La Corte Suprema parte da una sintetica esposizione della disciplina del Chapter 11 americano (le citazioni tra parentesi si riferiscono alle sezioni del Bankruptcy Code):
I proponenti del piano e lo U.S. Trustee concordano su alcuni punti fondamentali. Quando un debitore presenta istanza di accesso alla bankruptcy, "crea un patrimonio (estate) " che include praticamente tutti i beni del debitore (11 U.S.C. §541(a)). Ai sensi del Chapter 11, il debitore può collaborare con i suoi creditori per elaborare un piano di riorganizzazione che disciplini la distribuzione dei beni dell’estate. Deve quindi presentare tale piano alla Bankruptcy Court e ottenere la sua approvazione (§§1121, 1123, 1129, 1141). Una volta che la Bankruptcy Court emette un'ordinanza che conferma il piano, tale documento vincola il debitore e i suoi creditori in futuro, anche quelli che non hanno acconsentito al piano. (§1141(a)). E’ più rilevante che l'ordinanza della Bankruptcy Court che conferma un piano "libera il debitore da qualsiasi debito sorto prima della data di tale conferma", ad eccezione di quanto previsto nel piano, nell'ordine di conferma o nel codice (§1141(d)(1)(A)). Tale estinzione non solo rilascia o "annulla qualsiasi giudizio passato o futuro sul’ debito estinto; ma "opera anche come un'ingiunzione . . . che vieta ai creditori di tentare di riscuotere o recuperare il debito" (Tennessee Student Assistance Corporation v. Hood, 541 U. S. 440, 447 (2004) che cita §§524(a)(1), (2)). In generale, tuttavia, l'esdebitazione opera solo a beneficio del debitore nei confronti dei suoi creditori e "non pregiudica la responsabilità di nessun altro soggetto" §524(e). I Sackler non hanno chiesto di aprire la procedura di bankruptcy e non hanno messo tutti i loro beni sul tavolo per la distribuzione ai creditori, eppure cercano ciò che essenzialmente equivale a un discharge. Sperano di ottenere un ordine del giudice che li liberi dalle azioni pendenti contro di loro proposte dalle vittime da oppiacei. Domandano un'ingiunzione "permanente e per sempre" che precluda cause simili in futuro. E chiedono tutto questo senza il consenso degli interessati. La questione che ci troviamo ad affrontare si riduce quindi al quesito se una Corte in un procedimento di bankruptcy possa effettivamente estendere ai non debitori i benefici di un discharge del Chapter 11 solitamente riservati ai debitori.
Per rispondere al quesito la Corte Suprema argomenta dalla disciplina della sezione 1123 (b) del Bankruptcy Code che stabilisce il contenuto del piano di reorganization. In forza della norma ora richiamata il piano può:
"(1) incidere su (impair) o lasciare inalterata qualsiasi classe di crediti, garantiti o non garantiti, o di interessi;
" (2) . . . prevedere la prosecuzione, l’esclusione o la cessione di qualsiasi contratto esecutivo o contratto di locazione non scaduto del debitore non precedentemente escluso ai sensi del [§365];
"(3) prevedere:
"(A) la liquidazione o la rideterminazione di qualsiasi credito o interesse appartenente al debitore o al patrimonio; o
"(B) la conservazione e l'esecuzione da parte del debitore, del trustee o di un rappresentante della massa nominato a tale scopo, di qualsiasi credito o interesse; " (4) provvedere per la vendita di tutti o sostanzialmente tutti i beni della massa e la distribuzione dei proventi di tale vendita tra i titolari di crediti o interessi;
"(5) modificare i diritti dei titolari di crediti garantiti, diversi da quelli garantiti solo da una garanzia su un bene immobile che sia la residenza principale del debitore, o dei titolari di crediti chirografari, o lasciare inalterati i diritti dei titolari di qualsiasi classe di crediti; e
"(6) includere ogni altro provvedimento appropriato che non sia in contrasto con le disposizioni applicabili del presente titolo".[7]
La Corte Suprema osserva che le prime cinque ipotesi considerate dalla Sezione 1123 (b) riguardano la disciplina dei crediti e del patrimonio che fanno capo al debitore (1123 (b) (2), (3), (4) o consentono che il piano incida sui diritti che i creditori vantano nei confronti del debitore o del suo patrimonio (1123, (b) (1), (5). Secondo la Corte le cinque ipotesi ora considerate non consentono al piano di estinguere i diritti vantati nei confronti di soggetti terzi, quali i Sackler. Tale possibilità può derivare soltanto dall’ultima ipotesi considerata dalla sez. 1123 (b), così come aveva ritenuto la Corte d’appello nella sua decisione. Secondo la tesi sostenuta da Purdue, il paragrafo 6 della sezione 1123 consente al debitore di includere nel piano, e di conseguenza al giudice di approvare, ogni disposizione non espressamente vietata dal bankruptcy code sino a quando un bankruptcy judge la ritiene appropriata e coerente con le ampie finalità della procedura. Poiché il codice non vieta espressamente il discharge di un soggetto non debitore, il giudice é libero di autorizzarlo purché si tratti di una disposizione “appropriata”.
Tuttavia, osserva la Corte Suprema, il par. 6 della sezione 1123 è una catchall phrase, una formula generica di chiusura, che non deve essere necessariamente interpretata nel senso più ampio possibile. Va invece letta alla luce del contesto in cui si trova e dell’elencazione che la precede. Così, ad esempio, se una legge contiene un elenco quale “auto, autocarri, motocicli e ogni altro veicolo” si potrà interpretare la catchall phrase come riferita ad ogni altro mezzo di trasporto via terra, ma non agli aerei ed ai sommergibili. Questa regola, che in diritto americano è definita come il canone dello eiusdem generis, ha la funzione di garantire alla legge l’ambito di applicazione che le sarebbe attribuito da un lettore ragionevole.
Secondo la Corte Suprema il par. 6 va letto alla luce delle disposizioni che lo precedono e che riguardano il debitore, i suoi diritti e le sue responsabilità, e la sua relazione con i creditori. E’ certamente vero che il par. 6 concede ulteriori poteri al giudice, ma tra questi poteri non può essere compreso un potere radicalmente differente, di cancellare i debiti di un soggetto diverso dal debitore senza il consenso dei creditori interessati. Un provvedimento appropriato, come lo definisce il par. 6, non può che riferirsi al medesimo contesto che è oggetto dei precedenti cinque paragrafi della sezione 1123 (b).
Giunta a questa conclusione la Corte Suprema prende in considerazione gli argomenti sostenuti dall’opinione dissenziente del Justice Kavanaugh. Questi osserva che non è vero che le disposizioni della sezione 1123 (b) riguardano soltanto i diritti e le responsabilità del debitore. Queste disposizioni riguardano anche i crediti derivati nei confronti di soggetti diversi dal debitore.
Nella sua dissenting opinion il giudice Kavanaugh osserva anzitutto che il caso Purdue Pharma è un caso in cui la procedura di bankruptcy riguarda anche un illecito civile di massa. L’azione delle vittime, quando vi è un danno collettivo ad una vasta cerchia di persone, presenta per i danneggiati lo stesso problema dell'azione collettiva dei creditori che la procedura concorsuale è stata progettata per affrontare. Senza una norma vincolante che consolidi i crediti davanti ad un unico giudice, i danneggiati entrerebbero in competizione davanti al tribunale, competizione che favorirebbe i primi ad agire e danneggerebbe gli altri, perché non tutti troverebbero soddisfazione in pari misura nel patrimonio del danneggiante. In altri termini si tratta di trovare una soluzione che estenda i principi del concorso collettivo dei creditori alle azioni di massa dei danneggiati.
Da molti decenni, scrive Kavanaugh, il diritto fallimentare americano è intervenuto attribuendo alla bankruptcy court il ruolo di tribunale di coordinamento in casi significativi di illeciti di massa. Quando un'impresa responsabile di illeciti di tal tipo accede alla bankruptcy, il sistema fallimentare consente (e richiede) alle vittime di tali illeciti che cercano risarcimento dalla società in procedura, di collaborare per raggiungere una distribuzione giusta ed equa dei beni dell'impresa. Al di fuori della procedura concorsuale le vittime vanno incontro a rilevanti costi gestionali in cause radicate in più di un distretto di corte d’appello. Gli strumenti di coordinamento sono limitati e non vi sono possibilità di vincolare alle decisioni assunte le vittime che agiranno in futuro. Chi non è d’accordo con le azioni intraprese ha la possibilità di opt out, di dissociarsi, e non è vincolato.
La procedura concorsuale riduce i costi di gestione e consente a tutte le parti interessate di agire insieme, arresta i giudizi radicati in altra sede, prevede garanzie processuali, ivi compresa la discovery, e consente di raggiungere una soluzione collettiva che considera sia le vittime attuali che quelle future.
In diversi casi, che riguardano appunto le azioni per illecito di massa, il responsabile non è soltanto la società debitrice, ma anche altre persone o enti strettamente collegati, amministratori e dirigenti, che possono essere titolari di asset importanti ed essere potenzialmente responsabili per gli illeciti della società.
Vi possono essere difficoltà per i danneggiati nell’agire contro questi terzi responsabili sia per problemi di carattere tecnico-giuridico sia perché è complesso aggredirne i beni. In questi casi può essere raggiunto un accordo con cui gli amministratori e i dirigenti possono versare somme rilevanti alla società in procedura, finalizzate al soddisfacimento delle vittime. In questo modo l’attivo della procedura aumenterà a beneficio di queste ultime. La distribuzione di queste somme nelle forme previste per la ripartizione tra i creditori permetterà anche una distribuzione rispettosa del principio di parità di trattamento tra i creditori, fair and equitable.
Vi è ancora un aspetto che deve essere sottolineato. Sovente gli amministratori ed i dirigenti hanno diritto ad essere tenuti indenni da responsabilità da parte della società per cui hanno operato. In questo caso “l’azione contro il terzo non debitore è sostanzialmente un’azione contro il debitore”[8]. I danneggiati potrebbero agire nei confronti degli amministratori e dei dirigenti ed ottenere una condanna per gli stessi crediti che possono far valere nei confronti della società debitrice. In caso di successo quest’azione svuoterebbe l’attivo della procedura perché dirigenti ed amministratori avrebbero la possibilità di farsi tenere indenni dalla società debitrice[9]. Un problema analogo riguarda il caso in cui vi sia una copertura assicurativa che copre la responsabilità per l’illecito. In tale ipotesi concorrono l’azione della società debitrice per il recupero dell’indennizzo dovuto dall’assicuratore con l’azione diretta delle vittime nei confronti del medesimo assicuratore. Un gruppo di vittime potrebbe ottenere l’intero indennizzo sino a concorrenza della copertura assicurativa. Ciò impedirebbe che tali somme siano utilizzate come parte dell’attivo di massa.
Per risolvere questi problemi la giurisprudenza delle Bankruptcy Court ha utilizzato da tempo il release dei terzi non debitori in alcuni complessi casi di bankruptcy. I releases furono utilizzati per la prima volta nelle insolvenze con danni collettivi derivanti dall’impiego di amianto.
Così, ad esempio, dopo che A. H. Robins fece accesso alla bankruptcy nel 1985 a fronte dell’ingente debito per danni da lesioni causate dal suo dispositivo intrauterino difettoso, il Dalkon Shield, quasi 200.000 vittime presentarono richieste di danni[10]. Una disposizione del piano di reorganization, che liberava gli amministratori e la compagnia di assicurazione della società, garantiva che la massa attiva non sarebbe stato esaurita dalle richieste di indennizzo o di risarcimento presentate direttamente contro gli amministratori o l'assicuratore. Impedire alle vittime di impegnarsi in un "contenzioso frammentario" contro gli amministratori non debitori e la compagnia di assicurazione era l'unico modo per garantire "la parità di trattamento dei creditori in condizioni simili". Pertanto, la Bankruptcy Court ritenne (e la corte di appello del Quarto Circuito ha concordato) che il release era "necessario ed essenziale" per il successo della procedura. Il piano alla fine prevedeva che le vittime fossero risarcite integralmente ed il piano fu approvato a stragrande maggioranza. La stessa soluzione fu adottata nel caso della Dow Corning Corporation nel 1995, un caso in cui era questione della responsabilità derivante dalla produzione e vendita di protesi mammarie in silicone[11].
Osserva la Dissenting Opinion che la necessità di questo strumento per affrontare procedure concorsuali complesse non è scomparsa. Senza l'opzione della procedura concorsuale con liberatoria dei terzi non debitori, "le vittime di illeciti civili in diversi recenti casi di alto profilo avrebbero ricevuto un risarcimento inferiore; il risarcimento sarebbe stato distribuito in modo iniquo; e i costi di gestione per risolvere le loro richieste sarebbero stati più alti"[12]. I casi più recenti e significativi sono quelli del Chapter 11 delle vittime degli illeciti riferibili ai Boy Scouts of America e a diverse Diocesi della Chiesa Cattolica.
In entrambi i casi un’organizzazione nazionale o regionale era il debitore nella procedura di Chapter 11, ma condivideva la responsabilità con altre numerose entità autonome locali. Senza un meccanismo di coordinamento l’azione delle vittime nei confronti di uno di questi soggetti avrebbe esaurito la copertura assicurativa, che era condivisa con tutti gli altri responsabili, lasciando senza protezione gli altri danneggiati. Attraverso il Chapter 11 e la liberazione dei soggetti terzi responsabili le entità locali sono state in grado di mettere in comune le loro risorse per creare un fondo nell’unica massa della procedura concorsuale per risarcire le vittime in modo sostanziale ed equo[13].
Il caso Purdue Pharma, osserva il giudice Kavanaugh, presenta le stesse caratteristiche dei casi prima ricordati.
In forza di un accordo del 2004, Purdue aveva accettato di pagare i danni e le spese legali che i funzionari e gli amministratori di Purdue avrebbero dovuto affrontare per le sentenze di condanna relative all’attività della società, comprese quelle relative ai danni da oppiacei. Tale accordo copriva le sentenze contro i Sackler e le relative spese legali.
Nella sostanza i Sackler condividevano buona parte delle responsabilità che Purdue doveva affrontare per le condotte tenute nella questione della vendita degli oppiacei.
I crediti per danni nei confronti dei Sackler erano strettamente connessi, se non del tutto identici, ai crediti nei confronti di Purdue. Ma a causa dell'accordo di indennizzo, se le vittime e i creditori avessero citato in giudizio direttamente i Sackler per pretese relative a Purdue o agli oppiacei, i Sackler avrebbero avuto una base ragionevole per chiedere il rimborso a Purdue per i danni e le spese del contenzioso. Nella sostanza la causa contro il terzo non debitore si poteva trasformare in un’azione contro il debitore o poteva esaurirne il patrimonio. La liberazione di Purdue dai debiti attraverso il piano di reorganization era indispensabile per garantire l’integrità della massa attiva e il soddisfacimento fair and equitable dei creditori e delle vittime nello stesso modo in cui era indispensabile la liberazione dei terzi non debitori, cioè dei Sackler.
Sulla base di queste premesse il giudice Kavanaugh contesta l’applicazione da parte della Corte Suprema del canone dell’eiusdem generis. Osserva che una catchall phrase ha in sostanza la funzione di aggiungere ad un elenco il riferimento a casi simili. La lettura estensiva non può sfidare il buon senso e deve riguardare beni o azioni che svolgono lo stesso scopo individuato dal legislatore.
Fin qui, nella sostanza, l’interpretazione della catchcall phrase da parte della Corte Suprema e della dissenting opinion è la stessa. Ma Kavanaugh contesta la premessa da cui muove la Corte e cioè che le prime cinque ipotesi disciplinate ai nn. 1-5 della sezione 1123 (b) considerino soltanto il debitore – i suoi diritti e le sue responsabilità – e la sua relazione con i creditori.
In primo luogo, osserva, la formula impiegata dalla Corte Suprema è vaga e generica. La liberazione dei terzi non debitori riguarda crediti per danni derivanti dalla condotta illegittima di Purdue. La liberazione riguarda crediti di cui sono titolari le vittime e i creditori del debitore, cioè di Purdue. E la liberazione protegge il debitore dalle azioni di rivalsa promosse dai Sackler. La liberazione dei terzi non debitori non soltanto riguarda il debitore, ma è essenziale per la riorganizzazione del medesimo.
Il giudice Kavanaugh osserva che non è vera la premessa della Corte Suprema che i paragrafi da 1 a 5 della sezione 1123 si riferiscono soltanto al debitore. Il paragrafo b (3) consente ad una bankruptcy court di approvare un piano che intervenga su un credito che il debitore vanti nei confronti dei terzi. Se, possiamo aggiungere, è normale che un tribunale fallimentare abbia tali poteri, come avviene anche in Italia, vi è però un profilo particolare. In vari casi, compreso Purdue, i creditori possono vantare crediti derivati nei confronti del medesimo terzo con cui interviene la transazione, per lo stesso danno arrecato alla massa. L’accordo tra la procedura e il terzo estingue anche i crediti derivati che possono essere vantati dai creditori.
Ritenere che la catchcall phrase contenuta in b (6) possa estinguere i crediti diretti vantati dai creditori nei confronti del terzo significa prendere in considerazione fondamentalmente lo stesso fenomeno.
Nel caso Purdue, osserva Kavanaugh, uno dei principali asset della massa è rappresentato dal credito per 11 miliardi di dollari di Purdue nei confronti dei Sackler per trasferimenti fraudolenti degli attivi della società. L’accordo con i Sackler riguarda questi trasferimenti e costituisce una transazione che tiene conto delle concrete possibilità di recupero di questi crediti. Il risultato della transazione è anche di estinguere i diritti derivati di azione per questo titolo dei creditori e delle vittime ai sensi del paragrafo 1123 (b) (3). Non vi è dubbio che il bankruptcy code consente la liberazione dei terzi non debitori per quanto riguarda queste azioni derivative[14].
E’ dunque evidente che la sezione 1123 (b) (3) è norma che va oltre il significato che la Corte Suprema attribuisce ai primi cinque paragrafi della sezione stessa. Non vale opporre, osserva la dissenting opinion, come fa la Corte Suprema, che la ragione di (b) (3) sta nel fatto che si tratta di diritti che fanno parte della massa attiva e di cui pertanto la procedura può disporre. Vero, osserva Kavanaugh, ma ciò non toglie che la liberazione dalle azioni dirette di soggetti non debitori in forza del catchall è simile alla liberazione dalle azioni derivative dei medesimi soggetti. Sia i crediti derivati che quelli diretti nei confronti dei Sackler sono detenuti dalle stesse vittime e dagli stessi creditori, e sia i crediti derivati che quelli diretti nei confronti dei Sackler potrebbero esaurire il patrimonio di Purdue.
A questa ipotesi, osserva Kavanaugh, si possono aggiungere le liberatorie consensuali dei non debitori, regolarmente incluse nei piani di riorganizzazione, anche se tali liberatorie si applicano ai crediti delle vittime o dei creditori nei confronti dei non debitori.
Si tratta peraltro di liberatorie che vincolano soltanto i creditori che hanno espressamente acconsentito[15]. Alcune Corti hanno ritenuto che le liberatorie consensuali traggano fondamento dall’accordo raggiunto con i creditori, e che un piano contenente una liberatoria di terzi sia un contratto che vincola coloro che votano a favore[16]. I creditori ricevono il trattamento previsto dal piano come conseguenza dell'approvazione delle disposizioni del piano stesso, comprese quelle che liberano terze parti. Quando una liberatoria di terzi è volontaria, "non è diversa da qualsiasi altro accordo o contratto e non implica l’applicazione della sezione 524(e)[17].
Per Kavanaugh non è rilevante che il principio non sia controverso, quanto il fatto che si tratta di liberatorie che non trovano espresso fondamento nel bankruptcy code. Esse possono avere giustificazione normativa soltanto nel par. 1123 (b) (6) e quindi nella catchall phrase. È vero, ammette Kavanaugh, che la giustificazione delle liberazioni consensuali potrebbe riposare nell’accordo delle parti, ma resta che il Bankruptcy Code non offre spiegazioni in proposito, mentre in generale gli accordi contrattuali non si fondano su norme federali, ma su discipline dei singoli Stati, che possono trovare attuazione davanti alle Corti statali, non a quelle federali come le Bankruptcy Courts.
Un’altra ipotesi che, secondo la dissenting opinion, si spiega soltanto con il par. 1123 (b) (6) della sezione 1123 riguarda le full satisfaction release clauses, cioè le liberatorie con cui si dà atto che il credito è stato integralmente soddisfatto. Tali clausole fanno parte del piano di riorganizzazione e prevedono il pagamento integrale dei crediti vantati dai creditori nei confronti di terzi diversi dal debitore e quindi estinguono tali crediti. Quando una liberatoria di questo tipo è inclusa in un piano di riorganizzazione, l'organo giurisdizionale competente per la procedura fallimentare esercita il controllo anche sui crediti dei creditori nei confronti dei non debitori.
Una terza ipotesi è rappresentata dalle clausole di esonero da responsabilità (exculpation clauses) che proteggono i fiduciari della massa e gli altri professionisti (non debitori) dalla responsabilità per il loro lavoro sul piano di riorganizzazione. Senza questa garanzia i professionisti sarebbero scoraggiati dall’impegnarsi nella procedura concorsuale per timore di azioni di danni nei loro confronti. Per questa ragione le corti approvano l’inserimento di siffatte clausole nei piani di riorganizzazione. Anche in questo caso si tratta di liberatorie da azioni dei creditori nei confronti di soggetti, i professionisti, che sono terzi rispetto al debitore.
Un caso di questo genere, continua la dissenting opinion, è stato affrontato proprio dalla Corte Suprema nel 1990[18]. I dirigenti della società debitrice sottoscrissero un accordo con cui accettavano di contribuire con denaro proprio perché la società in procedura potesse pagare i crediti relativi al trust fund tax liability, per evitare di risponderne integralmente in proprio. Il piano prevedeva che i dirigenti fossero liberati dalla responsabilità personale per il pagamento di tali imposte. Di fronte all’eccezione che la Bankruptcy Court non aveva autorità in base al bankruptcy code, in particolare in base al par. 1123 (b) (6) per approvare il piano, la Corte Suprema ritenne diversamente. Il piano riduceva la responsabilità di un soggetto terzo, i dirigenti della società debitrice, nei confronti di un altro soggetto terzo, a fronte della previsione che il piano consentisse alla debitrice di provvedere al pagamento.
Questi rilievi, volti a dimostrare che la catchall phrase giustifica la liberazione da crediti vantati da soggetti terzi, in casi in cui l’efficacia della clausola per diritto americano non è controversa, possono sembrare a prima vista scarsamente persuasivi. Occorre, tuttavia, ricordare che il “consenso” dei creditori secondo una parte della giurisprudenza è presunto in caso di voto favorevole e che la liberazione da responsabilità dei professionisti, pur rappresentando una clausola usuale nei piani, non ha chiara natura consensuale.
Con un diverso ragionamento, fondato sulla ratio legis, la dissenting opinion afferma che la lettura complessiva che la Corte Suprema ha dato del canone dell’eiusdem generis è sbagliata.
Ripercorrendo le linee del ragionamento sulla funzione delle tort mass clauses la opinion ribadisce che lo scopo del par. 1123 (b) è di assicurare alle bankruptcy courts un ampio potere di approvazione delle clausole del piano di riorganizzazione necessarie per assicurare il suo esito favorevole. La liberazione dai crediti vantati dai creditori e dalle vittime nei confronti degli amministratori e dirigenti di Purdue è altrettanto essenziale che la liberazione del debitore dai crediti vantati dai creditori a fronte dell’adempimento delle obbligazioni assunte con il piano. Per la dissenting opinion, le liberatorie non consensuali contro i Sackler non sono solo di un genere simile, ma in effetti sono la stessa cosa delle liberatorie non consensuali contro la Purdue che tutti concordano sul fatto che il §1123(b)(1) autorizza. Entrambe sono necessarie per preservare la massa attiva e prevenire problemi di azione collettiva che avrebbero potuto prosciugare l’attivo proprietà di Purdue, e quindi entrambi sono necessarie per consentire al piano di riorganizzazione di Purdue di avere successo e di distribuire equamente i beni.