita a regolamentare la sola ipotesi della domanda di accesso – tramite procedimento unitario – alla procedura di Concordato preventivo “con riserva”, secondo quanto disposto dagli artt. 40 e 44 CCII, senza tenere in alcun conto gli ulteriori strumenti di regolazione della crisi ai quali l’impresa debitrice – sempre attraverso il ricorso al procedimento unitario – può accedere.
Significative in questi termini sono le previsioni di cui all’art 40, comma 4, CCII, ove viene espressamente disciplinata l’ulteriore ipotesi di domanda di accesso al giudizio di omologazione di Accordi di Ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, cui sono certamente da aggiungersi anche le ulteriori tipologie di Accordi di Ristrutturazione previsti rispettivamente dall’art. 60 CCII (Accordi di Ristrutturazione cc.dd. “agevolati”); dall’art. 61 (gli Accordi di Ristrutturazione cc.dd. “ad Efficacia Estesa”); dall’art. 64 bis (il Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione) e financo la Liquidazione Giudiziale ex art. 41 CCII.
Tuttavia, se per quest’ultima si ritiene che la risposta ai dubbi interpretativi possa essere agevolmente conseguita nel senso che l’esposizione creditizia verso una controparte in Liquidazione giudiziale andrà certamente classificata tra le “sofferenze”: risulta meno chiaro – stante il silenzio della Circolare - come ci si debba comportare nell’ipotesi di accesso da parte dell’impresa ad un procedimento unitario con riserva di depositare “il piano e gli accordi” secondo il disposto dell’art. 44, comma 1, CCII, ovvero quando abbia per finalità ultima l’omologazione di un Accordo di Ristrutturazione (nelle sue diverse tipologie).
Sarebbe allora ipotizzabile - soprattutto allorquando la domanda di accesso al procedimento unitario non sia affiancata anche dalla richiesta di accesso alle misure protettive ex art. 54 CCII -, che banche ed intermediari finanziari - al netto di eventuali inadempimenti emersi in precedenza nell’utilizzo delle linee di credito preesistenti, che abbiano già indotto a rivedere una classificazione dell’esposizione creditizia - possano mantenere in bonis l’esposizione verso l’impresa, perlomeno fintanto che non sarà noto l’esito della domanda di accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi?
Ad avviso di chi scrive una simile opzione interpretativa rischia di non risultare del tutto corretta. Come ben noto, banche e intermediari finanziari sono oggi sollecitati dalla regolamentazione di vigilanza ad adottare modelli ed approcci, tanto nella fase di origination del credito[7], quanto nella fase di rilevazione delle situazioni di difficolta finanziaria dei propri clienti[8], di carattere fortemente previsionale (c.d. foward looking approach), nella prospettiva di assicurare tanto la verifica della capacità dell’impresa debitrice di produrre flussi di cassa idonei a garantire, nel tempo, un regolare rimborso dei prestiti contratti; quanto la immediata rilevabilità di tutte le perdite previste nel corso della vita di un credito, da stimare sulla base di informazioni attendibili, disponibili senza oneri o sforzi irragionevoli, e che includano dati storici attuali e prospettici. Alla luce di un simile approccio può risultare corretto ritenere che le perdite attese (intese come il valore attuale di tutti i futuri mancati incassi o pagamenti, rilevato attraverso una valutazione probabilistica) possano e debbano davvero essere contabilizzate immediatamente, indipendentemente dalla presenza o meno di un trigger event: così come può essere ritenuto corretto concludere che le stime debbano essere continuamente adeguate, anche in considerazione delle variazioni del rischio di credito della controparte, sulla base non solo di fatti e dati passati e presenti, ma anche e soprattutto di previsioni future, anche di tipo macroeconomico. In un simile contesto, risulterebbe non del tutto coerente rispetto alla disciplina prudenziale ritenere che – stante il silenzio della “Circolare” – con riguardo agli ulteriori strumenti di regolazione della crisi a cui le imprese possono accedere per il tramite del procedimento unitario, le relative esposizioni creditizie, in ipotesi di ricorso con riserva di depositare il “Piano” o gli “Accordi, possano essere mantenute in bonis.
D’altro canto, un’ulteriore conferma - seppur in via indiretta e presumibilmente desumibile soltanto dagli “addetti ai lavori” - delle conclusioni sopra formulate è rinvenibile nella medesima “Circolare”, laddove la stessa ha cura di precisare che – in ogni caso - ai fini dell’identificazione e classificazione delle esposizioni creditizie deteriorate occorre anche tenere conto di quanto previsto dalle Guidelines EBA in merito all’applicazione della definizione di default ai sensi dell’art. 178 del Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio (EBA/GL/2016/07 - le cc.dd. Guidelines -).
Ebbene proprio le Guidelines EBA, con specifico riguardo all’ipotesi di procedure concorsuali – ai paragrafi 56 e 57 –, dispongono che ai fini dell’improbabile adempimento di cui all’art. 178, paragrafo 3, lettere e) e f), del Regolamento (UE) n. 575/2013, “gli enti dovrebbero specificare chiaramente nelle rispettive politiche interne quale tipo di accordo è considerato come un provvedimento o come tutela analoga al fallimento, tenendo conto di tutti i relativi quadri giuridici e delle caratteristiche tipiche di tale tutela: (a) il sistema di tutela comprende tutti i creditori o tutti i creditori con crediti non garantiti; (b) i termini e le condizioni del sistema di tutela sono approvate dal giudice o da altra autorità competente; (c) i termini e le condizioni del sistema di tutela comprendono una sospensione temporanea dei pagamenti o l’estinzione parziale del debito; (d) le misure comportano una qualche forma di controllo sulla gestione della società e delle sue attività; (e) nel caso in cui il sistema di tutela fallisca, l’impresa sarebbe a rischio di liquidazione”. Ed ancora “Gli enti dovrebbero trattare tutti gli accordi di cui all’allegato A del regolamento (UE) n. 2015/848come un provvedimento o una tutela analoga al fallimento”. Quest’ultimo Regolamento, ancora oggi vigente, provvede a censire nel citato Allegato A) tutte quelle tipologie di accordi che – secondo la disciplina prudenziale – devono essere parificati al “fallimento”, ovvero: Concordato preventivo; Liquidazione coatta amministrativa; Amministrazione straordinaria; Accordi di ristrutturazione; Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore (“accordo” o “piano”); Liquidazione dei beni.
Ne consegue che anche nelle diverse e non dettagliate (dalla “Circolare”) fattispecie di ricorso da parte di un’impresa debitrice al procedimento unitario con “riserva” di depositare il “Piano” o “l’Accordo”, la classificazione più corretta – sempre che un inadempimento sulle esposizioni creditizie non sia già stato rilevato dall’intermediario e lo stesso, ancora prima di apprendere la notizia del ricorso da parte dell’impresa ad uno strumento di regolazione della crisi, abbia già classificato a “deteriorato” l’esposizione - non potrà che essere quella a default, nella specie di credito classificato “ad inadempienza probabile”.
Infine si ritiene che analoga considerazione, debba essere formulata con riguardo a tutte le ulteriori tipologie di strumenti di regolazione della crisi previste dal CCII, connotate da un carattere puramente pattizio, ovvero che non prevedano un giudizio di omologazione da parte del Tribunale: ci si riferisce in particolare ai Piani attestati di Risanamento ex art. 56 CCII, alla Convenzione di moratoria ex art. 62 CCII ed alla Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d’Impresa ex artt. 12 ss. CCII (di seguito anche “CNC”).