Il secondo profilo problematico della norma contenuta nell’art. 2 riguarda la circostanza che il procedimento di ammissione immediata è configurato come un procedimento ad istanza di parte che, nel caso di società partecipate dallo Stato che gestiscono uno stabilimento di interesse strategico, può essere però diversa dalla parte.
La norma della cd. legge Marzano è relativa alle imprese che “intendono avvalersi della procedura di ristrutturazione economica finanziaria” (art. 1). La disciplina contenuta nell’art. 2 del D.L. n. 2/2023 introduce una diversa procedura di accesso, diversa per la fase dell’iniziativa, producendo molte anomalie, per quanto riguarda ADI, società su cui la norma è evidentemente ritagliata.
In primo luogo, conferisce ad un azionista, che non ha - in base al diritto delle società per azioni contenuto nel codice civile - compiti gestionali, un potere che incide radicalmente sulla gestione, in quanto, tra l’altro, produce lo “spossessamento” dell’impresa. Infatti, agli azionisti di una società per azioni (peraltro con deliberazione a maggioranza dell’assemblea) può essere attributo il potere di autorizzare atti gestori, non di disporli.
Tale anomalia è ancor più evidente alla luce degli articoli 120 bis e seguenti del recente Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), che hanno attribuito al solo organo di gestione, e non agli azionisti, la competenza esclusiva circa la decisione di ricorrere a uno degli strumenti di regolazione della crisi ivi previsti. Tale riparto di competenze è stato ulteriormente rafforzato inibendo agli azionisti la facoltà di revocare l’organo di gestione, e così sostituirlo con membri disposti a seguire l’interesse degli azionisti, anziché quello sociale e dei creditori.
È principio ormai costante, e ora riflesso anche all’articolo 7, comma 2, del Codice della crisi, che, in presenza di più domande, si debba dare priorità a quella che sia intesa a regolare la crisi con strumenti diversi da quello della liquidazione giudiziale o liquidazione controllata. Sebbene tale norma non faccia riferimento anche all’amministrazione straordinaria, è ragionevole ritenere che essa sia intesa anche a non privare la società, e in particolare l’organo gestorio, della prerogativa di valutare quale sia lo strumento di regolazione della crisi più idoneo e, per quanto possibile, di rimanerne in controllo. Infatti, l’amministrazione straordinaria, così come le citate liquidazione giudiziale (prima nota come “fallimento”) e liquidazione controllata, è caratterizzata dal totale spossessamento dell’impresa e dall’assegnazione delle relative decisioni a un soggetto nominato da terzi (il Commissario straordinario o il Curatore).
In secondo luogo, la norma esaminata attribuisce questo importante compito ad un azionista di minoranza, in quanto proprietario del 30% delle azioni, violando un altro principio cardine del diritto societario, quello di maggioranza. Si aggiunga che tale potere è attribuito solo nell’ipotesi di società non quotate: così si discrimina a seconda del fatto che i titoli della società siano ammessi o meno su mercati regolamentati.
In terzo luogo, la norma discrimina tra azionisti, conferendo il potere in esame al solo azionista a controllo pubblico, a discapito del o degli azionisti privati.
In quarto luogo, la norma conferisce un potere ad un azionista indiretto. Infatti, Invitalia, il cui capitale è tutto di proprietà del Ministero dell’economia e delle finanze, è proprietaria del 38% del capitale di ADI Holding, la quale, a sua volta, ha il 100% del capitale di ADI società operativa. Quindi, dovendo eventualmente l’intervento di ristrutturazione essere compiuto con relazione alla società operativa e non alla holding (la quale non gestisce alcuna impresa), l’effetto della norma introdotta dall’art. 2 sarebbe quello non solo di conferire un potere gestionale all’azionista, ma anche di conferirlo all’azionista di minoranza, e addirittura ad un azionista indiretto.
In questo modo, si producono numerose anomalie rispetto al modello del codice civile e del Codice della crisi. Innanzitutto, perché, secondo gli articoli 2346 e seguenti del codice civile, l’azionista ha diritto agli utili, ha diritto di voto nelle assemblee e può provvedere all’impugnazione di delibere assembleari, ma non ha diritti che attengono alla gestione diretta della società. L’articolo 2359 regola le società controllate e collegate, ma sempre attraverso l’assemblea dei soci o “particolari vincoli contrattuali”. Ancor più chiaro è il già richiamato articolo 120 bis del Codice della crisi.
La norma dell’art. 2, che è stata definita di amministrazione straordinaria “dichiarata d’ufficio”, in virtù di una legge che è stata chiamata “catenaccio”, conferisce al socio di minoranza il potere di espropriare del potere di iniziativa nel procedimento il soggetto interessato, senza neppure consultazione del socio di maggioranza, con riferimento ad una società con partecipazione indiretta, e quindi aggirando l’azionista diretto, che è nella specie è ADI Holding.
Le anomalie giuridiche sono ancor più evidenti se si pensa che l’azionista di minoranza non può presentare contestuale ricorso per lo stato di insolvenza, come prevede l’art. 2.2 del D.L. del 2003, il quale dispone che “l’impresa che si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 1 può richiedere al Ministro delle attività produttive, con istanza motivata e corredata di adeguata documentazione, presentando contestuale ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale competente ai sensi dell'articolo 27, comma 1, del codice della crisi e dell'insolvenza...”.