Saggio
Le purgazioni (im)possibili dei vincoli afflittivi nelle procedure concorsuali*
Antonio Pezzano e Massimiliano Ratti, Avvocato in Firenze ed Avvocato in La Spezia
25 Marzo 2021
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Sommario:
Provare, dunque, ad offrire una possibile chiave di lettura sistematica e, in quanto tale, unitaria, può aiutare l’interprete a districarsi in siffatto delicato contesto in cui si trova ad operare, tenuto peraltro conto dell’incessante proliferare di procedure concorsuali, qual è stato l’assorbimento degli accordi di ristrutturazione [1] e sarà per le altre partorienti misure post Covid-19[2], auspicabilmente sempre più “snelle ed efficienti”.[3]
Alcuni recenti arresti della Suprema Corte, richiamati nel presente percorso esegetico, hanno stimolato riflessioni che ci accingiamo ad illustrare.
Nella procedura fallimentare che sulla scorta di quanto statuito dagli artt. 42, 44, 45 e 54 L. fall. assume la connotazione di un pignoramento “collettivo” sui beni del fallito, già il legislatore della riforma del 2006 aveva sentito la necessità di rendere anche manifesto uno dei precetti paradigmatici del procedimento espropriativo individuale (e, come vedremo, anche di qualsivoglia procedimento concorsuale che miri a conseguire, al proprio interno, una celere purgazione di tutti i vincoli afflittivi): chi si aggiudica, secondo legge, un bene e versa il dovuto, ha diritto di conseguire nell’immediatezza la liberazione da ogni gravame pregiudizievole[4].
La norma di riferimento resta, infatti, l'art. 108, comma 2, L. fall. non a caso testualmente riprodotto anche nell’art. 217 comma 2 CCII, secondo cui “Per i beni immobili e gli altri beni iscritti nei pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”.
La suddetta disposizione, se da un lato dispensa certezze in merito al potere del Giudice delegato di ordinare la cancellazione dei gravami quando la vendita è eseguita ed il relativo prezzo interamente riscosso, (collocandosi tra l’altro sistematicamente in successione rispetto all’art. 107 L. fall.), dall’altro lato sembra, tuttavia, circoscrivere il proprio ambito applicativo ai soli casi di dismissioni competitive, per l’appunto ai sensi dell’art. 107, comma 1, L. fall. (che sempre non a caso accomuna le vendite a “gli altri atti liquidatori”).
Rimane, dunque, priva di specifica regolamentazione l’ipotesi in cui la vendita venga effettuata - volontariamente o obbligatoriamente - ex art. 72, comma 1, L. fall. a seguito del subentro del curatore in un contratto preliminare pendente alla data di dichiarazione del fallimento[5], fattispecie rispetto alla quale il CCII è intervenuto con la previsione “cavouriana” di cui all’art. 173, comma 4[6].
Quanto, invece, al concordato fallimentare, il tenore letterale della disposizione di cui all’art 136, comma 3[7], L. fall. parrebbe conferire al giudice concorsuale il limitato potere di disporre la cancellazione delle sole ipoteche iscritte a garanzia del concordato,[8] come se non ci trovassimo di fronte all’atto liquidatorio per antonomasia ex art. 107, comma 1, L. fall. della procedura fallimentare[9] che, infatti, in un unico e ben più rapido contesto riesce a realizzare, pro massa dei creditori, tutti i propri attivi[10], chiudendo al contempo il suo percorso.
Nessun ausilio giunge al riguardo dalla normativa riformata del CCII, su detto specifico aspetto in tutto conforme all’attuale (v. art. 249, comma 3).
Al contrario, la disciplina del concordato maggiore dal 2007, ma ancor di più dal 2015, può ritenersi regolamentata in modo compiuto grazie all’art. 182, comma 5, L. fall.[11] e all’art. 186 bis, comma 3, L. fall.[12], a corredo della speciale disciplina del concordato con continuità aziendale, disposizioni specularmente riprodotte nel CCII agli artt. 95, comma 2, 114, comma 4 e 118, comma 7.
Per completezza, va dato conto di una recente statuizione della Suprema Corte che, in controtendenza con il dato normativo, ha affermato che le vendite effettuate dal debitore nell’ordinaria continuità dell’attività d’impresa (le cd. vendite dei beni-merci) non fruirebbero del regime di immediata purgazione ad opera del giudice concorsuale, salvo che il debitore non si avvalga anche per tali vendite, appunto, dell’iter competitivo di cui all’art. 163 bis L. fall.[13].
Il suddetto arresto sembra, tuttavia, il frutto d’un paralogismo che, pur poggiando su condivisibili assunzioni (i.e. anche il concordato preventivo con cessione dei beni presuppone, come il procedimento fallimentare, il miglior soddisfacimento dei creditori da perseguirsi attraverso la liquidazione in via competitiva dei beni)[14], perviene ad una fallace conclusione laddove i) omette di considerare il requisito “esistenziale” del concordato in continuità, ovverosia il (medesimo) miglior soddisfacimento dei creditori che l’art. 186 bis, comma 2, lett. b), L. fall. impone che venga espressamente attestato, a pena di inammissibilità della domanda; ii) ipotizza, comunque, una necessaria interferenza tra vendita competitiva e purgazione, in realtà insussistente perché l’art. 182, comma 5, L. fall. opera per tutte le vendite “poste in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo”, ove effettivamente trovano applicazione gli artt. 105 – 108 ter L. fall. ma se ed “in quanto compatibili”[15].
Nella vendita dei “beni non funzionali all’esercizio dell’impresa” ammessa al concordato ai sensi dell’art. 186 bis L. fall.. competitività e purgazione viaggiano, ovviamente, di pari passo, essendo imprescindibile l’applicazione degli artt. 163 bis L. fall. e 182, comma 5, L. fall. seppur l’ottimizzazione del realizzo rimanga in ogni caso ancorata alla vocazione di “strumento di acquisizione di risorse”[16].
Come non appare revocabile in dubbio che la purgazione sia indissolubile compagna della competitività allorché si proceda alle unitarie cessioni aziendali di cui all’art. 186 bis, comma 3, ult. cpv. L. fall..
La “scissione” dei suddetti elementi avviene, invece, nella vendita dei beni “funzionali/merce”, ove l’esclusione della competitività non preclude, comunque, la purgazione degli eventuali gravami (e solo) al momento del saldo prezzo[17], perché è la stessa ammissione, approvazione ed omologazione del piano concordatario che ha favorevolmente vagliato, all’interno di un percorso comunque giurisdizionalizzato, l’opportunità d’un mantenimento della dinamicità complessiva dei rapporti secondo un determinato iter, appunto, “funzionale” al miglior soddisfacimento per i creditori.
Nella fattispecie, infatti, la “finalità” del trasferimento non risiede nella mera dismissione del cespite, bensì nella prosecuzione dell’attività caratteristica di impresa secondo l’omologato piano[18], potendosi atteggiare, ad esempio, nell’adempimento di una promessa di vendita d’un immobile/rimanenza, anche da realizzare, l’adempimento d’una ordinaria obbligazione negoziale rientrante de plano nell’oggetto sociale del debitore concorsuale, oltre che dell’omologato piano concordatario in cui si sia optato[19] per il non scioglimento del contratto ai sensi dell’art. 169 bis L. fall. [20].
Più in generale, nei concordati che prevedono la prosecuzione dell’attività d’impresa, anche sotto il profilo soggettivo o, ancora, nei concordati con garanzia[21], ove sono previsti atti di natura traslativa che rientrano nell’ambito dell’ordinaria continuità dell’attività d’impresa per perseguire, come attestato, il migliore soddisfacimento dei creditori, la purgazione è diretta conseguenza, una volta corrisposto il prezzo, del patto concordatario ai sensi dell’art. 184 comma 1, L. fall.
Speculari considerazioni, in termini di intervento giocoforza purgativo, possono essere spese anche nel caso in cui il trasferimento di ogni bene dell’attivo avvenga a favore di un assuntore ovvero a favore di un proponente concorrente (scenario, quest’ultimo, che ben potrebbe assorbire il primo di promanazione del debitore).
Nei concordati con assuntore, che pure hanno una congenita natura traslativa conseguente all’omologa[22], un terzo (od un creditore) si accolla[23], con effetto cumulativo o liberatorio, i debiti dell’impresa per come risultanti all’esito del processo di ristrutturazione, conseguendo perciò il trasferimento di tutte le attività concordatarie (inclusi i contratti in corso, cioè non sciolti ex art. 169 bis L. fall.).
D’altra parte, che in tali contesti non si proceda alla purgazione giudiziale dei vincoli post dismissioni secondo i canonici criteri competitivi (regolamentati dall’art. 114, comma 4, CCII alla stessa stregua dell’attuale art. 182, comma 5, L. fall.), lo conferma anche l’art. 118, comma 7 del CCII (l’omologo dell’art. 185 L. fall.) prevedendo una disciplina ad hoc nella norma coniata essenzialmente per garantire, appunto, l’esecuzione della proposta concorrente.
Nella disciplina del Sovraindebitamento, le iniziali incertezze generate dalla poco perspicua formulazione dell’art. 13, comma 3, L. 27 gennaio 2012[30], n. 3, risultano superate, in particolare con l’art. 14 novies, co. 3[31] e, nel CCII, con gli artt. 71, co. 1, 81, comma 1, e 275, comma 2.
Nella Liquidazione Coatta Amministrativa la situazione è, piuttosto, articolata.
Difatti, l’art. 210 L. fall. che pure si occupa della dismissione (anche) dei beni immobili con l’autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza, nulla precisa in punto di consequenziale purgazione dei vincoli.[32]
Anche il successivo art. 214 L. fall. - disciplinante il relativo concordato e che pone l’Autorità Giudiziaria a presidio della relativa omologazione - tace in argomento. Né si è fatto carico di colmare tali lacune il CCII, come testimoniano le omologhe disposizioni, rispettivamente di cui agli artt. 311 e 314.
Per quanto concerne le normative sull’Amministrazione Straordinaria, mentre l’art. 64, D. Lgs. n. 270/1999 prevede l’espresso potere dell’autorità amministrativa di cancellare i vincoli afflittivi in caso di alienazione effettuata durante l’ordinario scandire della procedura di Amministrazione Straordinaria (come anche per i casi della L. 18 febbraio 2004, n. 39), di contro il Legislatore nulla statuisce con riferimento alla disciplina dei relativi concordati (cfr. art. 78, D. Lgs. n. 270/1999 e art. 4-bis, L. n. 39 del 2004).
Nonostante anche negli Accordi di Ristrutturazione i relativi atti esecutivi si debbano muovere secondo il percorso tracciato dal (giudiziale) decreto di omologazione e sotteso piano, nulla di analogo all’art. 182, comma 5, L. fall. è precisato nel successivo art. 182 bis L. fall. e tantomeno nell’art. 182 septies L. fall.
Eppure, ben potrebbe verificarsi lo scenario in cui, ad esempio, una determinata e già individuata, anche sul piano soggettivo, vendita immobiliare, caso mai ricompresa in una più ampia dismissione aziendale, preveda la cancellazione di ogni vincolo afflittivo a cui strumentalmente qualche creditore iscritto - eventualmente appartenente al 25% dissenziente di una categoria di ipotecari di pari grado - potrebbe non prestare spontaneamente il proprio consenso.
Oppure si ponga la necessità di cancellare un’ipoteca inefficace ex art. 168, comma 3, L. fall. iscritta cioè nei 90 giorni antecedenti il deposito di un concordato con riserva ai sensi dell’art. 161, comma 6, L. fall. poi traghettato sulle sponde dell’omologa di un accordo di ristrutturazione.
Ed a voler tacere dello scenario in cui la predetta esigenza si ponga rispetto ad un Piano Attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), L. fall. con ‘partogenesi’ da un concordato con riserva legittimamente rinunciato ai sensi dell’art. 9, comma 5 bis, L. 5 giugno 2020, n. 40.[33]
Comunque neppure al riguardo hanno previsto alcunché le nuove disposizioni in tema del CCII (artt. 57/64), nonostante la netta valorizzazione degli Accordi di Ristrutturazione “ad efficacia estesa” di cui all’art. 61 CCII.
PURGAZIONE DEI VINCOLI AFFLITTIVI NELLE PROCEDURE CONCORSUALI
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Procedure concorsuali che espressamente la prevedono
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N Procedure concorsuali che non la prevedono |
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Legge Fallimentare:
Procedura Fallimentare (R.D. 267/1942) Art. 108, co. 2
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Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:
Procedura di Liquidazione Giudiziale (D. Lgs. 14/2019) Art. 173, co. 4 Art. 217, co. 2 |
Legge Fallimentare:
Liquidazione Coatta Amministrativa (R.D. 267/1942) Art. 210 |
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:
Liquidazione Coatta Amministrativa (D. Lgs. 14/2019) Art. 311 |
Legge Fallimentare:
Concordato Fallimentare (R.D. 267/1942) Art. 136, co. 3 (ma purgazione solo per ipoteche iscritte a garanzia del concordato) |
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:
Concordato nella liquidazione giudiziale (D. Lgs. 14/2019) Art. 249, co. 3 (ma purgazione solo per ipoteche iscritte a garanzia del concordato |
Legge Fallimentare:
Concordato nella liquidazione coatta (R.D. 267/1942) Art. 214 |
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:
Concordato nella liquidazione coatta (D. Lgs. 14/2019) Art. 314 |
Legge Fallimentare:
Concordato Preventivo (R.D. 267/1942) Art. 163 bis; Art. 182, co. 5; Art. 186 bis, co. 3 |
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:
Concordato Preventivo (D. Lgs. 14/2019) Art. 95, co. 2; Art. 114, co. 4; Art. 118, co. 7 |
Legge Fallimentare:
Accordi di Ristrutturazione (A.D.R) (R.D. 267/1942) Art. 182 bis Art. 187septies |
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:
Accordi di Ristrutturazione (A.D.R.) (D. Lgs. 14/2019) Artt. 57/64 |
Sovraindebita mento (L. 3/2012) Art. 13, co. 3 Art. 14 novies, co. 3 |
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:
Sovraindebita mento (D. Lgs. 14/2019) Art. 71, co.1 Art. 81, co. 1 Art. 275, co. 2 |
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Amministrazione Straordinaria “Prodi bis”:
Vendite nell’Amministrazione Straordinaria (D. Lgs. 270/1999) Art. 64 |
Amministrazione Straordinaria “Prodi bis”:
Concordato nell’Amministrazione Straordinaria (D. Lgs. 270/1999) Art. 78 |
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Amministrazione Straordinaria “Marzano”:
Vendite nell’Amministrazione Straordinaria (L. 39/2004) Art. 4, co. 4 quater |
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Amministrazione Straordinaria “Marzano”:
Concordato nell’Amministrazione Straordinaria (L. 39/2004) Art. 4 bis |
Difatti solo così, da una parte, potrà evitarsi che il creditore ipotecario o pignoratizio possa restare pregiudicato, dall’altra, che improprie difficoltà sul delicato tema della purgazione dei vincoli possano scoraggiare il ricorso a procedure negoziali concorsuali che, non va dimenticato, anche il legislatore delegato del 2017 (L. 19 ottobre 2017, n.155) - ma, purtroppo, non quelli delegati del 2019 (D.Lgs. n. 14/2019) e 2020 (D. Lgs. n. 147/2020) - ha considerato meritorie di attenzione e quindi da incentivare.[34]
In particolare, ci sembra interessante soffermare l’attenzione sulla procedura di concordato fallimentare (considerate anche le ricadute sulle analoghe procedure nelle Liquidazione Coatta e Amministrazione straordinaria).
E la prima domanda da porsi è se dette procedure possano - o meno - definirsi procedimenti a vocazione liquidatoria coattiva a controllo giurisdizionale (ossia esercitato dal Giudice anche in assenza di iniziativa delle parti).
La risposta è sicuramente affermativa[35], come d’altro canto lo è rispetto al concordato preventivo[36].
Mentre però nel caso di concordato preventivo abbiamo, come detto, norme ad hoc dedicate alla purgazione, per i concordati fallimentari, il legislatore ai sensi dell’art. 136, comma 3, L. fall. si è limitato a precisare che il Giudice Delegato può (recte potrebbe) cancellare le sole ipoteche poste a garanzia dell’adempimento del concordato medesimo, pur in presenza di più penetranti e pregiudiziali controlli “giurisdizionali”.
A tal ultimo riguardo basti pensare alla nomina di un professionista di designazione giudiziale nel caso di incapienza per i creditori prelatizi ex art. 124, comma 3, L. fall. (mentre nel concordato preventivo è di indicazione di parte, v. art. 160, comma 2, L. fall.), nonché alla necessità ex art. 125, commi 1 e 2, L. fall. di due previ pareri (ed imprescindibilmente favorevole il secondo), quali quelli del Curatore e del Comitato dei Creditori, oltre ovviamente ai successivi controlli operati dai creditori attraverso il voto sulla proposta e le eventuali opposizioni all’omologa e reclami.
Il tutto, peraltro, in un contesto comunque aperto alla competizione, come testimonia la possibilità che, grazie alla pubblicità offerta dal deposito al registro delle imprese delle relazioni semestrali di cui all’art. 33, comma 5, L. fall.[37], sussistano più proposte concorrenti di concordato fallimentare ex art. 125, comma 2, L. fall.[38] peraltro scevre delle forti limitazioni soggettive ed oggettive sussistenti nei concordati preventivi, specificamente, nelle relative proposte concorrenti (art. 163, commi 4 e 5, L. fall.).
Senza contare, poi, l’ulteriore apertura ipostatizzata con l’invito a formulare proposte (pur nell’evidente riservatezza sino all’eventuale fase di votazione[39]), di cui qualunque apparato liquidatorio fallimentare (qual è sicuramente il concordato fallimentare, ai sensi degli artt. 104-ter, comma 2, lett. b e 107, comma 1, L. fall.[40]) dovrebbe giovarsi[41].
In un simile contesto pare arduo sostenere che il trasferimento coattivo dei beni all’assuntore di un concordato fallimentare (così come di un concordato preventivo), che di regola si verifica automaticamente[42] con la definitività del decreto di omologazione[43], non possa fruire, una volta adempiutosi la proposta, del funzionale e sintonico regime di purgazione giudiziale esecutiva/espropriativa, sancito in via generale dall’art. 2878, comma 7 c.c.[44].
Opinare diversamente, ovverosia limitarsi all’equivoco dettato letterale dell’art. 136, comma 3, L. fall. si perverrebbe a conclusioni aberranti e paradossali: in caso di concordato fallimentare, con l’omologa definitiva si potrebbe procedere alla cancellazione delle sole ipoteche iscritte a garanzia; in caso di concordato preventivo, si potrebbe cancellare ogni vincolo afflittivo per il tramite dei richiamati artt. 182, comma 5, parte seconda e 186 bis, comma 3, L. fall. ad eccezione, però, delle ipoteche iscritte a specifica garanzia del concordato, visto che l’art. 185 L. fall. richiama solo il secondo comma dell’art. 136, L. fall. ma non il terzo!
Peraltro va considerato che nel “nuovo” art. 136, comma 3, L. fall. è stato anche aggiunto l’inciso che demanda al Giudice Delegato di adottare “ogni misura idonea per il conseguimento delle finalità del concordato.”
D’altra parte non può non rimarcarsi ancora una volta la valenza piramidale ed espansiva della previsione del secondo comma dell'art. 108 L. fall. che, senza distinguo di sorta, impone un potere-dovere purgativo giudiziale di tutte le vendite coattive endofallimentari, qualunque esse siano una volta saldato il prezzo: dunque, anche in caso di concordato fallimentare in cui - è bene ricordarlo - si prescinde totalmente dal consenso e da qualsiasi attività del debitore, avvenendo, invito domino, in quello che resta pur sempre, anche durante la fase del subprocedimento concordatario, il pignoramento collettivo per eccellenza.
Ecco allora che si ritorna a sistema.
D’altra parte, la predicata visione d’insieme non può far sì che le norme sul fallimento possano essere interpretate disgiunte le une dalle altre, in un senso che le privi della loro vocazione teleologica, ovverosia la migliore liquidazione possibile per il soddisfacimento dei creditori.
Anche perché ciò precluderebbe l’opportunità di scelta effettiva degli organi concorsuali, che devono essere posti nella condizione di scegliere – ovviamente per quanto di rispettiva competenza – tra lo sposare le norme codicistiche “aderendo” all’espropriazione forzata in corso (art. 107, comma 6, L. fall.), lo smarcarsi dalle forme consuete liquidatorie e in certo senso paradigmatiche (art. 107, comma 2, L. fall.), sino a favorirne di nuove e destrutturate (artt. 107, comma 1, L. fall. , come nel caso di cui all’art. 124 L. fall.), assecondando così la prospettiva - anch’essa liquidatoria - del concordato fallimentare, qualora appaia massimizzante in termini temporali e per gli interessi satisfattivi del ceto creditorio.
Ogni opzione “liquidatoria” deve correre su binari paralleli, sia con riferimento alle garanzie di appetibilità che al buon esito.
L’archetipo è identico, per quanto cangiante in apparenza: l’alienazione concordataria altro non è che una forma peculiare di vendita forzata, attuata - come visto - con modalità comunque competitive adatte al proprio poliedrico statuto.
Non è lo schema operativo adoperato a venire in decisivo risalto, ma l'ambito espropriativo in cui la vendita si colloca e la declinazione coattiva che essa comunque comporta, nella misura in cui si svolge contro la volontà del debitore, come sovraordinata rispetto a quella correlata al singolo creditore.
D’altro canto, come proprio in questi giorni ci ha ricordato la Suprema Corte[45], ciò che rileva nei processi espropriativi, individuali o collettivi che siano, è il perseguimento del relativo primario interesse “ossia la tempestiva, effettiva ed efficace realizzazione dei crediti, specie in caso di espropriazione immobiliare, cui è funzionale l'appetibilità dei beni staggiti e la stabilità degli acquisti coattivi”[46].
“Del resto, come testualmente osservato nell'ordinanza interlocutoria, nessun pregiudizio irreparabile patisce il titolare della formalità da cancellarsi immediatamente: non nella procedura concorsuale, nella quale i creditori non subiscono un effettivo pregiudizio, grazie alle tutele allestite dalla L. fall., artt. 42, 44 e 45, in virtù dello spossessamento del debitore che deriva dalla dichiarazione di fallimento; ed anzi, in questo contesto, i creditori muniti di prelazione sul bene venduto non perdono i diritti che erano già risultati opponibili al fallimento, anche se la relativa iscrizione sia stata fisiologicamente cancellata dai registri immobiliari all'esito della vendita fallimentare, e ciò sia nel caso di riacquisizione del bene (dietro restituzione del prezzo all'aggiudicatario), sia nel caso in cui ciò sia impossibile, dovendo comunque essere soddisfatti secondo l'ordine delle cause legittime di prelazione accertate ai sensi della L. fall., artt. 52 e 93 e segg. (cfr. Trib. Prato n. 2311/18)”[47].
D’altra parte, in ipotesi, “la tutela residuale del creditore ipotecario da possibili ragioni di danno resta confinata nell'ambito risarcitorio, in modo da dare prevalenza all'obbiettivo primario perseguito nel processo esecutivo”.[48]
Ed il tutto, dunque, non può che valere con più forza nel procedimento liquidatorio concorsuale per antonomasia, qual è il concordato fallimentare, che monetizza rapidamente tutto l’attivo del fallimento, sotto un pregnante controllo giudiziale (oltre che, diretto, dei creditori e relativo, quanto decisivo, comitato), tanto che “dal suo inoltro, assume il significato di atto idoneo a realizzare, quando omologato, la liquidazione stessa in via espropriativa” [49]; con ogni conseguente effetto proprio di qualsiasi procedimento forzato, a partire, appunto, da quello purgativo (ma non solo, come vedremo sub § 5).
Effetto che si verificherà a favore dell’assuntore ove anche il credito ipotecario risulti eliso per l’esercizio da parte del proponente della facoltà di riduzione dei prelatizi di cui all’art. 124, comma 3, L. fall. (ed ai sensi dell’art. 160, comma 2, L. fall. nell’analogo scenario del concordato maggiore)[50]. Riduzione rappresentante, comunque, il “limite minimo suscettibile di essere previsto nella proposta di concordato”, grazie alla valutazione indipendente del professionista designato dal Tribunale “al fine di assicurare che la soddisfazione del creditore avvenga nella misura comunque pari (o superiore) a ciò che sarebbe ottenibile dalla liquidazione del bene o del diritto” [51], da stimarsi al tempo della proposta, restando irrilevanti eventuali variazioni successive.[52]
D’altra parte, anche in tale scenario il creditore ipotecario potrà tutelare le proprie ragioni contestando, in sede di giudizio di omologazione, l’erroneità delle conclusioni del predetto professionista, essendo aspetti pur sempre afferenti la regolarità della procedura e quindi comunque demandati alla valutazione del Giudice concorsuale[53].
Ed a prescindere dal rango del credito che in alcun modo può entrare in gioco nella disposizione in esame: dunque, sia esso prelatizio o chirografo (e finanche prededuttivo, con eventuale onere di accertamento ordinario ai sensi dell’art. 111 bis, comma 1, L. fall.).
Dunque, anche i creditori ipotecari possono essere legittimamente esclusi dal concorso concordatario[56] qualora non risultino diligenti nella cura dei propri diritti.
Non a caso, secondo la Suprema Corte il creditore ipotecario viene legittimamente privato della prelazione, anche in sede di esecuzione individuale, allorché, pur “regolarmente avvisato dell'inizio del processo esecutivo ex art. 498 cod. proc. civ., abbia scelto di non intervenire (nel qual caso il decreto di trasferimento conterrà comunque l'ordine di cancellazione di quell'ipoteca, ma nella distribuzione del ricavato non si potrà tener conto del credito privilegiato)”[57].
Ovviamente, detto principio è traslabile, a maggior ragione, nell’esecuzione collettiva fallimentare (e segnatamente nel relativo subprocedimento concordatario), proprio in ragione delle richiamate esigenze di celerità consustanziali al soddisfacimento della massa dei creditori ed alla chiusura della procedura maggiore.
Per tali motivi non convince una risalente quanto isolata decisione del Giudice di legittimità, secondo cui, in estrema sintesi, non sarebbe possibile, in sede concordataria fallimentare, conseguire la purgazione del vincolo afflittivo del creditore ipotecario, legittimamente escluso dal concorso fallimentare attraverso il patto di limitazione della responsabilità richiesto dall’assuntore, atteso che così operando - sempre secondo tale pronuncia - il creditore ipotecario resterebbe privo di tutela nei confronti del debitore fallito una volta tornato in bonis. [58]
Difatti, il creditore ipotecario non potrebbe che imputare alla propria intempestività la perdita verso l’assuntore (anche) della propria prelazione, con conseguente cancellazione del vincolo afflittivo, a beneficio dell’assuntore medesimo, terzo aggiudicatario, fermo ovviamente il diritto dell’ex ipotecario a perseguire il debitore, una volta tornato in bonis, ma, a quel punto, nella (nuova) degradata veste di creditore chirografario.
Non a caso, di lì a poco, con altra pronuncia nomofilattica, invero di più ampio respiro sul novellato concordato fallimentare, è stato statuito e precisato che “il pregiudizio cui restano esposti i creditori non insinuati per effetto della limitazione della responsabilità del terzo non si differenzia d'altronde, nella sostanza, da quello che essi sono destinati a subire nell'ipotesi in cui si pervenga celermente alla liquidazione dell'attivo ed alla chiusura del fallimento”. [59]
E ancor più recentemente aggiungendosi che “ai sensi dell’art. 124, co. 4, L. fall. possono legittimamente escludersi dal perimetro della proposta di concordato fallimentare i creditori non ammessi al passivo e non ancora opponenti al momento del deposito della domanda concordataria. Difatti, l’opinare diversamente, oltre in palese contrasto con il tenore letterale della norma, si pone in conflitto con lo spirito della legge fallimentare di non apprestare particolari tutele ai creditori tardivi, i quali non hanno diritto di partecipare alle ripartizioni dell’attivo precedenti (L. fall., art. 112), salvo che siano assistiti da cause di prelazione o dimostrino che il ritardo non è ad essi imputabile, con divieto di ripetizione di quanto già ripartito (L. fall., art. 114). Nel concordato fallimentare è ulteriormente accentuata tale tendenza, essendo esclusi dal concorso, non solo i creditori chirografari, ma anche quelli prelatizi che non abbiano presentato domanda di ammissione allo stato passivo al momento del deposito della proposta di concordato fallimentare, essendo pienamente rispondente all’intento del legislatore favorire in ogni modo la soluzione concordataria, così facilitando la chiusura della procedura fallimentare.”[60]
A fronte di siffatto contesto, conseguente ad una pattuizione propria dell’omologato concordato fallimentare ex art. 124, comma 4, L. fall. immaginare che debba passarsi da un giudizio ordinario per conseguire la cancellazione del vincolo ipotecario non più meritevole di iscrizione, francamente, non ci sembra in alcun modo predicabile e comunque funzionale ad una seria incentivazione degli atti liquidatori del fallimento.
Sul punto sono lapidari i precetti di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 586 c.p.c. (come il relativo primo comma rispetto agli effetti purgativi) nonché dell’art. 560, comma 3, c.p.c. prima delle sue recenti riscritture.[61]
Come già accennato, il legislatore della novella riformatrice del 2006, pur germinando il “manifesto” dell’art. 108, comma 2, L. fall. in punto di purgazione dei vincoli a completamento dell’iter liquidatorio e di aggiudicazione, ha tuttavia colpevolmente omesso di disporre in punto di titolo per rilascio.
La più evoluta giurisprudenza di merito ha fortunatamente posto rimedio a quello che appare, all’evidenza, un lapsus calami, applicando analogicamente le predette norme del codice di rito a tutte e tre le ipotesi di modalità di trasferimenti coattivi previsti dall’art. 107, commi 1, 2 e 6 L. fall.[62].
Anche perché sarebbe stato privo di ogni ragionevolezza immaginare conseguibile tale effetto nei soli casi di cui ai predetti commi 2 e 6 (in quanto relativi a vendite coattive che si svolgono espressamente sotto l’egida del codice di procedura civile), ma non negli scenari competitivi più ricorrenti in quanto deformalizzati, di cui al comma 1.
Salvo ritenere in tal caso direttamente applicabile la legge fallimentare e, nello specifico, il disposto dell’art. 25, comma 1, n. 2, L. fall. che permette al curatore di richiedere al Giudice Delegato l’emissione di “provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio”, peraltro anche nei confronti di terzi, a meno che non “rivendichino un proprio diritto incompatibile con l’acquisizione”.
Se basta, però, al terzo semplicemente “rivendicare”, per bloccare il predetto provvedimento giudiziale, ecco allora che torna con maggior forza l’applicazione analogica dell’art. 586, commi 2 e 3, c.p.c., stante la possibilità di invocare un espresso titolo esecutivo ex art. 474, comma 1, n. 1 c.p.c., quindi con sicura efficacia erga omnes e dunque anche nei confronti di eventuali occupanti senza titolo.[63]
Ma cosa accade nel caso di trasferimenti immobiliari a mezzo dell’atto liquidatorio fallimentare ex artt. 107, comma 1- 104 ter, comma 2, lett. b - 124 L. fall. qual è, appunto, il concordato fallimentare?
Potrà conseguirsi in sede di omologazione sia il provvedimento di purgazione dei vincoli a concordato eseguito che il pedissequo un ordine di rilascio con forza di titolo esecutivo?
Per quanto fin qui osservato, la risposta non potrà che essere affermativa.
Non foss’altro perché, a differenza degli altri atti liquidatori di cui all’art. 107, comma 1, L. fall. come ad esempio le vendite deformalizzate attuate dal curatore, tutto avviene secondo un preciso iter procedimentale che approda in un provvedimento giurisdizionale, ove a fortiori è certa la possibilità, oltre che di conseguire un provvedimento ablativo dei vincoli afflittivi, quello di ottenere un titolo esecutivo per il rilascio, essendo - lo si ripete con crescente consapevolezza -“atto idoneo a realizzare, quando omologato, la liquidazione stessa in via espropriativa”. [64]
Alla luce delle variegate possibilità offerte dall’art. 107 L. fall. per massimizzare al meglio “le vendite e gli altri atti di liquidazione”, non è lo schema operativo adoperato a venire in decisivo risalto, ma l'ambito espropriativo in cui la vendita si colloca e la declinazione coattiva che essa comunque comporta, nella misura in cui si svolge contro la volontà del debitore e sovraordinata rispetto al singolo creditore.[65]
Il fallimento produce gli effetti di un pignoramento soggettivamente ed oggettivamente universale del patrimonio del fallito, che ne vincola i beni al soddisfacimento dei creditori. E tale effetto, nelle sue varie esplicazioni, non può che prodursi ipso iure.
Ogni qualvolta quel vincolo viene a disciogliersi con la liquidazione dei beni del perimetro concorsuale su cui ricade e ogni qualvolta, del pari, i vincoli “satellitari” anteriori all’apertura del concorso, insistenti sui medesimi beni, abbiano assolto alla propria funzione, non v’è ragione di tenere in piedi l’uno e gli altri.
Lo scopo cui originariamente rispondevano è, infatti, in entrambi i casi evaporato.
Ciò che rileva è che le cancellazioni intervengano a iter dismissivo rispettato ed a corrispettivo integralmente versato e dunque, nei concordati con assunzione, ad avvenuta omologazione con conseguente adempimento delle proposte.
Pertanto, sarebbe contro ogni logica di sistema quanto in contrasto con la predicata efficienza delle procedure concorsuali (in primis a danno del miglior soddisfacimento dei creditori[66]) imporre la necessità di un dispendioso - ma soprattutto disincentivante - ricorso al giudice ordinario per conseguire nei suddetti casi (e solo perché apparentemente orfani di disposizioni ad hoc) la purgazione dei vincoli afflittivi[67]: trattasi, pur sempre, d’uno strumento ablativo posto - pro massa dei creditori (attraverso la massima incentivazione di potenziali concorrenti alla monetizzazione dell’attivo del debitore) - a servizio di un atto liquidatorio/attuativo, proprio di tali procedure e secondo le relative regole (naturalmente anche competitive, pur se di riferimento), senza peraltro il rischio di provocare alcun pregiudizio per i singoli creditori prelatizi “iscritti/trascritti”, allorché legittimamente partecipanti al relativo concorso.[68]
E conforta molto constatare che su questo solco si è già espressa la Dottrina, per di più con riferimento all’art. 210 L. fall. in materia di Liquidazione Coatta Amministrativa, precisando che imporre un ordinario processo di cognizione, al fine di ottenere una pronuncia scontata, appare del tutto inutile ed antieconomico, oltre che demotivante per i potenziali acquirenti, ai quali non può certo darsi carico, pena il rischio di incidenza sui valori ricavabili e dunque con pregiudizio di tutti, di onerosi e difficoltosi incombenti in conseguenza di un acquisto da una competitiva[69] procedura espropriativa[70].
Ciò giustifica, secondo l’autorevole ricostruzione, il riconoscimento in capo alla pubblica autorità, che governa la direzione della attività liquidatoria, del potere di disporre la cancellazione dei gravami, quale mero atto dovuto, privo di rilevanza decisoria autonoma.[71]
Senza peraltro che il conservatore immobiliare possa frapporre ostacoli di sorta allorché il provvedimento della competente autorità concorsuale disponga al riguardo, pena impegnare la propria “responsabilità in sede civile, penale, contabile, amministrativa e disciplinare”[72].
D’altro canto, come già visto, la libertà da pesi dell’acquisto in sede di esecuzione forzata, costituisce un principio generale ispirato alle esigenze di certezza e migliore realizzazione dei cespiti e non può che avere maggior forza in sede concorsuale, considerato che dal patrimonio dell’insolvente deve potersi trarre sempre la massima utilità possibile, attraverso la competizione sul mercato, oramai uno dei mantra di tutta la legislazione concorsuale[73]: un mantra che nel concordato fallimentare (come nell’analogo preventivo con assunzione) non può che snodarsi secondo una propria “liturgia” competitiva.[74]
Qualche problema, ad onor del vero più apparente che reale, potrà porsi nelle sedi concordatarie di Liquidazione Coatta e Amministrazione Straordinaria, atteso che, né l’art. 214 L. fall. né l’art. 78, D. Lgs. n. 270/1999, che lo richiama, rinviano all’art. 125 L. fall., anche se ciò potrà essere ovviato attraverso pubblici inviti a formulare proposte[75].
Ancor di più tale invito pubblico si appalesa necessario nel concordato di cui all’art. 4 bis, L. n. 39 del 2004: difatti, in tale disposizione, neppure si rinvia all’art. 124 L. fall. e tantomeno all’art. 214 L. fall. (ed a tacere del richiamo alla trattativa privata effettuato, pur se non con espresso riguardo al concordato, dall’art. 4, co. 4 quater , L. n. 39 del 2004).
Di contro, senza una disposizione ad hoc (come, ad esempio, in futuro accadrà con l’art. 173 comma 4, CCII), reputiamo che il giudice concorsuale non potrà mai intervenire sulla cancellazione dei gravami rispetto all’esecuzione da parte del Curatore di contratti anteriori[76], in quanto atti privi della connotazione liquidatoria competitiva, funzionale al miglior soddisfacimento della generalità dei creditori.
E visto che la competizione difetta, di regola, anche negli Accordi di Ristrutturazione non ci pare di poter giungere in tali casi a conclusioni diverse[77]: indubbiamente, soprattutto negli oramai prossimi accordi ad efficacia estesa, cui tante aspettative si ripongono, una disposizione chiarificatrice in tema sarebbe opportuna, quantomeno per cancellare con rapidità i vincoli inefficacemente accesi post deposito concordato con riserva ovvero nei 90 giorni antecedenti.[78]
Resta invece salva tale funzionalità, post omologazione del concordato ex art. 186 bis L. fall., per quegli atti ordinari da piano propri della continuità aziendale ritenuti, recte confermati con l’omologazione funzionali appunto al miglior soddisfacimento dei creditori e, pertanto, ove concernenti la vendita di beni/merce gravati ante, comunque purgabili dal giudice concorsuale.
Note: