Benché in misura non stravolgente, il Codice della crisi contiene qualche variante in tema di azioni attribuite al curatore per l’esercizio delle azioni di responsabilità.
In luogo dell’art. 146 L. fall., si incontra il nuovo art. 255 CCII – di non immediata applicazione in quanto sottoposto alla vacatio legis di 18 mesi – secondo il quale: (1) «Il curatore, autorizzato ai sensi dell’articolo 128, comma 2, può pro- muovere o proseguire, anche separatamente:
a) l’azione sociale di responsabilità;
b) l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, sesto comma, del codice civile;
c) l’azione prevista dall’articolo 2476, settimo comma, del codice civile;
d) l’azione prevista dall’articolo 2497, quarto comma, del codice civile;
e) tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge».
Rispetto al tessuto normativo della legge fallimentare, la prima curiosità è destata dal fatto che è scomparso ogni riferimento ai soggetti destinatari delle azioni. L’art. 146 L. fall., oggi vigente e in vigore sino al 14 agosto 2020, indica quali contraddittori nelle azioni di responsabilità gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori, nonché i soci della società a responsabilità limitata quando è stabilita la loro responsabilità ai sensi dell’art. 2476, comma 7, c.c.
Il fatto che nel corpo dell’art. 255 CCII sia svanito il riferimento ai destinatari delle azioni giudiziarie intentate dal curatore fallimentare non pare davvero rilevante. Infatti, l’individuazione dei soggetti potrà avvenire, abbastanza semplicemente, con il rinvio alle singole disposizioni: tanto quelle espressamente menzionate nel- l’art. 255 CCII, quanto quelle sparse qua e là nella legge, nonché quelle che alle prime (o alle seconde) fanno rinvio. Ad esempio, l’art. 255 “copre” anche la posizione dei direttori generali perché l’art. 2396 c.c. rinvia alle disposizioni sulla responsabilità degli amministratori; così pure resterà percorribile l’azione contro i sindaci visto che l’art. 2407 c.c. rinvia agli artt. 2393 ss. c.c.
Parimenti, nonostante i dubbi emergenti dalla lettura dell’art. 255 CCII, deve ritenersi riconosciuta la legittimazione del curatore anche per le azioni di cui al- l’art. 2486 c.c. [100] (fra l’altro quelle più sperimentate nella pratica) e ciò perché se ne parla a proposito del criterio di determinazione del danno, là dove si fa esplicito riferimento alle procedure concorsuali.
Ancorché l’art. 14 della legge delega 155/2017 prevedesse che il legislatore de- legato abrogasse l’art. 2394-bis c.c., nel D.Lgs. 14/2019 a tale incombente non si è provveduto [101]. Tuttavia, la circostanza che nel corpo del codice civile sia rimasta una disposizione che contempla la legittimazione del curatore in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria non appare densa di particolari criticità. Da una parte perché la previsione è assorbita nei nuovi artt. 255 (per la liquidazione giudiziale) e 307 (liquidazione coatta amministrativa), e dall’altra parte perché l’art. 2394-bis c.c. continua a trovare applicazione nel caso dell’amministrazione straordinaria, anche se il fatto che nel D.Lgs. 270/1999 sia contenuto un rinvio alla l.c.a. (v., art. 36), avrebbe potuto giustificare l’attuazione dell’abrogazione come stabilito nella legge delega.
Se mai, la formulazione dell’art. 255 merita di essere indagata nella parte in cui contiene, come sopra accennato, l’attribuzione al curatore delle azioni di responsabilità nella s.r.l., indicata nei commi 6 e 7.
Orbene, per commi 6 e 7, si debbono intendere quelli oggetto di una scalare progressione determinata dall’innesto di un nuovo comma (il 6) dopo il 5, quello cioè relativo all’azione dei creditori sociali. L’art. 378 si limita a prevede l’innesto ma non ne fornisce la numerazione; viste le norme che contengono un rinvio, deve ritenersi che per come sono state formulate, il comma aggiunto sia il 6 con conseguente “scivolamento” di quelli successivi. Con questa interpretazione, l’art. 255 CCII pone un problema in relazione a quello che è divenuto il comma 8 (contenente la previsione dell’azione contro i soci che abbiano intenzionalmente con le loro condotte recato pregiudizio alla società); ciò nondimeno, guardando alle azioni in chiave di sistema va preferita una lettura manipolativa che non estrae dal catalogo delle azioni del curatore quella verso i soci [102]. Ove, invece, si affermasse che l’art.
378 ha disposto l’innesto di un nuovo comma 5-bis (all’interno dell’art. 378) [103], senza alcuno spostamento di quelli successivi, la norma di cui all’art. 255 conterrebbe dei rinvii errati. Vista la mancata specificazione, la prima soluzione appare quella più in armonia con il sistema e dunque da preferire sicuramente [104].
La clausola di chiusura secondo la quale al curatore sono attribuite le azioni di responsabilità previste in specifiche disposizioni di legge assume un particolare rilievo in quanto conferma che il sistema non riconosce al curatore un generalizza- to potere di rappresentanza dei creditori del fallito, e le disposizioni che espressamente attribuiscono a tale organo il diritto di agire in luogo di tali creditori devono quindi considerarsi quali norme eccezionali, al di fuori delle quali la legittimazione della curatela quale organo rappresentativo della massa dei creditori deve essere esclusa [105].
Fra i primi commentatori v’è chi ha evidenziato la locuzione «può promuovere o proseguire, anche separatamente» come a voler postulare un mutamento di rotta rispetto all’interpretazione giurisprudenziale corrente in tema di c.d. “inscindibilità” dell’iniziativa del curatore [106].
Si tratta di una lettura acuta ma assai discutibile perché si fonda sul presupposto che la giurisprudenza si sia espressa, sino ad ora, per l’unitarietà delle azioni della società e dei creditori sociali. Infatti, se è ben vero che ricorrentemente nelle sentenze si trova l’espressione “inscindibile” (a proposito dell’azione della curate- la), una esegesi più accurata porta a ritenere che ciascuna azione mantenga una piena autonomia, come è comprovato, solo al modo di un esempio, dalla (diversa) decorrenza del termine di prescrizione [107]. Per tale ragione, l’inserzione della predicata separazione fra le azioni deve essere correttamente interpretata nel senso che il curatore non esercita una azione nuova rispetto a quelle che si ricavano dal palinsesto del codice civile [108]. Il curatore riceve una duplice legittimazione ma ciò non comporta affatto che l’azione del curatore sia diversa da quella di cui sono titolari, separatamente, la società e i creditori sociali [109]. Non vi è dubbio che se il curatore, come gli è possibile, esercita nel medesimo processo le due azioni, l’infondatezza dell’una non travolge l’altra; così pure, l’allegazione dei fatti che pertengono a ciascuna azione è il fondamento della legittimazione duale del curatore, con il conseguente riflesso in tema di prescrizione delle azioni: ciascuna mantiene il profilo temporale proprio, con il termine di prescrizione che inizia a decorrere in modo diverso [110].
Parimenti, la nuova norma deve essere interpretata nel senso che il curatore può promuovere l’una e l’altra in processi distinti (ma con l’avvertenza che, poi, si potranno porre i problemi in tema di continenza, di connessione e di cumulo oggettivo e soggettivo), fermo restando che il risarcimento non potrà essere duplicato [111].
Più precisamente, l’azione dei creditori sociali, in quanto volta alla reintegra- zione della garanzia patrimoniale mediante l’aggressione di un patrimonio additivo (quello degli organi sociali), consente il ripristino della garanzia patrimoniale a favore dei creditori insoddisfatti, ma nulla di più; diversamente, l’azione della società può mirare ad accrescere il patrimonio sociale nella misura in cui gli atti di mala gestio addebitati agli organi della società abbiano impedito un incremento del patrimonio sociale.
Un’ulteriore suggestione evocata dal nuovo art. 255 CCII concerne la regola di chiusura secondo la quale il curatore esercita «tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge». Questa formula deve es- sere intesa nel senso che nell’ambito del diritto societario, il curatore può promuovere azioni contro amministratori e organi di controllo solo in base a quanto previsto in singole disposizioni di legge con ciò escludendosi, in virtù della regola generale di cui all’art. 81 c.p.c., l’attribuzione al curatore di altre azioni [112].
Da tale precisazione, però, non se ne può inferire che il curatore non possa co- involgere nelle predette azioni anche soggetti terzi, a titolo di concorso nella responsabilità e causazione del danno, il che significa che la clausola ora in evidenza non esclude la c.d. “azione per concessione abusiva di credito”, quanto meno nella più recente terminazione interpretativa del giudice di legittimità [113].
Le modifiche apportate dall’art. 255 CCII all’impianto procedimentale sono limitate alla soppressione del parere del comitato dei creditori quale formale adempimento preliminare all’avvio dell’azione, mentre resta ineludibile l’autorizzazione all’avvio del processo da parte del giudice delegato.
La seconda precisazione, ovverosia il rinvio all’art. 128, comma 2, CCII è l’effetto del principio generale, nella distribuzione dei poteri fra gli organi della procedura, secondo il quale il curatore può stare in giudizio, nelle “cause attive”, solo con il supporto dell’autorizzazione del giudice delegato.
L’omessa previsione del parere del comitato dei creditori costituisce, invece, una semplificazione innocua: una semplificazione perché così non si potrà mettere in discussione l’azione anche ove dovesse mancare il parere [114], ma anche innocua per- ché il comitato dei creditori conserva il potere di controllare l’esercizio dell’azione di responsabilità attraverso l’approvazione del programma di liquidazione (art. 213, comma 3, CCII).
Nulla cambia, invece, con riferimento alla competenza giudiziaria in quanto le azioni di responsabilità vanno radicate presso il Tribunale distrettuale delle imprese dovendosi superare talune aporie formali [115].
L’art. 3, comma 2, legge 168/2003, come più volte modificato, stabilisce che sono attratte alla competenza del Tribunale «le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, … omissis … le azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano» [116].
Dalla lettura della norma si ricava che tutte le azioni di responsabilità vanno attribuite alla competenza del Tribunale delle imprese, ma poi questa impressione viene revocata in dubbio volta che le azioni dei creditori sociali che sono devolute alla competenza del Tribunale delle imprese sono solo quelle di gruppo e cioè quel- le disegnate nell’art. 2497 c.c. [117].
Si tratta, quindi, di ricercare un coordinamento fra la prima parte della disposizione e l’ultima; la ragione per la quale si stabilisce che spetta al Tribunale delle imprese la lite promossa dai creditori sociali nei confronti delle società controllanti non deriva dalla diversa soggettività della parte che promuove il giudizio [cioè i creditori], ma dalla diversa soggettività della parte che subisce l’azione [cioè la società controllante]. Questo significa che l’inserzione dell’ultima porzione della norma si spiega per evitare che sorgesse il dubbio che al Tribunale delle imprese fossero devolute anche controversie dirette non già nei confronti di persone fisiche ma anche nei confronti degli enti [118].
Quanto al rito, una volta abrogato quello societario e venuta meno ogni ragionevole possibilità di applicare il rito delle controversie di lavoro [119] (con conseguente normale assoggettamento delle liti alla sospensione feriale), non resta che affidarsi al rito ordinario a cognizione piena con attribuzione del potere decisorio all’organo collegiale ai sensi dell’art. 50-bis c.p.c. [120] (e, dunque, con esclusione del rito sommario di cognizione di cui all’art. 702-bis c.p.c.).
Diversamente da quanto accade per l’azione di minoranza, l’azione dei creditori sociali rivolta contro gli amministratori, in quanto azione autonoma, non impone la necessità del litisconsorzio con la società [121], ma diviene necessario studiare meccanismi di raccordo quando vi sia la compresenza delle due azioni, quel- la sociale e quella dei creditori sociali [122] secondo la tecnica del c.d. concorso subiettivo di azioni.
Quanto al tema del concorso di azioni, la postulazione che si tratti di azione autonoma (e non surrogatoria) consente di escludere una subordinazione fra l’azione dei creditori sociali e l’azione sociale. Si è visto che la riparazione del pregiudizio arrecato al patrimonio della società rappresenta il limite dell’interesse ad agire dei creditori sociali, ciò che per converso significa che i creditori possono coltiva- re l’azione sino a quando tale riparazione non intervenga. In questo senso l’ipotetica applicazione del principio della pregiudizialità-dipendenza che potrebbe giustificare l’invocazione dell’art. 295 c.p.c., sfuma; il diritto del creditore non recede in presenza di un giudicato favorevole alla società, ma solo quando torna ad essere capiente il patrimonio. Al contempo non persuade affatto che la proposizione dell’azione sociale inibisca l’azione dei creditori sociali [123] perché i creditori sono interessati ad essere risarciti e non al fatto che la società abbia reagito alla mala gestio degli amministratori.
Per logica simmetria, qualora la società agisca nei confronti degli amministratori dopo che questi abbiano già risarcito i creditori sociali, l’entità del risarcimento dovrà essere decurtata dalla misura della condanna richiesta dalla società, visto che non vi può essere duplicazione di risarcimento; e se gli amministratori avesse- ro risarcito il danno ai creditori sociali ed i fatti allegati nell’azione dei creditori sociali coincidessero con quelli allegati dalla società, l’azione successiva promossa dalla società sconterebbe il rilievo del difetto dell’interesse ad agire.
Anche qui, come già per il caso della sequenza di azioni avviate da diversi creditori, l’unica ipotesi percorribile in concreto resta quella della chiamata in causa da parte degli amministratori del soggetto che abbia già ricevuto un ristoro patrimoniale secondo la tecnica (sostanziale) del regresso.
Ed ancora, la circostanza che l’azione dei creditori sociali abbia natura auto- noma giustifica pienamente che ai creditori-attori sia consentito rinunciare o transigere la lite, poiché il loro diritto è diverso dal diritto che spetta alla società. La rinuncia all’azione non implica alcuna conseguenza sulla permanenza del diritto della società, mentre la transazione stipulata fra i creditori e gli amministratori potrebbe rivelarsi rilevante sull’eventuale azione sociale ma ciò dipenderà, essenzialmente, dal titolo della transazione.
Da ultimo va ricordato che all’azione dei creditori sociali, in quanto terzi rispetto al contratto di società, non può reputarsi opponibile l’eventuale presenza di una clausola compromissoria che riguardi l’inclusione dell’azione di responsabilità fra le liti per le quali è previsto il ricorso all’arbitrato. Al contrario, una volta che l’azione è trasferita al curatore, nulla esclude che sia lo stesso organo della procedura, d’intesa con i potenziali convenuti, a stipulare un compromesso (da autorizzare nelle forme di cui all’art. 132 CCII) per devolvere in arbitrato la lite [124].