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Saggio

Le perdite di capitale tra la normativa emergenziale e il Codice della crisi*

Lucio Guttilla e Martina Daniele, Avvocato del Foro di Genova e Dottoressa in Giurisprudenza

22 Giugno 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Una riflessione ad ampio spettro sull'art. 6 del Decreto "Liquidità", che ha disposto la deroga al contenuto degli artt. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482 bis, commi quarto, quinto e sesto, 2482 ter, 2484, comma primo, numero 4) e 2454 duodecies c.c. L'importanza della disposizione nel contesto dell'emergenza sanitaria ed economica, i notevoli impatti pratici dell'intervento normativo, le ragioni e le criticità della scelta legislativa.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Tra le molteplici misure adottate dal legislatore italiano per fronteggiare le conseguenze negative generate dall’emergenza pandemica Covid-19, sull’attività d’impresa spicca l’art. 6 del D.L. 8 Aprile 2020, n. 23 (Decreto Liquidità), successivamente riscritto e sostituito dall’art. 1, comma 266, della L. n. 178 del 30 dicembre 2020 (Legge di Bilancio 2021).
La ratio sottesa a tali disposizioni è quella di evitare la messa in liquidazione di società performanti che si trovino in situazioni di deficit patrimoniale a causa di perdite straordinarie ed imprevedibili generate dalla pandemia da Covid-19; parallelamente, come espressamente chiarito dalla relazione illustrativa del Decreto Liquidità, con tali disposizioni il legislatore ha inteso evitare che gli amministratori di un elevato numero di società in perdita siano esposti alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’art. 2486 cod. civ. [1].
Fermo restando l’obiettivo del legislatore, le disposizioni in esame hanno sollevato molteplici questioni interpretative rilevanti al fine di valutare l’effettiva portata ed incidenza delle misure emergenziali in commento sulle attività imprenditoriali che hanno maturato o accertato perdite rilevanti di capitale in costanza di emergenza pandemica. A tal fine, è utile segnalare che il Consiglio Notarile di Milano e il Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie hanno recentemente pubblicato alcune massime che potrebbero costituire utile strumento di guida per la comprensione e la corretta applicazione delle misure introdotte dal Decreto Liquidità [2].
A valle dell’analisi della normativa emergenziale, anche alla luce dei principi di cui alla riforma del diritto della crisi operata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza [3], ci si soffermerà brevemente sul ruolo svolto nel contesto attuale dalle norme in materia di conservazione dell’integrità del capitale sociale le quali si collocano, ora, in una zona di confine tra il diritto delle società in bonis e il diritto della crisi, oggetto di crescente attenzione da parte del legislatore.
2.1 . L’articolo 6 del Decreto Liquidità
L’art. 6 del Decreto Liquidità ha introdotto una disciplina derogatoria di alcune fondamentali previsioni del Codice Civile relative ai provvedimenti che gli organi sociali delle società di capitali devono assumere in caso di rilevante riduzione del capitale sociale per effetto di perdite.
In particolare, l’art 6 del Decreto Liquidità ha previsto la disapplicazione degli artt. 2446, commi 2 e 3, e 2447 cod. civ. e della causa di scioglimento delle società di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ., a partire dalla data della sua entrata in vigore (9 aprile 2020) e fino al 31 dicembre 2020, “per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data” e, cioè, entro il 31 dicembre 2020 [4].
Il termine “fattispecie” utilizzato dal legislatore nell’art. 6 del Decreto Liquidità ha sollevato numerosi dubbi interpretativi: in dottrina e nella pratica ci si è interrogati, infatti, sulla estensibilità della sospensione prevista dalla norma emergenziale anche alle perdite maturate prima dell’entrata in vigore del decreto ma accertate in bilanci successivamente approvati [5], ovvero sull’opportunità di limitare l’applicazione della norma alle sole perdite maturate a partire dal 9 aprile 2020 e, cioè, dalla data di entrata in vigore del decreto [6].
In dottrina, si è affermata prevalentemente un’interpretazione di tipo “letterale-estensivo” dell’art. 6 Decreto Liquidità nella sua versione originaria: alla luce della indeterminatezza del termine “fattispecie”– nonché della potenziale riconducibilità di qualsiasi evento economico dell’impresa verificatosi durante il 2020 alla crisi economica generalizzata causata dalla pandemia –, si è ritenuto ragionevole assoggettare alla normativa emergenziale non soltanto le perdite maturate a partire dall’entrata in vigore del Decreto Liquidità, ma anche quelle maturate precedentemente a tale data e, potenzialmente, non ripianate a causa della emergenza pandemica [7]. 
2.2 . L’articolo 1, comma 266, della Legge di Bilancio 2021
Come si è anticipato, l’art. 1, comma 266, della Legge di Bilancio 2021 ha interamente riscritto e sostituito l’art. 6 del Decreto Liquidità, da un lato prolungando l’orizzonte temporale del regime derogatorio e, dall’altro lato, modificando la formulazione letterale che individua le perdite rilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina emergenziale. 
Anzitutto, la Legge di Bilancio 2021 ha esteso a cinque anni la finestra temporale entro cui le società possono procedere al ripianamento delle “perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”. A ben guardare, la previsione di un arco temporale quinquennale risulta coerente con la durata generalmente prevista sia dai piani sottesi alle domande di concordato preventivo ex art. 160 ss.  L. fall. e agli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L. fall, sia dai piani attestati di risanamento ex art. 67, comma 3 lett. d),  L. fall. Si tratta, dunque, di un orizzonte temporale durante il quale la prassi ritiene possibile pianificare un complesso di azioni idonee a superare una situazione di crisi.
Sul versante della perimetrazione delle perdite rilevanti, invece, l’espressione “perdite emerse” utilizzata dalla attuale versione della norma non risolve del tutto il quesito interpretativo sorto nella vigenza della formulazione originaria: infatti, resta decisivo stabilire se l’espressione “perdite emerse” si riferisca al momento della “maturazione” o dell’“accertamento” delle perdite rilevanti.
Secondo l’orientamento prevalente, la scelta lessicale operata dalla Legge di Bilancio 2021 lascerebbe propendere per un’interpretazione restrittiva, con conseguente esclusione dal campo di applicazione oggettivo della norma delle perdite maturate in esercizi antecedenti a quello “in corso al 31 dicembre 2020”, anche se accertate in tale esercizio [8]. 
Si ritiene che siano parimenti escluse dal campo di applicazione della norma anche le perdite rilevanti maturate e maturande nel corso dell’esercizio 2021 [9]. L’estensione a tali perdite, infatti, contrasterebbe con la natura temporanea delle disposizioni emergenziali nonché con il dato letterale della norma. 
3 . Analisi della disciplina emergenziale e della sua portata applicativa
Salvo le differenze delineate in tema di individuazione delle perdite rilevanti e dell’arco temporale di applicazione del regime derogatorio (prolungato a cinque anni nella normativa attualmente vigente), le misure previste dal Decreto Liquidità nella sua formulazione originaria e dalla Legge di Bilancio 2021 risultano le medesime [10].
L’art. 1, comma 266, della Legge di Bilancio per il 2021 prevede che le perdite rilevanti ex art. 2446 cod. civ., maturate nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, debbano risultare diminuite a meno di un terzo “al quinto esercizio successivo”: all’ordinario “anno di grazia” concesso dalla disciplina codicistica, il legislatore dell’emergenza sostituisce una finestra temporale di cinque anni. In mancanza di tale ripianamento, “l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio [i.e. del quinto esercizio successivo] deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate”. Parallelamente, per le perdite rilevanti ex art. 2447 cod. civ., è sospesa l’operatività della regola “ricapitalizza o liquida” e, dunque, la società è sottratta alla scelta immediata ed obbligata tra la ricapitalizzazione, la trasformazione e lo scioglimento: anche in questo caso, il termine per procedere al ripianamento delle perdite è di cinque anni. Inoltre, la disapplicazione della regola “ricapitalizza o liquida” si accompagna alla espressa sospensione dell’operatività della causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ.: in forza della normativa emergenziale, la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale non comporta lo scioglimento della società anche ove non siano adottati i provvedimenti di ricapitalizzazione o trasformazione.
Al verificarsi di perdite rilevanti ai sensi della normativa emergenziale, i soci avranno in ogni caso la facoltà sia di procedere immediatamente al ripianamento (anche parziale) delle perdite [11], sia di deliberare la trasformazione o lo scioglimento della società; parimenti, l’assemblea dei soci potrà deliberare un aumento del capitale a pagamento non preceduto dalla riduzione dello stesso a copertura delle perdite occorse, anche laddove, ad esito di tale operazione, il patrimonio netto della società continui ad essere inferiore ai due terzi del capitale sociale o inferiore al minimo legale [12]. Infine, le perdite rientranti nel campo di applicazione dell’art. 1, comma 266, della Legge di Bilancio 2021 devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine e delle movimentazioni intervenute durante l’esercizio.
È inoltre opportuno precisare che, non essendo derogato il primo comma dell’art. 2446 cod. civ. (né dalla prima formulazione della norma, né dalla versione aggiornata risultante dalla Legge di Bilancio 2021), resta fermo il dovere degli amministratori di accertare la perdita e di convocare “senza indugio” [13] l’assemblea per gli “opportuni provvedimenti”, sottoponendo a quest’ultima una situazione patrimoniale ad hoc che dia conto dell’entità delle perdite maturate [14]. Si ritiene che la predisposizione di tale situazione patrimoniale consista nella redazione di un vero e proprio bilancio di esercizio infra-annuale [15], redatto con gli stessi criteri e con la medesima struttura previsti dal Codice Civile per il bilancio di esercizio; la redazione di un documento ad hoc, tuttavia, può essere sostituita dall’ultimo bilancio di esercizio approvato nella misura in cui esso risulti sufficientemente aggiornato [16]. 
Infine, la normativa emergenziale non prevede deroghe all’applicazione di altre norme di legge rispetto alle quali rileva la sussistenza di perdite del capitale sociale: in particolare, continueranno ad applicarsi l’art. 2433, comma 3, cod. civ. che pone il divieto di distribuzione di utili in caso di perdite, nonché l’art. 2412, comma 1, cod. civ. che individua nelle risultanze del patrimonio netto il limite quantitativo all’emissione di obbligazioni [17]. 
4.1 . La disciplina delle start-up e PMI innovative
Uno dei modelli normativi cui si è ispirato il legislatore è costituito dall’art. 26, comma 1, D.L. 18 ottobre 2012 n. 179 conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221 (“Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”),che prevede, anch’esso, una diversa modulazione temporale – rispetto alla disciplina ordinaria – degli obblighi di riduzione del capitale e di ricapitalizzazione in caso di perdite rilevanti di capitale. Il campo di applicazione soggettivo di tale disposizione è circoscritto alle c.d. start-up e PMIinnovative per le quali è previsto, da un lato, che “il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo […] è posticipato al secondo esercizio successivo” e, dall’altro lato, che, in caso di perdita rilevante di capitale che influisca sul minimo legale, l’assemblea (anziché dovere intervenire immediatamente) “può deliberare di rinviare tali decisioni [i.e. l’immediata riduzione seguita dal contemporaneo aumento del capitale al minimo] alla chiusura dell’esercizio successivo”, momento in cui ricomincia ad operare anche la causa di scioglimento indicata all’art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ.. La fattispecie in questione è funzionale a far fronte all’elevato e fisiologico rischio imprenditoriale connesso alla peculiare natura dell’attività esercitata dalla tipologia di imprese rientranti nel campo di applicazione soggettivo della norma e alla possibilità elevata che nei primi esercizi esse registrino perdite rilevanti. 
4.2 . L’art. 182-sexies L. fall.
Oltre alla disciplina speciale in materia di start-up e PMI innovative, il legislatore dell’emergenza sembra essersi ispirato all’articolo 182-sexies  L. fall. [18], che rappresenta un’importante norma di raccordo recentemente introdotta per adeguare il funzionamento di alcuni istituti di diritto societario alle esigenze di gestione e superamento della crisi d’impresa, sulla scia della tendenza progressiva alla compenetrazione tra il diritto delle società in bonis e il diritto della crisi [19]. Analogamente alla disposizione in materia di start-up innovative, l’art. 182-sexies  L. fall. è stato introdotto con l’intento di tamponare gli effetti della crisi finanziaria esplosa a partire dal 2008. Con tale disposizione, il legislatore ha eliminato alcuni “ostacoli” posti dal diritto societario agli strumenti di soluzione negoziale della crisi d’impresa [20] con l’obiettivo di incentivarne l’utilizzo: per effetto di questa disposizione, le società con capitale inferiore al minimo legale (a causa di perdite) che vogliano accedere alla procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti, sono espressamente sottratte al preventivo obbligo di procedere alla ricapitalizzazione [21]. 
Infatti, l’art. 182-sexies  L. fall. – riprodotto integralmente dagli artt. 64 (per l’accordo di ristrutturazione dei debiti) e 89 (per il concordato preventivo) del Codice della crisi e dell’insolvenza – prevede la disapplicazione degli artt. 2446, commi 2 e 3, e 2447 cod. civ. (nonché delle corrispondenti norme dettate per le s.r.l.) a partire dalla data del deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo (anche “con riserva”, ex art. 161, comma 6,  L. fall.) o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione (o di proposta di accordo ex art. 182-bis, comma 6,  L. fall.). A partire da tale momento, inoltre, non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui all’art. 2484, n. 4 (e 2545-duodecies) cod. civ. [22].
La disciplina emergenziale in commento, dunque, provoca implicitamente e parallelamente anche la sostanziale disapplicazione dell’art. 182-sexies  L. fall.: gli effetti giuridici previsti da tale disposizione in caso di accesso a procedure di risoluzione della crisi d’impresa sono realizzati direttamente dall’art. 6 del Decreto Liquidità, indipendentemente dalla circostanza che la società in perdita abbia o meno intrapreso procedure di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti. Il risultato è quello di sottrarre la società all’alternativa tra la ricapitalizzazione e lo scioglimento, senza tuttavia condizionare tale sottrazione al tentativo di ripristino dell’equilibrio finanziario mediante uno strumento di soluzione negoziata della crisi [23]. 
Il comma 2 dell’art. 182-sexies  L. fall. precisa che per il periodo anteriore al deposito delle domande di ammissione al concordato preventivo e di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti continua a trovare applicazione l’art. 2486 cod. civ. secondo il quale, al verificarsi di una causa di scioglimento della società, “gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”; si ritiene, dunque, che la medesima norma non si applichi nel periodo successivo al deposito delle domande di ammissione al concordato o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti: a partire dalla data del deposito, all’obbligo di “gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale” subentra quello di conformare l’amministrazione della società all’obiettivo del risanamento dell’impresa, nel rispetto delle norme proprie dello strumento giuridico impiegato (cfr. artt. 161, comma 7, e 167  L. fall.) e sulla base di un piano industriale e finanziario (depositato o in corso di predisposizione) che ben potrà prevedere, soprattutto se in continuità, il compimento di atti che comportano l’assunzione di nuovo rischio d’impresa. 
5 . Poteri e responsabilità degli amministratori tra la disciplina emergenziale e il Codice della crisi
Diversamente dall’art. 182-sexies  L. fall., la normativa emergenziale in esame non contiene alcuna indicazione in merito alla sorte dell’obbligo di gestione conservativa previsto dall’art. 2486 cod. civ. per il caso in cui si verifichi una causa di scioglimento. In ogni caso, la normativa emergenziale prevede l’espressa disapplicazione della causa di scioglimento delle società con capitale inferiore al minimo legale di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ. e ciò consente di ritenere parimenti “sospeso” l’obbligo di gestione conservativa, con la conseguente permanenza in capo agli amministratori del potere di gestire tali società con modalità ordinarie [24]. 
Ciò premesso, si rileva che la normativa emergenziale non contempla disposizioni espressamente derogatorie dei doveri degli amministratori.
Come è noto, l’art. 375 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha introdotto, con disposizione già in vigore [25], il secondo comma dell’art. 2086 cod. civ., secondo cui gli amministratori hanno il dovere di “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Tali doveri non risultano sospesi e, parimenti, gli amministratori rimangono vincolati al rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale che impongono di tenere conto della particolare situazione di precarietà della società, derivante dalla perdita di capitale, e di utilizzare l’assetto predisposto ai sensi dell’art. 2086, comma 2, cod. civ. per monitorare costantemente la situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società stessa, al fine di adottare tempestivamente, in presenza di indicatori di crisi, una gestione volta alla conservazione del patrimonio sociale e alla preservazione della solvibilità dell’impresa, anche tramite il ricorso a procedure concorsuali o di composizione della crisi [26].
Inoltre, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (“CCII”), l’“inadeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi” costituisce un indice idoneo a rilevare la presenza di “indicatori di crisi” costituiti da “squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario”. In aggiunta, il secondo comma dell’art. 13 CCII demanda al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC) il compito di elaborare, con cadenza almeno triennale, ulteriori indici significativi ai sensi del primo comma dell’art. 13 i quali “valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa”. Tra gli “indici dell’allerta” elaborati dal CNDCEC [27] (secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 2 CCII), emerge in posizione gerarchicamente preminente quello costituito dalla sussistenza di “patrimonio netto negativo o, per le società di capitali, al di sotto del limite di legge”.
Dal tenore testuale delle predette norme potrebbe ricavarsi che, benché la normativa emergenziale determini la disapplicazione di alcune norme del Codice Civile in materia di perdite rilevanti e, in particolare, del dovere di “gestione conservativa” ex art. 2486 cod. civ., la sussistenza di perdite rilevanti costituirebbe comunque un indice del possibile stato di crisi della società e, come tale, imporrebbe agli amministratori un costante controllo e monitoraggio anche al fine di valutare tempestivamente opportuni interventi. 
Allo stato, per le società che si avvalgono della normativa emergenziale, rimangono pienamente applicabili le regole generali relative a doveri e responsabilità degli amministratori.  In particolare, permangono: (i) i sopra indicati doveri degli amministratori “di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, […] nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” di cui all’art. 2086, comma 2 cod. civ.; (ii) la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali “per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” di cui all’art. 2394 cod. civ.; (iii) la responsabilità penale degli amministratori di cui al combinato disposto degli artt. 217, primo comma, nn. 3 e 4, e 224  L. fall. secondo cui rispondono per bancarotta semplice gli amministratori che hanno “compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento” e/o hanno aggravato il dissesto della società “astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento [rectius: della società] o con altra colpa grave” [28]. 
6 . Gli indici dell’allerta e il ruolo del capitale sociale alla luce della normativa emergenziale
Secondo quanto riportato nella bozza predisposta del CNDCEC ai sensi dell’art. 13 CCII avente ad oggetto la individuazione degli “indici dell’allerta”, il patrimonio netto sceso al di sotto del limite legale per effetto di perdite di esercizio”, prima di costituire un indice della crisi, rappresenta una “causa di scioglimento della società di capitali”. In questa prospettiva, secondo il CNDCEC, “indipendentemente dalla situazione finanziaria, detta circostanza costituisce quindi un pregiudizio alla continuità aziendale, fintantoché le perdite non siano state ripianate e il capitale sociale riportato almeno al limite legale” [29]. 
La dichiarata irrilevanza della situazione finanziaria della società nel momento in cui si verifica la causa di scioglimento per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale porta a chiedersi se tale indice di allerta sia stato individuato alla luce delle conseguenze giuridiche che esso comporta (in quanto causa di scioglimento della società) o, invece, se esso assuma rilievo in termini strettamente economici in quanto indicatore di una situazione di sottocapitalizzazione comunque “pericolosa”, indipendentemente dagli effetti che il legislatore può ricondurre (o non ricondurre) a tale dato di fatto. 
In particolare, se si ritiene che la perdita del capitale rilevi come indice di crisi sulla base della considerazione esclusivamente giuridica per cui, in alcuni casi, essa è causa di scioglimento della società, per coerenza dovrebbe concludersi che tale indice non assuma rilievo quando trovi applicazione la disciplina emergenziale che ha espressamente sospeso l’operatività della causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ.. Per converso, se si ritiene che una situazione di deficit patrimoniale sia “pericolosa” indipendentemente dagli effetti giuridici che ne conseguono, la possibilità riconosciuta dalla normativa emergenziale di continuare ad operare anche in presenza di un capitale inferiore al minimo legale (o, addirittura, completamente eroso) potrebbe non essere ritenuta di per sé idonea a “neutralizzare” l’indice di crisi costituito dalla perdita rilevante di capitale. 
A ben guardare, la questione rievoca la riflessione svolta, prevalentemente in dottrina, in merito alle funzioni attribuite all’istituto del capitale sociale e, in particolare, alle norme in materia di riduzione del capitale per perdite [30]. In generale, si ritiene che queste ultime siano funzionali ad impedire che la società operi in una situazione di disallineamento eccessivo tra capitale nominale e capitale reale [31], onde evitare che i terzi (e in particolare i creditori sociali) che entrino in contatto con l’impresa, siano tratti in inganno da un capitale sociale che non riflette la reale situazione patrimoniale della società [32].   
Parallelamente, all’istituto del capitale sociale è tradizionalmente riconosciuta – direttamente o indirettamente – una funzione di garanzia dei creditori sociali. È diffusa la qualificazione del capitale sociale quale “garanzia patrimoniale supplementare” in quanto i creditori “possono fare affidamento, per soddisfare i propri crediti, su un attivo patrimoniale eccedente le passività; ed eccedente le passività per un valore corrispondente almeno all’ammontare del capitale sociale” [33]. In questo senso, la disciplina del capitale sociale e quella del capitale minimo fungerebbero da “contrappeso” al beneficio costituito dalla responsabilità limitata dei soci nelle società di capitali, mentre le regole a tutela dell’integrità del capitale sociale – in particolare la regola nota come “ricapitalizza o liquida” – avrebbero lo scopo di garantire la conservazione di un investimento minimo degli azionisti a titolo di capitale di rischio, onde evitare un’indebita traslazione del rischio di impresa sui creditori sociali e, più in generale, su tutti i terzi che vengano in contatto con l’impresa.
Tale ricostruzione – e l’istituto del capitale sociale in generale – sono stati oggetto di critiche che hanno rilevato l’eccessiva onerosità e complessità della disciplina in materia, da un lato, e l’inefficienza della stessa rispetto alla realizzazione di un’efficace funzione preventiva di situazioni di insolvenza, dall’altro lato [34]. Dal momento che l’insolvenza e la perdita di capitale sono fenomeni che, almeno sul piano teorico, attengono a sfere di rilevanza del tutto differenti (finanziaria la prima; patrimoniale la seconda), è stato sostenuto che le vicende del capitale sociale non siano idonee a svolgere efficacemente il ruolo di segnale di allerta di situazioni di crisi finanziaria della società [35]. D’altra parte, la solvibilità dell’impresa consiste nell’attitudine della stessa a rimborsare il suo debito e tale capacità non si fonda tanto sul realizzo diretto dell’attivo patrimoniale, quanto sui flussi di cassa generati dalla gestione, nonché sulla possibilità dell’impresa di accedere a nuovi finanziamenti che vengono concessi sulla base delle potenzialità prospettiche della sua attività molto più che in forza di una valutazione statica dei suoi valori patrimoniali [36].  
Orbene, se si riconosce al capitale sociale una funzione significativa di tutela dei creditori e dei terzi, indipendentemente dagli effetti giuridici che il legislatore può riconnettere alla sua perdita, l’indice di allerta rappresentato dalla perdita rilevante di capitale non parrebbe “neutralizzato” dalla normativa emergenziale di per sé, e si imporrebbe comunque agli amministratori di valutare se effettivamente sussista uno stato di crisi, anche alla luce degli altri indici individuati dal legislatore [37]. Infatti, come accennato in precedenza, il secondo comma dell’art. 13 CCII specifica che gli indici di crisi devono essere oggetto di una “valutazione unitaria” [38].  
Diversamente, l’orientamento che tende a ridimensionare la funzione di tutela di creditori e terzi del capitale sociale parrebbe coerente con un “alleggerimento” della valenza segnaletica dell’indice di crisi rappresentato dalla perdita del capitale, laddove trovi applicazione la sospensione “emergenziale” della causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ.. In questa prospettiva, dunque, la società – benché sottocapitalizzata – non verserebbe in una situazione di crisi rilevante ai sensi del diritto fallimentare, ferma restando la necessità di procedere a una “valutazione unitaria” alla luce degli altri indici di crisi, ai sensi di quanto previsto dal secondo comma dell’art. 13 CCII. 
In conclusione, alla luce dei rischi e delle incertezze sopra delineati, nei casi più gravi di perdite di capitale può essere consigliabile – per gli amministratori che intendano avvalersi degli strumenti “emergenziali” introdotti dal Decreto Liquidità – predisporre un piano quinquennale strutturato che evidenzi le azioni strategico-operative e/o patrimoniali-finanziarie che la società intende porre in essere per ristabilire l’equilibrio patrimoniale, mediante il recupero della profittabilità dell’attività oppure per il tramite di interventi di ricapitalizzazione. Infatti, l’adozione di un piano pluriennale serio e fondato su assunzioni ragionevoli, da un lato, costituisce uno strumento per gestire la società in maniera efficace e risulta coerente con il dovere degli amministratori di adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita di continuità aziendale” e, dall’altro lato, può essere un utile strumento di difesa ex post qualora la società non dovesse essere in grado di ricostituire una situazione di equilibrio patrimoniale nel quinquennio.
Evidentemente, in presenza di uno stato di crisi, la “protezione” derivante dalla predisposizione di un siffatto piano sarebbe ulteriormente rafforzata laddove esso fosse supportato da un documento di un soggetto terzo che attesti la ragionevolezza e la fattibilità del suo contenuto, il quale potrà rivestire le forme di una attestazione ex art. 67, comma 3, lett. d)  L. fall., e/o quelle di una dichiarazione priva di tali requisiti formali, ma derivante da una analisi indipendente svolta da consulenti specializzati ed esterni all’impresa, sul modello dell’Independent Business Review (IBR) di derivazione anglosassone.

Note:

[1] 
In questo senso si veda la Relazione Illustrativa del Decreto Liquidità, p. 7 secondo cui “la previsione mira a evitare che la perdita del capitale, dovuta alla crisi da COVID-19 e verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, ponga gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese nell’alternativa – palesemente abnorme – tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’art. 2486 codice civile”. 
[2] 
Si tratta delle Massime nn. 191 e 196 del Consiglio Notarile di Milano reperibili al link: https://www.consiglionotarilemilano.it/societa/massime-commissione-societa/ e delle Massime T. del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, rubricate “«Sospensione» delle perdite ex art. 6 D.L. n. 23/2020, come modificato dall’art. 1, comma 266, L. n. 178/2020” e reperibili al link: https://www.notaitriveneto.it/dettaglio-massime-triveneto-288-sospensione2-delle-perdite-ex-art-art-6-dl-n-232020-come-modificato-dall%E2%80%99art-1-comma-266-l-n-1782020.html.
[3] 
Si tratta, come noto, del D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 la cui entrata in vigore è stata posticipata dall’art. 5 del D.L. n. 23, 8 aprile 2020 (convertito con L. n. 40, 5 giugno 2020) al 1 settembre 2021.
[4] 
Si precisa che la normativa emergenziale introdotta dal Decreto Liquidità (sia nella versione originaria sia in quella attualmente vigente) deroga anche alle corrispondenti norme dettate dal Codice Civile per le s.r.l.. In particolare, durante l’arco temporale rilevante indicato nella normativa emergenziale, è prevista la sospensione dell’applicabilità degli artt. 2482-bis, commi 4, 5 e 6, 2482-ter e 2545-duodecies cod. civ..
[5] 
In questo senso si vedano: la Massima n. 191 del Consiglio Notarile di Milano; G. D’attorre, Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale ed obblighi degli amministratori delle società in crisi, in Il Fallimento, 5/2020, p. 598; G. Strampelli, La preservazione (?) della continuità aziendale nelle crisi da Covid-19: capitale sociale e bilanci nei decreti “Liquidità” e “Rilancio”, in Riv. Soc., 2/2020, pp. 11-12.
[6] 
In questo senso si vedano: A. Busani, Il 2020 come anno “di grazia” per le perdite da COVID 19, in Le Società, 5/2020, pp. 540-541; A. Busani, Legislazione emergenziale inapplicabile alle perdite ante Covid 19, in Le Società, 8-9/2020, pp. 951-952. 
[7] 
F. Brizzi, Il diritto societario della crisi alla prova dell’emergenza Covid-19, in Corr. Giur., 7/2020, p. 879.
[8] 
In questo senso si vedano: Comunicazione MISE, Prot. N. 26890, 29 gennaio 2021; Massima T.A.1 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie; A. Busani, Quinquennio di grazia per le perdite emerse nel 2020, in Le Società, 2/2021, p. 202; I. Donati, Le società senza patrimonio netto: riflessi concorsuali del nuovo art. 6, D.L. “liquidità”, in il Fallimento, 4/2021, p. 463; C. Sottoriva e A. Cerri, La proroga della sospensione della disciplina sulla riduzione obbligatoria del capitale nella legge di bilancio, in Il Societario, 14 gennaio 2021, p. 6; M. Ravaccia, Riduzione di capitale delle società: perdite 2020 ‘sterilizzate’ per sostenere le imprese in crisi, in IPSOA Quotidiano, 9 gennaio 2021; M. De Poli e M. Greggio, La sospensione degli obblighi in materia di capitale nel nuovo art. 6 del Decreto Liquidità, in www.dirittobancario.it, 3 marzo 2021.
[9] 
In questo senso si veda, A. Busani, Quinquennio di grazia per le perdite emerse nel 2020, cit., p. 207. L’estensione della normativa emergenziale anche alle perdite maturande nell’esercizio 2021 è stata sostenuta in dottrina da N. Abriani e F. Buttignon, Legge di bilancio 2021 e patrimonio netto di bilancio nelle società di capitali in Italia: spunti per il superamento di un paradigma, in il Societario, 17 febbraio 2021.
[10] 
Per una analisi dei vari profili della disciplina, tra gli altri, si vedano: A. Busani, Quinquennio di grazia per le perdite emerse nel 2020, cit.; M. De Poli e M. Greggio, op. cit.; C. Sottoriva e A. Cerri, op. cit.; L. Gambi, Le norme emergenziali in tema di bilancio e continuità aziendale, in il Fallimentarista, 25 febbraio 2021.
[11] 
In questo senso si veda la Massima T.A.6 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie.
[12] 
In questo senso si vedano: la Massima n. 169 del Consiglio Notarile di Milano e la Massima T.A.10 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie. Quest’ultima precisa che “in caso di differimento della copertura delle perdite sino al quinto esercizio successivo a quello che comprende il 31 dicembre 2020 […] non si ritengono invece possibili gli aumenti gratuiti del capitale mediante l’utilizzo di quella parte delle riserve virtualmente erosa dalle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, e non recuperate nei cinque esercizi successivi, in quanto dette riserve, ancorché non formalmente ridotte in bilancio, non sono da considerarsi ‘disponibili’ ai sensi degli artt. 2442 e 2481-ter c.c.”.
[13] 
L’opinione prevalente ritiene che con l’espressione “senza indugio”, la disposizione intenda che gli amministratori devono procedere alla convocazione dell’assemblea entro trenta giorni dal momento in cui sorge l’obbligo di convocazione. Tale termine si ricava dalla formulazione dell’art. 2631 cod. civ. introdotta dal D. Lgs. n. 61 del 2002 il quale ha trasformato la fattispecie di reato prevista dal precedente art. 2360, comma 2, n. 2 cod. civ. (“Violazione degli obblighi degli amministratori”) in illecito amministrativo per “omessa convocazione dell’assemblea”. L’attuale formulazione dell’art. 2631 cod. civ., al primo comma, prevede che “Gli amministratori e i sindaci che omettono di convocare l’assemblea dei soci nei casi previsti dalla legge o dallo statuto, nei termini ivi previsti, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.032 a 6.197 euro. Ove la legge o lo statuto non prevedano espressamente un termine, entro il quale effettuare la convocazione, questa si considera omessa allorché siano trascorsi trenta giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione dell’assemblea dei soci”. In questo senso si vedano: Corte Cost. 24 giugno 2002, n. 277, in De Jure; Cass. pen., 8 giugno 2017, n. 33895, in De Jure; N. Abriani, La riduzione del capitale sociale nelle S.p.A. e nelle S.r.l.: profili applicativi, in Quaderni Fond. Italiana Notariato, 2008; D. Fico, La riduzione del capitale per perdite, in Le operazioni sul capitale sociale nella S.p.A. e nella S.r.l., Giuffrè, 2010, pp. 180 e 168; M. Ventoruzzo, G. Sandrelli, F. D. Busnelli, Riduzione del capitale sociale, in Il Codice Civile Commentario, F.D. Busnelli (diretto da), Giuffrè, 2013, p. 53.
[14] 
Si vedano le massime T.A.5 e T.A.7 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie. La Massima T.A.8 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie precisa che “Il differimento al quinto esercizio successivo previsto dall’art. 6, comma 3, del D.L. n. 23 del 2020 non opera di diritto, in relazione alle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, ma richiede una espressa delibera dell’assemblea dei soci in tal senso, la quale, per espressa previsione di legge, non ‘deve’ ma ‘può’ deliberare di rinviare tali decisioni”.
[15] 
Cfr. Massima T.A.3 e T.A.4 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie. In merito alla situazione patrimoniale ex art. 2446 cod. civ. si vedano, in giur.: Cass. civ., 23 marzo 2004, n. 5740, in De Jure; Cass. civ., 17 novembre 2005, n. 23259, in De Jure. Si vedano in dottrina, tra gli altri: N. Abriani, op. cit.; S. Perugino, La riduzione del capitale per perdite, in Società, 7/2006; cfr. anche la Massima H.G.26 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie.
[16] 
In merito al termine massimo che può legittimamente intercorrere tra la data della situazione patrimoniale e quella della delibera assembleare, il Codice Civile non fornisce indicazioni precise. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la relazione in cui va esposta la situazione patrimoniale della società deve essere “il più possibile aggiornata” ma, non avendo il legislatore fissato un termine specifico, il grado di aggiornamento richiesto dovrà essere valutato, di volta in volta, in relazione al caso concreto “tenendo conto almeno di due possibili varianti: la dimensione della società e la conseguente complessità dei rilevamenti contabili che la riguardano”, da un lato, e “l’esistenza di eventuali fatti sopravvenuti”, dall’altro lato. In questo senso si vedano: Cass. civ., 17 novembre 2005, n. 23259, in De Jure; Cass. civ., 2 aprile 2007, n. 8221, in De Jure; Cass. civ., 21 gennaio 2020, n. 1187, in De Jure. Peraltro, è diffusa l’opinione secondo cui, per analogia con altre norme dell’ordinamento (artt. 2364, comma 2, 2501-quater cod. civ.), il termine massimo che può intercorrere tra la redazione della situazione patrimoniale e la riunione dell’assemblea alla quale essa è sottoposta, sia 120 giorni. In questo senso si vedano: Trib. Udine, 9 gennaio 1999 (massima), in Foro.it, 1999; Trib. Napoli, 25 febbraio 1998 (massima), in Foro.it, 1999; App. Milano, 29 agosto 1996 (massima), in Foro.it, 1997. Si vedano anche la Massima H.G.6 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie e la Massima n. 6 del Comitato Notarile della Regione Campania.
[17] 
Cfr. Massima T.A.12 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie.
[18] 
La norma è stata introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. 
[19] 
In merito si veda, M. Arato, La governance delle società private dopo il d. lgs. 14/2019, in Le nuove regole societarie dopo il codice della crisi e dell’insolvenza, M. Arato, G. D’Attorre, M. Fabiani (a cura di), Giappichelli, 2020, p. 19 secondo cui “[…] l’epoca della cesura netta tra il diritto dell’impresa in bonis e il diritto della crisi è tramontata, e il sistema attuale vede una commistione di regole che muovono da due assunti fondamentali: il primo è che la crisi sia un fatto per così dire fisiologico della vita dell’impresa, e non la morte dell’impresa stessa; il secondo è che la crisi dell’impresa sia tanto più gestibile e soprattutto superabile, in particolare in un’ottica di preservazione della continuità aziendale, quanto più tempestivamente si intervenga su di essa”. 
[20] 
In merito si vedano: C. Montagnani, Disciplina della riduzione del capitale: impresa o legislatore in crisi?, in Giur. comm., 4/2013, pp. 2-3; F. Lamanna, L'art. 182-sexies L. fall. e la sospensione delle norme di salvaguardia del capitale sociale al tempo della crisi dell'impresa: effetti positivi, controindicazioni ed effetti collaterali da overshooting, in il Fallimentarista, 2015; C. Ibba, Il nuovo diritto societario tra crisi e ripresa (Diritto societario quo vadis?), in Riv. Soc., 6/2016, pp. 16-17; M. Tola, Le società di capitali nell’emergenza, in BBTC, 4/2020, p. 8; Assonime, Le regole societarie per salvaguardare la continuità operativa delle imprese nei Decreti Liquidità e Rilancio, Circolare 16/2020, in Riv. del Notariato, fasc. 5, 2020, p. 23.
[21] 
R. Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Giur. Comm., 2/2014; A. Dimundo, La sospensione dell’obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite rilevanti nelle procedure alternative al fallimento, in il Fallimento, 9/2013.
[22] 
In merito alla disciplina prevista dall’art. 182-sexies L. fall. si vedano: G. Lo Cascio, sub art. 182-sexies, in Codice Commentato del Fallimento, IPSOA, 2017, pp. 2497-2499; M. Ferro, sub. art. 182-sexies l. fall, in La Legge Fallimentare, CEDAM, 2014, pp. 2634-2643; M. Miola, Riduzione e perdita del capitale di società in crisi: l’art. 182 sexies L. fall. – La sospensione delle regole sulla riduzione del capitale sociale, in Riv. dir. civ., 1/2014; A. Dimundo, op. cit., pp. 1157-1158.
[23] 
Così A. Busani, Quinquennio di grazia per le perdite emerse nel 2020, cit., p. 206; G. Strampelli,op. cit., p. 6; M. Tola, op. cit..
[24] 
In questo senso si vedano, tra gli altri: F. Brizzi, op. cit., pp. 878-882-883; M. G. Musardo, La gestione delle società di capitali con patrimonio netto negativo ai tempi del Covid-19, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 2020, pp. 4-5; M. Ventoruzzo, Continuità aziendale, perdite sul capitale e finanziamenti soci nella legislazione emergenziale da Covid-19, in Le Società, 5/2020, p. 532.
[25] 
Ai sensi del secondo comma dell’art. 389 (“Entrata in vigore”) del d. lgs. 14/2019, l’art. 375 del CCII – insieme alle altre disposizioni del medesimo Codice che hanno modificato il Codice Civile – è entrato in vigore “il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto [i.e. D. Lgs. 14/2019]”. La disposizione in questione, dunque, è entrata in vigore il 14 marzo 2019.
[26] 
Si veda M. Bruno, Giurisprudenza e attualità in materia concorsuale: il coinvolgimento degli organi di controllo nella crisi d’impresa alla luce del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, in Riv. Dott. Comm., 2019, p. 10. 
[27] 
Si tratta della bozza (datata 19 ottobre 2019), inviata dal CNDCEC al MISE e pubblicata in un comunicato stampa del 26 ottobre 2019. L’art. 13, comma 2, ultimo periodo, CCII prevede che “gli indici elaborati [dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, n.d.r.] sono approvati con decreto del Ministero dello sviluppo economico”. Ad oggi, il MISE non ha ancora approvato la bozza predisposta dal CNDCEC avente ad oggetto gli indici “che diano evidenza della non sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e dell'assenza di prospettive di continuità aziendale per l'esercizio in corso o, quando la durata residua dell'esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, nei sei mesi successivi (comma 1, art. 13 CCII)”.
[28] 
In tale contesto è stata prospettata l’opportunità, in chiave de jure condendo, della adozione di soluzioni funzionali a circoscrivere la responsabilità degli amministratori in costanza di emergenza pandemica, escludendone almeno la responsabilità per colpa lieve, sulla falsa riga della sospensione della responsabilità degli amministratori per wrongful trading introdotta in altri paesi del mondo. In particolare, nel Regno Unito, il Corporate Insolvency and Governance Act 2020 (Coronavirus) – Suspension of Liability for Wrongful Trading and Extension of the Relevant Period (26 Novembre 2020) ha previsto, all’art. 2, l’estensione del “periodo rilevante” dal 26 giugno 2020 al 30 aprile 2021 e la conferma della presunzione in forza della quale l’organo amministrativo “is not responsible for any worsening of the financial position of the company or its creditors that occurs during the relevant period”. In questo senso si vedano: G. Corno e L. Panzani, La disciplina dell’insolvenza durante la pandemia da Covid-19. Spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 27 aprile 2020, p. 9 ss; L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. Soc., 2/2020, p. 7.
[29] 
Bozza CNDCEC, 19 ottobre 2019, p. 17.
[30] 
Per una ricostruzione delle diverse funzioni attribuite all’istituto del capitale sociale si veda G. Ferri Jr, Struttura finanziaria dell’impresa e funzioni del capitale sociale, in Riv. Notariato, 4/2008.
[31] 
G. F. Campobasso, Diritto Commerciale – Diritto delle Società, UTET, Torino, 2014, vol. 2, op. cit., p. 528. 
[32] 
In questo senso si vedano, tra gli altri, G. Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. Soc., 4/2012 p. 5; S. Perugino, op. cit..  
[33] 
Si veda G.F. Campobasso, op. cit., p. 7.
[34] 
E. Ginevra, La formazione del capitale sociale nella costituzione e nell’aumento del capitale delle spa, Bergamo University Press, 2011; E. Ginevra, Il senso del mantenimento delle regole sul capitale sociale (con cenni alla s.r.l. senza capitale), in BBTC, 2/2013; G. Olivieri, Quel che resta del capitale nelle s.p.a chiuse, in Riv. Soc., 1/2016, p. 4. 
[35] 
Si vedano in merito: L. Enriques e J. R. Macey, Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. Soc., 1/2002; M. Campobasso, Il futuro delle società di capitali, in BBTC, 1/2019; G. Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, cit.; G. Ferri Jr, op. cit..
[36] 
N. Abriani e F. Buttignon, op. cit., p. 6.
[37] 
In questo senso pare opportuno richiamare: G. Strampelli, La preservazione (?) della continuità aziendale nelle crisi dal Covid-19: capitale sociale e bilanci nei decreti “Liquidità” e “Rilancio”, cit., p. 9; G. D’Attorre, op. cit., p. 600; F. Brizzi, op. cit., p. 884; M. De Poli e M. Greggio, op. cit..
[38] 
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 CCII, “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario” i quali sono “rilevabili attraverso appositi indici che diano rilevanza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle perdite di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, nei sei mesi successivi”. Per valutare tali “indicatori della crisi”, l’art. 13, comma 1 CCII individua specificamente almeno due “indici significativi”: (i) quello che misura “la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare;  e (ii) quello che misura “l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi”. Inoltre, il secondo comma dell’art. 13 CCII prevede che “Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell'impresa […]”. In merito si veda, M. Arato, op. cit., pp. 16-17.

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