Le riforma fallimentari degli anni duemila segnano il passaggio da un sistema dove la liquidazione parcellare costituiva la normalità e la conservazione dei valori l’eccezionalità ad uno nel quale l’imprenditore ha a disposizione un ventaglio di possibilità per contrattare la soluzione della crisi. Va di pari passo con l’allestimento di strumenti e procedure preventivi, improntati alla negoziazione tra le parti e indirizzati verso la conservazione dei valori, l’affermazione di una “crescita” della presenza di una gamma di professionisti - la cui scelta è di esclusiva spettanza del debitore - dotati di competenze differenziate e in grado non solo di istruire, redigere piani e proposte curando aspetti giuridici, aziendalistici, finanziari per culminare nell’attività periziale e attestativa imposta dalla legge a completamento della documentazione concordataria, ma anche di indirizzare l’imprenditore nella selezione tempestiva, tra una panoplia di strumenti preventivi, di quello possibilmente utile. È un’attività professionale che si è venuta articolando in una molteplicità di declinazioni e allo stesso tempo raffinando nella stessa misura in cui strumenti e relativi piani hanno via via assunto sempre nuovi e inediti percorsi con l’obbiettivo di respingere l’ipotesi liquidativa.
All’attività professionale che si svolge a fianco di un tavolo di negoziazione dove siedono debitore e creditori e che, in alcune sue articolazioni (l’attestazione e la perizia) ricopre funzione informativa diretta ai creditori e al giudice, è imposta l’indipendenza affinchè il suo prodotto possa ritenersi effettivamente imparziale.
L’indipendenza del professionista, e dell’attestatore in primis, assicurando equidistanza in termini economici e intellettuali dagli interessi presenti nella negoziazione, insieme ai consueti canoni di correttezza e buona fede, è la cifra dell’attività richiesta oggi a chi opera nel settore delle crisi.
Il professionista indipendente è, infatti, colui che non si piega alle logiche “dell’attesa” ed espone, con logica asetticità, vizi di quanto richiesto, pregi di percorsi alternativi se pure meno appaganti per il debitore, fino a negare all’imprenditore, e se attestatore con motivata esplicazione, la propria attività professionale.
Il terreno operativo per il professionista non è piano, anche perché vi è una spinta verso strumenti per la continuità[18] che esercitano un’indubbia attrattiva nell’imprenditore, poco incline a piegare verso soluzioni tranchant (il fallimento) neppure quando la situazione è ormai precaria e non vi sono più alternative.
Ciò fa sì che il professionista non si fermi più, come invece avveniva prima, sulla soglia della crisi per redigere una proposta rigidamente prefissata per legge, ma entri nella crisi dell’imprenditore con il dovere deontologico, oltre che tecnico, di spingere l’imprenditore verso decisioni tempestive e adeguate al momento dell’approccio e alla situazione.
Assistiamo talora a un groviglio di responsabilità dalle quali non va esente il professionista.
In questo assetto di rapporti che probabilmente ha pesato sugli orientamenti soprattutto della giurisprudenza di merito, vi è il tema dei costi, sicuramente non trascurabile come del resto rivelano i recenti interventi legislativi sia interni che unionali.
La presenza di molteplici professionalità che da una parte la legge stessa e dall’altra molte crisi, per la loro conformazione, impongono, ha determinato una lievitazione dei costi che incidono sul soddisfacimento dei creditori provocando un conflitto di classe tra fornitori di servizi professionali (già privilegiati ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.) e creditori anteriori. Il tutto in un quadro che, privilegiando la conservazione dei valori e, quindi, legittimando la prosecuzione dell’attività come strumento per mantenere l’azienda in esercizio, vede una crescita esponenziale delle prededuzioni dei crediti di coloro che aiutano l’impresa in un percorso nel quale i professionisti devono necessariamente essere presenti, avendo allora titolo per aspirare alla prededuzione.
Insomma, la spinta verso la prevenzione per la continuità ha creato “il caleidoscopio delle nuove prededuzioni”[19] all’interno del quale può trovare posto, stante l’attuale norma, anche quella dei professionisti.
Per far fronte alle nuove istanze, infatti, la norma di cui all’art. 111 è uscita dalla riforma del 2006 con le maglie allargate[20] prevedendo che le somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo devono essere in primo luogo impiegate “per il pagamento dei crediti prededucibili” per la cui individuazione inserisce poi al secondo comma tre criteri identificativi della categoria: “sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali debiti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1”.
Dopo aver posto la categoria “tipica” di creditori prededucibili in quanto così qualificati dalla legge, il legislatore pone una categoria “atipica”, potenzialmente ampia, per la quale è assente qualsiasi elencazione, neppure esemplificativa, delle varie fattispecie, né viene disposto un iter valutativo[21].
Se nella disciplina introdotta a partire dal 2005 – e significativamente, almeno fermandosi ad una lettura testuale, anche nella norma sulla prededuzione - si aprono squarci di attenzione per l’impresa, abbiamo però la riaffermazione del diritto dei creditori al soddisfacimento come baricentro della disciplina che pesa sulla lettura dell’attuale art. 111 l.fall.
È come dire che mentre si palesa, rispetto al passato, una maggiore libertà dell’imprenditore sia nella sistemazione della crisi – vista la flessibilità dei percorsi proponibili – che nella gestione dell’impresa, da cui potrebbe discendere una dilatazione dell’area della prededucibilità a crediti sorti prima della apertura della procedura, per mera iniziativa dell’imprenditore, si deve comunque fare i conti con la riaffermazione dell’interesse dei creditori quale “stella polare”[22] della disciplina concordataria.
La disposizione (art. 111), recependo gli indirizzi giurisprudenziali, è innovativa e più ampia[23] di quella scritta nel 1942, consentendo – grazie all’inserimento dei due parametri alternativi e autonomi dell’occasionalità e della funzionalità[24] - di ammettere in prededuzione sia i crediti sorti dentro la procedura sia quelli antecedenti all’introduzione o successivi (post-omologa) se strumentalmente ricollegabili. A questo punto è d’obbligo individuare il momento in cui la procedura può dirsi introdotta. Sulla scorta della distinzione tra domanda (quale richiesta al tribunale di voler risolvere la crisi attraverso il concordato), piano (quale documento programmatorio delle operazioni attraverso le quali si concretizzerà il soddisfacimento dei creditori) e proposta (quale offerta di soddisfacimento) rivolta ai creditori, è stato ormai riconosciuto che già con il deposito della domanda di concordato in bianco si apre il concordato[25], per cui gli atti del debitore (quali nomine di professionisti per redigere piano, proposta, perizia, attestazione) posti in essere da quel momento sono da annoverare, da un lato nell’alveo dell’ordinaria amministrazione quali atti ai quali il debitore tenuto per legge dovendo produrre quella determinata documentazione e, ai fini dell’art. 111 l. fall., tra gli atti “in occasione”, perfettamente aderente agli scopi della procedura.
Mentre il primo termine (“in occasione”) delimita la fascia temporale entro cui debbono collocarsi gli atti che originano crediti dei quali si vuol predicare la prededucibilità, il secondo (“in funzione”), sganciato da un riferimento temporale, adottando un parametro valutativo che implica “lettura” dell’atto che lo genera in termini di rispondenza (adempimento) o meno agli interessi che il contesto (la procedura) assume come polo prioritario di tutela[26].
È la stessa ratio della prededuzione che corrobora tale interpretazione: rendere stabili atti compiuti in una procedura per “garantire”con il pagamento prioritario coloro che la rendono possibile attraverso atti o attività strumentali e utili all’interesse dei creditori che – attesa la funzione della procedura - costituisce limite invalicabile per il riconoscimento del trattamento prioritario. Come è stato scritto “Poiché l’attribuzione del rango prededucibile significa comprimere le aspettative dei creditori concorsuali che si vedono scavalcati da nuovi creditori, è doveroso assumere un'interpretazione prudente in modo che non si assista ad una pericolosa dilatazione della categoria”[27].
Non è, quindi, sufficiente l’inerenza, dovendosi verificare che sia strumentale alla procedura rispondendo alla funzione della procedura e, quindi, all’interesse dei creditori[28]. In sintesi, si deve riconoscere che senza quello specifico credito non si conseguirebbe un vantaggio/utilità per la massa dei creditori[29]. Se ci muoviamo in tale ottica per rintracciare il predicato della prededucibilità, diventa consequenziale ammettere che, anche da obbligazioni antecedenti all’introduzione della procedura, quando ancora non vi sono controlli da parte dell’organo giudiziario, possano derivare crediti da trattare in prededuzione[30] in quanto l’operazione sottostante che li origina apporti un’utilità ai creditori.