Ai sensi dell’art. 208, comma 3, decorso il termine finale di sei (o dodici) mesi dal decreto di esecutività previsto dal comma 1 della disposizione, la proposizione di domande tardive non è più ammessa, salvo che l’istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile (domande c.d. supertardive o ultratardive). È pacifico che la disposizione, utilizzando la formulazione generica di “domande tardive”, si riferisca a tutte le domande di cui all’art. 201: di insinuazione al passivo di crediti pecuniari, di rivendica o restituzione di beni mobili e immobili e di partecipazione alla distribuzione del ricavato dalla liquidazione del bene ipotecato a garanzia di un debito altrui[16].
L’art. 208, comma 3, costituisce applicazione specifica della regola generale della rimessione in termini della parte incorsa in decadenza per causa a sé non imputabile (art. 153, comma 2, c.p.c.).
L’effetto della rimessione in termini è la riattribuzione alla parte del potere estintosi per decadenza, a causa del suo mancato esercizio nel termine perentorio previsto dalla legge (nel caso di specie, il potere di proporre la domanda di tutela dei diritti di cui all’art. 201, da esercitare nel termine perentorio previsto dal comma 1 dell’art. 208). Tale effetto dipende dalla integrazione di una fattispecie, di cui la causa non imputabile costituisce fatto costitutivo; è pertanto onere del ricorrente allegare e dare prova della circostanza che integra la causa non imputabile[17]. La Corte di cassazione afferma che il giudizio del tribunale circa la causa non imputabile implica un accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità[18]. Tuttavia, nelle applicazioni pratiche, la Corte mostra di svolgere un sindacato pieno e diretto sulla soluzione della questione da parte del tribunale, come è corretto che sia, venendo in rilievo non una questione di merito, rilevante per l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere in giudizio con la domanda, bensì una questione di rito, rilevante ai fini della valida proposizione della stessa: come si esprime l’art. 208, comma 3, la sussistenza della causa non imputabile rileva ai fini della ammissibilità della domanda e non della sua fondatezza[19].
Costituiscono causa non imputabile il fatto del terzo, il caso fortuito e la forza maggiore, nonché il fatto riferibile all’interessato, che non fosse evitabile usando la normale diligenza. In tutti i casi, il fatto deve essere stato causale rispetto alla mancata proposizione tempestiva della domanda, e ciò avviene se, in dipendenza di esso, l’interessato o non è venuto a conoscenza della procedura o, pur essendone a conoscenza, non ha potuto tempestivamente trasmettere la domanda a causa dell’impedimento; il fatto deve inoltre essere tale da determinare un’impossibilità assoluta, e non già un'impossibilità relativa (e tantomeno una mera difficoltà), di presentare la domanda nel rispetto del termine finale[20].
Con riferimento all’insinuazione al passivo di crediti da parte dell’agente della riscossione, la giurisprudenza afferma che l’ente impositore o l’esattore debbono presentare l’istanza nel termine (previsto dal previgente art. 101 L. fall.) di un anno dal decreto di esecutività dello stato passivo, senza che i più lunghi termini previsti dalla legge per le procedure di accertamento e l’emissione dei ruoli e delle cartelle possano costituire una esimente di carattere generale del rispetto di tale termine, dovendo l’ente impositore, una volta ricevuta notizia dell’apertura della procedura, immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per l’insinuazione al passivo dei crediti[21].
La mancanza o l’irritualità dell’avviso al creditore da parte del curatore (art. 200) sono ritenute dalla giurisprudenza consolidata, a ragione, causa non imputabile del ritardo per la presentazione della domanda di insinuazione al passivo (come delle domande di rivendica o restituzione di beni)[22], salva la facoltà del curatore di dimostrare che, nonostante ciò, il creditore aveva comunque avuto conoscenza della procedura e avrebbe quindi potuto proporre la domanda tempestivamente o tardivamente[23]. A questo proposito, la Corte di cassazione ha chiarito che il curatore deve fornire prova che il creditore ha avuto conoscenza effettiva dell'emissione della sentenza dichiarativa dell’insolvenza del debitore, oppure che egli ha avuto una conoscenza assimilabile a quella, legale, che sarebbe stata garantita dall’invio dell’avviso come prescritto dalla legge: non sono pertanto sufficienti l'astratta conoscibilità o una conoscenza di mero fatto[24]. Si sono escluse, ad esempio, la rilevanza della iscrizione nel Registro delle Imprese della sentenza di fallimento[25] e quella della proposizione dell’istanza di restituzione in via breve dei beni mobili di cui all’art. 87 bis L. fall. (oggi, art. 196), a cui abbia fatto seguito la loro inventariazione da parte del curatore, in quanto solo l’espresso rigetto da parte del giudice delegato dell’istanza rende edotta la parte istante della necessità di proporre la domanda di rivendica o di restituzione del bene[26]. Invece, e sempre in via esemplificativa, si sono affermate la rilevanza della rituale dichiarazione in un giudizio pendente della apertura della liquidazione giudiziale e dell’intervento (in senso lato) del curatore (oggi, ai sensi dell’art. 216, comma 10) in una procedura esecutiva pendente contro il debitore, di cui è parte anche il creditore[27]; della comunicazione a mezzo fax della sentenza di fallimento al creditore[28]; della corrispondenza tra il creditore e la curatela da cui si evince la conoscenza della procedura da parte del primo[29]; della presentazione da parte del creditore di una domanda tempestiva di insinuazione al passivo della medesima procedura, ancorché per crediti diversi aventi titolo in differenti rapporti contrattuali[30]; della partecipazione del creditore alla procedura di concordato preventivo del debitore, ancorché non direttamente, ma mediante un proprio mandatario[31].
Il Codice introduce un termine perentorio per la proposizione della domanda c.d. supertardiva, a pena di inammissibilità della stessa. Il termine è di 60 giorni e decorre dal venire meno della causa che ha impedito il deposito (rectius, trasmissione) della domanda; è onere del ricorrente allegare e provare il momento in cui l’impedimento è cessato, al fine di dare dimostrazione del rispetto del termine. L’innovazione è sicuramente opportuna, in quanto (come rileva anche la Relazione al Codice) consente di realizzare insopprimibili esigenze di certezza giuridica: in difetto di un’analoga previsione di legge all’art. 101 L. fall., la giurisprudenza aveva infatti integrato in via pretoria la disposizione, richiedendo che l’istante proponesse la domanda in un “termine ragionevole”, la cui congruità era rimessa a una valutazione discrezionale effettuata caso per caso dal giudice[32].
Termine finale di presentazione della domanda c.d. supertardiva è l’esaurimento di tutte le operazioni di ripartizione dell’attivo: conclusa la distribuzione del ricavato dalla liquidazione, in ogni caso la domanda non può più essere formulata, indipendentemente dal venire meno dell’impedimento, non essendovi più attivo da destinare al soddisfacimento del creditore.
Come suggerito da parte della giurisprudenza teorica e pratica, il Codice introduce al comma 3 dell’art. 208 una modalità semplificata di definizione delle domande supertardive manifestamente inammissibili, per mancata allegazione delle circostanze da cui è dipeso il ritardo, per mancata indicazione dei documenti volti a fornirne prova, oppure per mancata indicazione dei mezzi di prova di cui l’istante intende valersi per dimostrarne la non imputabilità; in breve, se nella domanda manca l’allegazione delle circostanze che integrano la causa non imputabile del ritardo o l’indicazione delle prove (documenti e mezzi istruttori) volti a dare dimostrazione di tali circostanze. In tali ipotesi, il giudice delegato, senza dare corso all’udienza di verifica e senza essere tenuto a sentire il ricorrente (il che non significa che non possa sentirlo), dichiara l’inammissibilità della domanda con decreto[33].
Il decreto del giudice delegato è impugnabile con il reclamo dell’art. 124 (dunque, non con l’opposizione ex art. 206) da proporsi al tribunale. A nostro avviso, il decreto con cui il tribunale rigetta il reclamo, confermando l’inammissibilità della domanda, ha carattere decisorio e definitivo, e pertanto è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. È invece dubbio se, in caso di accoglimento del reclamo, il tribunale debba trattare e decidere la domanda c.d. supertardiva, oppure se debba limitarsi ad annullare il decreto, lasciando al giudice delegato la trattazione e la decisione della domanda, secondo le regole ordinarie del procedimento di verifica del passivo. Quest’ultima soluzione appare preferibile, in quanto il reclamo riguarda la validità del decreto del giudice delegato, che istituzionalmente ha ad oggetto (come ancora prima il procedimento semplificato all’esito del quale è emesso) esclusivamente la decisione della questione di rito inerente alla “manifesta inammissibilità” della domanda.
Resta infine da precisare che la legge predispone la speciale modalità decisoria semplificata per casi che potremmo definire di non concludenza della domanda rispetto al requisito della causa non imputabile, per assoluta carenza della allegazione dei fatti che la integrano o delle prove necessarie per darne dimostrazione. Pertanto, in base alla lettera della legge, in ogni altro caso, la domanda deve essere trattata e decisa secondo le regole ordinarie di cui all’art. 208, comma 2, e, quindi, nell’udienza di verifica delle domande tardive; la questione pregiudiziale inerente all’ammissibilità della domanda sarà esaminata (unitamente alle altre questioni rilevanti) in quella sede e decisa con il decreto di cui all’art. 201, comma 1, con cui il giudice delegato accoglie o respinge (in merito o in rito) la domanda[34]. Le modalità ordinarie dovranno essere seguite, quindi, anche nelle seguenti ipotesi: a) se il ricorrente abbia allegato le circostanze e offerto di darne prova, quantunque le prime appaiano non verosimili e le seconde inidonee a dimostrare la non imputabilità del ritardo; b) in caso di mancata indicazione e prova del momento in cui è cessato l’impedimento, che costituisce il dies a quo del termine perentorio di sessanta giorni per la proposizione della domanda; c) la domanda sia stata proposta dopo l’esaurimento tutte le ripartizioni dell’attivo.