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Saggio

Le azioni di cognizione, la nuova fase delle allegazioni anticipate e i riflessi sulle liti concorsuali

Giuseppe Trisorio Liuzzi, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Bari

8 Gennaio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L'Autore, dopo essersi soffermato sulle azioni di cognizione che il curatore, il liquidatore giudiziale o il commissario liquidatore può esercitare nelle diverse procedure concorsuali, analizza le novità introdotte dal D.Lgs. n. 149/2022 relativamente alla fase introduttiva sia del processo ordinario di cognizione sia del procedimento semplificato di cognizione, anche al fine di verificare quale dei due riti potrebbe essere preferito dall'attore.
Riproduzione riservata
1 . Premesse
La riforma del processo civile introdotta con il D.Lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 riguarda le azioni di cognizione che il curatore o il liquidatore giudiziale o il commissario liquidatore possono esercitare, non anche però i procedimenti endoconcorsuali.
Apro una veloce parentesi. Per questi procedimenti la legge delega 155/2017, fra i diversi criteri e principi direttivi, aveva contemplato nell’art. 2 quelli di «adottare un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, in conformità all’articolo 15 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e con caratteristiche di particolare celerità, anche in fase di reclamo» [lett. d)] e quello di «uniformare e semplificare … la disciplina dei vari riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale» [lett. h)]». Tali principi e criteri direttivi sono rimasti sulla carta perché, pur avendo la legge delega 155/2017 individuato nel procedimento di cui all’art. 15 L. fall. il rito da adottare in generale, i decreti legislativi che si sono succeduti (2019, 2020, 2022) non hanno adottato un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, dal momento che mentre il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale riprende nell’art. 41 quello per la dichiarazione di fallimento di cui all’art. 15 L. fall., il procedimento per l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza è regolato in modo differente[1]. Né il legislatore delegato si è preoccupato di tentare una unificazione e semplificazione dei differenti riti presenti nel CCII: il procedimento dettato nell’art. 41 è richiamato soltanto nei casi della risoluzione (art. 250, comma 3) e dell’annullamento (art. 251, comma 2, che richiama l’art. 250) del concordato nella liquidazione giudiziale. Poi vi sono altri dieci differenti procedimenti, contrassegnati da proprie peculiarità.
In particolare
(a) il procedimento di reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è regolato dagli artt. 737 e 738 c.p.c., ai quali il comma 2 dell’art. 50 rinvia puramente e semplicemente;
(b) il procedimento di reclamo avverso la sentenza che pronuncia sull’omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione oppure che dispone l’apertura della liquidazione giudiziale è predeterminato nelle forme e nei termini nella fase introduttiva nell’art. 51, ma in modo differente rispetto al procedimento di cui all’art. 41;
(c) il procedimento per la concessione delle misure cautelari e protettive, di cui all’art. 55, è modellato su quello contemplato nell’art. 669 sexies c.p.c. e l’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.;
(d) il procedimento di reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale di cui all’art. 124 ha termini e forme differenti rispetto a quelli esaminati nelle lettere precedenti;
(e) il procedimento di reclamo contro gli atti e le omissioni del curatore ai sensi dell’art. 133 è rimesso alla assoluta discrezionalità del giudice delegato («omessa ogni formalità non indispensabile al contraddittorio»);
(f) il procedimento per l’accertamento dei crediti e dei diritti sui beni del debitore riprende quello disciplinato nella legge fallimentare e si sviluppa con termini e modalità peculiari dettate negli artt. 201-204;
(g) il procedimento avente ad oggetto le impugnazioni allo stato passivo, disciplinato nell’art. 207, presenta gli stessi termini del procedimento contemplato nell’art. 51, anche se il provvedimento finale è un decreto;
(h) il procedimento contemplato per la riapertura della liquidazione giudiziale di cui all’art. 237 non si presenta disciplinato, prevedendosi solo che la sentenza è resa in camera di consiglio;
(i) il giudizio di omologazione del concordato nella liquidazione giudiziale, di cui all’art. 245, richiama, per quel che concerne il ricorso, l’art. 124, e si conclude con decreto;
(j) il procedimento di reclamo contro il decreto di omologazione, ai sensi dell’art. 247, contempla gli stessi termini e modalità di quello regolato nell’art. 207 e si conclude con decreto.
2 . Le azioni di cognizione nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
La riforma del processo civile intervenuta nel 2022, invece, come detto, riguarda le azioni di cognizione che il curatore o il liquidatore giudiziale o il commissario liquidatore può promuovere (o proseguire)[2]. Alcune sono espressamente previste nel codice della crisi:
Nel concordato preventivo con cessione dei beni il liquidatore giudiziale esercita (o se pendente prosegue)
(a) ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti [norma che fa chiarezza riguardo l’organo competente ad agire] (art. 115, comma 1);
(b) l’azione sociale di responsabilità (art. 115, comma 2, ove si dispone che «ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano sono inopponibili al liquidatore e ai creditori sociali»[3]).
Nella liquidazione giudiziale il Curatore, che in base all’art. 213 CCII deve indicare nel programma di liquidazione «le azioni giudiziali di qualunque natura», esercita
(a) l’azione diretta a fare dichiarare l’inefficacia degli atti compiuti dal debitore e i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti dopo l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 144);
(b) l’azione diretta a fare dichiarare l’inefficacia degli atti a titolo gratuito quando non hanno ad oggetto atti soggetti a trascrizione, perché in quest’ultimo caso i beni sono acquisiti al patrimonio della liquidazione giudiziale mediante la trascrizione della sentenza che ha dichiarato aperta la procedura concorsuale (art. 163; in questo caso è onere del beneficiario proporre reclamo avverso la trascrizione, nel quale caso il rito è quello camerale dell’art. 133);
(c) l’azione diretta a fare dichiarare l’inefficacia dei pagamenti non scaduti e postergati (art. 164);
(d) l’azione revocatoria ordinaria (art. 165);
(e) l’azione revocatoria concorsuale (art. 166 e 167);
(f) l’azione di responsabilità (art. 255 e art. 2394 bis c.c.), ed in particolare: l’azione sociale di responsabilità; l’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 e 2476, comma 6, c.c.; l’azione prevista dall’art. 2476, comma 8, c.c.; l’azione prevista dall’art. 2497, comma 4, c.c.; tutte le altre azioni di responsabilità attribuitegli da singole disposizioni di legge; [per la quantificazione del danno v. l’art. 2486, comma 3, c.c.];
Nella liquidazione controllata del sovraindebitato il liquidatore, autorizzato dal giudice delegato allorché «è utile per il migliore soddisfacimento dei creditori» (art. 274, comma 3), esercita (o se pendente prosegue)
(a) ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti (art. 274, comma 1);
(b) «le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del c.c. (o se pendente prosegue)» (art. 274, comma 2), ossia l’azione revocatoria ordinaria[4]
Nella liquidazione coatta amministrativa il Commissario liquidatore, che procede a tutte le operazioni della liquidazione secondo le direttive dell’autorità di vigilanza e sotto il controllo del comitato di sorveglianza (art. 305, comma 1) e quindi anche a promuovere azioni per il recupero di crediti, esercita
(a) L’azione di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo dell’impresa in liquidazione, a norma degli artt. 2393, 2394, 2476 comma 1,6 e 8, 24971 c.c., previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione (art. 307, comma 1).
A queste azioni espressamente previste devono essere aggiunte tutte le azioni che il curatore può proporre con la finalità di ricostituire il patrimonio del debitore. Recentemente è stata prospettata in dottrina una lettura delle “azioni” esercitabili dal curatore, da “azioni di massa”[5] ad “azioni pro massa”, con l’inevitabile ampliamento della legittimazione ad agire del Curatore[6]. Non è questa la sede per approfondire tale lettura, che ritengo meritevole di approfondimento. Lettura che porta a ritenere il curatore legittimato ad agire, ad esempio, contro gli istituti bancari per concessione abusiva del credito[7] o in via risarcitoria per pagamenti preferenziali[8].
3 . Il processo ordinario di cognizione e il procedimento semplificato di cognizione
Una volta appurato che nelle procedure concorsuali il curatore o il commissario o il liquidatore possono promuovere un’azione di cognizione, si pone l’interrogativo di quale procedimento seguire: quello ordinario (art. 163 ss.) o quello semplificato di cognizione (art. 281 decies ss.).
Infatti, con il D.Lgs. n. 149/2022 il legislatore ha inteso affiancare al processo ordinario di cognizione il procedimento semplificato di cognizione che ne diventa una vera e propria alternativa[9]; ed invero 
(a) il procedimento semplificato trova collocazione nel libro secondo del codice di rito e non più nel quarto libro come era per il procedimento sommario di cognizione;
(b) può essere utilizzato sempre, a scelta dell’attore, in tutte le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica e, «quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa», anche nelle cause riservate alla decisione del tribunale collegiale (art. 281 decies, comma 1, c.p.c.); 
(c) la fase istruttoria è la stessa nei due riti, dal momento che non si prevede più che «il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto» (art. 702 ter c.p.c.);
(d) in caso di errore sul rito, perché, pur in mancanza di quei presupposti richiesti dal comma 1 dell’art. 281 decies, è stato adottato il rito semplificato per una causa che deve essere decisa dal tribunale in composizione collegiale, il tribunale dispone il passaggio al rito ordinario e non dichiara più, come era previsto nell’art. 702 ter, l’inammissibilità della domanda;
(e) il giudice può disporre il passaggio dal rito ordinario al rito semplificato ai sensi dell’art. 183 bis e dal rito semplificato al rito ordinario ai sensi dell’art. 281 duodecies;
(f) il procedimento semplificato si conclude con sentenza, e non più con ordinanza.
Siffatto rilievo comporta che è inevitabile fare riferimento non solo al processo ordinario di cognizione, ma pure al procedimento semplificato di cognizione, anche al fine di desumere dalle differenti discipline quale dei due riti potrebbe essere preferito dall’attore. 
Il primo oggi è caratterizzato dallo scambio degli atti diretti a fissare in modo definitivo il thema decidendum ed il thema probandum prima dell’udienza di comparizione e di trattazione, sia pure con un intervento fuori udienza del giudice, subito dopo gli atti introduttivi e prima dello scambio delle memorie c.d. integrative, intervento che finisce per segnare la novità rispetto al rito societario abrogato nel 2009. 
Il secondo contempla la prima udienza di trattazione subito dopo gli atti introduttivi e prima della definitiva allegazione dei fatti e delle prove. E proprio l’avere conservato la prima udienza di trattazione subito dopo i primi atti (ricorso e comparsa di risposta) ma prima della definitiva fissazione del thema decidendum e del thema probandum potrebbe essere il motivo per il quale il rito semplificato potrebbe essere preferito al rito ordinario, così come il rito sommario fu preferito al rito formale nella vigenza del codice di rito del 1865. 
Il D.Lgs. n. 149/2022 è ormai entrato in vigore, sicché mi sembra inutile soffermarmi a criticare le scelte del legislatore, dire che la fase introduttiva precedente andava bene e al limite si potevano ridurre i giorni previsti. Osservo soltanto che il legislatore ogni volta che ha operato sulla fase introduttiva ha aumentato il tempo intercorrente tra la notifica della citazione e la data della prima udienza: si è passati dai 30/40/60 giorni  - a seconda del luogo in cui era avvenuta la notificazione – contemplati nell’art. 163 bis dalla L. 14 luglio 1950, n. 581 (art. 8) (nel codice del 1940 la citazione non era ad udienza fissa) ai 60 giorni introdotti dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 (art. 8), poi ai 90 giorni inseriti dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263 [art. 2, comma 1, lett. g)] ed ora ai 120 giorni previsti dal D.Lgs. n. 149/2022. Stranezze del legislatore che vuole ridurre i tempi del processo (oggi del 40%), ma poi allontana nel tempo la data della prima udienza.
4 . Il processo ordinario. Il decreto ex art. 171 bis cpc.
Iniziamo dal processo ordinario[10]. La prima novità contemplata dalla riforma (a parte alcuni minimi interventi sull’atto di citazione e sulla comparsa di risposta) è avere previsto che, scaduto il termine fissato per la costituzione del convenuto (70 giorni prima dell’udienza edittale), il giudice “istruttore” nei successivi quindici giorni debba compiere una serie di “verifiche preliminari”, come ad esempio la verifica della regolarità del contraddittorio, la pronuncia, quando occorre, dei provvedimenti previsti dagli artt. 102, comma 2 (ordine di integrazione del contraddittorio in caso di litisconsorzio necessario), 107 (ordine di intervento di un terzo al quale la causa è comune), 164, commi 2, 3, 5 e 6 (rinnovazione della citazione, fissazione di una nuova udienza in caso di inosservanza dei termini a comparire, rinnovazione o integrazione della citazione), 167, commi 2 e 3 (ordine di integrazione della domanda riconvenzionale e autorizzazione al convenuto a chiamare in causa un terzo), 171, comma 3 (dichiarazione di contumacia del convenuto), 182 (ordine di regolarizzazione della costituzione in caso di difetto di rappresentanza, assistenza, autorizzazione, procura alla lite[11]), 269, comma 2 (autorizzazione al convenuto a chiamare in causa un terzo), 291 (ordine di rinnovazione della notificazione della citazione nulla) e 292 (fissazione di un termine per la notifica degli atti al contumace).
In tutti questi casi il giudice (se necessario) con decreto deve fissare la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’art. 171 ter per il deposito delle memorie integrativa ad opera delle parti. 
Penso, per quel che concerne le procedure concorsuali, all’azione di responsabilità che può promuovere il curatore e alla richiesta di chiamare un terzo in causa da parte del convenuto; in questo caso il giudice dovrà fissare una nuova udienza indicando una data che consenta al convenuto di dare al terzo il termine minimo a difesa, ossia almeno 120 giorni. La situazione peraltro potrebbe “complicarsi” se il terzo chiamato intende a sua volta chiamare in causa un terzo (“un quarto”) (art. 271 c.p.c.); certamente deve farne dichiarazione a pena di decadenza nella comparsa di risposta da depositare 70 giorni prima della nuova udienza; a questo punto credo che il giudice debba nuovamente intervenire e, se concede l’autorizzazione, debba fissare una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis (art. 269, comma 3, richiamato dall’art. 271 c.p.c.). Avremo così un decreto dopo quello regolato nell’art. 171 bis cpc limitato però alla autorizzazione alla chiamata in causa del terzo.
Torniamo al decreto di cui all’art. 171 bis; il giudice in questo provvedimento deve indicare alle parti anche le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, pure con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato. Tali questioni sono poi trattate dalle parti nelle memorie integrative di cui all’art. 171 ter
Se non pronuncia uno dei provvedimenti innanzi ricordati, il giudice conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’art. 171 ter per il deposito delle memorie integrative. Il decreto è comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria.
Questo decreto, questo intervento del giudice subito dopo gli atti introduttivi e prima ancora della fissazione del thema decidendum e del thema probandum pone alcune riflessioni, alcuni interrogativi.
(a)
In primo luogo, la riforma chiede al giudice, in un termine abbastanza breve, 15 giorni, di operare non solo una serie di verifiche preliminari relativamente alla regolarità del contraddittorio e alla validità degli atti introduttivi, ma anche di indicare alle parti le questioni rilevabili di ufficio delle quali a suo avviso è opportuna la trattazione. Ciò comporta che il giudice dovrà studiare il fascicolo già dopo gli atti introduttivi (citazione e comparsa di risposta) ma ancor prima che venga esattamente definito il thema decidendum, non avendo ancora l’attore risposto al convenuto, non essendo ancora intervenuto il terzo eventualmente chiamato.
Non solo perché tali verifiche preliminari vengono compiute dal giudice non in contraddittorio con le parti, ma inaudita altera parte, lasciando alle parti l’onere di trattarle nelle memorie integrative[12]. Un aspetto a mio avviso negativo perché alla prima udienza, proprio grazie alla partecipazione delle parti in contraddittorio tra loro, potrebbero presentarsi le questioni indicate nell’art. 171 bis che il giudice non aveva considerato nel decreto, con il rischio di duplicare le attività e di rallentare lo svolgimento del processo. Infatti, la circostanza che il giudice, alla prima verifica, ha ritenuto che non dovesse essere pronunciato alcun provvedimento tra quelli indicati nell’art. 171 bis, e quindi ha emanato il decreto con cui ha fissato solo l’udienza, confermando quella già prevista o rinviandola di non oltre 45 giorni, non esclude che lo stesso giudice alla prima udienza emani uno di quei provvedimenti (integrazione del contraddittorio; chiamata di un terzo iussu iudicis) essendo sorta la necessità dopo le memorie integrative; non esistono al riguardo preclusioni di sorta. Il che vuol dire iniziare tutto dall’inizio.
(b)
In secondo luogo, tale decreto dovrà essere emesso anche in caso di mancata costituzione del convenuto, nel qual caso nel decreto vi sarà la dichiarazione di contumacia (sempre che la notificazione della citazione o la stessa citazione sia regolare). E qui vi è già una prima contraddizione perché l’art. 171 comma 3 prevede che la dichiarazione di contumacia sia fatta con ordinanza e non con decreto.
Ma non è tutto perché il legislatore ha modificato sia il comma 3 dell’art. 171 sia il comma 2 dell’art. 291 ma senza coordinare tali disposizioni. Infatti, mentre il comma 3 dell’art. 171 ricollega la dichiarazione di contumacia alla mancata costituzione nel termine fissato nell’art. 166, ossia settanta giorni prima dell’udienza, il comma 2 dell’art. 291 dispone che «se il convenuto non si costituisce neppure anteriormente alla pronuncia del decreto di cui all’articolo 171 bis, secondo comma, il giudice provvede a norma dell’articolo 171, ultimo comma». 
Ebbene, avere comunque anticipato la dichiarazione di contumacia che in precedenza veniva fatta alla prima udienza finirà per creare problemi di coordinamento perché nulla esclude che il convenuto, che non deve proporre domande riconvenzionali, sollevare eccezioni riservate alla parte, chiamare in causa un terzo non si costituisca settanta giorni prima, ma in un momento successivo, ad esempio con la prima memoria integrativa depositata quaranta giorni prima dell’udienza, al fine di non incorrere nelle decadenze istruttorie. Con la conseguenza che vengono depositati atti ad opera di una parte che è stata dichiarata contumace senza che la dichiarazione di contumacia sia stata revocata. Sarebbe stato preferibile conservare la dichiarazione di contumacia alla prima udienza, dopo che le parti hanno depositato tutti i loro scritti.
(c)
In terzo luogo, questa nuova incombenza per il giudice, che dovrebbe comportare l’inserimento nella “console” di una prima scadenza, dovrebbe essere supportata dagli addetti all’ufficio per il processo, i quali dovrebbero appunto coadiuvare il giudice in questa attività preliminare, come peraltro prevede l’art. 5, comma 1, lett. a) e b), D.Lgs. 10 ottobre 2002, n. 151[13] .
L’art. 171 bis è formulato in modo tale da portare a ritenere inevitabile l’emanazione del decreto con il quale o viene confermata l’udienza fissata subito dopo la costituzione dell’attore o viene differita l’udienza fino ad un massimo di 45 giorni. Infatti, rispetto alla prima udienza decorrono (a ritroso) i termini per lo scambio di memorie.
Inevitabilmente ci si chiede se non sia possibile un altro provvedimento da parte del giudice, valorizzando la previsione dell’art. 175 c.p.c.: «il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali».
Ad esempio, può il giudice fissare un’udienza ordinando già in questo momento la comparizione personale delle parti per interrogarle liberamente sui fatti di causa e tentare la conciliazione, dal momento che dall’esame degli atti introduttivi e dalla documentazione prodotta ha desunto la concreta possibilità di definire il giudizio con la conciliazione? Oppure può il giudice fissare l’udienza per confrontarsi con le parti in merito alla conversione del rito ordinario nel rito semplificato di cognizione e quindi disporre il passaggio prima dell’udienza di trattazione? O ancora può il giudice, ritenendo la causa matura per la decisione, non richiedendo la causa alcuna istruzione, fissare l’udienza di rimessione della causa in decisione (art. 281 quinquies) oppure ordinare la discussione orale della causa fissando apposita udienza (art. 281 sexies)?
Se consideriamo che in questo modo si anticipa l’udienza e quindi il contatto tra le parti ed il giudice e che si può arrivare ad una accelerazione dei tempi di definizione del processo, la risposta dovrebbe essere positiva. Tuttavia (e purtroppo) per come il legislatore ha strutturato questa fase introduttiva, come si è rilevato in precedenza e come si deduce anche dalla lettera dell’art. 171 bis [nel decreto in giudice si limita a segnalare alle parti la sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato], sembra di dovere escludere quelle varianti e concludere nel senso che è sempre necessaria la celebrazione dell’udienza di prima comparizione e di trattazione della causa, rispetto alla quale le parti devono depositare le memorie integrative.
(d)
In quarto lugo, che accade se il giudice non pronuncia il decreto nel termine di 15 giorni? Consideriamo che questo termine può sfuggire al controllo del giudice anche perché è l’attore che lo fissa nel momento in cui indica nella citazione la data di udienza: infatti il convenuto si deve costituire 70 giorni prima dell’udienza edittale e da questa data decorrono i 15 giorni per la pronuncia del decreto da parte del giudice, sicché il decreto va pronunciato 55 giorni prima di tale data. E se consideriamo che al giudice non viene assegnato un solo processo, è ben possibile che il termine di 15 giorni non venga rispettato.
Si è detto giustamente che si tratta di un termine ordinatorio[14] e quindi non vi sono conseguenze per le parti che devono depositare poi le loro memorie a ritroso rispetto alla prima udienza di cui all’art. 183 c.p.c., ossia all’udienza effettiva fissata subito dopo la costituzione dell’attore (o dopo la costituzione del convenuto se l’attore non si è costituito). Nessun problema se il ritardo è di qualche giorno; considerando che la prima scadenza per le parti è 40 giorni prima dell’udienza effettiva, è auspicabile che il ritardo nell’emanazione del decreto sia contenuto, dovendo le parti eventualmente prendere posizione su quanto il giudice segnala nel decreto.
Ma che succede se il decreto non viene emesso prima della scadenza della prima memoria integrativa (40 giorni prima dell’udienza effettiva di cui all’art. 183): le parti possono non depositare le memorie integrative?
A mio avviso se non viene emesso il decreto ex art. 171 bis c.p.c. il processo va comunque avanti dal momento che la data della prima udienza esiste ed è stata fissata subito dopo la costituzione dell’attore o, in mancanza, del convenuto (artt. 168 e 168 bis c.p.c.). Infatti, non solo l’attore - che si è rivolto al giudice – ma anche il convenuto, che potrebbe avere interesse ad una rapida definizione del giudizio, non devono subire un pregiudizio da siffatta omissione, e quindi, in mancanza del decreto ex art. 171 bis, le parti devono comunque depositare le memorie integrative nei termini previsti che sono a ritroso rispetto alla prima udienza, che rimarrà quella già fissata. Ritenere che il processo, in mancanza del decreto ricordato, entri in una fase di quiescenza e che pertanto le parti non debbano depositare le memorie integrative è non solo contrario alla funzione del processo, che è di dare in tempi ragionevoli alle parti una risposta alla domanda presentata dall’attore, ma è anche in violazione del diritto di azione costituzionalmente garantito.
5 . Segue: Le memorie integrative ex art. 171 ter
Ai sensi dell’art. 171 ter le parti, a pena di decadenza, possono depositare memorie integrative entro termini perentori a ritroso rispetto all’udienza di cui all’art. 183. E così
1) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’art. 183, possono proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta. 
Per quel che riguarda la modificazione della domanda, che a partire dalla sentenza delle Sezioni unite della Cassazione 15 giugno 2015 n. 12310[15]  può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi, ossia il petitum e la causa petendi, e sempre che la domanda così modificata risulti connessa con la vicenda sostanziale dedotta in giudizio quanto meno per “alternatività” e senza che per questo si determini la compressione delle potenzialità difensive della controparte o un allungamento dei tempi processuali, il momento ultimo sarà proprio la prima memoria integrativa, non potendo più essere individuato nella prima udienza di comparizione, come dicevano le sezioni unite, perché quella dell’art. 183, comma 6, era una udienza in cui la trattazione non era ancora iniziata, mentre questa dell’attuale art. 183 è una udienza in cui la trattazione della causa è ormai conclusa, avendo le parti già determinato il thema decidendum ed il thema probandum.
Nella prima memoria le parti potranno altresì trattare le questioni indicate dal giudice nel decreto di cui all’art. 171-bis.
2) almeno venti giorni prima dell’udienza, possono replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali.
3) almeno dieci giorni prima dell’udienza, possono replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria. In questa memoria la parte dovrebbe anche potere indicare i mezzi di prova per dimostrare che i fatti posti alla base delle eccezioni nuove sollevate nella seconda memoria sono infondati [16]. Con la conseguenza che la controparte deve a sua volta potere indicare i mezzi di prova contrari nella prima udienza di trattazione. In caso contrario vi sarebbe una grave violazione del diritto alla prova che è una componente essenziale del diritto di difesa.
A ben vedere sono le tre memorie contemplate nell’art. 183, comma 6, e che andavano depositate dopo la prima udienza, sicché non mi sembra che vi sia da aggiungere qualche aspetto particolare se non che i termini per il deposito delle tre memorie sono previsti espressamente dalla legge, mentre i termini contemplati nell’art. 183, comma 6, erano concessi dal giudice se le parti lo chiedevano, giudice che, ad avviso della Cassazione, poteva anche non concederli rientrando tra i suoi poteri discrezionali[17]. E’ questo un ulteriore indice della struttura rigida della fase introduttiva che non consente al giudice, come detto in precedenza, in sede di decreto reso ai sensi dell’art. 171 bis uno sviluppo del provvedimento differente, ad esempio fissare l’udienza per verificare la possibilità di una conciliazione della lite o la trasformazione del rito in quello semplificato di cognizione.
6 . Segue: la prima udienza di trattazione
All’udienza fissata per la prima comparizione (art. 183 c.p.c.) possiamo avere differenti sviluppi:
(a) le parti devono comparire personalmente. La mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’art. 116, comma 2. Nonostante il fallimento di identica previsione introdotta con la legge n. 353/1990 (art. 17), tanto da essere abrogata nel 2005 [art. 2, comma 3, lett. c ter), D.L. n. 35/2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 80/2005]), il legislatore ha reintrodotto l’obbligatorietà della presenza delle parti. Una previsione che fa sorgere molti dubbi riguardo alla sua concreta operatività proprio alla luce di quanto avvenne dopo la riforma del 1990. Ad ogni buon conto tale previsione dovrebbe avere come conseguenza che la prima udienza dovrebbe tenersi in presenza. Ma che succede se, come è già accaduto in passato, le parti non si presentano ed il giudice non rileva tale assenza? Come già rilevato «l’omissione di tale adempimento non determina alcuna conseguenza sul piano della validità del processo»[18].
(b) il giudice interroga liberamente le parti, richiedendo, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e tenta la conciliazione a norma dell’art. 185;
(c) se l’attore nella memoria ex art. 171 ter ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, il giudice, in caso di accoglimento di tale richiesta, deve fissare una nuova udienza a norma dell’art. 269, comma 3; in questo caso il terzo chiamato dovrà costituirsi 70 giorni prima dell’udienza ed il giudice dovrà inevitabilmente assegnare nuovi termini per le memorie integrative, dal momento che tutte le parti devono essere poste in condizione di difendersi rispetto alle difese del terzo chiamato; 
(d) il giudice ritiene la causa matura per la decisione; si passa subito alla fase decisoria che può avere la forma della trattazione scritta, mista o orale;
(e) il giudice provvede con ordinanza sulle richieste istruttorie, l’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi deve essere fissata entro novanta giorni. Se vengono disposti d’ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica nell’ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere a norma del terzo comma ultimo periodo. E’ peraltro possibile che il giudice non provveda in udienza sulle richieste istruttorie, in tale evenienza l’ordinanza deve essere pronunciata entro trenta giorni. Si tratta di termini ordinatori, il cui rispetto richiede che il giudice abbia un numero di cause sul ruolo che gli consenta di provvedere entro i predetti termini;
(f) il giudice, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse[19]. Ricordo l’art. 81 bis, comma 2, disp. att. c.p.c., per il quale l’inosservanza dei termini fissati nel calendario integra violazione disciplinare e può essere considerata ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi[20];
(g) nelle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili, all’esito dell’udienza di cui all’art. 183 il giudice, su istanza di parte, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda (art. 183 quater), mentre l’ordinanza di accoglimento, sempre su istanza di parte, richiede quanto meno la prova dei fatti costitutivi (art. 183 ter).
Queste sono le attività che possono essere compiute nell’udienza di trattazione. Tali attività, peraltro, presuppongono che il giudice arrivi all’udienza a conoscenza dei fatti di causa, il che tuttavia dipende dal numero di cause che il giudice ha sul ruolo. 
E ciò a prescindere dalla circostanza che ben potrebbe accadere che nell’udienza di trattazione debbano essere assunti provvedimenti che non sono stati presi nel decreto di cui all’art. 171 bis, con conseguente rinvio dell’udienza. Oppure che il convenuto si costituisca alla prima udienza, difendendosi puramente e semplicemente oppure sollevando eccezioni rilevabili di ufficio, con inevitabile rinvio dell’udienza per consentire all’attore di difendersi rispetto alla posizione del convenuto.
7 . Il procedimento semplificato
Come già detto, il procedimento semplificato prevede che dopo gli atti introduttivi (ricorso, il cui contenuto è analogo a quello dell’atto di citazione e comparsa di risposta) vi sia la prima udienza di trattazione[21]. E’ bene precisare che nessuna preclusione istruttoria si ricollega a questi atti; le decadenze riguardano le domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio, la chiamata di un terzo in causa
All’udienza, il comma 4 dell’art. 281 duodecies dispone che «se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria».
Nei primi incontri organizzati per l’esame delle novità introdotte dalla riforma del processo civile si è discusso relativamente all’espressione “giustificato motivo”. 
A mio avviso, posto che non vi sono preclusioni istruttorie e che dobbiamo dare un senso all’espressione «se sussiste giustificato motivo», la soluzione va trovata nel ruolo e nel contenuto da attribuire alla prima udienza nel procedimento semplificato di cognizione: in tale udienza le parti devono giungere preparate e pertanto non solo proporre le eccezioni che sono conseguenza delle difese della controparte, ma anche presentare le richieste istruttorie aventi ad oggetto i fatti che sono risultati contestati. In altri termini in questo procedimento entro la prima udienza non solo viene definito il thema decidendum, ma viene altresì individuato il thema probandum. A meno che le parti non illustrino al giudice sufficienti ragioni perché tale attività di allegazione e di integrazione vada compiuta non in udienza ma in memorie scritte da depositare in termini perentori. Ad esempio, perché l’attore ha modificato in udienza la propria domanda o il convenuto ha sollevato eccezioni rilevabili di ufficio o, ancora, sono state formulate istanze istruttorie relativamente alle quali è necessario replicare. 
A favore di questa soluzione vi è non solo la lettera dell’art. 281 undecies che non contempla la decadenza per le istanze istruttorie, ma anche la convinzione che il processo serve a dare tutela ai diritti, e che la concessione di due termini, per complessivi trenta giorni, può rilevarsi uno strumento per assicurare la piena realizzazione del diritto di difesa delle parti, senza incidere sulla durata ragionevole del processo[22].
Se la storia ha un senso, è possibile prevedere che il rito semplificato sarà quello utilizzato dalla classe forense e non disdegnato dai giudici i quali, anche in caso di passaggio al rito ordinario, potranno affrontare nel contraddittorio con le parti tutte quelle attività dirette a verificare la regolarità del contraddittorio o la regolarità degli atti introduttivi, attività previste nel decreto di cui all’art. 171 bis, e dovranno poi fissare l’udienza di trattazione (art. 183) rispetto alla quale decorrono a ritroso i termini contemplati nell’art. 171 ter.

Note:

[1] 
Mi permetto rinviare a un mio scritto L’ambito di applicazione e i principi generali in Diritto della crisi d’impresa, Bari, 2023, 30 ss. Sul “procedimento unitario” la dottrina è divisa, nel senso che mentre per alcuni studiosi il legislatore delegato avrebbe dato attuazione alla legge delega, per altri il procedimento non sarebbe unitario. V. fra i tanti F. Tommaseo, Alcuni profili processuali della gestione dell’impresa in crisi, in Riv. dir. proc. civ., 2020, 669; G. Trisorio Liuzzi, L’ambito di applicazione, cit., 30; I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 550; Id., Codice della crisi e dell’insolvenza: il procedimento unitario, in Corr. giur., 2019, 1157; R. Tiscini, Procedimento unitario e coordinamento tra strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e liquidazione giudiziale, in Il processo, 2022, 785; F. De Santis, Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Corr. giur., 2020, 157; Id., Il sistema dei rimedi nel cosiddetto procedimento “unitario, in Fallimento, 2023, 310; M. Montanari, Il cosiddetto procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, ibid., 563; M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza, 2023, 117; C. Cecchella, Il diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2020, 94; G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 24; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 50; L. Boggio, L’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Giur. it., 2019, 1953; G. Rana, La trattazione congiunta di istanze liquidatorie e ricorsi per soluzione negoziata nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in Dir. fall., 2021, I, 520; Id., Le regole del procedimento unitario della crisi d’impresa dopo il d.lgs., n. 82/2022, in Fallimento, 2023, 153.
[2] 
V. a tale riguardo M. Spiotta, Le azioni del Curatore e quelle esperibili dalle corrispondenti figure, in Giur. it., 2023, 1747 ss.
[3] 
Ritengono che una eventuale delibera assembleare di rinuncia all’azione sociale assunta prima del deposito del ricorso per concordato preventivo sia opponibile al liquidatore giudiziale, M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, cit., 244; M. Spiotta, Le azioni del Curatore, cit., 1749 nota 20.
[4] 
Esclude la revocatoria concorsuale M. Spiotta, Le azioni del Curatore, cit., 1749.
[5] 
Le sezioni unite della Corte di Cassazione, sia pure con specifico riferimento alla concessione abusiva di credito, hanno puntualizzato che «nel sistema della legge fallimentare, la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni cosiddette "di massa" - finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo - al cui novero non appartiene l'azione risarcitoria per i danni da concessione abusiva di credito, azione che, analogamente a quella prevista dall' art. 2395 c.c. , costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore» (Cass. sez. un. 28 marzo 2006, n. 7029).
[6] 
V. M. Spiotta, Le azioni del Curatore, cit., 1752 ss.
[7] 
La legittimazione del curatore è stata riconosciuta da Cass. 18 gennaio 2023, n. 1387; 30 giugno 2021, n. 18610.
[8] 
M. Spiotta, Le azioni del Curatore, cit., 1753.
[9] 
Rinvio ad un mio precedente studio, G. Trisorio Liuzzi, La fase introduttiva del giudizio civile di primo grado dinanzi al tribunale, in Giusto proc. civ., 2023, 25.
[10] 
Sul processo ordinario di cognizione dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 149/2022 v., fra gli altri, F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, Milano, 2023, 51 ss.; Id., Diritto processuale civile, II, Milano, 2023, 6 ss.; G. Monteleone, Diritto processuale civile, I, Milano, 2023, 355 ss.; B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano9, Milano, 2023, 259 ss.; G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2023, 43 ss.; G. Trisorio Liuzzi, La fase introduttiva del giudizio civile, cit., 25 ss.; A. Carratta, Le riforme del processo civile, Torino, 2023, 33 ss.; C. Delle Donne, La fase introduttiva, prima udienza e provvedimenti del giudice istruttore, in La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 a cura di R. Tiscini, Pisa, 2023, 268 ss.; G. Reali, La fase introduttiva e della trattazione, in Aa.Vv., La riforma del processo civile a cura di Dalfino, in Foro.it., Gli speciali n. 4 del 2022, 93 ss.; D. Volpino, La nuova fase introduttiva del procedimento ordinario di cognizione, in Giusto proc. civ., 2022, 711; D. Buoncristiani, Il processo di primo grado, introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, in Il processo civile dopo la riforma a cura di C. Cecchella, Bologna, 2023, 49 ss.; F. Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in Giustiziainsieme.it, 22 febbraio 2023. 
[11] 
La riforma ha modificato l’art. 182, espressamente prevedendo che, in caso di mancanza della procura al difensore, il giudice deve assegnare alle parti un termine perentorio per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione.
[12] 
Negli stessi termini G. Reali, La fase introduttiva, cit., 111.
[13] 
Art. 5 D.Lgs. n. 151/2022: «1. All'ufficio per il processo civile costituito presso i tribunali ordinari e le corti di appello sono attribuiti uno o più fra i seguenti compiti: a) attività preparatorie e di supporto ai compiti del magistrato, quali: studio del fascicolo, compilazione di schede riassuntive, preparazione delle udienze e delle camere di  consiglio, selezione dei presupposti di mediabilità della lite, ricerche di giurisprudenza e dottrina, predisposizione di bozze di provvedimenti, assistenza alla verbalizzazione; b) supporto al magistrato nello svolgimento delle verifiche preliminari previste dall'articolo 171-bis del codice di procedura civile nonché nell'individuazione dei procedimenti contemplati dall'articolo 348-bis del codice di procedura civile».
A tale proposito lascia oltremodo perplessi la previsione (già contenuta nella legge delega) che consente agli addetti all'ufficio per il processo di predisporre bozze di provvedimenti, dal momento che la redazione dei provvedimenti giudiziari è riservata ai giudici.
[14] 
Negli stessi termini G. Reali, La fase introduttiva, cit., 111.
[15] 
Cass., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310, in Corriere giur., 2015, 961 con nota di C. Consolo, Le S.U. aprono alle domande “complanari” ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriconducibilmente) diverse da quella originaria con cui si cumuleranno; in Riv. dir. proc., 2016, 807 con nota di E. Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da «alternatività sostanziale» nel giudizio di primo grado; in Giusto proc. civ., 2016, 389 con nota di M. Monnini, Le sezioni unite ammettono la «modificazione» delle domande sino alla prima memoria ex art. 183, 6º comma, c.p.c.: una spinta per la rivitalizzazione della fase orale e scritta di trattazione?; in Foro it., 2015, I, 3174, con nota di A. Motto, Le Sezioni Unite sulla modificazione della domanda giudiziale; in Foro it., 2016, I, 255 con nota di C. Cea, Tra mutatio ed emendatio libelli: per una diversa interpretazione dell’art. 183, c.p.c.
In dottrina, v. inoltre, fra gli altri, L.P. Comoglio, Modificazione della domanda, tutela effettiva ed economia dei giudizi (nuovi poteri per il giudice?) in Nuova giur. civ., 2016, 653; G. Trisorio Liuzzi, Domande nuove e modificate nel processo del lavoro, in Giusto proc. civ., 2016, 632; M. Bove, Individuazione dell’oggetto del processo e mutatio libelli, in Giur. it., 2016, 1607; E. D’Alessandro, L’oggetto del giudizio di cognizione, Tra crisi delle categorie del diritto ed evoluzioni del diritto processuale, Torino, 2016, 205; A. Motto, Domande nuove e modificate nel primo grado di giudizio a rito ordinario, B. Gambineri, Mutatio ed emendatio libelli in appello. Poteri delle parti e limiti oggettivi del giudicato, e G. Reali, La mutatio e l’emendatio libelli nel processo del lavoro, tutti in Aa.Vv., Problemi attuali di diritto processuale civile a cura di D. Dalfino, in Foro it., Gli speciali n. 1 del 2021, 69, 141, 109; C. Cariglia, La corte di cassazione conferma il nuovo orientamento in tema di ammissibilità della domanda nuova, in Giur. it., 2016, 2154; S. Ricci, I nuovi confini del binomio mutatio - emendatio libelli come ridisegnati dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite del 2015, in Judicium.it, 2017.
[16] 
In tal senso v. altresì G. Reali, La fase introduttiva, cit., 116.
[17] 
Cass. 11 marzo 2016, n. 4767, secondo cui, vigenti l'art. 187 c.p.c., comma 1, e l'art. 80 bis disp. att. c.p.c., «non può quindi dubitarsi che l'istruttore, nonostante la richiesta di assegnazione dei termini di cui all'art. 183 c.p.c., comma 6, possa tuttora invitare le parti a precisare le conclusioni e assegnare la causa in decisione anche alla prima udienza di comparizione, laddove la ritenga matura per la decisione per la sussistenza di questioni pregiudiziali di rito ovvero di questioni preliminari di merito, ovvero ancora laddove i termini della controversia, sulla base delle allegazioni delle parti e dei documenti già prodotti, ne consentano la immediata decisione senza ulteriori appendici assertive e istruttorie; d'altra parte, il favore del vigente sistema processuale per una decisione immediata del merito della controversia, laddove possibile, e senza inutili appendici assertive e istruttorie, è confermato dal disposto dell'art. 189 c.p.c.».
[18] 
Così G. Reali, La fase introduttiva, cit., 120. In giurisprudenza v. in tal senso v. Cass. 18 agosto 2004, n. 16141; 20 giugno 2003, n. 9908.
[19] 
Sul calendario del processo v. per tutti M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, in Riv. dir. proc., 2012, 166; E. Zucconi Galli Fonseca, Il calendario del processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 1393; C. Cea, Il calendario del processo, in Foro.it., 2012, V, 154; D. Torquato, Di alcuni clichés in tema di calendrier du procès e calendario del processo - Qualche puntualizzazione in merito al nuovo art. 81 bis disp. att. c.p.c., in Giusto proc. civ., 2010, 1233; E. Picozza, Il calendario del processo, in Riv. dir. proc., 2009, 1650.
[20] 
Sulla non manifesta irragionevolezza del calendario del processo v. Corte cost. 18 luglio 2013, n. 216, in Giur. it., 2013, 2587 con nota di A. Guglielmino, Brevi osservazioni sulla costituzionalità dell'obbligo di fissazione del calendario del processo.
[21] 
Sul procedimento semplificato di cognizione v., fra gli altri e per tutti, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, cit., II, 81; B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, cit., 509; G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., II, 305; Id., Il procedimento semplificato di cognizione, in Il foro italiano. Gli speciali. Riforma del processo civile, a cura di D. Dalfino, Piacenza, 2023, 195; Id., Il (seminuovo) procedimento semplificato di cognizione, in Giusto proc. civ, 2023, 1; G. Trisorio Liuzzi, La fase introduttiva del giudizio civile di primo grado, cit., 49; A. Carratta, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (II parte) – due modelli processuali a confronto: il rito ordinario e quello semplificato, in Giur.it., 2023, 697; R. Tiscini, Il procedimento semplificato di cognizione, in La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 a cura di R. Tiscini, Pisa, 2023, 395; B. Gambineri, Il procedimento semplificato di cognizione (o meglio il “nuovo) processo di cognizione di primo grado), in Questionegiustizia.it, 2023; A. Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato di cognizione, in Judicium.it, 2023.
[22] 
E’ interessante ricordare la decisione della decima sezione civile del Tribunale di Milano relativamente all’espressione «se sussiste giustificato motivo»: «La Sezione all’unanimità osserva che l’effettiva tutela del contraddittorio, di cui al novellato art. 101 c.p.c., appare garantita dall’interpretazione estensiva del “giustificato motivo” di cui all’art. 182 duodecies, IV comma c.p.c., rendendo così ancora più effettivo il diritto di difesa delle parti anche nel procedimento semplificato di cognizione». L’Osservatorio sulla riforma presso il Tribunale di Palermo ha ritenuto di interpretare il concetto di “giustificato motivo” anche alla luce del novellato art. 101, comma 2 c.p.c., con la conseguenza che il duplice termine previsto dall’art. 281 duodecies c.p.c. può senz’altra costituire uno degli strumenti per assicurare la piena realizzazione del diritto di difesa delle parti e garantire che il processo sia “giusto”.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

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